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sabato 28 gennaio 2012

Il blog chiude i battenti - commiato ai lettori e un arrivederci






La libertà esiste al di là di quei recinti che ci costruiamo da soli.
Ethan Powell (Anthony Hopkins) – Instinct - Istinto primordiale

Troppo prezioso tutto quel controllo? Troppo alettante essere un dio?
Ethan Powell (Anthony Hopkins) – Instinct - Istinto primordiale

Tutti noi abbiamo l’aria di credere che la democrazia sia un sistema che una volta avviato prosegue indefinitamente, come per inerzia. Dovremmo invece avere ben presente, sempre, che si tratta di un processo precario, di cui ognuno ha una responsabilità  personale e non delegabile. Non esistono democrazie compiute, ma solo democrazie in divenire, la cui qualità dipende da quanto sappiamo farci carico delle nostre competenze di cittadini: informarci, confrontarci, partecipare, protestare. La democrazia non è qualcosa che ci trascende, la democrazia siamo noi: e ogni volta che qualcuno agirà come se funzionasse da sola, qualcun altro avrà l’opportunità di farla funzionare come pare a lui.

Fanatico è chi percepisce la realtà in accordo con i suoi desideri invece che obiettivamente.
Il tempo dirà se questo è stato il blog di un fanatico o di una persona più lucida della media.
Come ha detto qualcuno, se anche solo il 10% di quel che ho scritto è vero, ci dimenticheremo il significato del termine “noia”.
Per il momento, come preannunciato, questo blog chiude i battenti, con 345 articoli al suo attivo (pura casualità, almeno da parte mia! ;o). 
Tra qualche tempo ne nascerà un altro, non su piattaforma google, perché è ora di sanare una contraddizione di fondo:

Ho cercato di comunicare quel che ho imparato in questi anni da svariate fonti, nella convinzione che potrebbe essere utile e che la diffusione di conoscenza sia un dovere, un privilegio ed un vantaggio per chi se ne fa carico. Infatti un’esistenza circondata da persone che usano una giusta misura di discernimento critico nel tenersi informate è un’esistenza ideale.

Se il mondo va come va – centinaia di milioni di persone affamate, disoccupate, sfollate, rifugiate, espatriate, vittimizzate/perseguitate, malate di malattie curabili, sfruttate, schiavizzate – è perché pensiamo di essere più competenti, svegli ed altruisti di quel che realmente siamo.
Siamo malvagi credendo di essere buoni: per questo facciamo danni e, nel cercare di porvi rimedio, li aggraviamo.
Siamo ignoranti credendo di essere savi: per questo edifichiamo sistemi sociali ignoranti ed autolesionistici.
30mila anni di processo civilizzatore e siamo ancora degli infanti, imbelli, pronti ad affidarci alla prima figura genitoriale che ci promette di avere la soluzione a tutti i nostri problemi.
Siamo pigri e meccanici credendo di essere efficaci e riflessivi: per questo non impariamo dai nostri errori e non riusciamo ad esprimere l’enorme potenziale di bene, di “umanità”, che ci contraddistingue.
Viviamo esistenze piagate dalla paura, che non onorano la vita altrui e neanche la nostra, esistenze che depredano le altre per farsi largo, per sopravvivere ad ogni costo.
La paura, l’insicurezza, l’ignoranza e l’inerzia morale e mentale ci consegnano a oligarchi e tiranni travestiti da leader democratici.
La tirannia più terribile non è quella visibile, del genere in voga nelle nazioni apertamente totalitarie, ma quella che subdolamente altera la percezione della realtà dei cittadini al punto che non si rendono conto di non essere più liberi e non possono neppure immaginare di aver perso qualcosa di importante; che là fuori, da qualche parte, c’è qualcosa di diverso e migliore.
Purtroppo tutto ciò che non rispetta ed onora la vita, essendo necrofilo, si scava la propria fossa ed è destinato a crollare in modo spettacolare.
È quel che ci sta succedendo, che ci piaccia o no. Ci sono moltissime persone che non sanno articolare una frase di senso compiuto quando supera un certo livello di difficoltà e, ancora più sconvolgentemente, devono rivolgersi ai commessi nei negozi per farsi calcolare uno sconto del 50% (!!!).
Temo che la maggior parte di noi abbia solo una vaga idea del livello di abissale ignoranza (analfabetismo di ritorno) ed inebetimento raggiunto da una cospicua fetta della specie umana in queste ultime generazioni, abbandonata a se stessa e facile preda per chi la conoscenza la impiega per soggiogare i più deboli, i più ingenui, i più vulnerabili.
Avendo avuto il privilegio di poter espandere le mie conoscenze, ho cercato di fare il possibile per far sì che qualcosa percolasse.
Nel vari post del blog ho cercato di documentare il declino progressivo della civiltà contemporanea, nella speranza che, quando la gente avrà perso tutto, sarà capace di identificare i principali colpevoli del disastro e si solleverà, incluse quelle persone che non avrebbero mai immaginato di poterlo fare e che, così facendo, scopriranno l’incredibile potenziale celato in loro, nella loro forza di volontà.
Ci sono potentati – ad ogni livello – che detestano l’idea che gli esseri umani siano in grado di autodeterminarsi e sono già impegnati a seminare disinformazione, confusione, polarizzazione, violenza, paura – guerre, rivoluzioni, collassi finanziari, ecc. – per ostacolare ogni tipo di trasformazione positiva. Sono così avidi, così tracotanti, che continueranno sulla stessa rotta, fino all’inevitabile naufragio. Titani che si credono dèi e che subiranno le conseguenza della loro hybris/hubris.
Nessuno può prevedere con accuratezza quel che succederà. Negli anni a venire ci saranno certamente dei risvolti inattesi, per via dell’interazione tra forze antagonistiche che dissimulano le loro reali intenzioni. Ma la tendenza generale è a dir poco catastrofica, perché chi vuole mantenere il controllo della popolazione è disperato, non ha più nulla da perdere e fallirà, sviato dalla propensione a scambiare i suoi desideri per la realtà (il fanatismo, appunto).
Il problema è che questi parassiti si batteranno fino all’ultimo, a costo di ferire mortalmente l’organismo che stanno vampirizzando (non sono lungimiranti) e quindi c’è da aspettarsi di tutto: dai falsi attentati terroristici, alle false sollevazioni popolari, alle guerre “umanitarie” su scala globale, alle operazioni di infiltrati ed agenti provocatori, forse persino alla disseminazione di agenti patogeni per sfoltire le masse risentite e vendicative.
Inevitabilmente, però, commetteranno degli errori di valutazione e la gente, improvvisamente, prenderà coscienza di quel che sta realmente accadendo, uscendo dal suo rimbambimento patologico. Le trasformazioni climatiche-ambientali e le catastrofi naturali faranno il resto, sabotando ogni tentativo di imporre un dominio assoluto sui superstiti.

Nei vari post del blog ho anche cercato di indirizzare i lettori verso il tema della coscienza/consapevolezza e lontano dal paradigma corpo-centrico/materialistico/riduzionistico che ci rende egotistici, limitati, infantili, violenti, meschini, superbi e, soprattutto, parziali e faziosi. 
Sono convinto che le prese di coscienza producano effetti insospettabili, ad ogni livello dell’esistenza umana: un semplice battito d’ali di farfalla può creare effetti inauditi. 
Questo mi è stato insegnato: che la questione centrale per tutti noi è l’interpretazione obiettiva della realtà. Per chi non si sforza di essere obiettivo, per chi si fa guidare da preconcetti e pregiudizi, le lezioni karmiche continueranno ad essere molto dolorose ed insistite.
Quanto a questo, un vizio di fondo del blog è che è pervaso dalla sindrome del salvatore. Questa è un’ulteriore ragione per chiudere baracca e burattini. Non sono riuscito a sottomettere il mio narcisismo e la convinzione di avere una missione da compiere, sebbene abbia ben chiaro in mente che, nella Creazione, ognuno se la deve cavare da solo e non c’è nessuno che fa il tifo per me o per gli altri. Ciascuno deve percorrere la sua strada, ricavarsi il proprio percorso. La salvezza deriva unicamente dalla conoscenza (attiva), non dalla grazia (passiva). Non si deve seguire nessun altro: ciascuno è la guida di se stesso. Più si apprende, più si è consapevoli, più si è nella posizione di praticare una vera autodeterminazione, maggior controllo si acquisisce sul proprio destino, meglio ci si sa difendere. Poiché la conoscenza non ha limiti, il suo valore è infinito.
Ho cercato di dare un contributo in questo senso, ma è probabile che, procedendo oltre, i vizi di fondo si acuirebbero, a discapito della qualità del servizio ai lettori.
Serve qualcosa di diverso, un blog in cui si senta molto meno la mia voce e trovino più spazio le voci altrui. Perché solo una pluralità di voci avvicina al vero. Perché, altrimenti, invece di scambiare, comunicare con gli altri, creare una rete, condividere idee e, in questo modo, maturare – l’interazione e lo scambio di informazioni ed emozioni rendono più acuto ed efficace il processo di apprendimento –, ci si fissa su se stessi, si pretende di determinare i bisogni altrui invece di rispettare i loro modi, tempi e sensibilità; si precipita nell’involuzione e nella regressione.
C’è anche una considerazione più prosaica dietro a questa scelta. Se uno presenta quel che sa come farina del suo sacco si espone ad attacchi e reazioni negative da parte di chi ha un disperato bisogno di difendere le sue verità e vede ogni assalto alle sue convinzioni come una pontificazione o un’offesa personale. Purtroppo l’umanità è quella che è, viziata dal risentimento che trae origine dall’egocentrismo e dalla superbia.
Numerosi blogger più svegli di me hanno già capito che la cosa migliore da dire è: “questo è quel  ho letto/sentito – sta a voi decidere se vi garba oppure no”. 
Ci ho messo un po’ a capirlo…Ragione in più per dar spazio a chi è più in gamba di me, in un nuovo blog, in un Mondo Nuovo.

venerdì 20 gennaio 2012

Socrate e l'illusorietà della morte



Nella tradizione orfico-pitagorica la morte non è una cosa brutta ma un momento di purificazione, il trionfo dello spirito sulla materia che lo imprigiona, dell’eterno sul transeunte. Il sapiente deve capovolgere il suo giudizio sul vivere e sul morire. Ecco cosa ne pensa Socrate.

– Credi tu che la morte sia qualche cosa?
– Certo – rispose Simmia.
– E non crediamo noi che essa altro non sia che la separazione dell’anima dal corpo? E l’esser morto non consiste proprio in questo: nello stare l’anima e il corpo separati tra loro e ciascuno per conto proprio? Che altro è la morte se non questo?
– Nient’altro che questo, infatti – rispose Simmia.
– E allora osserva attentamente, o amico, se tu hai la stessa opinione che ho io, poiché solo così potremo meglio comprendere ciò di cui discutiamo. Pare a te che sia da vero filosofo darsi cura dei piaceri, come, per esempio, del mangiare e del bere?
– Niente affatto, Socrate – confermò Simmia.
– E dei piaceri d’amore?
– Neppure.
– E così tutte le altre cure del corpo, come l’acquisto di lussuoso vestiario, di magnifiche calzature e di ogni altro ricercato ornamento, pare a te che il filosofo abbia in pregio più di quel tanto che la necessità lo costringa a farne uso?
– A me pare che il vero filosofo disprezzerà tutto questo.
– Non ti sembra allora che l’attività di un tale uomo non sia per nulla rivolta al corpo, da cui anzi si allontana più che sia possibile, ma invece sia tutta dedita all’anima?
– Certamente.
– E quindi è chiaro che in tutte queste cose il filosofo, a preferenza di ogni altro uomo, cerca più che può di liberare l’anima da ogni comunanza col corpo. Non è forse vero?
– Pare di sì.
– Ed è per questo o Simmia, che il volgo crede che colui il quale non prova alcuno di questi piaceri, e non vi partecipa, non meriti neanche di vivere; poiché tende ad essere come un morto chi non si cura dei piaceri che derivano dal corpo.
– Dici proprio la verità.
– E che diremo dell’acquisto della sapienza? Credi tu che nella ricerca della verità ci sarà o no di impedimento il corpo? Intendo dire questo: il senso della vista e dell’udito, ad esempio, danno a noi certezza assoluta, oppure hanno ragione i poeti quando continuamente ci dicono che noi non udiamo, né vediamo nulla di preciso? E se questi sensi non sono né sicuri, né precisi, che cosa dovremmo dire degli altri ancora più manchevoli di questi? Non ti pare?
– Certamente – disse.
– Quando, dunque – continuò Socrate – l’anima riesce ad attingere il vero? Perché se essa si accinge a ricercare la verità con l’aiuto del corpo, è evidente che sarà da questo tratta in inganno.
– Proprio così.
– Non è forse nella pura attività di ragione che si rende a lei manifesta la verità?
– Certamente.
– E questa attività non si esplica ancor meglio quando l’anima non è conturbata da nessuna di tali sensazioni, né dalla vista, né dall’udito, né dal dolore, né dal piacere, ma tutta in sé raccolta, abbandonando completamente il corpo, senza più alcuna comunanza né contatto con esso, tende solamente alla verità?
– Dici proprio bene.
– Non è questa, allora, la ragione per la quale l’anima del filosofo disprezza profondamente il corpo e rifugge da esso e aspira a rimanere sola, tutta in sé raccolta?
– Certamente.
– Ma v’è ancora un altro argomento, o Simmia. Affermiamo noi l’esistenza di un “giusto in sé”, o no?
– Certo che lo affermiamo, per Zeus.
– E di un “bello in sé”, di un “buono in sé”?
– Pure.
– Or bene, vedesti tu mai con gli occhi del corpo il “Giusto”, il “Bello”, il “Buono”?
– No, mai – rispose quegli.
– E li hai mai conosciuti con qualche altro senso del corpo? E non parlo solamente di questi, ma ancora della “Grandezza”, della “Salute”, della “Forza”, in una parola di tutto ciò che realmente è. E credi tu che si conosce la realtà in sé delle cose per mezzo dei sensi del corpo, oppure reputi che colui il quale si propone di conoscere il vero per mezzo dell’attività pura di ragione si avvicinerà più di ogni altro alla perfetta conoscenza di esso?
– È proprio così.
– E a questa perfetta conoscenza può pervenire soltanto colui che alla verità si volge con la sola mente, e non sorregge la sua ragione con alcun senso del corpo, ma solo in sé e puro, con la mente pura, cerca di attingere il vero, astraendosi, più che sia possibile, dagli occhi, dagli orecchi, dal corpo tutto, poiché questo sconvolge l’anima e non le permette di acquistare verità e sapienza. Non è forse quest’uomo, o Simmia, colui che potrà, più di ogni altro, cogliere la realtà?
– Tu dici il vero, o Socrate – rispose Simmia.
– Dunque – seguitò Socrate – tutte queste considerazioni devono formare nei veri sinceri filosofi un’opinione tale da indurli a ragionare pressappoco così: pare che ci sia come un sentiero a guidarci verso la verità, perché fino a quando abbiamo il corpo, e la nostra anima è mescolata con un siffatto malanno, noi non riusciremo mai a raggiungere ciò che desideriamo. Infatti il corpo ci dà infinite brighe per la necessità del nutrimento; e se poi esso si ammala, nuovi impedimenti si frappongono alla nostra ricerca del vero. È ancora il corpo che ci riempie di amori, di passioni, di terrori, di immaginazioni, di vanità infinite, per cui non ci riesce di fermare il pensiero su cosa alcuna finché siamo in sua balìa. E le guerre, le rivoluzioni, le battaglie, chi le produce se non il corpo e le sue passioni? Le guerre, infatti, scoppiano per la brama di ricchezze, e queste noi siamo stretti a procurarcele per il corpo, incatenati come siamo al suo servizio, per cui non abbiamo più tempo di dedicarci alla filosofia. Il peggio è poi che se per un momento riusciamo ad essere liberi dal suo servizio e ci proponiamo di meditare su qualche cosa, ecco che tutto d’un tratto si pianta nel mezzo della nostra meditazione e tutto turba e scompiglia disanimandoci, così che per causa sua non siamo più in grado di contemplare la verità. Resta, quindi, dimostrato che, se noi vogliamo pervenire alla visione più pura del vero, dobbiamo distaccarci dal corpo e contemplare la verità con la sola anima. Allora soltanto, quando saremo morti, e non da vivi, come il ragionamento ci costringe ad ammettere, noi potremo possedere ciò di cui ci professiamo amanti: la Sapienza, cioè. […] Bisogna riconoscere, dunque, o Simmia, che tutti coloro i quali rettamente filosofano è come se si esercitassero a morire; perciò a loro la morte fa molto meno paura che agli altri.

Platone, "Fedone", Armando Editore, Roma 2007.

domenica 8 gennaio 2012

sabato 31 dicembre 2011

Auspici per il 2012...ed il 2013...ed il 2014 e oltre...




I decreti del destino guidano chi è consenziente, e trascinano chi non lo è
Seneca

Che giova a un uomo guadagnare tutto il mondo se perde l’anima sua?
Marco, 8:36

Per cosa è nato l’uomo se non per essere un riformatore, un rimodellatore di ciò che è stato fatto; un rinunciatore delle menzogne; un restauratore della verità e del bene, ad imitazione della grande natura che ci stringe tutti al suo petto, e che mai si assopisce su passato remoto, ma si ripara in ogni istante, offrendoci ogni mattino un nuovo giorno, e con ogni pulsazione una nuova vita?
R.W. Emerson

Pensiamo troppo alla farina, parliamo troppo di farina, scambiamo troppi buoni per la farina, il burro, la carne e il formaggio invece di libri e pensieri. La farina è la nostra unica preoccupazione. Dal tanto guardare farina non riusciamo nemmeno più a vedere che ben altre cose si fanno sempre più rare e razionate, come il diritto, la dignità, il parlare libero. Scordiamoci della farina, di tanto in tanto! Per lo meno della nostra, di farina, e pensiamo un po’ di più a quelli che ne hanno meno o non ne hanno del tutto.
Emmy Moor, lettrice del Berner Tagwacht, 22 aprile 1943

Una regione europea alpina non ha bisogno di ancorarsi ad “un’origine etnica, linguistica e culturale comune a tutti i cittadini”: invece il contratto politico tra le genti alpine si dovrebbe basare su un progetto di tutela del patrimonio comune (le Alpi), definendo strumenti comuni, valorizzando le diverse tradizioni. La regione europea alpina sarebbe espressione di una cultura politica da spirito europeo e federalista, che pone in primo piano la persona, i suoi diritti, la sua capacità di influenzare le decisioni, valorizzando le identità complesse e non il criterio dell’omogeneità etnica
Bruno Luverà, I confini dell’odio. Il nazionalismo etnico e la nuova destra europea, 1999


Lo storico altoatesino Claudio Nolet, che cura la pubblicazione della rivista «Il Cristallo», ha chiesto a me e a Mauro Fattor di immaginare cosa il futuro possa avere in serbo per l’Alto Adige. Alla sua domanda, che fa riferimento al libro “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso” (Raetia, 2010), segue la mia risposta.

“Nella seconda parte Fait svolge il tema che gli sta più a cuore, quello dell’affermazione della libertà della persona rispetto a modelli precostituiti e a norme fissate dalla collettività. È una posizione forte che ci fa chiedere se dalla sua analisi dei miti etnici non risulti che contro di essi non ci sia altra possibilità di riscatto se non con un atto di conversione radicale. Non c’è anche la via di una graduale correzione di abiti mentali generati dall’influenza dominante dell’ambiente?”

La mia risposta è che esistono molti futuri possibili, una situazione analoga alla premessa di “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, di Jorge Luis Borges. Molto dipende dal numero di residenti in Alto Adige che risponderebbero affermativamente alla domanda: “ci sono persone in Alto Adige così ignoranti, faziose e poco lucide che sarebbe meglio privarle della libertà d’espressione e del diritto di voto, almeno localmente?”.
Molti intervistati non risponderebbero sinceramente, quindi non sapremmo mai l’incidenza effettiva di questa mentalità autoritaria. Quel che sappiamo con certezza, invece, è che contrapporre un gruppo all’altro serve unicamente ad ostacolare la maturazione della società civile e quindi a giustificare misure paternalistiche e tecnocratiche da parte delle autorità nei confronti dei cittadini. Dal che ne consegue che il cambiamento non proverrà dall’alto. La storiografia lo conferma: chi detiene il potere non ama il cambiamento, a meno che questo non serva a rafforzarne la posizione. Perciò la conversione, graduale o subitanea che sia, deve cominciare dal basso, dalla gente comune.
Nei Promessi Sposi, Alessandro Manzoni commentava la difficoltà con la quale pochi riuscivano ad esternare il proprio scetticismo in merito alla reale esistenza degli untori con una frase davvero molto bella: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune” (cf. cap. XXXII). Il potere repressivo della tradizione (il senso comune) sulla voce della nostra coscienza (il buon senso) è quello che, finora ci ha impedito, non solo in Alto Adige, di farci un’idea chiara di come dovremmo stare al mondo. Anche da questo dipende il successo delle riforme auspicate, che sono riforme delle coscienza e, in quanto tali, si avviano solo quando i tempi sono maturi.
Lo sono, in Alto Adige, questi tempi? No.
E quando lo saranno? Credo molto prima di quanto ci si potrebbe aspettare. Il malessere che attraversa il mondo intero lascia intendere che non ci sarà gradualismo, anche se quella sarebbe la via più auspicabile. Ci sarà una cesura, un prima e un dopo. Tutto sta nel capire come ci si arriverà. 

Grandi pensatori si sono succeduti nella storia ripetendo sostanzialmente due verità, rimaste per lo più inascoltate, che ci sarebbero di grande aiuto: “fate agli altri ciò che desiderano sia fatto loro” ed “a ciascuno il suo”, o per meglio dire “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Quest’ultima è una norma di condotta che non si trova solo in Marx ma anche nel Nuovo Testamento, nella forma: “Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno” (Atti degli apostoli 4, 34-35).
Sono verità facili da memorizzare ma difficili da mettere in pratica per degli esseri viventi così egotisti quali noi siamo. Se li avessimo ascoltati, non ci troveremmo alla mercé delle multinazionali, dei guerrafondai, dei populisti, dei settarismi più disparati (i famosi golem di cui sopra). Se li avessimo ascoltati, avremmo capito che la vita migliore è una vita sobria e che questa civiltà dei bisogni indotti e della loro complicazione e proliferazione ci sta portando alla rovina.
Avremmo anche capito che chi si avvinghia ad un paradigma obsoleto quando questo si sta estinguendo, finirà con esso nell’abisso. Sono convinto che quel momento stia sopraggiungendo – a causa della crisi del capitalismo e della crisi climatica, che avrà effetti imprevedibili e presumibilmente agghiaccianti, nel senso letterale del termine – e che molti rimarranno sorpresi di quanto fragili siano i presupposti, così superficiali ed esteriori, su cui si fondano le nostre società “avanzate”, incluso l’Alto Adige. 
“Contro i Miti Etnici” (CME) è nato anche per offrire una visione alternativa, recuperando quella che ha ispirato le migliori forze riformatrici del passato, l’idea di un luogo in cui uomini e donne godono della piena libertà di cercare la verità e di coltivare la loro vita interiore. Dove ci si riunisce e si lavora assieme per il Bene Comune, quello degli esseri umani e quello della natura.
Era questo lo spirito con cui fu fondata l’America e molti sionisti credevano in un Israele molto simile a questo “luogo dell’anima”. Credo che Alexander Langer fosse sostanzialmente in linea con questo tipo di aspirazioni. Oggi, purtroppo, Israele e Stati Uniti paiono avviati a convertirsi nell’antitesi di queste visioni nobili del destino umano. Il nostro compito dovrebbe essere quello di impedire che ciò accada all’Alto Adige.
Ma, per avere successo, dobbiamo sforzarci di far capire a quante più persone è possibile che è giunto il tempo di lasciar andare la presa, di togliersi dall’ombra dei golem, di allontanarsi, ciascuno nei suoi modi e nei suoi tempi, dai paradigmi che erano validi prima ma che ora rischiano di trascinarci a fondo. È tempo di procedere oltre. “Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato” (1 Corinzi 13: 11).
In queste fasi di grandi sommovimenti, di insicurezza, di trepidazione, di enormi sfide, è facile irrigidirsi, tornare sui propri passi, verso il bordo della vasca, verso la riva. Ma è importante insistere, perché molti di noi sanno già nuotare e non devono disperare solo perché tanti altri – quelli che indossano un’armatura di maiuscole totemiche: Disciplina, Tradizione, Patria, Dovere, Natura, ecc. – vogliono convincerci che se gli esseri umani fossero fatti per stare in acqua, avrebbero branchie e pinne.
Per il momento, finché non giungerà il tempo della Grande Cesura, sarà necessario fare buon viso a cattivo gioco e conformarsi alle sue regole, ma nella consapevolezza che quel gioco e quelle regole sono sorpassate – “al tempo stesso dentro e fuori dal gioco, osservandolo e meravigliandosene”, diceva Walt Whitman. Nella consapevolezza che chi si oppone al cambiamento apparterrà al passato e chi invece si lascia sospingere dall’onda del cambiamento apparterrà al futuro, sarà il futuro
Mi rendo conto che sposare una causa che richiede una vera e propria apocalisse della mente non sia semplice, ma i fisici hanno pur dovuto ammettere che il modello newtoniano di un universo meccanico, gerarchico e perfettamente ordinato era una descrizione inadeguata della realtà. Anche noi arriveremo ad accettare il fatto che i golem non hanno mai avuto alcuna esistenza reale, ma erano il parto delle nostre fantasie, delle ombre, dei riflessi, degli idoli di burro che si sciolgono al sole dei fatti, dei parassiti che s’impiantano nella nostra coscienza per poi dirle cosa fare solo a patto che li riconosciamo come nostri signori e padroni: sono qualunque cosa, ma non la realtà.
Capiremo che venerare i golem esige da noi la negazione di quasi tutto ciò che occorre per preservare il nostro equilibrio psichico e la nostra integrità morale ed intellettuale e per indurci alla sottomissione, alla negazione di sé, alla contrizione, all’espiazione, alla docilità, all’umiltà interessata – virtù utili solo a chi cerca di sopprimere il libero arbitrio e la dignità altrui e propria.
Capiremo che credere nella dignità umana significa cercare di sviluppare le proprie potenzialità invece di lasciarle latenti; resistere alla tentazione di imitare gli altri o conformarsi in modo irriflessivo alle usanze, mode e mentalità prevalenti; resistere alla tentazione di fingere di essere ciò che non si è, di recitare una parte per gli altri e per se stesso; e, più importante di tutto il resto, significa attribuire ad ogni singola persona questo pensiero: “ho una vita da vivere, è la mia vita e quella di nessun altro, è la mia unica vita, fatemela vivere. Esisto e nessuno può prendere il mio posto, perché non sono stato programmato per essere ciò che sono diventato” (Kateb, 2011).
Allora saremo anche pronti ad accettare l’idea che il principio fondante delle nostre società sono i diritti, non la democrazia, perché una democrazia che non sia costituzionale (una democrazia plebiscitaria, del tipo che è tanto in voga nelle Alpi) non è più tale: il costituzionalismo limita i capricci della sovranità popolare. I diritti esistono indipendentemente dalla nostra volontà, non scaturiscono dalla volontà popolare. Nessuna maggioranza referendaria li può abolire, anche se fosse un singolo diritto di una singola persona che non se ne curasse più di tanto. Statuti, convenzioni e carte costituzionali non li rendono possibili, li riconoscono, perché non sono stati inventati, sono sempre esistiti. Sono verità di per sé evidenti, evidenti per chi abbia una sufficiente conoscenza, coscienza e sensibilità (Kateb, 2011).
Dopo di che saremo pronti a disfarci della pulizia etnica concettuale attraverso la quale cancelliamo l’altro dalla nostra coscienza, rifiutandoci di riconoscere che il diritto di noi tutti di esistere implica anche l’obbligo di comportarci con decenza l’uno verso l’altro; e che se la mappa non è il territorio, ossia se la nostra mappatura della realtà è soggettiva, solo uno stolto si rifiuterebbe di consultare le mappe altrui, magari persino vietandole. La censura ed il paternalismo sono garanti della menzogna e dell’impostura, annunciatori di sventura.
In Alto Adige ciò renderà possibile il superamento di un sistema che è nemico della dignità umana ed in contraddizione con i diritti umani e che è stato tenuto in vita da chi ha continuato a credere che fosse possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca, che si potessero trattare i cittadini da bambini, anche quando sono già adulti.

mercoledì 14 dicembre 2011

Perché la gente non si mette in salvo quando potrebbe farlo?



Anche a causa del cattivo giornalismo a livello nazionale, non mi sembra che ci sia ancora una chiara percezione di quel che sta succedendo. Molti temono, giustamente, che stia per arrivare la tempesta ma fanno finta di niente, come se ignorare il problema potesse tenerlo a distanza. È una caratteristica della psiche umana che è stata abbondantemente studiata. Potete partire da qui:

MITO: quando c’è un disastro, l’istinto di sopravvivenza assume il controllo delle persone.
REALTÀ: nelle crisi la gente tende a comportarsi in modo anormalmente calmo e finge che tutto sia a posto.
Questo accade perché si tende a classificare ogni cosa nuova all’interno di categorie normali, normalizzandola. Per questo si reagisce in modo sorprendentemente banale. Indipendentemente dagli avvertimenti, migliaia di persone rimangono sulla traiettoria di un tornado pur avendo tutto il tempo di spostarsi e troppi di loro ci lasciano la pelle. Lo sanno bene gli esperti di tornado, ma anche chi calcola le perdite in caso di naufragio o di evacuazione di luoghi pubblici: moltissime persone decidono che la forza della natura o comunque di un evento straordinario li risparmierà e si fanno dominare da uno stato di quiete “innaturale”. Quel che si vede nei film, con masse di persone che istantaneamente si alzano e cominciano a correre urlando a squarciagola, non corrisponde alla realtà.
Mark Svenvold, un monitoratore di tornado, ha riferito di come le persone che tentava di convincere a cercare riparo altrove, lungi dal seguire il consiglio di uno specialista, si sforzavano di calmarlo e farlo restare lì con loro.
In caso di incidente aereo dopo un atterraggio, i passeggeri, di norma, non scappano e non si accoccolano in una posizione fetale, paralizzati dal terrore.
Nel 1977, per 20 minuti, a causa della nebbia fittissima, i pompieri all’aeroporto di Tenerife si concentrarono su un velivolo disintegrato, alla ricerca di superstiti, senza sapere che un altro aeroplano, colpito nella collisione, era anch’esso in fiamme, con decine di passeggeri ancora vivi a bordo. Quel che dovevano fare i passeggeri ancora incolumi o feriti leggermente era togliere la cintura, salire sull’ala intatta e poi saltare a terra. Esisteva una via di fuga ed alcuni (70) la sfruttarono. Ma decine di altri passeggeri non lo fecero, neppure quando videro gli altri che uscivano sani e salvi, e rimasero al loro posto finché il serbatoio principale esplose e bruciarono vivi. Un superstite, intervistato, ricorda che dovette urlare alla moglie di muoversi, perché era istupidita, in uno stato di semi-trance. Più tardi la moglie rimpianse di non aver fatto lo stesso con gli altri passeggeri, ma tutto quel che poté fare fu seguire meccanicamente, semi-consciamente, le istruzioni e i movimenti del marito. I loro amici rimasero immobili, come statue, e perirono.
John Leach, uno psicologo all’Università di Lancaster, è uno specialista di queste reazioni emotive e stima che circa il 75% delle persone sia incapace di pensare durante o appena prima di una catastrofe. Il restante 25% si divide tra quelli che reagiscono con una consapevolezza e determinazione a tratti sovrumana e quelli che precipitano nel panico.
Gli studiosi ritengono che sia più probabile la sopravvivenza di chi si prepara per lo scenario peggiore ed arriva al momento cruciale avendo una certa idea di cosa sia meglio fare. Agiscono quando gli altri cominciano a pensare a cosa dovrebbero fare, in condizioni avverse al raziocinio. Gli impreparati sono quelli che subiscono più facilmente il processo di normalizzazione dell’evento eccezionale, un meccanismo che serve per tenere sotto controllo l’ansia: “tutto andrà bene!”. In pratica si cerca di fare in modo che la realtà si conformi ai nostri desideri: crediamo che tutto sia a posto perché vogliamo che sia così e ci rifiutiamo di immaginare che certe cose terribili possano succedere proprio a noi.
I sopravvissuti dell’11 settembre ricordano che nella discesa per le scale non c’era bisogno di fare star calma la gente. Tutti scendevano tranquillamente, dopo aver preso tutte le loro cose e aver telefonato ai famigliari, convincendosi l’un altro che non c’era nulla da temere, come nel caso di molti tornado in avvicinamento. Si chiama incredulità di riflesso: si recepiscono selettivamente le informazioni che provengono dall’esterno per confermare il desiderio che non sta succedendo nulla di male. Gli studiosi giapponesi, alle prese con catastrofici terremoti hanno documentato abbondantemente il problema della sottovalutazione della gravità degli eventi ed il suo costo in termini di vite umane.
LA SOLUZIONE? È opportuno continuare ad inviare avvertimenti e delineare ipotetici scenari che, gradualmente, possono diventare “normalizzati” e quindi essere assimilati e diventare disponibili al momento giusto. Purtroppo, com’è facile immaginare, le ondate di panico generate dai media e risoltesi in nulla di concreto, come lo Y2K, l’aviaria, la suina, la SARS, ecc., fanno proliferare la normalizzazione in una misura tale che l’effetto benefico si trasforma in uno svantaggio, riducendo il livello di credibilità di chi trasmette le informazioni e diffondendo incertezza, cosa che fa ripiombare nella condizione originaria.

MITO: sei consapevole di quando menti a te stesso.
REALTÀ: spesso si ignorano le nostre reali motivazioni e si creano storie fantasiose, come i copioni di un film, che “spiegano” le decisioni, le emozioni e le vicende.
Come l’angolo cieco della nostra visuale. L’occhio non riesce a vedere il 2% di ciò sta all’interno del campo visivo, a causa della conformazione dell’occhio. Il cervello supplisce a questa lacuna ricostruendo la realtà sulla base del 98% percepito ed incollandola laddove manca. Fa lo stesso anche con i nostri ricordi, emozioni e ragionamenti. La nostra visione/ricordo della realtà è sempre divergente da quella di chi è/era presente assieme a noi.  Non solo, siamo in grado di costruire una narrazione lineare della nostra vita anche se la memoria è come un groviera e migliaia di momenti obiettivamente importanti svaniscono dal nostro orizzonte, sostituiti da falsi ricordi. La trama complessiva che ci permette di credere di avere un’identità univoca e che dà un significato alla nostra esistenza è una menzogna, una storia inventata sulla base di fatti realmente accaduti da una psiche che, curiosamente, ha sviluppato un sistema di difesa dalla realtà: perché la verità fa male.

MITO: le nostre opinioni e decisioni sono basate sui fatti, sull’esperienza.
REALTÀ: la maggioranza delle persone crede di essere migliore della media, più sveglia, meno manipolabile. Eppure tutti possono essere facilmente ingannati dall’informazione manipolata e nessuno pensa ed agisce sulla base dei dati di fatto.
Questo diventa un problema enorme quando la persona che crede di essere obiettiva detiene molto potere.

lunedì 12 dicembre 2011

La "primavera russa" e la democrazia extraterrestre



Nella giustizia delle favole come nella psiche profonda, la gentilezza verso ciò che sembra di poco conto viene premiata con il bene, e il rifiuto di fare del bene a chi non è bello viene punito. Lo stesso accade nei grandi sentimenti come l’amore. Quando ci espandiamo per toccare il non-bello, siamo ricompensati. Se lo disprezziamo, siamo separati dalla vita vera e lasciati fuori al freddo. Per alcuni, è più facile pensare pensieri superiori e bellissimi e toccare le cose che positivamente ci trascendono, che toccare, aiutare ed assistere il non-così positivo. Come la storia illustra, è facile cacciare il non-bello e sentirsi falsamente nel giusto.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”, 2009, p. 140

Dall'ondeggiante oceano, la folla, venne teneramente a me una goccia,
mormorando Io ti amo, tra non molto morirò.
Ho fatto un lungo viaggio solo per guardati, toccarti, perché non potevo morire sinché non ti avessi parlato, perché temevo di poterti poi perdere.
Ora ci siamo incontrati, ci siamo guardati, siamo salvi, ritorna in pace all'oceano mio amore,
anch'io sono parte di quell'oceano amore, non siamo così separati, considera il grande globo, la coesione del tutto, quanto è perfetta!
Ma per me, per te, il mare irresistibile deve separarci, e se per un'ora ci tiene lontani, non potrà tenerci lontani per sempre;
non essere impaziente - un istante - sappi che io saluto l'aria, l'oceano e la terra, ogni giorno al tramonto per amor tuo, amore.
Walt Whitman, Foglie d’Erba

Come contenere un ghigno sardonico quando i giornalisti occidentali inneggiano alla “Primavera Russa” dei manifestanti pro-democrazia che contestano Putin senza poter nascondere il fatto che le riprese li mostrano mentre sventolano bandiere con la falce e martello (noto simbolo democratico?), che vengono bellamente ignorate dai commentatori?
È giornalismo o è propaganda? La deontologia professionale, l’integrità: che fine hanno fatto? C'è in giro un'epidemia di minzolinite?
Il dato che salta all'occhio è che siamo in una fase in cui dobbiamo sostenere un forsennato attacco alla democrazia portato da oligarchie che si spacciano per democratiche e che stanno erodendo lo stato di diritto dal suo interno:
C’è chi, come l’ex consigliere di Mitterrand, teme il peggio:
Ho già trattato la questione della natura e delle virtù della democrazia in questo mondo:
E i problemi inerenti alla democrazia diretta:

Ora vorrei dimostrare che la democrazia è un’istituzione che potrebbe funzionare e quasi certamente funziona su altri mondi. In altre parole, ritengo che la democrazia non sia un monopolio della specie umana terrestre. Dando per scontata l’esistenza di vita intelligente nell’universo, 

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/24/alienologia-corso-avanzato-parte-seconda-la-storiografia/#axzz1i8n9szlE
presumo che altre civiltà abbiano adottato un modello democratico per regolare la vita pubblica e dirimere le controversie. Qui spiego perché la penso a questo modo. 
Sono giunto a questa conclusione leggendo le opere di Jacob Needleman, un filosofo morale e politico che insegna alla San Francisco State University. In particolare, mi ha impressionato “The American Soul: Rediscovering the Wisdom of the Founders” (New York: Jeremy P. Tarcher, 2003). La mia trattazione è, in pratica, una rielaborazione per sommi capi delle sue tesi. Per me, come per lui, “America” è il nome del Mondo Nuovo, di una società ideale in cui le nostre migliori aspirazioni – “gli angeli migliori della nostra natura”, li chiamava Lincoln – hanno finalmente prevalso.  
La grande speranza dell’America, spiega Needleman, era la sua visione di cosa fosse l’umanità e di cosa potesse diventare – individualmente e coralmente. L’America era una grande idea e sono queste grandi idee che fanno andare avanti il mondo, che dischiudono la possibilità di un senso alto della vita umana. L’America come fatto, simbolo e promessa di un nuovo inizio, che concepisce il materialismo come una malattia della psiche che non riceve un sufficiente nutrimento di idee. Per Needleman, nell’America la missione degli esseri umani è quella di agire nel mondo come strumenti consapevoli ed individuati della Sapienza/Sophia (cf. trascendentalisti), persone di buona volontà e retto intendimento, ossia dei Giusti.
Sono le idee che dirigono la nostra attenzione verso la grandezza che ci circonda nella natura e nell’universo, aprendoci gli occhi sulle reali esigenze del nostro prossimo, mostrandoci che non siamo qui solo per noi stessi, che non è solo il comfort psicologico, fisico e sociale a cui dobbiamo aspirare. L’America, dunque, è un’espressione nuova ed originale, un esperimento sociale e politico, fondato su idee che sono state patrimonio dell’umanità per millenni.
Needleman afferma che l’uomo vive tra due mondi, un mondo interiore di grandi visioni spirituali e potere spirituale ed uno esterno di realtà e limitazioni materiali. Il senso della democrazia è radicato nella visione di una natura umana caduta e perfettibile: interiormente caduta ed interiormente perfettibile. I diritti costituzionali si basano su una visione della natura umana che ci chiama ad essere attori responsabili, responsabili verso qualcosa dentro di noi che è superiore ai nostri desideri così umani, troppo umani. Il sintomo che un’idea è davvero grande è la sua capacità di unificare le parti disparate dell’essere umano (si veda anche Jung). Ogni grande idea parla di un ordine sociale che diventa possibile sulla base di questo ordinamento interiore di ciascun individuo.
Ci può essere un legame interpersonale saldo e duraturo tra persone e nazioni così diverse se in ciascun coscienza/anima non si verifica un analogo processo di unificazione? Il mondo è come è perché gli esseri umani sono come sono e non c’è nulla di essenziale nella vita umana che possa essere migliorato se prima non ci occupiamo della nostra disarmonia interiore. Ogni riforma dall’esterno implica violenza e guerra in tutte le sue varie forme.
Siamo nati in un mondo di idee ponderate nei secoli, in un’identità filosofica plurale fatta anche di libertà, giustizia, uguaglianza, indipendenza di giudizio, coscienziosità, sollecitudine verso il prossimo, senso di responsabilità, auto-determinazione. Questa era l’idea di America. Non radici ma boccioli, frutti non ancora maturi. Ciò che conta è il potenziale inespresso, non il limite imposto; è il divenire, non l’essere.
Per Needleman l’arte del futuro, la competenza indispensabile per i tempi a venire, è il gruppo. L’intelligenza e la benevolenza di cui abbiamo bisogno vengono solo dal gruppo, dall’associazione di uomini e donne che cercano di lottare contro gli impulsi dell’illusione, dell’egoismo e della paura. Si è eroi coralmente, non singolarmente. L’eroe solitario è spesso un farabutto, un impostore.
Needleman rileva che, per i popoli extra-europei, il concetto di pace era ben diverso da quello che abbiamo in mente noi. La loro pace era dinamica ed includeva tutte le forze della vita, nella natura e nell’uomo, compresa quella che chiamiamo “male”; un concetto inclusivo, non esclusivo: lotta, sofferenza, dolore, errori e stoltezze, passione, tenerezza, rabbia e sconfitta. Persino la guerra era compresa nell’idea di pace, una guerra condotta in un certo modo e con certe motivazioni. L’assolutismo pacifista era completamente estraneo alla loro mentalità ed è un’invenzione della modernità.
La domanda a cui cercavano una risposta era molto semplice e molto importante: come pensare e vivere in modo tale da conformarsi alle leggi cosmiche, alla coscienza, che è la voce dell’universo in ognuno di noi, in un mondo che dia spazio ad una relazione tra la grandezza del cosmo e le esigenze della Terra e di ciò che vive e succede su quest’ultima?
Il contrario di quest’accezione di pace e giustizia, spiega il filosofo statunitense, è ciò che divide e separa le parti della realtà e le mantiene distinte, un moralismo che sminuisce l’interconnessione dei viventi, della vita. Ci sono cose che vanno distrutte e persone che vanno uccise (es. psicopatici che minacciano singole vite o intere comunità), ma non certo per plasmare il cosmo a nostro piacimento, bensì perché il cosmo possa ricostituirsi, per suo conto. Il giudizio di chi separa il bene dal male è quello del moralista, che è spesso spaventato e violento. Se il mondo è caduto è per via della sua violenza endemica, della tendenza a distruggere chi si oppone alla nostra volontà e morale, ignorando il senso di giustizia ed una visione obiettiva della realtà. Non è che il bene e il male non esistono, è che sono interdipendenti. È il nostro moralismo che ci spinge a distruggere, dopo aver distinto mente e corpo, spirito e materia, uomo e natura, vita e morte: una visione dualistica della realtà è molto confortevole. Per i nativi americani, come per Jung, ciò che è oggettivamente buono è la realtà nella sua interezza e ciò che è oggettivamente cattivo è la sua frammentazione. Ciò che alla mente ordinaria appare come opposizione, contrasto e contraddizione è un’unità trascendente, la riconciliazione dei contrari interconnessi, la cosiddetta coincidentia oppositorum. La vita come una relazione misteriosa ed intima tra forze opposte. La legge è ciò che mantiene questa relazione e, nel farlo, il dinamismo della vita. Questa è la pace, la pace assicurata dalla comprensione e conoscenza. La giustizia discende da tale comprensione. La pace fa da ponte tra due forze contrapposte. Il male è la forza che ostacola fatalmente l’azione della forza riconciliativa, la discesa della colomba, lo Spirito Santo, nella vita umana. Opporsi a ciò che è buono (es. l’intolleranza delle diversità che non violano la legge, l’ingiustizia, la violenza contro l’ambiente, la tortura, la guerra, ecc.) non è un peccato imperdonabile, imperdonabile è ostruire il corso della riconciliazione tra il bene e ciò che gli si contrappone. “Satana” deriva dall’ebraico satan, che significa l’avversario. “Diavolo” viene dal greco diabolos, “colui che divide” e significa l’accusatore, il diffamatore, il mentitore. Nella sua prima forma il demonio è uno strumento divino e serve delle sacre finalità.
Per questo Gesù chiama Pietro “Satana” ma gli ordina di mettersi dietro di lui: “va dietro a me, Satana” (attenzione all’errata traduzione “Lungi da me, satana!” Matteo 16:23), ossia di seguirlo come discepolo, quando Pietro dimostra di non aver capito il senso del suo messaggio. È invece irreparabile il male di chi nega lo Spirito Santo e la sua funzione di agente riconciliativo tra i contrari (es. altoatesini e sudtirolesi, o bianchi e neri, ebrei e arabi, cattolici e protestanti nell’Irlanda del Nord, ecc.) e legame tra l’umano e il divino, ossia chi induce l’uomo a credere di essere solo un animale o una macchina.  
Il cuore della democrazia è apprezzare l’altro anche quando è un mio avversario. Si è intimamente democratici quando si riesce a fare un passo indietro ed un passo fuori da se stessi, dalle proprie emotività e permettere all’altro di pensare, parlare e vivere.
La democrazia non è solo un’istituzione esterna, non è solo una forma politica, è anche una forza interna al nostro sé, un ideale interiore, l’espressione più alta di una spiritualità laica, capace di coniugare pragmatismo e misticismo, materia e spirito, esteriore ed interiore, bene e male.
Rispettare tutte le persone, garantire a ciascuno i propri diritti e la propria voce, significa capire cosa abbiamo tutti in comune, richiede di vedere che cosa sia un essere umano, indipendentemente da tutte le distinzioni sessuali, razziali, etniche, religiose, fisiche, sociali, culturali ed intellettuali. Quali siano i suoi pregi e difetti.
Il significato più profondo della democrazia è la comprensione delle strutture più profonde del sé umano, dell’interiorità.
La democrazia è vitale perché nessuno può arrivare alla verità ed alla purezza della coscienza senza essere assistito da tante altre persone: è uno sforzo corale, come corali sono sempre stati gli sforzi delle varie costituenti, delle persone incaricate di redigere le carte dei diritti e gli statuti, che mai sarebbero giunti ad un tale livello di saggezza e lungimiranza, da soli.
Il monoteismo, invece, diffonde l’idea che ci sia una parte della natura umana che deve essere distrutta, senza che sia possibile ricostituire l’unità fondamentale dell’essere.
Nella dottrina della coincidentia oppositorum, dell’interconnessione, ciò che chiamiamo male – il dolore ed il timore insensati, brutali, crudeli, futili perché irredimibili, lo spreco di vita, l’ingiustizia titanica, la rabbia sorda e violenta – nasce proprio dalla scelta di escludere le forze del “male” (Jung le chiamava “ombra”) dalla nostra vita e dalla nostra mente consapevole. Quando questo male viene isolato, cresce fino a distruggere un bene che, innaturalmente separato, è indifeso. Da qui nascono il razzismo, il segregazionismo, la guerra sterminatrice, la pulizia etnica, l’olocausto.