La maschera può essere usata per incutere timore (allo stadio) o per non venire riconosciuti (Zorro), copre deformità (cf. Vanilla Sky), protegge dai demoni, permette di combattere la balbuzie, potenzia e sottolinea gli attributi delle persone che la indossano, serve nelle feste di paese come elemento aggregante, per fondere la sfera umana e quella spirituale e per eseguire certi rituali in cui è necessaria una personificazione del divino, la metamorfosi dell’indossatore e la successiva epifania. Sono funzioni innocue o positive. A me interessano quelle negative.
La coulrofobia è la paura irrazionale dei clown e, per estensione, delle figure mascherate. Causa sudori, tremori, pianto, palpitazioni e perfino attacchi di panico. È sorprendentemente diffusa e non se ne conoscono con certezza le cause. Si sa che le persone che ne sono affette non sopportano la vista neppure di maschere comiche e felici. È più che probabile che l’origine di questa sindrome vada ricercata nel carattere non-umano della maschera e nella sua funzione di occultamento delle reali emozioni ed intenzioni di chi la indossa. Infatti quasi sempre queste persone non sono intimorite da un travestimento che lascia scoperto il volto. Un’intervistata mi ha spiegato che la inquietano anche “le persone che indossano i caschi e gli occhiali molto scuri, perché sembrano statue”. Infatti la fobia delle maschere è spesso legata alla fobia degli automi e di figure umanoidi, cioè non pienamente umane. Philip K. Dick, forse il più grande scrittore di fantascienza della storia, soffriva di questa fobia: “Ma ciò che mi spaventava di più era quando mio padre indossava la maschera. Il suo volto spariva. Non era più mio padre. Non era più un essere umano”. In un convegno del 1976 a Vancouver, dichiarò: “Dobbiamo capire che l’universo, sebbene gentile nei nostri confronti nella sua interezza, contiene malvagie maschere ghignanti che sbucano dalla reggia della confusione e potrebbero ucciderci per il loro tornaconto. Dobbiamo però stare attenti a non confondere la maschera, qualunque maschera, con la realtà retrostante. Pensate alla maschera bellica indossata da Pericle: si scorgono tratti gelidi, la severità marziale, senza il minimo segno di compassione, e non un viso autenticamente umano, o una persona alla cui umanità fare appello. E questo, naturalmente, era nelle intenzioni. Provate ad immaginare di non sapere che si tratta di una maschera; supponete, mentre Pericle vi viene incontro nella nebbia e nella semioscurità del primo mattino, di credere che quello sia il suo autentico carattere. Non sono forse una descrizione, una visione, la maschera di guerra e l’armatura metallica di una divinità marziale? Il Dio Implacabile adirato con me. Ma dietro la rabbia, dietro il metallo e l’elmetto, c’è, come per Pericle, la faccia di un uomo. Un uomo buono e affettuoso”.
E ancora: “Nell’universo esistono cose gelide e crudeli, a cui io ho dato il nome di “macchine”. Il loro comportamento mi spaventa, soprattutto quando imita così bene quello umano da produrre in me la sgradevole sensazione che stiano cercando di farsi passare per umane pur non essendolo.
In questo caso le chiamo “androidi”. Per “androide” non intendo il risultato di un onesto tentativo di ricreare in laboratorio un essere umano. Mi riferisco invece a una cosa prodotta per ingannarci in modo crudele, spacciandosi con successo per un nostro simile. Che ciò avvenga in un laboratorio o meno non ha molta importanza: l’intero universo è una sorta di enorme laboratorio, da cui provengono scaltre e crudeli entità che ci sorridono tendendoci la mano. Ma la loro stretta è quella della morte, e il loro sorriso è di un gelo tombale”.
In questo caso le chiamo “androidi”. Per “androide” non intendo il risultato di un onesto tentativo di ricreare in laboratorio un essere umano. Mi riferisco invece a una cosa prodotta per ingannarci in modo crudele, spacciandosi con successo per un nostro simile. Che ciò avvenga in un laboratorio o meno non ha molta importanza: l’intero universo è una sorta di enorme laboratorio, da cui provengono scaltre e crudeli entità che ci sorridono tendendoci la mano. Ma la loro stretta è quella della morte, e il loro sorriso è di un gelo tombale”.
Dick soffriva di allucinazioni visive (oppure, come gli sciamani o i mistici, vedeva una realtà a noi preclusa). Un caso analogo è quello di Friedrich Nietzsche, che a 24 anni scriveva: “Ciò ch’io temo non è l’orrenda figura dietro la mia sedia, ma la sua voce; e nemmeno le parole, bensì il tono terribilmente inarticolato e disumano di questa figura. Sì, se parlasse almeno come parlano gli uomini!”.
In entrambi troviamo il tema dell’occultamento/mimèsi (“maschere ghignanti”, “spacciandosi con successo per un nostro simile” – “dietro la sedia”) e quello della meccanizzazione (“cose gelide e crudeli”, “l’armatura metallica”, “tratti gelidi, la severità marziale, senza il minimo segno di compassione” - “Tono inarticolato e disumano”). Se un’elevatissima capacità empatica è la caratteristica che meglio definisce l’umano, allora maschere e androidi, che sono anempatici – rendono impossibile riconoscere ed identificarsi con i sentimenti e le necessità del prossimo – interferiscono con i nostri processi di socializzazione, interferiscono con il nostro essere umani. Abbiamo paura di maschere ed androidi perché non li capiamo. Una mente ed un volto senza compassione ed empatia ci appaiono come una forma di stortura evolutiva, una nociva stoltezza. È la simpatia immaginativa che ci rammenta che non siamo più importanti degli altri, che il loro dolore non è meno significativo del nostro. Chi non la prova, la sopprime, o la nasconde è pericoloso, è un potenziale psicopatico, la nemesi dell’umano; non pensa esistano azioni immorali perché il suo orientamento è puramente strumentale: noi stessi, ai suoi occhi, siamo mezzi per realizzare un fine.
Questo è il Primo Terrore. Il Secondo Terrore è che ci faccia diventare come lui. Maschere o macchine. Che ci tolga una delle funzioni basilari dell’umano, la scelta morale tra bene e male; che ci trasformi in un’arancia meccanica, senza polpa dentro, in un apparato eterodiretto, non un autentico essere vivente.
Ogni persona ha un repertorio di maschere da indossare per gli altri (non per se stessi). La maschera diventa la realtà, la nostra vera identità. Il nostro sé autentico può essere parzialmente ricostruito solo a partire dal tipo di maschera che uno si è scelto (o che gli è stato assegnato). La maschera ha un potere su di noi. Pizzorno spiega che i Dogon la chiamano imina - ciò che cattura e fissa il nyama, il mana, l’essenza, l’anima, la potenza di ogni cosa. La maschera di fatto abolisce la persona pietrificandone l’espressione, esiliando la manifestazione dei sentimenti, rendendola identica a se stessa attraverso il tempo, priva di vita. Effetto Gorgone. Frobenius parla di Ergriffenheit, l’essere afferrato, l’essere in preda ad uno stato in cui l’uomo forma un tutt’uno con la realtà, in completa identificazione con essa.
La Maschera ha un enorme potere anche sugli altri. È un elemento fondamentale nelle società segrete maschili. È una “falsa faccia”, come la chiamano gli Irochesi. Il diavolo appare per la prima volta agli uomini sotto le sembianze di un serpente. Gli Anticristo assumeranno le sembianze di Angeli di Luce, come lupi travestiti da agnelli. Nella bellissima animazione “Coraline”, il ragno al centro della ragnatela cosmica, l’incarnazione del male, finge di essere una madre perfetta, molto migliore di quella vera. Promette di tenere con sé la bambina nel suo fasullo Paradiso Terrestre se questa lascerà che i suoi occhi siano sostituiti da bottoni. Meccanizza, mineralizza, oggettifica, come la Gorgone.
Esaminiamo meglio la maschera della Medusa o Gorgone. Essa appare sovente nell’arte etrusca e in latino “larva” e “persona” sono sinonimi e stanno ad indicare gli spettri e le maschere. Come mai? “Persona” deriva etimologicamente da Phersu (phèrsuna, = “appartenente al Phersu”, ossia la maschera, appunto), termine etrusco collegato a Perseo e Persefone (Phersipnai) e forse persino a Parsifal, del ciclo arturiano, l’unico cavaliere che è riuscito a rintracciare il Re Pescatore ed il Sacro Graal. Nella Tomba degli Àuguri a Tarquinia (VI secolo a.C.), Phersu (pronuncia “fersu”, come fertilità e ferino) è rappresentato con una maschera sul volto, una barba probabilmente posticcia, una giubba maculata ed un cappuccio. Compare in coppia con un guerriero dalla testa avvolta in un panno che brandisce una nodosa clava con la quale si difende da un molosso che lo azzanna e che è tenuto al guinzaglio dallo stesso Phersu. Forse ludi gladiatori associati a rituali funerari. Altrove Phersu appare anche mentre danza e suona con la testa rivolta all’indietro o con una clava ed uno scudo. È stato fatto notare che nelle pitture murali etrusche Ade è raffigurato con un cappuccio di pelle di lupo o cane che richiama il kunee usato da Perseo e la maschera di Phersu. Ecco la descrizione di Hermes: uomo barbuto con un copricapo (un pilos con il cocuzzolo appuntito) e un corto mantello, indossa stivali alati e porta il caduceo. A volte corre o danza suonando la lira e guardando dietro di sé al di sopra della spalla. Altre volte suona la lira mentre guida una processione sacrificale che comprende Eracle (con la sua pelle di leone), che scorta agli Inferi, esattamente come fa con Perseo o Ulisse. Hermes è un furbone, ma aiuta in ogni modo i due eroi, che Atlante confonde, forse perché si tratta dello stesso eroe proveniente da due tradizioni diverse che si sono fuse. Hermes, come Phersu, è uno psychopompos, guida le anime dei morti e protegge i viventi che si addentrano nell’Ade. Aiuta Perseo a sconfiggere Medusa e a prendere la Gorgeiè képhalè, testa della Gorgone. La stessa espressione è usata nell’Odissea quando Ulisse teme l’arrivo improvviso di una testa mostruosa che lo impietrirebbe all’istante, poiché l’Ade non è posto per i viventi. Quella testa è proprietà di Persefone, signora dell’Ade, che la usa come guardiana, come Cerbero. È la Maschera del Potere supremo, quello di vita e di morte, di progressione bio-spirituale o di regressione allo stato minerale, il più remoto gradino dell’evoluzione. Potenza di terrore. Gli astronomi arabi chiamano la costellazione Perseo Hamil Ras al Ghul, “Colui che porta la testa di Ghul”, cioè Beta Persei, la stella Algol, la più diabolica e nefasta del cielo, che prende il nome da un demone o un’orca del deserto che assale i viaggiatori e li divora cominciando dai piedi. Gli Ebrei la chiamano Rosh ha Satan, la testa di Satana.
Quella di Perseo è un’impresa epocale. Omero lo definisce “preminente tra tutti gli uomini”. Da quel momento in poi la Maschera del Potere della Gorgone diventa strumento per rettificare i torti e le ingiustizie del passato, ristabilendo gli equilibri cosmici. Ercole taglia le teste dell’Idra; Perseo quella di Medusa, per poi uccidere il drago che tiene prigioniera Andromeda. Anche San Michele uccide il drago, diventando la controparte cristiana di Perseo. E dov’è il drago vicino al San Michele trentino? È il Basilisco di Mezzocorona, che si fa fregare da uno specchio: risponde ad ogni sguardo con il medesimo sguardo, a ogni suo gesto con un simmetrico gesto e, così distratto, si fa uccidere. Come Narciso, il basilisco si ammira e perde di vista la realtà vera, è sviato dal suo doppio, dalla maschera. Così è per Medusa, uno specchio la condanna riflettendo il suo sguardo mortifero. San Michele è lo sterminatore dell’Anticristo – il quintessenziale psicopatico, che indossa la maschera della santità per sedurre le vittime, come ogni serial killer che si rispetti – alla fine dei tempi, è accompagnatore delle anime dei morti in cielo, soppesatore delle colpe e dei peccati delle anime medesime nel giorno del giudizio, protettore dell’umanità dalle calamità naturali.
L’uomo è affascinato dal Potere, non può più distogliere lo sguardo. Si fa assorbire, risucchiare nel suo vortice, imprigionare nel suo regno, dopo essere stato strappato a se stesso, alla propria identità, individualità, personalità, indipendenza di giudizio. È invaso e posseduto dalla Maschera del Potere e non se ne rende conto. Si fa mettere le redini, domare, addomesticare ed addestrare. La Maschera del Potere promette ai suoi seguaci un potere infinito, ma per poterselo guadagnare dovranno accumulare una conoscenza infinita. In cambio di questa conoscenza giurano fedeltà perpetua alla Maschera e sono così perduti, hanno venduto l’anima e sono condannati a servire in eterno, tramutati in pietre o automi, lungo il ramo discendente della vita e dell’evoluzione. È il rischio che corre Dottor Bill, in Eyes Wide Shut, quando la curiosità lo sta per fagocitare in un gorgo di corruzione e violenza governato da potenti mascherati. Ma ha la possibilità di scegliere e si salva, torna a casa come Dorothy, nel “Meraviglioso Mago di Oz”: “Casa dolce casa”. La Maschera del Potere inganna e manipola, ma non può violare il libero arbitrio, può solo influenzare le persone facendole sbagliare. È quel che fa con Eva, nel Paradiso Terrestre.
Cosa c’è dietro la Maschera ? Il nulla originario del francese personne, nessuno. Un Buco Nero che assorbe ciò che non può riempire il suo vuoto. La smania di controllare, di parassitare, di schiavizzare, di vampirizzare, di plasmare il prossimo, considerandolo una mera proprietà. L’ottusità meccanomorfa di chi brama un costante aumento dell’ordine, del potere, della prevedibilità e del controllo. La necrofilia, ossia l’attrazione per ciò che è puramente meccanico, esangue, corazzato, prescrittivo, predeterminato, deumanizzato, rigido, devivificato, irreggimentato e monolitico, sviscerato in quanto robotico, distruttore dei nessi vitali. Ciò che è morto, ma si rifiuta di prenderne coscienza, s’aggrappa a ciò che è vivo, come gli strigoi/vampiri rumeni, per assorbirne la forza vitale. In questo modo si illude di poter continuare a negare la sua transitorietà e permeabilità. Masca è il vocabolo longobardo che corrisponde al latino striga e che denomina un mostruoso trapassato che divora i vivi. È un qualcosa di essenzialmente diverso dalla vita e ne esorcizza l’assenza, ma allo stesso tempo può generare un’esistenza parallela, fittizia, formalmente immutabile e perpetua, che attira chi è insicuro della propria salvezza e dell’esistenza di una vita ultraterrena, chi ha paura della vita e della morte e quindi brama il potere, direttamente o per interposta persona, come appiglio per non sprofondare nell’abisso, come il cornicione per Rick Deckard in Blade Runner. Ricordo che il motto dei falangisti, come dei repubblichini, delle Guardie di Ferro romene e delle SS era “Viva la morte”. Tutto questo in luogo dell’amore per ciò che è vitale, spontaneo, creativo, evolvente, caldo, amorevole, fluido, imprevedibile, cangiante, liquido, sensuale, impuro, promiscuo come lo è la vita – panta rei, tutto scorre. I Sumeri credevano che gli dèi avessero creato l’universo come un enorme meccanismo, il cui fine era quello di assicurare la produzione e la trasformazione dei beni destinati innanzitutto al loro uso personale. Il destino di ognuno era la sua programmazione, cioè il suo perfetto adattamento al ruolo spettantegli in un sistema equilibrato, complicato ma coerente e all’interno del quale tutti gli ingranaggi erano ben sistemati e connessi gli uni agli altri per assicurare il buon funzionamento dell’intera macchina. Non abbiamo fatto abbastanza strada da allora.
Come si sfugge alla Maschera del Potere ed alla devoluzione? Diventando un tipo nuovo di Uomo Selvaggio, l’Orc di William Blake. L’Uomo Selvaggio è un archetipo mitologico che s’incontra a tutte le latitudini ed in tutte le epoche. Enkidu, dell’Epopea sumera di Gilgamesh, i satiri e fauni, Tarzan, Adamo. È il “doppio” dell’uomo civilizzato, lo specchio che riflette la sua natura ferina, ancora non interamente domata dal processo evolutivo e civilizzatore, a metà strada tra natura e cultura. Come l’Extra-Terrestre rappresenta l’uomo futuro, ultrascientifico, tecnocratico, immensamente sapiente ma anche denaturalizzato (glabro, pallido ed asessuato, a volte estremamente attraente, ma freddo e imperscrutabile), così l’Uomo Selvaggio, angelo e demone, costituisce un modello ideale (il Buon Selvaggio) oppure una figura estranea e sovversiva per via della sua primitività. L’Alieno e l’Uomo Selvaggio, entrambi sovraumani ed ibridi, sono i due estremi dell’evoluzione umana. L’Uomo Selvaggio come retaggio-monito del suo passato (Es) e l’Extraterrestre (Superego) come proiezione dell’umanità nel futuro. Il satiro o fauno, incrocio di divino e ferino, è stato rimpiazzato dall’androide, incrocio di umano e tecnologico.
Esiste un fauno civile, un fauno spiritualmente maturo, semi-divino, che rappresenta la migliore alternativa al paradigma della MegaMacchina governata dalla Maschera del Potere. Socrate è il vero, grande fauno, Gesù il grande ibrido divino-umano, Blake, Emerson e Whitman i migliori cantori di questo genere di trascendenza dell’umano. Urizen è l’acerrimo nemico di Orc e rappresenta la ragione analitica ed oppressiva, il propellente della scienza materialista e riduzionista, ma anche delle monarchie, delle tirannie e di tutte le religioni istituzionalizzate. Urizen è la personificazione della volontà demiurgica di potere, di controllo, di dominio; Orc è il mostro che rappresenta quegli aneliti di fratellanza ed amore che il potere frustra, reprime e perverte. Quel potere che distrusse Socrate e Gesù. Alcibiade paragona Socrate ad un sileno, Marsia, una figura mitologica greca che incantava la gente con le sue melodie. I sileni erano anche le statuette greche che ritraevano dei satiri, di orribile aspetto, che però, una volta aperte, rivelavano all’interno i ritratti degli dèi. Una maschera benevola, insomma. Una sfida al volgare ma diffusamente condiviso principio della kalokagathia, l’indissociabilità di bello e bene, estetica ed etica. La disarmonia di Socrate contraddice la sua armonia morale e spirituale.
Ecco come nel Simposio di Platone Alcibiade descriveva Socrate: “Quando diventa serio e la statuetta si apre, io non so se avete mai visto che immagini affascinanti contiene. Io le ho viste, simili agli dèi, preziose, perfette e belle, straordinarie”. Socrate era un fauno: brutto e grottesco fuori ma divino ed ammirevole dentro. Un involucro grezzo che celava un’anima risplendente, un presente ingrato rischiarato dal ricordo di quel che l’umanità a volte è stata capace di essere e dalla fiducia di quel che potrà essere, una volta che si sarà liberata della maschera di Urizen ed avrà spalancato gli occhi.
4 commenti:
Bellissimo. Mi ha profondamente ispirato, questo articolo. Ma definirlo "articolo" è riduttivo...
Anzi, ti dirò di più. C'è una profonda coincidenza con i temi che mi hanno sempre affascinato. E davvero le tue intuzioni hanno a loro volta stimolato le mie. Non siamo una corda tesa tra l'uomo e il superuomo, ma tra la bestia e il divino come dicevano i rinascimentali. Dobbiamo diventare reali, cioè umani. Questa è l'intuizione di Philip Dick. A vederlo ora è scontato e banale, eppure lo vedi in giro che non è così. La gente pensa davvero di diventare "oltreumana" o "transumana". Senza prima diventare umana.
osservazioni sempre più sagge. Da antropologo sono precipitato anch'io nella trappola della credenza che la natura umana del presente non sia troppo diversa dalla natura umana che è stata. Ma chi lo dice che c'è stata un'evoluzione lineare dal sub-umano all'umano in direzione dell'ultraumano?
E, se le cose non sono andate così, allora è perfettamente possibile che odiernamente siamo proto-umano/cripto-umani in marcia verso la condizione umana nella sua completezza.
Il transumanesimo sarebbe allora una diramazione fondamentalmente necrofila-autoritaria di questa comune aspirazione che conduce, in direzione opposta, al sub-umano, ossia un passo ancora più indietro rispetto al regresso che già ci affligge. La seconda caduta, quella finale.
Mi fa piacere imparare dai "miei" lettori ;o)
Posta un commento