mercoledì 21 dicembre 2011

La Sindrome dell'Anticristo




La parola greca hybris esprime meglio di qualunque altra la natura di questo atteggiamento. Per i greci indicava l’arroganza dell’eccesso, l’orgogliosa tracotanza, la sconfinata presunzione dell’uomo che cerca di acquistare gli attributi di Dio. Certamente gli Stati Uniti vivono sempre più in un regime di hybris e in pochi si rendono conto che con questo atteggiamento si stanno guadagnando un’ostilità crescente da parte del resto del mondo e in particolare da parte delle vittime della loro arroganza. […] raggiungeremo un senso del limite quando riusciremo a percepire questa ricerca dell’eccesso, della crescita illimitata, del dominio sulle alterità come un tentativo di rimozione della propria mortalità.
Marco Deriu, “Dizionario critico delle nuove guerre”, 2005

Io credo che ci sia anche una crudeltà che non è affatto follia, che è una lucida e razionale scelta del male, che è un peccato, pensato e pianificato, che è un mezzo voluto per mantenere e accrescere il potere proprio e quello del sistema
Marianella Garcia Villas



Possiamo immaginare come speri, raccogliendo abbastanza anima (o anime), di poter fare una vampa di luci capace di annullare alfine la sua oscurità e porre rimedio alla sua solitudine…un essere formidabile nel suo aspetto irredento….anche se possiamo provarne pietà, le nostre prime azioni devono essere di riconoscerla, di proteggerci dalle sue devastazioni, e infine di privarla della sua energia sanguinaria.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”

Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare.
Benito Mussolini, secondo Elsa Morante

Per queste persone l’atto creativo è la testimonianza di una capacità di vivere che manca loro. La volontà di esercitare il controllo sull’altro nasce dall’invidia e da un profondo sentimento di vuoto e di sterilità […] la mortificazione delle potenzialità creative genera la paura di vivere, la paura dell’altro, la paura di lottare per la vita. Questa paura, che è la negazione stessa della vita, è il disagio che si cela dietro la maschera di ogni potente.
Roberto Castaldi, “Il fascino del potere”.
                                                                                                          
Nel folklore innumerevoli sono gli apprendisti stregoni che scioccamente osano avventurarsi oltre le loro reali capacità, cercando di contravvenire alla Natura. Vengono puniti con mali e cataclismi. Esaminando questi leitmotiv vediamo che i predatori desiderano superiorità e potere sugli altri. Sono portatori di una sorta di ampollosità psicologica per cui l’entità desidera essere più in alto dell’Ineffabile, altrettanto grande e a questo pari, a quell’Ineffabile che tradizionalmente distribuisce e controlla le forze misteriose della Natura, compresi i sistemi della Vita e della Morte, le regole della natura umana e così via. […]. Possiamo immaginare come speri, raccogliendo abbastanza anima (o anime), di poter fare una vampa di luci capace di annullare alfine la sua oscurità e porre rimedio alla sua solitudine…un essere formidabile nel suo aspetto irredento….anche se possiamo provarne pietà, le nostre prime azioni devono essere di riconoscerla, di proteggerci dalle sue devastazioni, e infine di privarla della sua energia sanguinaria.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”

Una piccola Rana vide, dalla riva del suo stagno limaccioso, un grosso Bue e, tanto si stupì della sua prestanza fisica che desiderò intensamente diventare come lui. Cominciò così a gonfiarsi a più non posso; infine, soddisfatta, si mostrò al Bue: Guardami un po', - lo apostrofò con aria di sfida - sono ben grossa? - Non è sufficiente, vecchia mia, ci vuol altro! La Rana, invidiosa, si gonfiò di più e poi, si gonfiò ancora, ma la sua pelle fragile, ahimè, si lacerò per lo sforzo e la minuscola Rana vanitosa si trovò ridotta come un sacco vuoto, senza vita, simile a quei tali intriganti, tutta apparenza e niente sostanza, che non contenti di quello che hanno, fanno il passo più lungo della gamba per eguagliare modelli inimitabili.
Jean de La Fontaine, "Le Fiabe degli Animali"

In questa fase della nostra storia sono tremendamente incuriosito dalla forma mentis e dalle azioni delle persone che dimorano in cima alla Piramide sociale e che stanno gestendo la Grande Crisi che, in un modo o nell’altro, porterà alla Grande Trasformazione. Cos’hanno in testa? Cosa sentono nel cuore? Cosa provano quando mettono in gioco le esistenze di milioni di persone? 
Io credo che non siano diversi dai potenti del passato e dai potenti delle epopee e delle fiabe. Non credo, insomma, che la psiche umana sia cambiata in misura significativa.
I potenti della contemporaneità, come gli dèi e i potenti del passato, sono malvagi nella misura in cui pretendono non solo che noi li veneriamo, ma che li consideriamo buoni e giusti, anche se molti indizi sembrano dimostrare il contrario – ad esempio l’impunità dei responsabili della crisi e la spietatezza con cui si colpiscono le persone vulnerabili, disabili inclusi. Sono egocentrici, intossicati dalla volontà di potenza, convinti della propria autosufficienza, sprezzanti verso valori come la solidarietà, l’altruismo, la compassione. Il desiderio di dominare il prossimo, di appropriarsi delle cose altrui, di rifiutarsi di condividere ciò che si ha con gli altri non è un indizio di maturità, anzi, è tipico dei bambini. Sono dei bamboccioni invasati e questo li rende altamente pericolosi, come lo sono certi aspiranti ribelli, i futuri insorti della Rivoluzione Globale del 2012, che li scimmiotteranno, senza esserne consapevoli, come Satana scimmiotta Geova, come Robespierre scimmiottava l’assolutismo monarchico abbattuto dalla Rivoluzione, in un perverso dualismo sado-masochistico.
Lo psicologo junghiano Erich Neumann (“Psicologia del profondo e nuova etica”) ha esaminato le basi psicologiche della vecchia etica dipendente dal Dio-Padre che, proclamando aggressivamente il suo infinito potere e perfetta bontà, si comporta come un ego immaturo che ha bisogno di compensare le sue insicurezze. L’etica del tiranno e l’etica del ribelle radicale, del rivoluzionario di professione si nutre della manipolazione altrui per mezzo della pietà, del disprezzo, dell’invidia, del vittimismo, del senso di colpa, del richiamo alla giustizia. Sono etiche sado-masochistiche e necrofile incentrate sul dualismo padrone-servo, comando-sottomissione e su un’incrollabile devozione alla causa.
Una Rivoluzione matura è immune dalla sindrome dell’Anticristo e sceglie la strada della comprensione invece che dell’obbedienza, della persuasione invece che del comando, della libertà responsabile (matura) invece che del libero arbitrio (“me ne frego”/”l’uomo che non deve chiedere mai”), della visione integrale invece che della miope devozione, della trasformazione invece che della repressione e ribellione (per questo una rivoluzione ben fatta è una rivoluzione rapida, usa e getta, che deve lasciare immediatamente il posto alla democrazia).
Il tiranno e il rivoluzionario di professione sono simboleggiati dall’uroboro, il serpente che si morde la coda, epitome del perfezionismo, della superbia e dell’ossessività. Medusa è il suo volto mitico più minaccioso, il volto dell’alienazione psicotica. Medusa interrompe il flusso dell’energia vitale, trasforma tutto in pietra, rendendo impossibili le relazioni, l’interdipendenza e la crescita. È malvagia perché tronca il fluire della creazione, contrasta la coincidentia oppositorum che si fa garante della vita fisica e della vita della coscienza/anima, gonfia l’ego, sottrae l’amore che dovrebbe destinare ad altri, indirizzandolo verso se stessi. Il male è dunque un elemento della Creazione che tracima, deborda dalla sua logica originaria e si rende fine a se stesso, alfa e omega di se stesso, a discapito di tutto il resto.
Ecco cosa caratterizza i Potenti di inizio millennio e tutti quelli che li hanno preceduti: la superbia che si autoalimenta, un ego che ricerca disperatamente quello stato ideale nei ricordi dell’utero e dell’infanzia, quando non c’erano ostacoli e qualcuno era sempre pronto a soddisfare i suoi bisogni. Il loro male possiede un’energia terribile ed incrollabile che si alimenta di un’invidia alienante, di una superba malevolenza, dell’inestinguibile avidità di un buco nero, “un buco che assorbe tutta la luce che lo circonda…e si alimenta delle scomparse che provoca” (Jordi Bonells, “La seconda scomparsa di Majorana”). È un male persistente e che per questo ci sorprende, come ci sorprendono gli psicopatici:
I malvagi si rifiutano di riconoscere il peccato in loro stessi, celano i loro crimini con proiezioni e capri espiatori, motivati dalla loro paura dell’autocritica. Devono mantenere un’immagine di perfezione, il che non è per niente facile: formano reti di individui affini a loro in cui si rispecchiano e che li rinfrancano con la loro mera esistenza. Detentori di considerevole potere ed affetti da una molteplicità di patologie, la ricchezza ed il potere li fanno sentire come se fossero il centro dell’universo, semidivini se non divini; sfortunatamente per loro, ciò non li rende meno moralmente, culturalmente, spiritualmente e mentalmente periferici, marginali.
Non hanno alcun desiderio di essere buoni, per questo si danno da fare per apparire buoni. Professano di essere alla ricerca della bontà perfetta, quando invece bramano solo il potere fine a se stesso. Un desiderio di potere che nasconde il terrore dell’incertezza, l’incapacità di accettare la propria imperfezione dietro un velo fatto di orgoglio, disprezzo, intolleranza per l’imperfezione, auto-glorificazione: “il mondo umano di carattere demonico è una società tenuta insieme da una specie di tensione molecolare di numerosi ego, cioè da una forma di lealtà al gruppo o al capo che sminuisce l’individuo o, nei casi migliori, oppone al piacere dell’individuo il dovere e l’onore. […]. In un mondo umano sinistro un polo individuale è rappresentato dal capo-tiranno, imperscrutabile, malinconico e spietato, dotato di volontà insaziabile, il quale ispira sentimenti di lealtà solo se è abbastanza egocentrico da rappresentare l’ego collettivo dei suoi seguaci. L’altro polo è rappresentato dal pharmakos, o vittima sacrificale, che deve essere uccisa per accrescere la forza degli altri…La relazione erotica di tipo demonico diventa una passione selvaggia e distruttiva che opera contro la lealtà e frustra colui che la possiede. È di solito simboleggiata da una prostituta, strega, sirena, o altra femmina tentatrice, cioè un oggetto fisico del desiderio umano che è ricercato come possesso e perciò non può mai essere posseduto (Northrop Frye, “Anatomia della critica”, 1969, pp. 194-195).
Negano la realtà e la verità, s’ingannano da soli, s’infatuano di desideri irrealistici, coltivano una cronica percezione selettiva della realtà per proteggere il loro ego. Si assuefanno alla condizione di enormi parassiti che schiacciano quelli sotto di loro e sopportano di avere uno stivale premuto sul volto. Una condizione di eterna lotta per la sopravvivenza in cui gli squaletti lottano per prendere il posto degli squali più grandi ed imbolsiti, nell’eterno tentativo di rendere ciascun altro un’estensione della proprio volontà. Vivono in un inferno senza fine, convincendosi che sia l’eden. Credono veramente di amare, ma è parassitismo. Hanno bisogno dell’altro per sopravvivere. Non c’è scelta, non c’è libertà, non c’è amore, solo necessità. Il loro è desiderio di essere viziati, accuditi, è infantilismo. Sono così impegnati a farsi amare, ad assorbire energie, che non resta nulla da concedere nell’amore, all’amore: “la sete di potere è la forma deviata della ricerca d’amore. E infatti, in modo più o meno occulto, essa viene sempre sostenuta da moti distruttivi, da una rabbia che cova profonda e da antica data. L’agognata identificazione con il potere si offre come via di scarica, come mezzo di liberazione e di risoluzione dell’aggressività. Ma può il male compiuto su altri liberarci del male che è stato compiuto su di noi? Se non siamo stati amati, non sappiamo amare noi stessi. Se non conosciamo le nostre debolezze, se non abbiamo appreso la tolleranza, non sapremo mai trovare nella diversità degli altri una ricchezza per noi stessi” (Aldo Carotenuto, “Attraversare la vita”, 1999, p. 179).
I potenti tirannici che hanno generato e governano la Crisi per depredare le masse sono perennemente famelici, con un vuoto interiore senza fondo, non si sentiranno mai completi, le loro relazioni sono molto superficiali perché si concentrano su cosa gli altri possono fare per loro e non cosa loro possono fare per gli altri. Non si interessano alla loro crescita personale e ancor meno alla crescita altrui, ma solo all’affinamento della loro capacità di imporsi sugli altri, di obbligarli ad obbedire alla loro volontà.
Abbiamo visto che il simbolo dell’Anticristo è l’uroboro, il cerchio dell’eterna immutabilità, l’archetipo della stagnazione, dell’assenza di crescita ed individuazione, la ricerca ossessiva della sicurezza e del controllo sul prossimo, il dominio sul proprio universo. È la loro rovina. Euripide spiega che Zeus priva della saggezza quelli che vuole che si perdano, ma non serve nessun Zeus, il loro cuore indurito, la loro mente auto-centrata, le loro manie di onnipotenza li perdono, per sempre. I potenti sono perfettamente in grado di seminare distruzione, ma sono per definizione egotisti e quindi incapaci di definire una strategia che, nel lungo termine, non sia autodistruttiva. Possono trionfare nel breve, ma solo se le loro vittime mancano della necessaria determinazione per limitare i danni da loro causati.

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