sabato 7 gennaio 2012

LOST - eroi nella Tempesta





Non siamo soli ad affrontare l'avventura, perché gli eroi di tutte le epoche ci hanno preceduti. Il labirinto non ha più segreti. Dobbiamo semplicemente seguire il filo lungo il percorso dell’eroe, e dove pensavamo di incontrare un mostro, troveremo un dio. Dove pensavamo di uccidere altri, uccideremo noi stessi. Dove pensavamo di dover cercare all’esterno, ci ritroveremo invece al centro della nostra esistenza. E dove avevamo pensato di essere soli, avremo tutto il mondo al nostro fianco.
Joseph Campbell, “L’eroe dai mille volti” 

L’unico che mito che vale la pena di prendere in considerazione nell’immediato futuro è quello che parla del pianeta…e di tutti quelli che ci stanno sopra
Joseph Campbell

A un giovane indiano d’America
venne dato questo consiglio
nel momento dell’iniziazione:
“Camminando sul sentiero della vita
un grande abisso taglierà la tua strada.
Salta. È meno ampio di quel che credi”.
Joseph Campbell, “Riflessioni sull’arte di vivere”

Il nostro spettacolo è finito. Questi nostri attori,
come ti avevo detto, erano tutti spiriti
e si sono dissolti nell’aria, nell’aria sottile.
E, come l’edificio senza fondamenta di questa visione,
le torri ricoperte dalle nubi, i palazzi sontuosi,
i templi solenni, questo stesso vasto globo, sì,
e quello che contiene, tutto si dissolverà.
Come la scena priva di sostanza ora svanita
tutto svanirà senza lasciare traccia.
Noi siamo della materia di cui sono fatti i sogni;
e la nostra piccola vita è circondata da un sonno.
Prospero, “La Tempesta” (William Shakespeare)

Viviamo in un corpo e questo corpo plasma e limita la nostra comprensione della realtà. A volte siamo costretti ad usare metafore, altre volte sono gli archetipi che ricapitolano universi di significato troppo estesi per essere metabolizzati dalle nostre menti. Lost è un’epopea e, come ogni mito, la sua funzione è quella di fungere da specchio rivelando a noi stessi quel che c’è dentro di noi (“conosci te stesso”, ci esorta l’Oracolo di Delfi), catapultandoci in un’esperienza eroica, nel labirinto. L’isola di Lost è un universo tascabile, una metafora della creazione ed i sopravvissuti imparano con il tempo che le risposte a tutte le loro domande erano già dentro di loro e che tutto ciò che eleva, e che si eleva, converge.

L’isola richiede equilibrio. C’è una qualche forza che per qualche ragione opera in modo tale da mantenere tutto in equilibrio. L’equilibrio sembra essere raggiunto solo attraverso uno scontro tra elementi contrapposti, tra prospettive sul mondo contrarie. Il conflitto tra le consorterie è armonico, è equilibrio, è la fusione delle polarità, la coincidentia oppositorum.
L’isola non è né buona né cattiva, è quello che è: sono le persone che la rendono paradisiaca o infernale, sono le persone che si salvano e si dannano. Forse non è che pretende equilibrio, è che è essa stessa equilibrio, equilibrio tra luce ed oscurità, nascita e decesso, individuo e gruppo, scienza e fede, in un incessante mutamento, bilanciato. Insomma, non è consapevole, o almeno non lo è pienamente. 
Lost vive di strutture narrative che compaiono nelle mitologie di tutto il mondo. I suoi protagonisti sono anche i protagonisti del viaggio dell’eroe come viene descritto da Joseph Campbell nel suo L'eroe dai mille volti” (The Hero With a Thousand Faces, 1973). Specchi, caverne, cunicoli, mostri, duelli, ombre, doppelgänger, acque catartiche, magnetismi trasformatori, trascendenza di spazio e tempo, semidèi, dimensioni parallele, prove iniziatiche: ci sono proprio tutti gli ingredienti del mito.
Un po’ come Solaris, l’isola sembra avere la capacità di usare le emozioni e i ricordi dei suoi residenti per cristallizzare i loro desideri, sogni, paure ed incubi
Jacob è l’equivalente maschile delle tessitrici del fato, le Norne (nordiche), Moire (greche), Parche (romane): i nostri eroi fanno delle scelte e queste scelte sono i fili dai quali prende forma l’intreccio delle loro esistenze sull’isola e al di fuori dell’isola. Kate e Desmond imparano a non scappare, Claire accetta la responsabilità della maternità, Sawyer smette di odiarsi, Richard smette di sentirsi un dannato, Miles scopre la ragione delle scelte paterne, Sun e Jin imparano a non mentire e a fidarsi l’uno dell’altra. Jack accetta di lasciare che altri decidano cosa sia meglio per tutti e anche per lui, si toglie gli abiti del pastore (Shephard/shepherd) e lascia che il gregge diventi adulto e gli insegni quel che non ha ancora imparato. Ad esempio la sua ipocrisia e corruzione morale quando esclama: “non siamo dei selvaggi!” per poi dimostrarsi violento, maniaco del controllo, pronto ad autorizzare la tortura ai danni di un compagno di sventura per poi dare la colpa a quest’ultimo: “la scelta è stata di Sawyer, non mia”. La contrapposizione tra Jack e Sawyer, causata principalmente dalle differenze di temperamento (sembrano l’uno il doppio dell’altro: Geova e Satana) e dalla rivalità amorosa, insegnerà a tutti e due come si sta al mondo, dopo aver compreso che nessuno dei due è l’uomo che pensava di essere. Eko, oberato dal peso della colpa per la morte del fratello e per il massacro nella chiesa, desidera non esistere più in un mondo in cui non può tornare indietro e cancellare le proprie malefatte: Fumo Nero se lo mangia e pone fine alle sue pene. Locke e Sayid (forse i due personaggi più interessanti?) soccombono sotto il peso delle loro debolezze. Benjamin Linus comincia a redimersi solo nel buio più profondo, quando il suo orgoglio ferito e la sua superbia lo spingono all’omicidio. Jacob viene ucciso da Ben, ma solo così, ossia con la sua morte, prende forma il mondo da lui auspicato, una società in cui le persone non seguono un pastore, ma ragionano coralmente su cosa si debba fare. L’Uomo in Nero, manipolando e massacrando le persone per poter fuggire e dominare il mondo esterno, insegna ai superstiti che è sbagliato offrire empatia a qualcuno che non ne ha, non sa cos’è e non sa cosa farsene. L’unico dovere è quello di resistere e di ostacolarlo. Jacob, con l’aiuto del suo gemello “malvagio”, l’Uomo in Nero, non dimostra che c’è del bene nelle persone o che gli esseri umani sono essenzialmente buoni – non era questo il suo obiettivo – ma piuttosto che esiste il libero arbitrio, cioè che le persone possono scegliere.

Uomo in Nero a Jacob: “Come hanno fatto a trovare l'isola?”
Jacob: “Dovrai chiederglielo quando arriveranno qui”
UiN: “Non devo chiedere. Li hai portati tu qui. Stai ancora cercando di dimostrarmi che ho torto, vero?”
Jacob: “Tu hai torto”
UiN: “Ah sì? Arrivano, combattono, distruggono, corrompono. Finisce sempre allo stesso modo”.
Jacob: “Finisce solo una volta. Tutto quello che accade prima è solo progresso”.

Le persone che nella dimensione parallela non sono precipitate sono tutte segnate dal rimorso di aver compiuto delle scelte sbagliate e sono meno accattivanti degli originali, così complicati, contradditori, sofferenti, irritanti, esasperanti perché sono i principali responsabili del loro dolore e non ne sono coscienti.
Lost è anche la storia di come dei figli di padri incapaci o terribili riescono a superare il loro trauma, uscire dall’ombra del padre, emanciparsi, maturare e diventare dei bravi genitori. Una storia di amori e sacrifici, di perdite e di ritrovamenti, di cadute e redenzioni, vergogna, colpa, speranza. Una storia istruttiva, perché ci mostra che bene e male non sono tratti costitutivi delle persone ma il risultato di un buono o cattivo uso della facoltà empatica, della compassione, il fondamento della nostra esperienza morale.
Esaminiamo il comportamento dei superstiti, valutiamo le opportunità di scelta che hanno avuto, le loro motivazioni, le emozioni e le forze che li fanno propendere per un tipo di azione piuttosto che un altro. Di che cosa ci rendiamo conto? Che chi si sente malvagio è meno cattivo di altri e che gli Altri si considerano buoni anche se torturano, rapiscono, uccidono, ingannano, conducono esperimenti umani, ecc.
Impariamo anche che nei miti non ci sono cattivi, ci sono solo cospiratori, ossia agenti del fato che, inconsapevolmente, compongono quegli scenari che permetteranno all’eroe di compiere la sua impresa, superando le prove che testano la sua maturità morale e spirituale. Ma se non ci sono i cattivi o, per meglio dire, se i cattivi sono tanto utili quanto i buoni, se non di più, allora non ha più senso tifare per l’uno o l’altro schieramento: tutto è una scuola di vita, tutti sono degli insegnanti, anche loro malgrado. Un insegnamento che non riusciamo a trarre dai fatti quotidiani ma è più facile assimilare attraverso una storia che ci emoziona.
Una storia come quella di Lost, o come la Tempesta di Shakespeare. In entrambe le narrazioni le vicende si svolgono su un’isola di bisbigli [“Be not afeard; the isle is full of noises”], dopo un naufragio/incidente aereo, i superstiti sono divisi in gruppi, senza che gli uni sappiano che gli altri sono ancora vivi. Jacob corrisponde abbastanza bene a Prospero – tutti e due credono che l’insegnamento possa aiutare le persone volonterose a migliorarsi e riscattarsi –, Desmond ha poteri soprannaturali come quelli di Ariel. Calibano potrebbe essere l’equivalente dell’Uomo in Nero.
Prospero è saggio e benevolo, ma sa essere severo. Alla fine rinuncia alla magia. Non cerca vendetta ma la redenzione per chi l’ha offeso e bandito, per chi ha commesso un enorme torto. I protagonisti devono superare delle prove di carattere che determineranno la loro integrità morale. Se falliranno saranno persi, se le supereranno saranno redenti. L’Uomo in Nero manipola Benjamin Linus in modo da indurlo ad uccidere Jacob, proprio come Calibano insinua nelle menti di Stefano e di Trinculo l’idea di uccidere Prospero per assumerne i poteri.
Ferdinando e Miranda giocano a scacchi. John Locke trova sulla spiaggia un backgammon e spiega a Walt che è un gioco migliore della dama: “Due giocatori, uno contro l’altro: la luce e l’oscurità”.
Prospero fa le sue mosse, muove i suoi pezzi, esattamente come l’Uomo in Nero e Jacob.
In Lost è in palio la definizione della natura umana. UiN pensa che sia irrimediabilmente corrotta, Jacob crede che possa apprendere dai propri errori e, alla lunga, caduta dopo caduta, riscattarsi: “voglio che si aiutino a capire la differenza tra giusto e sbagliato senza che sia io a dovergliela spiegare”.
Desmond è come Ulisse, un’inversione di Ulisse, che resta fermo ad Itaca. È più scaltro che coraggioso. Continua a rinunciare ad affrontare le sfide, pur essendo molto curioso. Come Ulisse, una volta liberatosi dalla vecchia “persona”, si ritrova nudo nell’isola, con il potenziale di un superuomo. Penny (Penelope) è evidentemente la Penelope di Odisseo che però, invece di restare a casa ad attenderlo, lo cerca per i sette mari. Chi resta fermo, in attesa, tessendo una narrazione apparentemente senza fine, come l’omerica Penelope, è invece Jacob.
Nella Tempesta Antonio e Alonso abbandonano in mare Prospero e la figlia Miranda, condannandoli ad una morte orribile, però l’Isola salva i due derelitti ed offre loro l’opportunità di rivalersi e soprattutto di insegnare una lezione esistenziale ai due criminali. Alonso si pente sinceramente. Antonio no, ma viene perdonato ugualmente [… “I do forgive thee, Unnatural though thou art”].
I protagonisti di Lost, quelli “eletti”, prendono coscienza del più autentico significato di giustizia, dignità, coscienza, crescita verso la conoscenza di sé.

LA DIFFERENZA TRA I DUE NUMI DELL’ISOLA  

L’UOMO IN NERO: il suo metodo è quello di scoprire ciò in cui la vittima ha un investimento emozionale e sfruttarlo. La quintessenza della tentazione. È un angelo caduto. Un tempo creatura meravigliosa, ora interamente auto-referenziata: l’intero universo deve ruotare attorno a lui ed ai suoi bisogni.  Disprezza l’umanità perché è caduta ancora più in basso di lui e perché non ha potere, è inerme, vulnerabile, manipolabile, indottrinabile. Ritiene che gli umani siano comunque condannati ad essere avidi, aggressivi, corrotti e distruttori. Tutti quanti, senza eccezioni: tutti uguali e tutti eternamente dannati (altrimenti come potrebbe sfruttarli?). È ostile al libero arbitrio e cerca di piegarlo ai suoi scopi, pur non potendo apertamente violarlo. Seleziona le paure in modo da dire a ciascuno ciò che vuole sentirsi dire, non ciò che è vero o giusto dire. È fatalista e determinista, un cinico riduzionista e materialista. Il fatalismo genera orgoglio ed apatia: se uno è comunque destinato al peccato, che senso ha impegnarsi per essere salvato? Non crede al progresso spirituale, essendo convinto che tutto rimanga sempre uguale. L’unica cosa che conta per lui è il potere sugli altri e la libertà di esprimerlo a suo piacimento. Si circonda di pecore impaurite che minaccia: obbedite o morite. La società che costruisce è un branco, sempre sulla difensiva o all’attacco, una comunità chiusa, che si sente assediata. Usa miracoli, misteri, potere e menzogne per guadagnarsi l’ammirazione intimidita della gente e poi governarla. Li convince che la libertà è una condanna alla sconfitta, alla disperazione. Se offre scelte, è solo per punire chi sceglie male e non si dimostra all’altezza di essere un suo servitore. Ama il potere, il controllo, lo brama, perché gli consente di ottenere ciò che vuole in ogni modo possibile, ad ogni costo. È brillante ma usa le sue capacità per servire se stesso a discapito degli altri. Se qualche beneficio percola, è solo perché ha bisogno di servitori e li controlla con dei contentini. Si ritiene speciale, se ne frega di ciò che pensano gli altri e perciò non sa e non può perdonare. Si circonda di figure manipolatorie, infide, egoiste ed avide perché sono mezzi in vista di un fine. Non potrà mai avere amici perché il resto dell’universo è solo uno strumento, per lui.
È un povero diavolo.
JACOB: rivolge a Benjamin Linus, che sta per ucciderlo, le seguenti parole: “qualunque cosa ti abbia detto voglio che tu capisca una cosa: hai sempre una scelta”. Crede che l’umanità abbia in sé il potenziale per evolvere, per diventare autenticamente, spiritualmente umana. Concede sempre una scelta, valorizza il consenso informato. Non convince con i miracoli o con il pugno di ferro, anche se è potentissimo. È un maestro compassionevole e fiducioso. Ci tiene all’umanità, è antropologicamente ottimista e premuroso: gli esseri umani possono e debbono scegliere autonomamente la retta via. Offre salvezza a chi è disponibile a guadagnarsela, gli altri debbono comunque restare liberi di agire diversamente. È trasparente, non ha secondi fini, è disposto a morire pur di non tradire la fiducia del prossimo, per amore. C’è progresso ogni volta che qualcuno ce la fa, l’importante è che la mano non sia forzata, che non ci sia interferenza. Ciascuno deve capire da solo cosa sia giusto fare, non può essere portato per mano alla giusta destinazione, altrimenti non c’è alcuna condotta virtuosa. Fare la cosa giusta non vuol dire essere premiati all’istante. Non c’è nessuno che fa il tifo, ringrazia e distribuisce onorificenze. C’è sempre qualcosa di prezioso e speciale nell’atto di chi fa la scelta giusta senza che gli si dica cosa è meglio fare. Sono le scelte che uno fa che rivelano la sua indole, non le cose che gli capitano. Anche il Cristo, antropologicamente ottimista, crede nella capacità di ciascuno di seguire un percorso di redenzione personale, per questo offre una scelta, senza perciò aspettarsi che tutti vadano con lui.





 

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