giovedì 19 gennaio 2012

Egitto, Siria, Iran: come andrà a finire?




Il conflitto in Kosovo è la lotta del bene contro il male. È un conflitto giusto, che dobbiamo vincere. Non ci sono altre strade. Dobbiamo vincere se vogliamo che i nostri figli crescano in un mondo sicuro e stabile. Dobbiamo vincere perché la lotta contro il Fascismo negli anni quaranta non sia stata inutile.
Tony Blair

EGITTO
Mohammed Elbaradei, ex direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e uomo apparentemente tutto d’un pezzo, essendosi sempre opposto alle trame dell’amministrazione Bush e del governo Blair, sbugiardandoli, ha annunciato che non parteciperà alle elezioni presidenziali che si terranno prima della fine di giugno (la data non è ancora stata decisa):
Il gran rifiuto è motivato dal suo timore che il risultato sia già stato predeterminato dalla giunta militare al potere in Egitto e che – sono le sue parole – “governa come se Mubarak non fosse mai stato spodestato”.
Non sta esagerando, anzi:
Il problema è che, dal punto di vista della giunta militare, non c’è mai stata una rivoluzione in Egitto. L’esercito ha preso il potere, ufficialmente nell’interesse del popolo. È vero che la rivoluzione non c’è stata, ma è indubbiamente falso – come si evince dalle informazioni contenute nell’articolo sopra-linkato – che l’esercito fa esclusivamente i suoi interessi. Con buona pace di Alaa al-Aswany, uno dei più importanti scrittori egiziani contemporanei, che aveva detto che “per giustificare l'invasione dell'Iraq gli Americani dissero che era l'unica maniera per liberare una nazione da un terribile dittatore. Abbiamo dimostrato con la nostra rivoluzione che si può costringere un dittatore ad andarsene pacificamente”, non c’è stata rivoluzione, c’è stato invece un colpo di stato finalizzato all’autoperpetuazione dell’establishment.
Tahar Ben Jelloun [“Sangue a piazza Tahrir, il furto di una rivoluzione”, la Repubblica, 24 Dicembre 2011] avvalora quest’interpretazione: “Gli avvenimenti in atto a piazza Tahrir, in Egitto, ci obbligano a rettificare alcuni dati divulgati da tutti noi, che però sono errati. Ciò che è accaduto un anno fa in Egitto non era una rivoluzione, bensì un colpo di stato militare. Mubarak non ha lasciato il Paese sotto la spinta dei manifestanti, per quanto numerosi e decisi, ma per volontà di una giunta militare che non gli ha lasciato altra scelta. Questo punto è essenziale per comprendere la violenza della repressione scatenata dall´ottobre scorso contro gli egiziani e le egiziane. L’esercito ha preso il potere, facendo credere che sarà il popolo a governare il Paese. Grave errore. Il popolo è rimasto per le vie e sulle piazze, e ha creduto di essersi sbarazzato dalla dittatura di un capo corrotto. Ma purtroppo la verità è un´altra: l´esercito ha mantenuto lo stato d´emergenza decretato 50 anni fa. Il 9 ottobre scorso, alcune auto blindate hanno investito 27 manifestanti che si ribellavano contro le aggressioni ai danni dei copti; e il 19 novembre lo stesso esercito ha ucciso 50 manifestanti e tradotto davanti a tribunali speciali migliaia di insorti, condannati a pene pesanti. L´esercito non intende cedere neppure un grammo del suo potere, e soprattutto dei suoi privilegi. Come già Sadat, Mubarak aveva colmato i militari di favori: sapeva che in questo modo li avrebbe placati, evitando un colpo di stato. Ma nel gennaio scorso, quando tra il clamore popolare milioni di persone hanno occupato piazza Tahrir, così come i rivoluzionari francesi avevano preso Place de la Bastille, i militari non potevano contrapporsi a quella forza popolare, quando già si contavano centinaia di morti e di dispersi. Hanno dunque giocato il gioco della rivolta, mentre in segreto si preparavano a prendere il potere. […]. I militari…stanno rubando la rivoluzione del popolo, mentre le elezioni danno favoriti i fratelli musulmani. Ora queste elezioni non sono democratiche, nella misura in cui si intende la democrazia come una cultura, una tradizione radicata nelle mentalità. In Egitto, come in Marocco e in Tunisia, la democrazia ha funzionato in quanto tecnica. Ma votare non basta per essere democratici: occorre difendere i valori fondamentali che sono alla base di un sistema democratico. Ora, la religione è incompatibile con la democrazia (si è ben visto ciò che ha dato la democrazia cristiana in Italia). Quella che aveva preso il nome di "primavera araba" sta perdendo i suoi colori, e trascolora oramai verso il rosso: rosso sangue”.
ElBaradei è troppo serio per farsi coinvolgere nel teatrino della politica egizia, che nominerà il presidente prima che sia approntata la nuova costituzione, che ne sancirà funzioni e relazioni rispetto agli altri poteri dello Stato. Chi accetterebbe di candidarsi per un incarico pubblico senza sapere quali saranno le sue mansioni, i suoi doveri, il suo effettivo potere decisionale e i suoi margini di discrezionalità? Solo dei candidati che hanno già un accordo sottobanco con l’esercito. Così funziona in Egitto (e non solo): anche se i fratelli musulmani hanno ottenuto la maggioranza dei voti, non saranno loro ad esprimere il primo ministro, sebbene siano intenzionati a rispettare la laicità dello stato. Al potere resterà verosimilmente Kamal Ganzouri, il fantoccio della giunta militare, economista formato negli Stati Uniti, già premier sotto Mubarak. Come i militari credano di poter evitare una vera e propria rivoluzione è una domanda che finora non ha trovato risposta. Il re del Marocco, Muhammad VI, è riuscito a placare la popolazione accettando di nominare come primo ministro una figura proposta dalla maggioranza parlamentare. Ora l’Egitto, che è servito da modello per le proteste marocchine, è più autoritario della monarchia maghrebina!
Se si trattasse solo di una questione legata alle libertà ed ai diritti civili gli alti ufficiali non dovrebbero preoccuparsi poi molto. La rivolta egiziana è nata a causa del fortissimo rincaro dei generi di prima necessità e dell’aumento della disoccupazione:
non certo per l’iniziativa dei cosiddetti “fighetti di Tahrir”.
Il problema è che l’economia egiziana, come quella dell’eurozona, è messa davvero male
e ciò significa che i prossimi tumulti coinvolgeranno anche le masse contadine, ossia decine di milioni di persone, con molto poco da perdere.
ElBaradei sospetta che i Fratelli Musulmani saranno così contenti di mantenere la loro maggioranza parlamentare (i parlamentari del “nuovo corso”, appena eletti, sono per il 99% uomini e l’1% donne) e la possibilità di influenzare la stesura della nuova costituzione, che daranno via libera alla giunta militare per tutto il resto. Un accordo vantaggioso per entrambe le parti e disastroso per l’Egitto, che ha già visto un inciucio del genere, nel 2006, quando a 88 fratelli musulmani fu concesso di entrare in parlamento in cambio del loro sostegno al regime. Ora la Fratellanza Musulmana sarebbe un partner di maggioranza, con tutto l’interesse a coabitare con la vecchia élite, a spese dei cittadini.
Cittadini che, nettamente più svegli e scettici di quelli occidentali, hanno subodorato l’intrallazzo e stanno preparando una massiccia protesta in occasione dell’anniversario dell’inizio della “primavera araba”. Così, Hussein Tantawi, il 75enne comandante in capo dell'esercito egiziano, leader del Concilio Supremo Militare e dunque capo di stato, si è fatto portavoce della trita, becerissima retorica di ogni regime, ma che riecheggia sinistramente quella hitleriana: “L’Egitto fronteggia dei gravi pericoli, pericoli senza precedenti. Le forze armate sono la spina dorsale dell’Egitto e lo proteggono. Dei complotti minacciano questa spina dorsale e le forze armate sono state costrette a scendere in campo solo per proteggere l’Egitto dai nemici della nazione e del popolo”:
La realtà è ben diversa. L’esercito ha preso il potere, ha rimosso Mubarak e ha fatto piazza pulita (letteralmente) del movimento libertario, democratico e per una maggiore giustizia sociale, uccidendo, imprigionando e torturando migliaia di manifestanti ed attivisti, criminalizzando le manifestazioni e dichiarando, falsamente, che i rivoluzionari avevano rubato mezzi militari per poterli schiacciare senza pietà:
Questi spiacevoli sviluppi della “primavera araba” – questo mostruoso, visceralmente antidemocratico intreccio di fondamentalismo, militarismo e capitalismo –, non sono stati coperti adeguatamente dalla stampa occidentale, fin troppo entusiasticamente fissata sul mantra della primavera araba, diventato un pretesto per esportare militarmente la democrazia in Libia, Siria ed Iran, ma non nelle tirannie della penisola arabica, alleate dell’Occidente: 

SIRIA
Stando ad un sondaggio della Qatar Foundation, il 55% dei Siriani non vuole che Assad abbandoni la guida della nazione:
Si tenga conto del fatto che il Qatar è una delle nazioni più anti-Assad sulla faccia della terra:
e dunque difficilmente potrebbe pubblicare un risultato favorevole ad Assad, se non fosse vero.
Il Qatar aveva già inviato clandestinamente centinaia di soldati in Libia a combattere Gheddafi:
In una guerra della disinformazione che si è risolta senza una singola prova che Gheddafi stesse massacrando la popolazione:
e con il black-out su quel che sta succedendo nella Libia democratica:
Ora, a proposito della Siria, i media stanno ancora una volta ribaltando la realtà.
La maggior parte dei giornalisti italiani lo fa in buona fede, convintamente partecipe di una crociata umanitaria, sicura che i capi della ribellione non mentirebbero mai sul numero di morti (sic!). Anche molti politici italiani sono in buona fede. La loro colpa è quella di essere pigri, di avere la presunzione di sapere molto più di quel che sanno e di fidarsi di poche fonti smaccatamente di parte e prone alla volontà di chi vuole procedere con la scaletta delle guerre imperialiste.
Delle persone serie avrebbero già scoperto da tempo che la stessa “capitale dell’insurrezione”, Homs, è una città in buona parte favorevole ad Assad:
e che i giornalisti occidentali che ascoltano sempre e solo le testimonianze dei ribelli che li accompagnano senza mai nepure chiedere prove che quel che affermano è vero stanno vergognosamente tradendo la loro etica professionale:
I pochi giornalisti occidentali che sanno fare il loro mestiere ci lasciano le penne. Penso, ad esempio, a Gilles Jacquier, che stava documentando un corteo pro-Assad, quasi 10 anni dopo il primo tentativo di assassinarlo, nei Territori Occupati (2002), per mano dei soldati israeliani:
L’ipocrisia occidentale si spinge al punto di celebrare gli osservatori della Lega Araba finché le loro valutazioni sono in linea con la volontà dei governi euro-americani (es. Libia, almeno inizialmente) e di condannarli quando invece rivelano che la situazione in Siria è ben diversa da quella descritta dai media “liberi” delle democrazie occidentali, enfatizzando il dissenso di un singolo osservatore su 165:
Delle persone serie, che rispettano i propri lettori ed elettori, avrebbero preso in considerazioni le informazioni fornite da un ex agente della CIA, Philip Giraldi e riguardanti il coinvolgimento NATO nella destabilizzazione della Siria, che prevede persino l’afflusso di quegli stessi guerriglieri “fondamentalisti islamici” (pecunia non olet) che hanno già combattuto in Libia:
o il punto di vista di un ex ministro canadese:

IRAN
L’Iran è l’ultima tappa. Gli Stati Uniti hanno dichiarato che boicotteranno qualunque nazione che comprerà petrolio dall’Iran. Cina e India non sembrano intenzionati a prendere sul serio questo ricatto. Il Giappone, una colonia americana come l’Italia, lo farebbe, se se lo potesse permettere, ma dopo Fukushima e la sospensione delle attività di varie centrali atomiche, non può permetterselo. È possibile che questa minaccia rafforzi le fazioni nazionalistiche ed antiamericane che, purtroppo, sono anche anti-democratiche. La Corea del Sud dipende, come il Giappone, dall’economia cinese: cosa deciderà di fare? Poi c’è l’Italia, che dipende dalle forniture libiche e iraniane ed è sull’orlo della recessione e ci sono quei paesi dell’America Latina “neobolivariani”, che sembrano intenzionati a sfidare gli Stati Uniti:
L’appello statunitense potrebbe rivelare che le alleanze americane sono molto più gracili di quel che ci si potrebbe aspettare e che la superpotenza ha i piedi d’argilla:
L’Iran non può certamente permettersi di restare isolato, piegato sotto l’embargo. Se vuole può chiudere lo Stretto di Ormuz e se sarà costretto lo farà. Gli Stati Uniti lo considererebbero un atto di guerra. La Russia ha spiegato che un attacco americano all’Iran sarebbe considerato una minaccia alla sua sicurezza. La Cina ha detto la stessa cosa riguardo al Pachistan, che è ai ferri corti con gli Stati Uniti. È come Sarajevo 1914: un colpo di pistola (un lancio di missile) e ci sarà un effetto domino che causerà un conflitto mondiale:
ed una susseguente pandemia?
Eppure, NON ESISTE ANCORA UN MOVIMENTO DI MASSA CONTRO LA GUERRA. La crisi economica sembra aver attirato su di sé tutta l’attenzione del mondo. La gente non riesce a capacitarsi del fatto che qualcuno possa davvero arrivare alla guerra. Obama, il premio Nobel per la Pace? Hillary Clinton? Impossibile. E invece…

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