I decreti del destino
guidano chi è consenziente, e trascinano chi non lo è
Seneca
Che giova a un uomo
guadagnare tutto il mondo se perde l’anima sua?
Marco, 8:36
Per cosa è nato l’uomo se
non per essere un riformatore, un rimodellatore di ciò che è stato fatto; un
rinunciatore delle menzogne; un restauratore della verità e del bene, ad
imitazione della grande natura che ci stringe tutti al suo petto, e che mai si
assopisce su passato remoto, ma si ripara in ogni istante, offrendoci ogni
mattino un nuovo giorno, e con ogni pulsazione una nuova vita?
R.W. Emerson
Pensiamo troppo alla
farina, parliamo troppo di farina, scambiamo troppi buoni per la farina, il
burro, la carne e il formaggio invece di libri e pensieri. La farina è la
nostra unica preoccupazione. Dal tanto guardare farina non riusciamo nemmeno
più a vedere che ben altre cose si fanno sempre più rare e razionate, come il
diritto, la dignità, il parlare libero. Scordiamoci della farina, di tanto in
tanto! Per lo meno della nostra, di farina, e pensiamo un po’ di più a quelli
che ne hanno meno o non ne hanno del tutto.
Emmy Moor, lettrice del
Berner Tagwacht, 22 aprile 1943
Una regione europea alpina
non ha bisogno di ancorarsi ad “un’origine etnica, linguistica e culturale
comune a tutti i cittadini”: invece il contratto politico tra le genti alpine
si dovrebbe basare su un progetto di tutela del patrimonio comune (le Alpi),
definendo strumenti comuni, valorizzando le diverse tradizioni. La regione
europea alpina sarebbe espressione di una cultura politica da spirito europeo e
federalista, che pone in primo piano la persona, i suoi diritti, la sua
capacità di influenzare le decisioni, valorizzando le identità complesse e non
il criterio dell’omogeneità etnica
Bruno Luverà, I confini
dell’odio. Il nazionalismo etnico e la nuova destra europea, 1999
Lo storico altoatesino
Claudio Nolet, che cura la pubblicazione della rivista «Il Cristallo»,
ha chiesto a me e a Mauro Fattor di immaginare cosa il futuro possa avere in
serbo per l’Alto Adige. Alla sua domanda, che fa riferimento al libro “Contro i
miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso” (Raetia, 2010), segue la
mia risposta.
“Nella seconda parte Fait
svolge il tema che gli sta più a cuore, quello dell’affermazione della libertà
della persona rispetto a modelli precostituiti e a norme fissate dalla
collettività. È una posizione forte che ci fa chiedere se dalla sua analisi dei
miti etnici non risulti che contro di essi non ci sia altra possibilità di
riscatto se non con un atto di conversione radicale. Non c’è anche la via di
una graduale correzione di abiti mentali generati dall’influenza dominante
dell’ambiente?”
La mia risposta è che esistono molti futuri possibili, una
situazione analoga alla premessa di “Il giardino dei sentieri che si
biforcano”, di Jorge Luis Borges. Molto dipende dal numero di residenti in
Alto Adige che risponderebbero affermativamente alla domanda: “ci sono persone in Alto Adige così
ignoranti, faziose e poco lucide che sarebbe meglio privarle della libertà d’espressione
e del diritto di voto, almeno localmente?”.
Molti intervistati non
risponderebbero sinceramente, quindi non sapremmo mai l’incidenza effettiva di
questa mentalità autoritaria. Quel che sappiamo con certezza, invece, è che contrapporre un gruppo all’altro serve
unicamente ad ostacolare la maturazione della società civile e quindi a
giustificare misure paternalistiche e tecnocratiche da parte delle autorità nei
confronti dei cittadini. Dal che ne consegue che il cambiamento non proverrà dall’alto. La storiografia lo
conferma: chi detiene il potere non ama il cambiamento, a meno che questo non
serva a rafforzarne la posizione. Perciò la
conversione, graduale o subitanea che sia, deve cominciare dal basso, dalla
gente comune.
Nei Promessi Sposi, Alessandro
Manzoni commentava la difficoltà con la quale pochi riuscivano ad esternare il
proprio scetticismo in merito alla reale esistenza degli untori con una frase
davvero molto bella: “Il buon senso
c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune” (cf. cap.
XXXII). Il potere repressivo della tradizione (il senso comune) sulla voce
della nostra coscienza (il buon senso) è quello che, finora ci ha impedito, non
solo in Alto Adige, di farci un’idea chiara di come dovremmo stare al mondo.
Anche da questo dipende il successo delle riforme auspicate, che sono riforme delle coscienza e, in quanto
tali, si avviano solo quando i tempi sono maturi.
Lo sono, in Alto Adige,
questi tempi? No.
E quando lo saranno? Credo
molto prima di quanto ci si potrebbe aspettare. Il malessere che attraversa il mondo intero lascia intendere che non
ci sarà gradualismo, anche se quella sarebbe la via più auspicabile. Ci sarà
una cesura, un prima e un dopo. Tutto sta nel capire come ci si arriverà.
Grandi pensatori si sono
succeduti nella storia ripetendo sostanzialmente due verità, rimaste per lo più
inascoltate, che ci sarebbero di grande aiuto: “fate agli altri ciò che desiderano sia fatto loro” ed “a ciascuno il suo”, o per meglio dire “da ciascuno secondo le sue capacità, a
ciascuno secondo i suoi bisogni”. Quest’ultima è una norma di condotta che
non si trova solo in Marx ma anche nel Nuovo Testamento, nella forma: “Nessuno infatti tra loro era bisognoso,
perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò
che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva
distribuito a ciascuno secondo il bisogno” (Atti degli apostoli 4, 34-35).
Sono verità facili da
memorizzare ma difficili da mettere in pratica per degli esseri viventi così
egotisti quali noi siamo. Se li avessimo ascoltati, non ci troveremmo alla mercé
delle multinazionali, dei guerrafondai, dei populisti, dei settarismi più
disparati (i famosi golem di cui sopra). Se li avessimo ascoltati, avremmo
capito che la vita migliore è una vita sobria e che questa civiltà dei bisogni
indotti e della loro complicazione e proliferazione ci sta portando alla
rovina.
Avremmo anche capito che chi si avvinghia ad un paradigma
obsoleto quando questo si sta estinguendo, finirà con esso nell’abisso.
Sono convinto che quel momento stia sopraggiungendo – a causa della crisi del
capitalismo e della crisi climatica, che avrà effetti imprevedibili e
presumibilmente agghiaccianti, nel senso letterale del termine – e che molti rimarranno sorpresi di quanto
fragili siano i presupposti, così superficiali ed esteriori, su cui si fondano
le nostre società “avanzate”, incluso l’Alto Adige.
“Contro i Miti Etnici” (CME)
è nato anche per offrire una visione alternativa, recuperando quella che ha ispirato
le migliori forze riformatrici del passato, l’idea di un luogo in cui uomini e donne godono della piena libertà
di cercare la verità e di coltivare la loro vita interiore. Dove ci si riunisce e si lavora assieme
per il Bene Comune, quello degli esseri umani e quello della natura.
Era questo lo spirito con
cui fu fondata l’America e molti sionisti credevano in un Israele molto simile
a questo “luogo dell’anima”. Credo che Alexander Langer fosse sostanzialmente
in linea con questo tipo di aspirazioni. Oggi,
purtroppo, Israele e Stati Uniti paiono avviati a convertirsi nell’antitesi di
queste visioni nobili del destino umano. Il nostro compito dovrebbe essere
quello di impedire che ciò accada all’Alto Adige.
Ma, per avere successo,
dobbiamo sforzarci di far capire a quante più persone è possibile che è giunto il tempo di lasciar andare la
presa, di togliersi dall’ombra dei golem, di allontanarsi, ciascuno nei suoi
modi e nei suoi tempi, dai paradigmi che erano validi prima ma che ora
rischiano di trascinarci a fondo. È tempo di procedere oltre. “Quand’ero bambino, parlavo da bambino,
pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da
bambino l’ho abbandonato” (1 Corinzi 13: 11).
In queste fasi di grandi
sommovimenti, di insicurezza, di trepidazione, di enormi sfide, è facile
irrigidirsi, tornare sui propri passi, verso il bordo della vasca, verso la
riva. Ma è importante insistere, perché molti
di noi sanno già nuotare e non devono disperare solo perché tanti altri –
quelli che indossano un’armatura di maiuscole totemiche: Disciplina,
Tradizione, Patria, Dovere, Natura, ecc. – vogliono convincerci che se gli
esseri umani fossero fatti per stare in acqua, avrebbero branchie e pinne.
Per il momento, finché non
giungerà il tempo della Grande Cesura,
sarà necessario fare buon viso a cattivo gioco e conformarsi alle sue regole,
ma nella consapevolezza che quel gioco e quelle regole sono sorpassate – “al tempo stesso dentro e fuori dal gioco,
osservandolo e meravigliandosene”, diceva Walt Whitman. Nella
consapevolezza che chi si oppone al
cambiamento apparterrà al passato e chi invece si lascia sospingere dall’onda
del cambiamento apparterrà al futuro, sarà il futuro.
Mi rendo conto che sposare
una causa che richiede una vera e propria apocalisse
della mente non sia semplice, ma i fisici hanno pur dovuto ammettere che il
modello newtoniano di un universo meccanico, gerarchico e perfettamente
ordinato era una descrizione inadeguata della realtà. Anche noi arriveremo ad
accettare il fatto che i golem non
hanno mai avuto alcuna esistenza reale, ma erano il parto delle nostre
fantasie, delle ombre, dei riflessi, degli idoli di burro che si sciolgono al
sole dei fatti, dei parassiti che s’impiantano nella nostra coscienza per poi
dirle cosa fare solo a patto che li riconosciamo come nostri signori e padroni:
sono qualunque cosa, ma non la realtà.
Capiremo che venerare i golem esige da noi la negazione
di quasi tutto ciò che occorre per preservare il nostro equilibrio psichico e
la nostra integrità morale ed intellettuale e per indurci alla sottomissione,
alla negazione di sé, alla contrizione, all’espiazione, alla docilità,
all’umiltà interessata – virtù utili solo a chi cerca di sopprimere il libero
arbitrio e la dignità altrui e propria.
Capiremo che credere nella
dignità umana significa cercare di sviluppare le proprie potenzialità invece di
lasciarle latenti; resistere alla tentazione di imitare gli altri o conformarsi
in modo irriflessivo alle usanze, mode e mentalità prevalenti; resistere alla
tentazione di fingere di essere ciò che non si è, di recitare una parte per gli
altri e per se stesso; e, più importante di tutto il resto, significa
attribuire ad ogni singola persona questo pensiero: “ho una vita da vivere, è la mia vita e quella di nessun altro, è la
mia unica vita, fatemela vivere. Esisto e nessuno può prendere il mio posto,
perché non sono stato programmato per essere ciò che sono diventato”
(Kateb, 2011).
Allora saremo anche pronti
ad accettare l’idea che il principio fondante delle nostre società sono i
diritti, non la democrazia, perché una democrazia che non sia costituzionale
(una democrazia plebiscitaria, del tipo che è tanto in voga nelle Alpi) non è
più tale: il costituzionalismo limita i capricci della sovranità popolare. I
diritti esistono indipendentemente dalla nostra volontà, non scaturiscono dalla
volontà popolare. Nessuna maggioranza referendaria li può abolire, anche se
fosse un singolo diritto di una singola persona che non se ne curasse più di
tanto. Statuti, convenzioni e carte costituzionali non li rendono possibili, li
riconoscono, perché non sono stati inventati, sono sempre esistiti. Sono verità di per sé evidenti, evidenti
per chi abbia una sufficiente conoscenza, coscienza e sensibilità
(Kateb, 2011).
Dopo di che saremo pronti a
disfarci della pulizia etnica
concettuale attraverso la quale cancelliamo l’altro dalla nostra coscienza,
rifiutandoci di riconoscere che il diritto di noi tutti di esistere implica
anche l’obbligo di comportarci con decenza l’uno verso l’altro; e che se la
mappa non è il territorio, ossia se la nostra mappatura della realtà è
soggettiva, solo uno stolto si rifiuterebbe di consultare le mappe altrui,
magari persino vietandole. La censura ed il paternalismo sono garanti
della menzogna e dell’impostura, annunciatori di sventura.
In Alto Adige
ciò renderà possibile il superamento di un
sistema che è nemico della dignità umana ed in contraddizione con i diritti
umani e che è stato tenuto in vita da chi ha continuato a credere che fosse
possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca, che si potessero trattare i
cittadini da bambini, anche quando sono già adulti.