lunedì 14 novembre 2011

Super Mario e il Mago - lo spauracchio del default e l'erosione della democrazia



Quando il FMI arriva in un paese è interessato ad una sola cosa: come ci assicuriamo che le banche e le istituzioni finanziarie siano pagate?...è il FMI che mantiene in attività gli speculatori. Non è interessato allo sviluppo, in ciò che può aiutare una nazione a lasciarsi alle spalle la povertà
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001 ed ex vicepresidente della Banca Mondiale.

La dottrina in questione consiste nell’asserzione che, in seguito ad una crisi finanziaria, le banche devono essere soccorse a spese dei cittadini. Così una crisi provocata dall’assenza di regole diventa un pretesto per muoversi ancora più a destra: una fase di disoccupazione di massa, invece di stimolare il settore pubblico per creare nuovi posti di lavoro, diventa un’epoca di austerità in cui gli investimenti statali ed i programmi sociali sono cancellati. Si è fatto inghiottire questa dottrina all’opinione pubblica sostenendo che non c’erano alternative – che i salvataggi e i tagli erano necessari per soddisfare i mercati finanziari – e che l’austerità fiscale creerà lavoro. L’idea era che i tagli alle spese avrebbero infuso fiducia nei consumatori e negli imprenditori e che questa stessa fiducia avrebbe incentivato gli investimenti privati, riequilibrando più che abbondantemente gli effetti depressivi dei tagli governativi. Alcuni economisti non si sono lasciati convincere. Una critica tagliente equiparava i pretesi effetti espansivi dell’austerità alla credenza in una “fatina della fiducia”. Beh, era una mia critica…Ma qualcosa accadde sulla strada dell’Armageddon economico: la disperazione islandese rese impossibile attenersi alle convenzionali norme di condotta e premise alla nazione di violare le regole. Mentre altrove si salvarono le banche con soldi pubblici, l’Islanda lasciò che le banche fallissero ed estese la rete della sua sicurezza sociale. Laddove tutti gli altri erano ossessionati dall’idea di placare gli investitori internazionali, l’Islanda impose controlli temporanei sul movimento dei capitali per concedersi spazi di manovra. E come stanno andando le cose? L’Islanda non è riuscita ad evitare seri danni alla sua economia ed un calo significato dello stile di vita dei suoi cittadini. Ma è riuscita a limitare la crescita della disoccupazione e i patimenti dei cittadini più vulnerabili; il welfare è sopravvissuto intatto, come l’integrità morale della società. “Poteva andar peggio” può non essere lo slogan più galvanizzante che si possa immaginare, ma quando tutti si attendevano un disastro, equivale ad un trionfo politico-amministrativo. E qui c’è una lezione per tutti noi: le sofferenze alle quali vengono sottoposti così tanti cittadini non sono inevitabili. Se questa è un’epoca di incredibile afflizione e durezza, lo è per delle precise scelte che sono state fatte. Nulla di tutto questo era ed è inevitabile.
Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia nel 2008.

Tutta quest’idea di infliggere enormi sacrifici per generare un surplus con cui ripagare i creditori stranieri e conservare intatto l’euro è una politica economica assolutamente folle…le nazioni che incorreranno in un default tecnico come la Grecia, il Portogallo o la Spagna si ritroveranno con un debito ancora maggiore rispetto a quel che sarebbe successo se fossero state liberate prima dalle catene dell’euro.
Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia nel 1998.

…il Thomas Mann del racconto, spesso citato ma pochissimo letto, “Mario e il mago”, dove si narra di uno spettacolo allucinatorio, ambientato nell’atmosfera di una vacanza in Versilia del 1930, durante il quale un ciarlatano, torbido manipolatore delle coscienze, conquista il pubblico ipnotizzandolo e costringendolo, ma col suo consenso, anzi con la sua adesione, a ballare al sibilo del suo scudiscio. è descritto un impasto di identificazione di massa, violenza psicologica, adesione fanatica, coscienze pervertite che si offrono al seduttore senza sapersi sottrarre all’illusione perché il risveglio è più doloroso della soggezione: un impasto che sfocia nella tragedia.  
Gustavo Zagrebelsky, “La felicità della democrazia: un dialogo”

Giucas Casella, nel corso di una popolare trasmissione della domenica, ha esclamato, rivolgendosi ad un’anziana signora: “quando le toccherò la gola lei non potrà parlare, non potrà pronunciare neppure il suo nome”. La signora ha mugolato qualcosa per un istante e poi, ad alta voce: “non ce la faccio, non ce la faccio!”. Così l’ingenuità di una coscienza innocente ha rivelato al pubblico la prosaica realtà delle cose.  

I media italiani celebrano l’avvento dei “magici” Super Mario Bros.: Mario Draghi e Mario Monti.
Io al contrario mi domando perché qualcuno dovrebbe ancora fidarsi di “esperti” ed “autorità’” che: non hanno previsto la crisi; non ne hanno limitato l’impatto; non sembrano avere le idee chiare su come affrontarla ma le hanno invece molto chiare su chi se la deve cavare a buon mercato.
Sembra incredibile che ci possano essere persone che fanno fatica a capire che individui ed organizzazioni che lucrano enormemente sullo status quo e detengono un enorme potere hanno tutto l’interesse a convincere la gente a credere ad una visione della realtà che li avvantaggia. Succede quotidianamente, eppure milioni di persone non riescono a capacitarsi del fatto che i potenti che determinano il fato di milioni di persone possano comportarsi allo stesso modo, se non peggio. È una forma di rimozione psicologica di una verità spiacevole che mette a repentaglio l’ordine delle cose in cui vogliono continuare fermamente a credere, avendo una bassa soglia di tolleranza per l’incertezza, la confusione, l’ambiguità e l’opacità del reale. La storia, purtroppo per loro, quasi certamente dimostrerà che si compiranno immensi e dolorosi (ma non certo per i potentati) sforzi per puntellare un sistema insostenibile, finché i medesimi potentati non saranno certi di averla fatta franca. L’attuale strategia è quella di usare lo spauracchio del default (poi arriverà il terrorismo nucleare).
Basterebbe dare un’occhiata al panorama economico internazionale per capire che le nazioni che se la cavano meglio sono quelle che hanno una propria valuta e la possono svalutare e, nel caso dei paesi scandinavi, non si tirano indietro quando si tratta di condurre politiche fiscali e monetarie espansive.
Dunque la scelta meno distruttiva, per i PIIGS, sarebbe quella di uscire dall’eurozona e svalutare, negoziare un default, istituire politiche protezionistiche per difendere i lavoratori, controllare i flussi di capitale (ora persino il FMI lo consente, dopo i pessimi risultati delle sue precedenti politiche di deregulation), creare un sistema bancario pubblico per tutelarsi dai crolli. Nessuna nazione europea, da sola, potrà farlo. Serve un coordinamento che purtroppo sarà ostacolato in ogni modo, visto che l’obiettivo finale è l’instaurazione degli Stati Uniti d’Europa, costino quel che costino:
Se si realizzasse questo default coordinato i sistemi bancari di Francia, Regno Unito e Germania si vedrebbero inferti colpi durissimi, forse irrimediabili:
Ma l’alternativa è la più sanguinosa rivoluzione della storia umana:
I custodi dell’ortodossia, per qualche curiosa ragione, sono convinti che la privatizzazione di beni pubblici, la riduzione dei consumi, la decrescita economica, la contrazione della produzione industriale e la riduzione del gettito fiscale (ossia le ricette neoliberiste di FMI e BCE avallate dalla Commissione Europea – vedi “capitalismo del disastro”) possano in qualche modo favorire la crescita e quindi accelerare il risanamento (= ripagare i debiti con gli investitori internazionali). Si tagliano i servizi, randellando le famiglie (che la destra esalta come una sacra istituzione), invece di colpire gli evasori.
Due terzi del debito greco sono detenuti dalle banche di tre nazioni: Francia, Svizzera e Germania. In particolare l’ammontare che la Grecia deve alle banche francesi equivale al 3% del PIL francese. La Francia non si può permettere di mollare la presa, deve costringere la Grecia alla resa senza condizioni: per questo Sarkozy è stato inflessibile, il “Torquemada” del terzo millennio. Sa che se i Francesi finiscono sotto pressione, può saltare tutto, com’è successo innumerevoli volte nel passato di quel paese. Perciò la Grecia è diventata un mandarino di cui ciascuno pretende il suo spicchio. I difensori dell’ortodossia, essendo inclini, forse per indole, forse per pigrizia, a trascurare la storia sociale e l’economia politica in favore di alchimie contabili e regole inviolabili, sembrano credere che gli esseri umani siano astrazioni e che la loro sofferenza non conti poi tanto, che siano tutti colpevoli nella stessa misura, che debbano piegarsi senza obiezioni di fronte alla volontà delle autorità, che sono per definizione in buona fede e nel giusto. La credenza che l’autorità sia essenzialmente autorevole è un preconcetto che presumibilmente deriva da una certa forma mentis autoritaria e che non dipende da una percezione oggettiva delle cose. La storia umana dimostra, al contrario, che potere ed integrità morale raramente si coniugano armoniosamente. La stessa crisi economico-finanziaria del nostro tempo ne è l’esempio più eclatante.
I più grossi investitori si comportano con le nazioni come dei predatori nei confronti delle prede. Individuano l’animale più debole, lo separano dal branco, lo circondano, lo abbattono e lo spolpano. C’è un libro che descrive a meraviglia l’ethos di questa mostruosa categoria di esseri umani, s’intitola “Wolfen” di Whitley Strieber e sconsiglio di leggerlo a chi è impressionabile. Si comportano esattamente come degli psicopatici o sociopatici e forse alcuni di loro lo sono:
Altri sono probabilmente narcisisti:
Proprio l’impressionabilità, il timore di scoprire di essere una preda, impedisce a molti di affrontare l’evidenza dei fatti, preferendo bollare tutto quello che diverge dalle loro convinzioni come complottismi indegni della loro attenzione. Sospetto che, in parte, questa rimozione del reale sia dovuta ad un eccessivo amore del quieto vivere, che sfocia nell’angelismo e nella sindrome dei capponi di Renzo Tramaglino:
Per queste persone il fatto che il primo ministro britannico, a dispetto di tutto quel che è accaduto, abbia concesso alle banche fino al 2019 come termine ultimo per autodisciplinarsi (!!!) e che Barroso non abbia mostrato alcuna intenzione di regolare il settore creditizio (diversamente dall’entusiasmo con il quale ha avallato il programma di estradizioni illegali della Guerra al Terrore), non è indicativo di alcunché. Per i politici che ci governano non sono le banche ad essere infantilmente egoistiche nel non volersi accollare il rischio d’impresa, sono i popoli a comportarsi irresponsabilmente. Ci vogliono convincere che gli investitori bancari-finanziari hanno un diritto inalienabile a non subire perdite o comunque a pagare solo in minima parte per i loro errori ed imprudenze. Una situazione insostenibile, che sussiste unicamente perché la finanza è in grado di ricattare gli esecutivi di qualunque paese, Stati Uniti inclusi. In altre parole, le nostre democrazie sono ora, a tutti gli effetti, delle oligarchie in cui la volontà dei cittadini non è tenuta nel minimo conto, di fronte alle priorità dei tecnocrati e degli speculatori.

LO SPAURACCHIO DEL DEFAULT
I PIIGS saranno distrutti se non seguiranno le istruzioni?
Argentina
e Islanda se la stanno cavando molto meglio:
Invece, nonostante le ripetute promesse che l’austerità avrebbe ridotto il debito irlandese, esso è aumentato e lo spread è rimasto alto. I soldi spremuti dai portafogli degli Irlandesi sono entrati nelle tasche dei banchieri. E ogni volta si è detto alla gente: “questo sarà l’ultimo sacrificio!”. Fino alla successiva, immancabile ingiunzione. Alla fine le banche irlandesi che non dovevano fallire hanno chiuso i battenti comunque, ma a spese di tutti i contribuenti, non unicamente di chi si era assunto i rischi, incautamente. L’economia si è contratta lo stesso, la disoccupazione è salita lo stesso; in più l’Irlanda è stata costretta a prendere in prestito 50 miliardi di euro, un quarto del suo PIL annuale ed ora si trova oberata da un debito dieci volte più grande del necessario. E tutto questo solo per salvare speculatori scellerati che non hanno alcun tipo di legame con la nazione in cui operano, essendo operatori transnazionali e globali. I politici che hanno preso queste decisioni, anteponendo gli interessi delle banche e delle istituzioni internazionali a quelli dei cittadini che li hanno eletti e sottomettendo questi ultimi a condizioni di usura, non sono forse colpevoli di alto tradimento?
L’Argentina si è dichiarata insolvente (default) e lo stesso hanno fatto Russia, Islanda, Messico, India ed Ecuador. Le ultime notizie ce le davano come nazioni ancora esistenti. L’Islanda ha un tasso di disoccupazione del 7%, l’Irlanda del 14%. Una commissione per la ristrutturazione del debito dell’Ecuador ha stabilito che una sua grossa porzione era illegale ed immorale e così è stata cancellata. Cosa è accaduto all’Ecuador? È stato forse tagliato fuori dal mercato delle obbligazioni? Assolutamente no, perché gli investitori sono più felici di fare affari con una nazione risanata ed in crescita che con una strangolata da misure draconiane e sull’orlo di una rivoluzione o di una guerra civile. L’avidità degli speculatori prevale sulle considerazioni riguardanti l’onorabilità e la moralità.
Non sia mai però che la cosa possa sollecitare qualche riflessioni innovativa e controcorrente: troppi pezzi grossi traggono vantaggio dal fatto che le cose restino come sono. Molti sanno cosa è successo ad altre due nazioni che hanno imboccato la via del default. La Costa d’Avorio è ora in mano ad un uomo del FMI e della Banca Centrale degli Stati dell'Africa Occidentale:
I cieli del Pachistan sono invece controllati dai droni statunitensi:
In effetti, fare default può essere suicida, se non si hanno i mezzi per difendersi dall’imperialismo umanitario occidentale. In Libia una delle prime azioni del governo insurrezionale di Bengasi, pochi giorni dopo l’inizio della rivolta contro Gheddafi (fallito colpo di stato), è stata l’istituzione della Banca Centrale di Bengasi. Anzi, interrogate gli abitanti dello Zambia a proposito dei risultati delle politiche imposte loro dal Fondo Monetario Internazionale: contrazione di un terzo della sua economia, debito esploso al 150% nel rapporto col PIL.
La Grecia deve fare un default perché tanto prima o poi dovrà farlo comunque e quindi è meglio che accada prima che le tasche dei Greci siano completamente prosciugate. Ma Germania e Francia stanno posticipando questo momento, nella speranza che le loro banche si ricapitalizzino e si preparino all’inevitabile impatto, oppure perché sanno che l’anno prossimo Israele farà quel che intende fare e quindi la Guerra Mondiale sistemerà le cose come successe nel 1939-1940, quando evitò agli Stati Uniti di ripiombare nel baratro della Depressione:

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