Anche a causa del cattivo
giornalismo a livello nazionale, non mi sembra che ci sia ancora una chiara
percezione di quel che sta succedendo. Molti temono, giustamente, che stia per
arrivare la tempesta ma fanno finta di niente, come se ignorare il problema
potesse tenerlo a distanza. È una caratteristica della psiche umana che è stata
abbondantemente studiata. Potete partire da qui:
MITO: quando c’è un
disastro, l’istinto di sopravvivenza assume il controllo delle persone.
REALTÀ: nelle crisi la
gente tende a comportarsi in modo anormalmente calmo e finge che tutto sia a
posto.
Questo accade perché si
tende a classificare ogni cosa nuova all’interno di categorie normali,
normalizzandola. Per questo si reagisce in modo sorprendentemente banale.
Indipendentemente dagli avvertimenti, migliaia di persone rimangono sulla
traiettoria di un tornado pur avendo tutto il tempo di spostarsi e troppi di
loro ci lasciano la pelle. Lo sanno bene gli esperti di tornado, ma anche chi
calcola le perdite in caso di naufragio o di evacuazione di luoghi pubblici: moltissime
persone decidono che la forza della natura o comunque di un evento
straordinario li risparmierà e si fanno dominare da uno stato di quiete
“innaturale”. Quel che si vede nei film, con masse di persone che
istantaneamente si alzano e cominciano a correre urlando a squarciagola, non
corrisponde alla realtà.
Mark Svenvold, un
monitoratore di tornado, ha riferito di come le persone che tentava di
convincere a cercare riparo altrove, lungi dal seguire il consiglio di uno
specialista, si sforzavano di calmarlo e farlo restare lì con loro.
In caso di incidente aereo
dopo un atterraggio, i passeggeri, di norma, non scappano e non si accoccolano
in una posizione fetale, paralizzati dal terrore.
Nel 1977, per 20 minuti, a
causa della nebbia fittissima, i pompieri all’aeroporto di Tenerife si
concentrarono su un velivolo disintegrato, alla ricerca di superstiti, senza
sapere che un altro aeroplano, colpito nella collisione, era anch’esso in
fiamme, con decine di passeggeri ancora vivi a bordo. Quel che dovevano fare i
passeggeri ancora incolumi o feriti leggermente era togliere la cintura, salire
sull’ala intatta e poi saltare a terra. Esisteva una via di fuga ed alcuni
(70) la sfruttarono. Ma decine di altri passeggeri non lo fecero, neppure
quando videro gli altri che uscivano sani e salvi, e rimasero al loro posto
finché il serbatoio principale esplose e bruciarono vivi. Un superstite,
intervistato, ricorda che dovette urlare alla moglie di muoversi, perché era
istupidita, in uno stato di semi-trance. Più tardi la moglie rimpianse di non
aver fatto lo stesso con gli altri passeggeri, ma tutto quel che poté fare fu
seguire meccanicamente, semi-consciamente, le istruzioni e i movimenti del
marito. I loro amici rimasero immobili, come statue, e perirono.
John Leach, uno psicologo
all’Università di Lancaster, è uno specialista di queste reazioni emotive e
stima che circa il 75% delle persone sia incapace di pensare durante o
appena prima di una catastrofe. Il restante 25% si divide tra quelli che
reagiscono con una consapevolezza e determinazione a tratti sovrumana e quelli
che precipitano nel panico.
Gli studiosi ritengono che sia
più probabile la sopravvivenza di chi si prepara per lo scenario peggiore ed
arriva al momento cruciale avendo una certa idea di cosa sia meglio fare.
Agiscono quando gli altri cominciano a pensare a cosa dovrebbero fare, in
condizioni avverse al raziocinio. Gli impreparati sono quelli che subiscono più
facilmente il processo di normalizzazione dell’evento eccezionale, un
meccanismo che serve per tenere sotto controllo l’ansia: “tutto andrà bene!”.
In pratica si cerca di fare in modo che la realtà si conformi ai nostri
desideri: crediamo che tutto sia a posto perché vogliamo che sia così e ci
rifiutiamo di immaginare che certe cose terribili possano succedere proprio a
noi.
I sopravvissuti dell’11
settembre ricordano che nella discesa per le scale non c’era bisogno di fare
star calma la gente. Tutti scendevano tranquillamente, dopo aver preso tutte le
loro cose e aver telefonato ai famigliari, convincendosi l’un altro che non
c’era nulla da temere, come nel caso di molti tornado in avvicinamento. Si chiama
incredulità di riflesso: si recepiscono selettivamente le informazioni che
provengono dall’esterno per confermare il desiderio che non sta succedendo
nulla di male. Gli studiosi giapponesi, alle prese con catastrofici
terremoti hanno documentato abbondantemente il problema della sottovalutazione
della gravità degli eventi ed il suo costo in termini di vite umane.
LA SOLUZIONE? È opportuno
continuare ad inviare avvertimenti e delineare ipotetici scenari che,
gradualmente, possono diventare “normalizzati” e quindi essere assimilati e
diventare disponibili al momento giusto. Purtroppo, com’è facile immaginare, le
ondate di panico generate dai media e risoltesi in nulla di concreto, come lo
Y2K, l’aviaria, la suina, la SARS, ecc., fanno proliferare la normalizzazione
in una misura tale che l’effetto benefico si trasforma in uno svantaggio,
riducendo il livello di credibilità di chi trasmette le informazioni e
diffondendo incertezza, cosa che fa ripiombare nella condizione originaria.
MITO: sei consapevole di
quando menti a te stesso.
REALTÀ: spesso si
ignorano le nostre reali motivazioni e si creano storie fantasiose, come i
copioni di un film, che “spiegano” le decisioni, le emozioni e le vicende.
Come l’angolo cieco della
nostra visuale. L’occhio non riesce a vedere il 2% di ciò sta all’interno del
campo visivo, a causa della conformazione dell’occhio. Il cervello supplisce a
questa lacuna ricostruendo la realtà sulla base del 98% percepito ed
incollandola laddove manca. Fa lo stesso anche con i nostri ricordi, emozioni e
ragionamenti. La nostra visione/ricordo della realtà è sempre divergente da
quella di chi è/era presente assieme a noi. Non solo, siamo in grado di
costruire una narrazione lineare della nostra vita anche se la memoria è come
un groviera e migliaia di momenti obiettivamente importanti svaniscono dal
nostro orizzonte, sostituiti da falsi ricordi. La trama complessiva che
ci permette di credere di avere un’identità univoca e che dà un significato
alla nostra esistenza è una menzogna, una storia inventata sulla base di fatti
realmente accaduti da una psiche che, curiosamente, ha sviluppato un sistema di
difesa dalla realtà: perché la verità fa male.
MITO: le nostre opinioni
e decisioni sono basate sui fatti, sull’esperienza.
REALTÀ: la maggioranza
delle persone crede di essere migliore della media, più sveglia, meno
manipolabile. Eppure tutti possono essere facilmente ingannati
dall’informazione manipolata e nessuno pensa ed agisce sulla base dei dati di
fatto.
Questo diventa un problema enorme quando la persona
che crede di essere obiettiva detiene molto potere.
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