venerdì 13 gennaio 2012

Se incontrate questo tipo di rivoluzionari, isolateli: sono mortiferi





So che la maggior parte degli uomini, compresi coloro che hanno dimestichezza con problemi della più grande complessità, raramente riesce ad accettare la verità più semplice e ovvia, se questa li costringe ad ammettere la falsità delle conclusioni che essi hanno orgogliosamente insegnato ad altri e che hanno intessuto, un filo dopo l'altro, nell’ordito della propria vita.
Tolstoj, “Che cos'è l'arte?”, 1897

Che la pace sia un valore è cosa che nessuno discute (anche i folli e i fanatici, a modo loro, vogliono la pace), ma non bisogna confonderla con la resa. Chi vuole la pace con Hitler, meriterebbe appunto di averla, e di godersela sino in fondo. Col male politico non si viene a patti, e pur di estirparlo è sensato pagare anche un alto prezzo di sofferenza. Il punto essenziale è che non si creda di lottare per il bene, se no si dà immediatamente ragione all'avversario: è appunto perché è buono che ci uccide. Non esiste la guerra del bene contro il male. Esiste la guerra del bene assoluto e del male minore. Cioè, ormai dovrebbe essere chiaro, del male assoluto e del male minore. Non bisogna lottare per la verità, ma per l'incertezza. Per il tentativo. Per l'esperimento. Per l'avventura. Per la fallibilità. Dunque per la libertà, purché sia una libertà che non si realizza mai, e dunque che non è duratura in nessuna della sue singole forme. Non bisogna lottare per nulla che sia infinito ed eterno: queste armi lasciamole all'avversario. Non bisogna lottare per essere perfettamente buoni, ma per essere moderatamente, tollerabilmente, umanamente cattivi. Non c'è diritto più grande ed irrinunciabile di quello all'imperfezione: perché è il diritto alla perfettibilità.
Luigi Alfieri, “Riflessioni sul male politico (a partire dall'11 settembre)”, in Dialoghi, anno II, n. 1, 2002, pp. 46-55.

Già da un po' di tempo ho espresso il mio parere che il 2012 sarà l'anno in cui le rivolte cominceranno a prendere una piega rivoluzionaria, specialmente in seguito all'attacco preventivo israeliano all'Iran. Perciò mi aspetto che il 2013 ed il 2014 siano anni Rivoluzionari con la maiuscola.
Ciò detto, per chi non conosce il mio pensiero, è bene specificare che sono recisamente contrario alla violenza aggressiva (chi dovrebbe desiderare di fare del male a qualcun altro?), ma anche alla nonviolenza e pacifismo, che ostacolano l’indispensabile autodifesa ed il ristabilimento della libertà e della giustizia (quando ce vo' ce vo'):
Sospetto però che le rivoluzioni facciano il gioco dei potentati e che quindi andrebbero evitate, se possibile. Gli scioperi di massa (una forma di violenza molto limitata e dignitosa) dovrebbero essere sufficienti a cambiare le cose (es. nell’epica sumera gli umani si ribellano al loro asservimento agli dèi gettando a terra gli attrezzi da lavoro – gli dèi sono ricondotti a più miti consigli).
Temo però che sia utopistico sperare nell’autocontrollo delle folle e, soprattutto, nel buon senso dei potenti dei nostri tempi; quindi è bene prepararsi ad un nuovo 1848:
Per questo è meglio fare una ripassatina di alcuni fatti storici.
Movimenti rivoluzionari sfociati in regimi tirannici: 1642 in Inghilterra (Cromwell), 1789 in Francia (Robespierre e Napoleone), 1848 in Francia (Napoleone III), 1917 in Russia (Lenin e Stalin), 1919 in Italia (biennio rosso - Mussolini), 1930 in Germania (Hitler), 2011 in Egitto, 2012 negli Stati Uniti?
La Rivoluzione del 2012 sfocerà anch’essa nel Terrore (perché conviene a chi intende instaurare un Nuovo Ordine patentemente anti-democratico),
ma si può cercare di interferire o magari addirittura interrompere questo genere di degenerazione. La storia ci insegna quali sono i leader che faranno il gioco del Potere.

Finché essi vivono non è possibile che vi liberiate dal timore umano…Non lasciatevi atterrire, dio è con voi.
Thomas Müntzer (1794 – 1525)

Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù, senza la quale il terrore è cosa funesta; il terrore, senza il quale la virtù è impotente. Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque una emanazione della virtù. È molto meno un principio contingente, che non una conseguenza del principio generale della democrazia applicata ai bisogni più pressanti della patria. […]. Punire gli oppressori dell’umanità: questa è clemenza. Perdonare loro sarebbe barbarie. Il rigore dei tiranni ha come fondamento soltanto il rigore: quello del governo repubblicano ha invece come sua base la beneficenza.
Maximilien Robespierre, “Sui principi di morale politica”, 5 febbraio 1794.

I popoli non giudicano come le corti giudiziarie, non emettono sentenze: lanciano la loro folgore; non condannano i re: li piombano nel nulla… quale altra legge può seguire il popolo se non quella della giustizia e della ragione sostenute dalla sua onnipotenza?
Maximilien Robespierre, “Discorso per la condanna a morte di Luigi Capeto”, 3 dicembre 1792.

Io ho sostenuto, tra persecuzioni incredibili e senza appoggi, che il popolo non ha mai torto, io ho osato proclamare questa verità in un tempo in cui non era ancora riconosciuta; il corso della rivoluzione l’ha dimostrato.
Maximilien Robespierre, 25 febbraio 1793

Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù, senza la quale il terrore è cosa funesta; il terrore, senza il quale la virtù è impotente. Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile…Sparta brilla come un punto luminoso in tenebre sterminate.
Robespierre, “Sui rapporti tra le idee religiose e morali e i principi repubblicani”, 7 maggio 1794

Il fine della rivoluzione è il trionfo dell’Innocenza.
Robespierre

Questa nostra Rivoluzione è una religione e Robespierre è il capo della setta. È un prete che governa i devoti…Robespierre predica, Robespierre censura, è furioso, solenne, melanconico, esaltato – ma tutto freddamente; i suoi pensiero fluiscono con regolarità, le sue abitudini sono regolari; tuona contro i ricchi e i grandi; vive con molto poco; non ha bisogni. Ha una sola missione – parlare, e parla incessantemente; crea discepoli…parla di Dio e della Provvidenza; si definisce amico degli umili e dei deboli…riceve la loro venerazione…è un prete e non sarà mai altro che un prete.
Condorcet (1743 –1794) su Robespierre, articolo apparso su Chronique de Paris

Voi dovete punire non solo i traditori, ma anche gli indifferenti; dovete punire chiunque sia apatico nella Repubblica e non faccia nulla per essa; giacché, dopo che il popolo ha manifestato la sua volontà, tutto ciò che si oppone ad essa si pone fuori del popolo sovrano, e tutto ciò che è fuori del popolo sovrano è nemico.
Saint-Just, “Sulla necessità di dichiarare il governo rivoluzionario fino alla pace”, 10 ottobre 1793

ART. 1 “gli stranieri, sudditi dei governi con i quali la Repubblica è in guerra, saranno detenuti fino alla pace” – ART. 2 “Le donne, unite in matrimonio con dei francesi prima del 18 del corrente mese, non sono comprese nella presente legge, a meno che non siano sospette o mogli di sospetti” – ART. 10 “Il comitato di Salute Pubblica è egualmente autorizzato a trattenere in requisizione permanente tutti gli ex nobili e gli stranieri che crederà utile adibire ai lavori pubblici” – ART. 23 “Tutti gli oziosi, che saranno riconosciuti colpevoli di essersi lagnati della Rivoluzione, che non abbiano compiuto i sessant’anni e che non siano infermi, saranno deportati alla Guyana”.
Saint-Just, articoli proposti alla Convenzione.

[Il decreto del 6 settembre 1793 sospende l’ospitalità pubblica ed espelle gli stranieri nati nei paesi con cui la Francia è in guerra, perché considerati serpi in seno. Lo stesso farà Petain nei confronti degli Ebrei al tempo di Vichy. Gli stranieri “degni” di restare devono ottenere un certificato di ospitalità attraverso un garante e si suggerisce di costringerli ad indossare un bracciale tricolore con la scritta “ospitalità”, proposta terribilmente anticipatrice delle perversioni naziste, ma che fortunatamente non viene accettata].

La rivoluzione deve fermarsi quando abbia raggiunto la perfezione della felicità e della libertà pubblica per mezzo delle leggi. I suoi slanci non hanno altro scopo, e devono spazzar via tutto ciò che vi si oppone.
Saint-Just, “Frammenti sulle istituzioni repubblicane”, 1794

Perché allora non ricorriamo ai detenuti nobili ordinando loro di compiere ogni giorno questi lavori di riassetto delle grandi strade?
Saint-Just, 1794

Occorre obbligare ogni cittadino a collaborare all’attività nazionale…non abbiamo forse navi da costruire, officine da migliorare, terre da bonificare?
Saint-Just, 1794

Quello che costituisce una Repubblica è la distruzione di tutto ciò che la contraria.
Saint-Just

Noi faremo un cimitero della Francia, piuttosto che non rigenerarla a nostro modo.  
Jean-Baptiste Carrier (1756 – 1794)

Molti dei Francesi che ci avevano appoggiato ci guardavano come dei pazzi, come degli energumeni, spesso persino come degli scellerati.
René Levasseur de la Sarthe, giacobino, 1795.

Bisogna affermare apertamente, intendo in senso politico, e non in termini strettamente giuridici, il principio che motiva l’essenza e la giustezza del terrore, la sua necessità, i suoi limiti. Il tribunale non deve sopprimere il terrore, dirlo equivarrebbe a mentirsi o a mentire, ma dargli un fondamento, legalizzarlo in base a dei principi, con chiarezza, senza barare o nascondere la verità. La formulazione deve essere il più aperta possibile, perché solo la coscienza legale rivoluzionaria e la coscienza rivoluzionaria creano le condizioni per applicarlo nei fatti.
V.I. Lenin al commissario del popolo per la giustizia D.I. Kurskij, 17 maggio 1922.

L'odio come fattore di lotta - l'odio intransigente contro il nemico - che spinge oltre i limiti naturali dell'essere umano e lo trasforma in una reale, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere. I nostri soldati devono essere così, Un popolo senza odio non può vincere un nemico brutale. Bisogna portare la guerra nei luoghi del nemico: a casa sua, dove si diverte. Renderla totale. Bisogna impedirgli di avere un solo istante di respiro, un minuto di sosta, fuori e persino dentro le sue caserme: attaccarlo dovunque sia. Farlo sentire una bestia braccata dovunque vada. […]. E dovunque ci sorprenda la morte, sia benvenuta, purché il nostro grido di guerra raggiunga chi è pronto a raccoglierlo e un'altra mano si tenda ad impugnare le nostre armi e altri uomini si preparino a intonare canti di lutto con il tambureggiare delle mitragliatrici e nuovi gridi di guerra e di vittoria.  
Messaggio di Ernesto Che Guevara per la rivista Tricontinental (16 aprile del 1967), considerato il suo testamento politico.

La rivoluzione francese mi ha influenzato molto e in special modo Robespierre…Robespierre è il mio eroe. Robespierre e Pol Pot: entrambi hanno la medesima qualità di determinazione ed integrità.
Suong Sikoeun, uno dei leader dei Khmer Rossi (1975-1979)

Il problema non è il terrore in quanto tale, il nostro compito è precisamente quello di reinventare il terrore emancipatore.
Slavoj Zizek, “In difesa delle cause perse: materiali per la rivoluzione globale”, 2009.

Etichette come “terrorista” sono quelle che una cultura corrotta e decadente usa per designare quelle che persone che cercano di combattere il vero male nel mondo. Ben desiderava colpire tutto ciò che sta lentamente soffocando questo mondo e ha fatto qualcosa di prematuro, non autorizzato. Ma far saltare quel treno era sbagliato? No. stava combattendo il male con tutto il cuore.
Sorella Clarice Willow, “Caprica” (2010)

Altrettanto mortiferi sono i leader rivoluzionari che non sanno difendere la rivoluzione e la democrazia dalle mostruosità immorali appena elencate e dai rivoluzionari più prosaici, quelli falsi, privi di principi morali, irresponsabili, intringanti, parassiti della politica, delinquenti e terroristi, cinici ed arrivisti, quelli che detestano gli uomini di valore perché mettono in risalto la loro pochezza, l’insignificanza della loro persona e la miseria della loro personalità.
Tra i leader rivoluzionari inadeguati per eccesso di idealismo e mitezza, un esempio per tutti  è Alexander Kerenksij: “un uomo onesto, sincero e pronto a dare la vita per il suo Paese. Ma che non sa assolutamente niente dell’arte del governo e immagina di fare grandi cose quando elabora sulla carta piani per l’abolizione della pena di morte in tempi di guerra e di rivoluzione. Aborrisce forza, violenza e crudeltà e pensa davvero che sia possibile esercitare il potere con parole gentili e sentimenti elevati. Più di ogni altra cosa sembra compiacersi della sua purezza, umanità e idealismo. Un uomo buono, ma un cattivo leader, di fatto il tipo perfetto dell’intelletto russo” (Pitirim A. Sorokin, già collaboratore di Kerenskij nel governo provvisorio del 1917).
Ci sono analogie tra giacobinismo e bolscevismo: fede rivoluzionaria, esigenza di sovversione totale, epurazioni, “dispotismo della libertà”, magistero di ortodossia, implacabilità, radicalismo, assolutismo, egualitarismo radicale, messianismo, antiliberalismo, antiparlamentarismo, meccanismi di produzione dell’unanimità, centralismo politico ed amministrativo, cinismo, sospensione della realtà e trionfo del principio sul fatto, virtù indivisibile del popolo che perciò deve restare unito, fanatismo, violenza, terrorismo.
Saint-Just è grandiosamente scellerato, glacialmente narcisista e forse psicopatico. I leader rivoluzionari più radicali sono più spesso ventenni-trentenni, con poca esperienza di vita, che impongono la loro rozza, inesperta visione del mondo a tutti gli altri. Coltivano orgoglio, a volte crudeltà, quasi sempre un appetito di dominazione. Sono tigri erudite che non hanno ancora avuto tempo di diventare adulte.
Un fanatico austero, dal cuore freddo come la sua morale, Saint-Just si paragona a Tarquinio e Muzio Scevola. Lui e Robespierre usano spessissimo i termini “cuore”, “sensibilità” e “virtù”, come se dovessero supplire verbalmente alla loro mancanza di cuore, sensibilità e virtuosità. Saint-Just si attribuisce una ragguardevole dose di virtù, ma è un pessimo giudice di se stesso - come tutti gli esseri umani. Sfortunatamente le rivoluzioni nutrono mostri e sono alimentate da mostri. La violenza generalizzata è l’habitat perfetto per i mostri, per gli psicopatici integrati, quelli che s’irrigidiscono nei moralismi e si fissano intransigentemente sulle virtù etiche perché non hanno empatia e quindi non possono sapere cosa sia un comportamento spontaneamente morale. Una loro tragedia personale, da compatire, ma con esiti assolutamente devastanti per tutti gli altri:
Questi pifferai di Hamelin sono responsabili della conversione della rivoluzione in una crociata teocratica, in un moloch che divora gli esseri umani. In nome della loro certezza che siccome c’è una sola verità e loro sono riusciti a comprenderla, ad impadronirsene definitivamente, chiunque sia in disaccordo è motivato da propositi maligni. Robespierre si considera e dichiara vittima di persecuzione tutte le volte che qualcuno lo contraddice, si sente investito di una sacra missione, e patisce un’immensa frustrazione quando il mondo si rifiuta di sottomettersi al suo volere: conclude che solo la violenza purificatrice può ristabilire l’ordine naturale delle cose. Lo stesso discorso vale per Saint-Just. Sono entrambi sicuri che la cosa giusta da fare sia ridurre la diversità del mondo al proprio denominatore individuale. Il loro ego ipertrofico proietta sul gruppo la loro esigenza di uniformità, di una singola volontà, di un carattere unitario: la premessa di ogni politica genocidaria.
Sono l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine. Notiamo la stessa logica in Mao, Pol Pot, Stalin e Hitler, nella vicenda biblica dello sterminio dei Cananei, ma anche in Karl Rove. Nel 2002, un consigliere di George W. Bush, presumibilmente Karl Rove, spiegò a Ron Suskind: “Ora noi siamo un impero e quando agiamo, creiamo la nostra realtà. E mentre voi state giudiziosamente analizzando quella realtà, noi agiremo di nuovo e ne creeremo un’altra e poi un’altra ancora che potrete studiare. È così che andranno le cose. Noi facciamo la storia e a voi, a tutti voi, non resterà altro da fare che studiare ciò che facciamo”.
O tutto o niente, o con noi o contro di noi, ora o mai più. La rivoluzione, come la guerra degrada le coscienze: “Quello che in tempo di pace viene considerato immorale, ingiusto, dannoso per la collettività, in tempo di guerra cambia di segno, si trasforma in valore positivo e viene perciò stimolato e incoraggiato. Non uccidere, non mentire, non tradire, ecc. sono tutte massime che devono essere ribaltate durante un conflitto lungo e radicale per il bene della collettività; inoltre deve essere sviluppata in tutti i modi una mentalità aggressiva, bellicosa, spietata se occorre. In altre parole la guerra crea un “nuovo universo morale” con regole e valori specifici che sono in contrasto profondo con quelli dell’universo morale dell’epoca in cui la società è in pace. Inoltre la guerra produce una mentalità manichea che porta a scomporre il mondo in amici e nemici e a guardare con sospetto gli stessi membri del gruppo di appartenenza, se questi manifestano in qualche modo un ardore sufficiente o addirittura riserve morali sulla lotta in atto” (Luciano Pellicani, “I rivoluzionari di professione”, 2008, p. 215).
Se pure è un male necessario, la rivoluzione resta comunque un male ed è uno strumento che non può mai divenire un fine. Una volta rimosso l’establishment, la rivoluzione deve finire e la democrazia deve prevalere – una democrazia autentica, non la democrazia dei fanatici che si considerano santi, unici depositari della virtù – altrimenti tutto sarà stato vano.
Seguendo Albert Camus, una genuina rivolta dev’essere umanista, deve prendere in considerazione l’umanità nella sua interezza. Non è il ribellismo egotista adolescenziale à la Nietzsche. Non è la rivolta del no. Il ribelle dice no ma dice anche sì, nel momento in cui compie il primo gesto di ribellione. La libertà che esige, la esige per tutti: “Mi ribello, quindi esistiamo”. La rivoluzione è sempre integralista (o tutto o niente), perciò tradisce invariabilmente lo spirito umanitario della rivolta. La misura è la cifra della rivolta. Non c’è rivolta senza una filosofia del limite. Sono gli psicopatici che rifiutano i limiti e non sanno distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Diceva Benjamin Constant (1767 –1830), ne “Gli effetti del terrore”: “Il terrore esiste solo quando il crimine diventa sistema di governo e non quando ne è il nemico; quando il governo lo prescrive e non quando lo combatte; quando organizza la furia degli scellerati e non quando invoca il soccorso degli uomini dabbene”.

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