sabato 3 dicembre 2011

Bruto - l'archetipo del campione delle libertà umane



Omnium primum avidum novae libertatis populum, ne postmodum flecti precibus aut donis regiis posset, iure iurando adegit neminem Romae passuros regnare.
[Prima di ogni cosa, per evitare che in seguito potesse lasciarsi piegare da lusinghe e donativi di aspiranti alla monarchia, (Lucio Giunio Bruto) indusse il popolo, avido di nuova libertà, a giurare che non avrebbe più consentito che qualcuno regnasse a Roma].
Tito Livio

La storia è scritta dai vincitori e la storia americana è stata scritta dai federalisti, i fautori della federazione degli Stati Uniti d’America. Perciò è la storia di come i Federalisti hanno salvato l’America istituendo un governo forte ed accentrato sotto l’egida della Costituzione del 1787, assicurando la stabilità è la prosperità del nuovo stato unitario repubblicano.

Quasi nessuno studente americano s’imbatte in Brutus, lo pseudonimo usato da un anonimo anti-federalista, magistrale argomentatore, per perorare la causa della Confederazione.

Ricordo ai lettori che la CONFEDERAZIONE è un'unione di stati che conservano la propria sovranità e si accordano su quali strumenti ed istituzioni servano a mantenere la pace e la cooperazione. Nella FEDERAZIONE (es. Svizzera e Stati Uniti), gli stati cedono la loro sovranità ad un'entità giuridico-politica che li sovrasta e non possono più tornare indietro o chiamarsi fuori. È quel che hanno in mente Merkel e Sarkozy. L’Unione Sovietica era una federazione. Originariamente la Svizzera era invece una confederazione: di qui la sua denominazione di Confederazione Elvetica, sebbene oggi non conservi più alcun elemento confederale. Ci volle una guerra civile per completare la transizione.

Nessuno sa chi si celasse dietro lo pseudonimo Brutus, ma quel che è fuor di dubbio è che fu uno dei più lucidi ed articolati critici del federalismo, nonché un raffinato analista politologico e sociologico. In 18 articoli pubblicati dal New York Journal, il Nostro riassunse praticamente tutti i temi politici più scottanti del nostro tempo e di ogni tempo, riuscendo ad anticipare, con una nitidezza ed accuratezza senza paragoni, le ramificazioni a lunghissimo termine delle decisioni che si stavano prendendo allora. 

Una sua riflessione che trovo di fondamentale importanza riguarda il rapporto patologico che si instaura tra esseri umani e potere. Brutus controbatte ai difensori dello Stato forte notando come l’esperienza della storia ci dovrebbe aver insegnato che un gruppo di uomini, investito di autorità, tende a cercare di incrementarla controllando e rimuovendo ciò che interferisce con questa loro disposizione naturale. Di qui l’importanza di distribuire il potere il più estesamente possibile, in modo che non si concentri e finisca per prevaricare i diritti dei più deboli, inclusi gli stati più piccoli. Coerentemente con questa impostazione, Brutus non prestò soverchia attenzione alla Carta dei Diritti (Bill of Rights), perché era consapevole del fatto che i diritti restano sulla carta se un’autorità conquista una tale supremazia da infischiarsene dei principi e delle norme concordate precedentemente. Il modo migliore per salvaguardare i diritti dei cittadini è fare in modo che nessuno sia in grado di imporre il suo arbitrio. Trovo che questa conclusione sia inoppugnabile e che chi crede che i nostri diritti non siano precari viva di illusioni.

Brutus era un abolizionista e non capiva perché l’infame proprietà di schiavi degli stati del sud dovesse essere premiata con una maggior rappresentanza politica (fu un compromesso per evitare la secessione, che poi arrivò comunque qualche decennio più tardi).

Brutus non riusciva inoltre a capire come una minuscola assemblea potesse rappresentare tutti i ceti sociali americani. Idealmente, uno straniero avrebbe dovuto potersi fare un’idea dell’America esaminando i politici che rappresentavano l’elettorato, ma l’assetto prescelto garantiva solo che un’oligarchia avrebbe finito per pretendere di fare gli interessi di migliaia di persone, corrompendosi e corrompendo il corpo dello Stato. Un caso esemplare è, odiernamente, quello delle autorità europee, che peraltro non sono neppure elette.

Per lui l’unica guerra giustificabile è una guerra difensiva ed osservava come gli stati europei del suo tempo erano quasi invariabilmente organizzati ed amministrati in vista degli scontri armati, come se in questo consistesse la loro maggior gloria. Brutus riteneva che si trattasse di un enorme equivoco riguardo alle finalità di uno Stato e del suo governo, che nasce ed esiste per salvare le vite dei cittadini, non certo per distruggerle. Di conseguenza gli Stati Uniti si dovevano prefiggere il compito di servire da esempio per tutti gli altri stati, mirando a garantire ai propri cittadini una ragionevole possibilità di conseguire la felicità e la virtù: “lasciamo che i monarchi europei condividano tra loro la gloria di spopolare le loro rispettive nazioni, massacrando migliaia dei loro figli innocenti…non invidio loro questo onore e prego il cielo che questa nazione non nutra mai ambizioni di questo genere”.

Oltre alla sua tenace dedizione alla causa dei diritti umani, Brutus mostrò una non comune lungimiranza finanziaria quando predisse che l’illimitata prerogativa del governo di prendere a prestito denaro avrebbe un giorno creato un debito pubblico che non sarebbe mai stato possibile saldare.

Quanto alla gestione della cosa pubblica Brutus attribuiva ai Federalisti la tendenza a farsi sedurre dal fascino degli eserciti, delle organizzazioni stabili in cui gli individui erano deferenti nei confronti dei loro superiori per natura – un principio incompatibile con lo spirito della Bill of Rights, la Carta dei Diritti che fu infatti avversata dalla gran parte dei Federalisti. Brutus stigmatizzava la fissazione per l’ordine, la tradizione, la separazione gerarchica tra gli esseri umani, identificando queste inclinazioni con quelle tipiche degli ufficiali dell’esercito, inappropriate per degli statisti repubblicani.

Un’ulteriore, accuratissima intuizione di Brutus riguardò la maniera in cui gli articoli che sancivano la necessità di promuovere il benessere collettivo sarebbero poi stati strumentalizzati per espandere progressivamente i poteri del governo centrale riducendo la sovranità dei singoli stati.

Ma perché “Brutus”? Cosa c’è dietro la scelta di un tale nom de plume?

Era un omaggio al Bruto cesaricida, difensore della Roma repubblicana, ma anche al Bruto che sconfisse il tiranno Tarquinio il Superbo, l’ultimo re di Roma, diventando il padre della gloriosa Repubblica di Roma. Il Bruto tirannicida – Marco Giunio Bruto – si proclamava discendente di Lucio Giunio Bruto (545 a.C. - 509 a.C.).

Sappiamo abbastanza poco di quest’ultimo, assurto poi a simbolo universale di libertà per i rivoluzionari francesi – che ne portarono in corteo l’effigie per celebrare la morte del tiranno Robespierre – come per quelli americani, e anche quel poco che sappiamo è avvolto nella leggenda. Come Amleto, pare che Bruto abbia finto per anni di essere stolto, per non essere fatto fuori da Tarquinio, presso il quale viveva, uno dei pochi superstiti del suo lignaggio, massacrato dal tiranno. Nel frattempo si dedicò all’organizzazione di un movimento rivoluzionario clandestino, che trionfò, nonostante il suo decesso sul campo, nella battaglia decisiva. Cicerone tramanda che fosse un iniziato dei misteri pitagorici e in effetti diverse sue iniziative sembrano indicare una sensibilità pitagorica: abolì l’infanticidio sacrificale, emancipò gli schiavi, introdusse il principio dell’equilibrio tra i poteri, della moderazione nell’amministrazione della cosa pubblica, che era un pilastro del pensiero politico e filosofico di Pitagora, e fu il primo tribuno della plebe.

Malauguratamente, la costituzione di Bruto non sopravvisse al tracollo economico della crisi del V secolo, che favorì l’accentramento del potere nelle mani degli oligarchi, che si costituirono in casta, sotto la protezione del dio Marte.

Corsi e ricorsi della storia. 

FONTI
Andrea Carandini, “Res Publica. Come Bruto cacciò l’ultimo re di Roma”. Milano: Rizzoli, 2011.
Attilio Mastrocinque, “Lucio Giunio Bruto : ricerche di storia, religione e diritto sulle origini della repubblica romana”, Trento: La Reclame, 1988.
Cecelia M. Kenyon, “The Antifederalists”, New York: Bobbs-Merrill & Co., 1966, pp. 323-358

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