mercoledì 14 dicembre 2011

Perché la gente non si mette in salvo quando potrebbe farlo?



Anche a causa del cattivo giornalismo a livello nazionale, non mi sembra che ci sia ancora una chiara percezione di quel che sta succedendo. Molti temono, giustamente, che stia per arrivare la tempesta ma fanno finta di niente, come se ignorare il problema potesse tenerlo a distanza. È una caratteristica della psiche umana che è stata abbondantemente studiata. Potete partire da qui:

MITO: quando c’è un disastro, l’istinto di sopravvivenza assume il controllo delle persone.
REALTÀ: nelle crisi la gente tende a comportarsi in modo anormalmente calmo e finge che tutto sia a posto.
Questo accade perché si tende a classificare ogni cosa nuova all’interno di categorie normali, normalizzandola. Per questo si reagisce in modo sorprendentemente banale. Indipendentemente dagli avvertimenti, migliaia di persone rimangono sulla traiettoria di un tornado pur avendo tutto il tempo di spostarsi e troppi di loro ci lasciano la pelle. Lo sanno bene gli esperti di tornado, ma anche chi calcola le perdite in caso di naufragio o di evacuazione di luoghi pubblici: moltissime persone decidono che la forza della natura o comunque di un evento straordinario li risparmierà e si fanno dominare da uno stato di quiete “innaturale”. Quel che si vede nei film, con masse di persone che istantaneamente si alzano e cominciano a correre urlando a squarciagola, non corrisponde alla realtà.
Mark Svenvold, un monitoratore di tornado, ha riferito di come le persone che tentava di convincere a cercare riparo altrove, lungi dal seguire il consiglio di uno specialista, si sforzavano di calmarlo e farlo restare lì con loro.
In caso di incidente aereo dopo un atterraggio, i passeggeri, di norma, non scappano e non si accoccolano in una posizione fetale, paralizzati dal terrore.
Nel 1977, per 20 minuti, a causa della nebbia fittissima, i pompieri all’aeroporto di Tenerife si concentrarono su un velivolo disintegrato, alla ricerca di superstiti, senza sapere che un altro aeroplano, colpito nella collisione, era anch’esso in fiamme, con decine di passeggeri ancora vivi a bordo. Quel che dovevano fare i passeggeri ancora incolumi o feriti leggermente era togliere la cintura, salire sull’ala intatta e poi saltare a terra. Esisteva una via di fuga ed alcuni (70) la sfruttarono. Ma decine di altri passeggeri non lo fecero, neppure quando videro gli altri che uscivano sani e salvi, e rimasero al loro posto finché il serbatoio principale esplose e bruciarono vivi. Un superstite, intervistato, ricorda che dovette urlare alla moglie di muoversi, perché era istupidita, in uno stato di semi-trance. Più tardi la moglie rimpianse di non aver fatto lo stesso con gli altri passeggeri, ma tutto quel che poté fare fu seguire meccanicamente, semi-consciamente, le istruzioni e i movimenti del marito. I loro amici rimasero immobili, come statue, e perirono.
John Leach, uno psicologo all’Università di Lancaster, è uno specialista di queste reazioni emotive e stima che circa il 75% delle persone sia incapace di pensare durante o appena prima di una catastrofe. Il restante 25% si divide tra quelli che reagiscono con una consapevolezza e determinazione a tratti sovrumana e quelli che precipitano nel panico.
Gli studiosi ritengono che sia più probabile la sopravvivenza di chi si prepara per lo scenario peggiore ed arriva al momento cruciale avendo una certa idea di cosa sia meglio fare. Agiscono quando gli altri cominciano a pensare a cosa dovrebbero fare, in condizioni avverse al raziocinio. Gli impreparati sono quelli che subiscono più facilmente il processo di normalizzazione dell’evento eccezionale, un meccanismo che serve per tenere sotto controllo l’ansia: “tutto andrà bene!”. In pratica si cerca di fare in modo che la realtà si conformi ai nostri desideri: crediamo che tutto sia a posto perché vogliamo che sia così e ci rifiutiamo di immaginare che certe cose terribili possano succedere proprio a noi.
I sopravvissuti dell’11 settembre ricordano che nella discesa per le scale non c’era bisogno di fare star calma la gente. Tutti scendevano tranquillamente, dopo aver preso tutte le loro cose e aver telefonato ai famigliari, convincendosi l’un altro che non c’era nulla da temere, come nel caso di molti tornado in avvicinamento. Si chiama incredulità di riflesso: si recepiscono selettivamente le informazioni che provengono dall’esterno per confermare il desiderio che non sta succedendo nulla di male. Gli studiosi giapponesi, alle prese con catastrofici terremoti hanno documentato abbondantemente il problema della sottovalutazione della gravità degli eventi ed il suo costo in termini di vite umane.
LA SOLUZIONE? È opportuno continuare ad inviare avvertimenti e delineare ipotetici scenari che, gradualmente, possono diventare “normalizzati” e quindi essere assimilati e diventare disponibili al momento giusto. Purtroppo, com’è facile immaginare, le ondate di panico generate dai media e risoltesi in nulla di concreto, come lo Y2K, l’aviaria, la suina, la SARS, ecc., fanno proliferare la normalizzazione in una misura tale che l’effetto benefico si trasforma in uno svantaggio, riducendo il livello di credibilità di chi trasmette le informazioni e diffondendo incertezza, cosa che fa ripiombare nella condizione originaria.

MITO: sei consapevole di quando menti a te stesso.
REALTÀ: spesso si ignorano le nostre reali motivazioni e si creano storie fantasiose, come i copioni di un film, che “spiegano” le decisioni, le emozioni e le vicende.
Come l’angolo cieco della nostra visuale. L’occhio non riesce a vedere il 2% di ciò sta all’interno del campo visivo, a causa della conformazione dell’occhio. Il cervello supplisce a questa lacuna ricostruendo la realtà sulla base del 98% percepito ed incollandola laddove manca. Fa lo stesso anche con i nostri ricordi, emozioni e ragionamenti. La nostra visione/ricordo della realtà è sempre divergente da quella di chi è/era presente assieme a noi.  Non solo, siamo in grado di costruire una narrazione lineare della nostra vita anche se la memoria è come un groviera e migliaia di momenti obiettivamente importanti svaniscono dal nostro orizzonte, sostituiti da falsi ricordi. La trama complessiva che ci permette di credere di avere un’identità univoca e che dà un significato alla nostra esistenza è una menzogna, una storia inventata sulla base di fatti realmente accaduti da una psiche che, curiosamente, ha sviluppato un sistema di difesa dalla realtà: perché la verità fa male.

MITO: le nostre opinioni e decisioni sono basate sui fatti, sull’esperienza.
REALTÀ: la maggioranza delle persone crede di essere migliore della media, più sveglia, meno manipolabile. Eppure tutti possono essere facilmente ingannati dall’informazione manipolata e nessuno pensa ed agisce sulla base dei dati di fatto.
Questo diventa un problema enorme quando la persona che crede di essere obiettiva detiene molto potere.

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