Sono molto d'accordo con
quel che scrive Michele Nardelli
in occasione della
discussione sulla Legge Finanziaria 2012.
Un solo appunto: la
decrescita e la sobrietà non dovrebbero essere intese a scapito
dell'espansione. L'umanità ha dimostrato nella storia evolutiva di essere
spiritualmente espansiva, ma si è persa per strada (simbolicamente: la
Caduta/Cacciata di Adamo ed Eva) e ha deciso di espandersi fisicamente (dominio
sul creato e obesità).
Un discorso sul
contenimento di noi stessi e sui limiti dovrebbe prima di tutto enfatizzare il
punto che è un appello ad evolvere nella direzione giusta, non a
devolvere/involvere, perché altrimenti l'istinto umano rifiuterà il messaggio
(molto giustamente ed assennatamente).
Ritorno alla Terra - Intervento di Michele
Nardelli
"L'autonomia come
prerogativa per abitare i processi globali. La crisi finanziaria, demografica,
ecologica. La crisi della politica. La necessità di un cambio di approccio
nel pensiero come nei comportamenti. Ritornare alla terra. La declinazione del
concetto di sobrietà.
Nel suo celebre romanzo
"Per chi suona la campana" Ernst Hemingway cita i famosi versi di
"Nessun uomo è un'isola" di John Donne. John Donne era un poeta e
religioso inglese vissuto fra la fine del 1500 e l'inizio del 1600, in tempi
dunque piuttosto lontani dai nostri.
Nessun uomo è
un'isola
Nessun uomo è un'isola,
completo in sé stesso;
ogni uomo è un pezzo del
continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una zolla
venisse lavata via dal
mare,
l'Europa ne sarebbe
diminuita,
come se le mancasse un
promontorio,
come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo
mi sminuisce,
perché io sono parte
dell'umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
essa suona per te.
Se non lo è un uomo,
figuriamoci se il Trentino è un'isola. Il Trentino è parte integrante dei
processi nel quale è immerso, come parte di una comunità globale sempre più
segnata dall'interdipendenza. Questo spiega - ed è naturale che sia così -
perché il confronto sulla finanziaria della Provincia Autonoma di Trento assuma
in questo contesto un profilo che va oltre in nostri piccoli confini. A
testimonianza del fatto che oggi la dimensione sovranazionale e quella locale sono
insieme decisive: per questo l'Europa è la nostra prospettiva politica.
E dovrebbe aiutarci a
capire l'importanza di uno sguardo sul mondo. A che cosa servono le relazioni
internazionali se non a questo? Lo dico a chi, in questa sede, si è chiesto a
che cosa servono gli 11 milioni che investiamo nel capitolo sulla solidarietà
internazionale. Anche se talvolta non ci riusciamo, perché piuttosto che
"lo sguardo sul mondo" prevale la logica dell'aiuto per quanto
importante...
Accanto a ciò ci dovrebbe
aiutare a dotarci di una visione attenta verso gli effetti dell'interdipendenza
sul nostro territorio. Non solo per i tagli, ma perché la crisi non conosce
confini (ne abbiamo parlato pochi giorni fa nel confronto sul tema della
presenza della criminalità organizzata in questa terra). E che ci deve far
considerare l'autonomia come prerogativa, come strumento per abitare i processi
globali, come occasione per costruire relazioni.
Costruire relazioni... Ad
ottobre sono stato invitato a Casablanca a parlare della nostra autonomia, come
spunto per affrontare la questione del Sahara Occidentale dilaniato da mezzo
secolo di guerra. Di fronte ad un auditorio di oltre 200 persone - recentemente
il Marocco ha introdotto l'autonomia nella sua nuova carta costituzionale - ho
spiegato che l'autonomia non è un espediente per aggirare il problema, che
l'autonomia (l'autogoverno) è più, non meno, dell'indipendenza (nel senso che
si può avere l'indipendenza ma non l'autogoverno).
In questo quadro
l'autonomia ci aiuta a stare al mondo, per conoscerci meglio e per comprendere
lo straordinario valore di quel che abbiamo, che dobbiamo coltivare e studiare
piuttosto che considerare una rendita di posizione o, peggio, una sorta di
privilegio. E diventare cultura, una forma mentis, un approccio ai problemi.
All'inizio della sua
relazione il presidente Dellai parla della crisi e dice "La crisi globale
non è solo finanziaria ed economica. Si intreccia con un deficit complessivo di
valori, di cultura, di politica, effetto di quel pensiero unico nel quale il
successo senza condizioni e la forza senza limiti costituivano i riferimenti
fondamentali".
Sono molto d'accordo.
Abbiamo infatti a che fare con almeno tre aree di crisi, che dovremmo
saper guardare come intrecciate fra loro.
1. La crisi finanziaria
Se ne parla molto, qualche
volta vanvera. Tanto che ne abbiamo sottovalutato la natura, prima nell'incertezza
di non averla saputa vedere per tempo, poi nell'averla letta come una crisi
congiunturale, e non invece come la fine di un ciclo. Quel ciclo che ha
prodotto la finanziarizzazione dell'economia, lo strapotere della finanza
sull'economia, dell'economia di plastica sull'economia vera. E che ci affida un
compito: quello di riportare la finanza alla sua funzione tradizionale. E' il
tema che si sono posti gli indignados nel loro presidio simbolico di Wall
Street, è lo stesso tema che si è posto e si pone Barack Obama ed è quello che
ci poniamo quando facciamo appello ai soggetti della finanza trentina per far
fronte al sostegno dell'economia del nostro territorio (e di cui parlo in uno
degli ordini del giorno che mi vedono primo firmatario). Fin quando la dimensione
finanziaria garantirà rendite notevolmente maggiori del profitto che può venire
dal lavoro nessuno investirà sulle produzioni, sull'innovazione, sulla ricerca.
2. La crisi demografica
Una notizia è passata
inosservata. Abbiamo raggiunto i 7 miliardi di esseri umani sul pianeta. E'
nata Danica ed è paradossale che la disputa sia se il settemiliardesimo
abitante della terra ha visto la luce a Manila o in un villaggio
indiano e non ci si interroghi invece sulla prospettiva, visto che prima del
2030 saremo in 9 miliardi sul pianeta(soglia considerata il limite di
sostenibilità agroalimentare). Ci vogliamo interrogare sul serio sulla
sostenibilità? Sulla limitatezza delle risorse, sul fatto che si stanno
compromettendo gli equilibri del pianeta, che stiamo tagliando la foresta
amazzonica per produrre soia e carne? Vogliamo prendere atto che, a
prescindere dalla crisi finanziaria, tutti dobbiamo fare un passo indietro? O
pensiamo che ci siano al mondo persone che hanno fra loro diritti diversi?
3. La crisi ecologica
Perché non ci interroghiamo
su come sta cambiando il clima? Non serve essere esperti, lo possiamo
vedere, se lo vogliamo, nelle alluvioni della Liguria e della Sicilia. Il
cambiamento del clima sulla Terra è vecchio quanto il pianeta: 4 miliardi e
mezzo di anni, ma è nel XX secolo che si sono prodotti i cambiamenti ambientali
più radicali ed è la prima volta che se ne ha la percezione nel corso della
vita di una persona. Per rendersene conto basterebbe osservarli secondo il noto
gioco di simulazione compiuto da un astronomo che ha provato a comprimere la
storia del pianeta terra - 4 miliardi e mezzo di anni - sulla scala di un anno.
"Secondo questa
simulazione, se a gennaio, su un braccio esterno della via lattea, si forma il
Sole, a febbraio si forma la Terra, ad aprile i continenti emergono dalle
acque, a novembre appare la vegetazione, a Natale si estingue il regno dei
grandi rettili, alle 23 del 31 dicembre compare l'uomo di Pechino, a mezzanotte
meno dieci l'uomo di Neanderthal, nell'ultimo mezzo minuto si svolge l'intera
storia umana conosciuta, nell'ultimo secondo di questo mezzo minuto gli uomini
si moltiplicano per tre o quattro volte e consumano quasi tutto quello che si
era accumulato nei millenni precedenti".
C'è in realtà una quarta
crisi, forse meno importante, ed è quella della politica. Il fatto che la
politica ha smarrito la propria capacità di visione, la capacità di elaborare
nuovi pensieri complessi dopo la fine delle ideologie novecentesche. La crisi
della politica non è solo crisi della forma partito, è i n primo luogo crisi di
pensiero e di visione. Zygmunt Bauman a Trento, nella sua Conservazione
sull'educazione e nel suo confronto con alcuni studenti del Da Vinci ammoniva -
di fronte alla grande massa di informazioni - sulla necessità di mettere a
fuoco gli avvenimenti. E' il tema della formazione e della promozione delle
nuove classi dirigenti, che non è un problema di rottamazione generazionale ma
di elaborazione della storia, del recente passato, e del nostro predisporsi a
passare la mano.
La politica (e non solo la
politica) continua invece a rincorrere gli avvenimenti, come si trattasse di
emergenze. Lo abbiamo visto anche nel 2011 quando abbiamo guardato al
Mediterraneo senza comprendere quel che stava avvenendo, quella primavera che
vedeva come protagonisti giovani, colti, senza simboli del ‘900. Il Forum
trentino per la Pace e i Diritti Umani che ho l'onore di presiedere ha seguito
passo passo, accompagnando la primavera in un cambiamento del Mediterraneo che riguarda
anche noi, che ha coinvolto anche noi, perché il Mediterraneo è anche la nostra
storia.
Si guarda il dito, non la
luna. Tanto che affrontiamo anche la crisi finanziaria come un'emergenza,
quando invece occorrerebbe un cambio di approccio. In questo senso non c’entra
Berlusconi (che ha altre responsabilità ...): se è crisi strutturale, non sarà
certo una manovra da 30 miliardi (venti netti) a salvare l'Europa. So bene che
il quadro parlamentare è quello di prima, ma mi sarei aspettato qualcosa di diverso
dal Governo Monti, il taglio ai 16,5 miliardi dei cacciabombardieri F35 ad
esempio, e più fantasia.
Occorre qualcosa di più
profondo della manovra attuale, bisogna aggredire i nodi che portano alla
crisi. Non è nemmeno solo la Tobin tax (quello 0,1% di tassa sulle transazioni
finanziarie che porterebbe un'entrata di 166 miliardi di dollari) che pure
va fatta.
E' necessario in primo
luogo una grande alleanza dell'economia reale ed è questo il tratto sul quale
voglio insistere in questo intervento. Un'alleanza che vorrei prendesse il nome
di "Ritorno alla terra". S'intitola così l'ultimo libro di Vandana
Shiva, la cui prefazione di Carlo Petrini, l'inventore di Terra Madre, insiste
sull'economia della natura. E' quello di cui parla Giuseppe De Rita, presidente
del Censis, laddove ci parla di cultura terranea. Ed è quello che ci ha
lasciato come testamento politico Andrea Zanzotto, il grande poeta da poco
scomparso, quando ammoniva la sua terra, il Veneto, da cui si staccava con
fatica pur essendo chiamato in ogni parte del mondo, quando accusava la sua
terra di aver annientato la propria tradizionale cultura contadina.
Qui non si tratta di
tornare al passato, bensì di ripensare lo sviluppo e soprattutto di pensare
alla ricerca e alla tecnologia come fonte di liberazione dall'assoggettamento
dell'uomo alla cosa.
Dobbiamo finalmente far
nostra la cultura del limite. Lo dico anche ricordando che nel 2012 saranno
passi quarant'anni dal rapporto "I limiti dello sviluppo" del Club di
Roma. Quegli scienziati vennero allora accusati di catastrofismo e oggi li
dovremmo riconoscere nella loro lungimiranza.
Dobbiamo ristrutturare il
pensiero e ripensare i comportamenti. Tutti oggi parlano di sobrietà. Vorrei
provare a declinare questa parola tanto di moda per riportarla al suo vero
significato. Parlo della limitatezza delle risorse e dei beni comuni, di
biodiversità (pensiamo alla scomparsa delle colture autoctone, delle specie
animali e vegetali...), degli stili di vita e consumi, di etica nella ricerca
(fin dove ci si può spingere ...), di nuova declinazione dei diritti in un
contesto globale, di impronta ecologica e impatto ambientale (penso al
peso della CO2 nelle filiere lunghe), della natura dei confini e della
conoscenza dell'altro, del conflitto generazionale, del limite come
consapevolezza della finitezza delle nostre vite e infine della pace
declinabile nella sobrietà (penso alla guerra del petrolio, dell'acqua, della
terra).
In genere si associa la
sobrietà alla povertà o alla miseria. Personalmente la voglio associare
all'eleganza, allo stile e alla misura, alla bellezza. Una cultura, quella
della sobrietà, che è peraltro connaturata a questa terra, tradizionalmente
povera, che è stata di emigrazione. Una comunità tradizionalmente sobria e
aperta, che ha nella sua storia tradizioni culturali importanti. Penso al
diritto alla preghiera, ad esempio. Visto che si fa sempre riferimento
alle tradizioni di questa terra, lo sapevate che nei primi anni del ‘900
durante l'impero austroungarico c'era a Trento una moschea con la quale si
garantiva il diritto di culto ai soldati bosniaci di fede islamica?
Dobbiamo imparare a vivere
in un contesto in cui ricominciamo a dare valore alle cose vere piuttosto che
all'effimero, imparare a conoscere la storia (il secondo odg di cui sono primo
firmatario sul polo archivistico), apprendere per conoscere, per il piacere di
conoscere.
Ritornare alla terra, non
vuol dire solo agricoltura che pure dobbiamo rimettere al centro della nostra
economia, ma valorizzare le vocazioni del territorio. Molto è stato fatto,
molto si deve fare. A cominciare dall'avere la consapevolezza del valore della
nostra diversità che viene da tre aspetti:
in primo luogo
dall'autonomia;
in secondo luogo dalla
diversità della struttura economica (la cooperazione trentina come secondo
soggetto economico dopo la PAT stessa);
in terzo luogo dalla
coesione sociale che ci ha messi al riparo dallo spaesamento.
Al tempo stesso, non
possiamo permetterci di vivere di rendita. Ritorno alla terra significa avere a
cuore le vocazioni del territorio (storia), la coesione sociale (fare sistema
nei territori, cosa non facile e vero ostacolo alla valorizzazione delle
filiere corte; ma anche rimotivazione delle persone nel loro lavoro, a cominciare
dalla pubblica amministrazione), la conoscenza (investimento sul sapere e
sull'innovazione): sono queste le tre parole chiave del "ritorno alla
terra". Investono il lavoro, la difesa del reddito, la tutela del
territorio, la riforma della pubblica amministrazione, le nuove cittadinanze
(su questo aspetto ho voluto riprendere in un apposito ordine del giorno
l'appello del presidente Giorgio Napolitano quando ha parlato di mettere fine
all'ingiustizia di quei bambini e ragazzi figli di genitori stranieri che sono
nati in Trentino - e in Italia - ai quali non viene riconosciuta la
cittadinanza).
L'anima di questa
finanziaria? si chiedeva il consigliere Morandini. Rispondo con le parole di
Massimo Cacciari: "Che cos'è fare politica se non dire al prossimo tuo che
non è solo?".
Farlo
con impegno, responsabilità, serietà, originalità di pensiero. Certo, c'è un
quarto aspetto che ha contribuito a fare diverso il Trentino: se questa terra
ha saputo essere diversa lo si deve anche alla sperimentazione politica che
abbiamo saputo realizzare in questi anni. E che, personalmente, non considero
un capitolo affatto chiuso".