domenica 23 ottobre 2011

Indignamoci! / Indigniamoci!



Stéphane Hessel - "Indignez-vous!"


Innanzitutto, diamo un'occhiata al famoso pamphlet di Stéphane Hessel.
Credo abbia ormai 94 anni, ma non ha perso la combattività del suo passato partigiano. Nella prima parte, Hessel, in buona sostanza, dice: vi ricordate tutti i nobili principi che ci hanno aiutato a sconfiggere il nazismo? Li avete lasciati per strada? Non vi accorgete che sono stati traditi, che l’intolleranza, la xenofobia, l’autoritarismo, l’edonismo, la sperequazione, i monopolismi, l’attacco al welfare, la propaganda mediatica, hanno avuto la meglio? Perché non mostrate gli attributi e vi riprendete ciò che vi spetta? Ci si deve indignare e resistere di fronte alla falsità di una società in cui ci dicono che mancano i soldi per sostenere le conquiste del passato anche se la ricchezza nazionale è senza precedenti nella storia. Recuperate il lascito della Resistenza e dei suoi ideali contro la dittatura dei mercati finanziari che minacciano la pace e la democrazia. I diritti sono universali e se incontrate qualcuno che non ne ha beneficiato dovete protestare ed aiutarlo a conquistarseli.
Hessel sottolinea che per loro resistere era più facile, si trattava di contrastare un’occupazione straniera, di non accettare la sconfitta: era semplice come semplice fu combattere per la decolonizzazione (dice lui). Hessel precisa anche che lui si è sempre indignato nel corso della sua vita, ma per ragioni che avevano poco a che fare con l’emotività: era la volontà di impegnarsi che lo motivava [« Ma longue vie m’a donné une succession de raisons de m’indigner. Ces raisons sont nées moins d’une émotion que d’une volonté d’engagement »], un impegno nel nome della responsabilità che ciascun essere umano deve esercitare [« il faut s’engager au nom de sa responsabilité de personne humaine »]. L’atteggiamento peggiore, quello più disumanizzante e disumano, è quello del disimpegno, dell’indifferenza e dell’apatia, quello di chi dice : “non ci posso far niente, me la caverò” [« je n’y peux rien, je me débrouille »].
Hessel non aggira il problema della violenza. Da sempre critico dell’imperialismo sionista / colonialismo israeliano, così giudica il lancio di missili sui civili israeliani: “non servono alla causa ma si possono comprendere alla luce dell’esasperazione degli abitati di Gaza: in questo concetto di esasperazione si deve intendere la violenza come una conclusione spiacevole di situazioni inaccettabili per chi le subisce. Si può dunque affermare che il terrorismo è una forma di esasperazione e che questa esasperazione è un termine negativo. Allora non si dovrà esa-sperare, ma sperare. L’esasperazione è la negazione della speranza. È comprensibile, direi quasi naturale, ma non per questo accettabile. Perché non consente di ottenere i risultati che può produrre la speranza” [cf. B.H. Obama, “The Audacity of Hope” – NdR].
Sulla nonviolenza, scrive: “Sono persuaso che il futuro appartiene alla non-violenza, alla conciliazione delle diverse culture. È questa la via che l’umanità dovrà seguire per superare la sua prossima tappa. E qui, tornando a Sartre, non possiamo scusare i terroristi che lanciano le bombe, possiamo solo comprenderli. Nel 1947 Sartre scrive che la violenza, in qualunque forma si manifesti, è una sconfitta. Ma, dice, si tratta di una sconfitta inevitabile, perché il nostro è un universo di violenza. E se è vero che il ricorso alla violenza contro la violenza rischia di perpetuarla, è ugualmente vero che è l’unico mezzo per farla cessare. Ma io aggiungerei che la non-violenza è un mezzo più sicuro per farla cessare. Non possiamo appoggiare i terroristi come Sartre ha fatto in nome di questo principio durante la guerra d’Algeria, o in occasione dell’attentato alle Olimpiadi di Monaco nel 1972, commesso contro degli atleti israeliani. Non è efficace, e lo stesso Sartre alla fine della propria vita arriverà a interrogarsi sul senso del terrorismo e a dubitare della sua ragion d’essere. Dirsi «la violenza non è efficace» è di gran lunga più importante che sapere se bisogna o no condannare coloro che la praticano. Il terrorismo non è efficace. La nozione di efficacia deve contenere una speranza non-violenta”. Più oltre: “Dobbiamo renderci conto che la violenza volta le spalle alla speranza. Le dobbiamo preferire la fiducia, la fiducia nella non-violenza. È questa la strada che dobbiamo imparare a percorrere. Tanto da parte degli oppressori che da quella degli oppressi, bisogna arrivare a una trattativa per cancellare l’oppressione; e questo porterà alla scomparsa della violenza terrorista. Perciò non dobbiamo lasciare che si accumuli troppo odio. In un mondo che ha superato il confronto delle ideologie e il totalitarismo conquistatore, il messaggio di uomini come Mandela, o Martin Luther King, è assolutamente attuale. Il loro è un messaggio di speranza, speranza che le società moderne sappiano superare i conflitti attraverso una comprensione reciproca e una pazienza vigile. Per riuscirci occorre basarsi sui diritti; e la violazione di questi, non importa per mano di chi, deve provocare la nostra indignazione. Su questi diritti non si transige”.
Sull’insurrezione contro lo status quo e sul concetto di limite, scrive : “Il pensiero produttivistico promosso dall’Occidente ha trascinato il mondo in una crisi per uscire dalla quale è necessario rompere radicalmente con la vertigine del «sempre di più», sia in ambito finanziario sia in quello delle scienze e della tecnica. È ormai tempo che etica, giustizia ed equilibrio duraturo diventino preoccupazioni prioritarie. Perché i rischi cui siamo esposti sono gravissimi, e potrebbero mettere fine all’avventura umana su un pianeta che diventerebbe inabitabile”.
Così, infine, conclude: “In occasione del sessantesimo anniversario del programma del Consiglio Nazionale della Resistenza, l’8 marzo 2004, noi veterani dei movimenti di Resistenza e delle forze combattenti della Francia libera (1940-1945) dicevamo che certo «il nazismo è sconfitto, grazie al sacrificio dei nostri fratelli e sorelle della Resistenza e delle Nazioni Unite contro la barbarie fascista. Ma questa minaccia non è del tutto scomparsa, e la nostra rabbia contro l’ingiustizia è rimasta intatta». No, questa minaccia non è del tutto scomparsa. E allora, continuiamo a invocare «una vera e propria insurrezione pacifica contro i mass media, che ai nostri giovani come unico orizzonte propongono il consumismo di massa, il disprezzo dei più deboli e della cultura, l’amnesia generalizzata e la competizione a oltranza di tutti contro tutti». A quelli e quelle che faranno il XXI secolo, diciamo con affetto: «creare è resistere. Resistere è creare».


IL PROBLEMA DELLA PASSIONE IN POLITICA


Quando si parla di passione giovanile nell’arena politica credo sia bene tenere a mente che la leadership nazista era formata da appassionati trentenni, che assieme maturarono la loro “coscienza” e ideologia politica e assieme cercarono di distruggere tutto ciò che era ad essa antitetico, in quella che continuarono a chiamare Rivoluzione Nazional-Socialista fino alla fine. E se questo esempio può sembrare troppo estremo, al limite del caricaturale, aggiungerò allora che i fautori del Terrore che annientò quel che di ottimo c’era nella Rivoluzione Francese, ossia Robespierre, Danton e Saint-Just, erano molto giovani. I primi due erano trentenni e Saint-Just aveva 22 anni allo scoppio della Rivoluzione. Ghigliottinarono migliaia di critici per “salvare” la Rivoluzione che stavano uccidendo. Negli anni precedenti Robespierre era stato un vigoroso paladino del pacifismo, dell’abolizione della pena di morte, della tolleranza, della libertà di espressione e della democrazia (!!!). Tutto questo per dire che è nell’interesse di chi incarna lo status quo e lo vuole difendere fare in modo che certe passioni esasperate s’incanalino in certe direzioni piuttosto che in altre, direzioni che in genere sortiscono l’effetto contrario a quello previsto dai sinceri rivoluzionari con o senza il virgolettato. Non vedo perché stavolta le cose dovrebbero andare diversamente. Anzi, il rischio è ancora più grave, in quanto la scala è planetaria.

Quando dico che è nell’interesse dei paladini dello status quo incanalare le passioni in una certa direzione, mi riferisco alla direzione della violenza e dell’odio.
Per esempio la violenza e l’odio di Ernesto Che Guevara, quando dichiara, il 16 aprile 1967: “L'odio come fattore di lotta - l'odio intransigente contro il nemico - che spinge oltre i limiti naturali dell'essere umano e lo trasforma in una reale, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere. I nostri soldati devono essere così. Un popolo senza odio non può vincere un nemico brutale”.
O la violenza e l’odio di Suong Sikouen, assistente di Pol Pot, che ricorda: “la rivoluzione francese mi ha influenzato molto e in special modo Robespierre…Robespierre è il mio eroe. Robespierre e Pol Pot: entrambi hanno la medesima qualità di determinazione ed integrità”.
O la violenza e l’odio del summenzionato Robespierre, che fu responsabile della morte di circa 2600 uomini e donne, giustiziati tra il 1792 e il luglio del 1794, 2217 dei quali morirono nel corso dei suoi ultimi cinque mesi di vita. Questi morti non sono un dettaglio storiografico.
L'uso pubblico della storia e della memoria salvaguardano il pluralismo, pluralismo che, peraltro, non stava particolarmente a cuore ai giacobini, o a Machiavelli.
Il Terrore è stato il vero nemico della Rivoluzione, un fantastico regalo alle forze della reazione: non sono pochi gli studiosi che sospettano infiltrazioni mirate ad ottenere quel tipo di risultato. Sono cose già successe al tempo delle battaglie per i diritti civili e del terrorismo. Torneranno a succedere: Machiavelli docet!

Nonviolenza e autodifesa(aikido-style)


Per abbattere il sistema iniquo, predatorio e sfacciatamente parassitario nel quale viviamo occorre evitare una deriva violenta (se non per autodifesa) ed autoritaria del movimento degli indignati, perché questo allontanerebbe quei milioni di persone – donne, anziani, famiglie – che hanno tutto da perdere da quel tipo di svolta e del cui appoggio non si può fare a meno, perché alienerebbe qualunque potenziale simpatia da parte di chi, per il momento, si trova dall’altra parte della barricata, un po’ incerto sul da farsi, oltre, infine, a fornire mille pretesti per imporre misure draconiane di ordine pubblico.


Realismo: capacità di discernere la realtà dei fatti


Per evitare queste “complicazioni” serve realismo (realismo, non cinismo). Le passioni devono essere temperate dal raziocinio e dal discernimento, non certo eccitate dalle nostalgie leniniste, da passioni incontrollate o dal bisogno psicologico di riuscire ad ogni costo laddove altri hanno fallito. L’idealismo/ottimismo è autolesionistico, perché per sua natura non è obiettivo e chi trascura l’obiettività è sconfitto in partenza e porterà alla distruzione chi lo segue. Realismo significa anche capire che le idee piacciono molto agli intellettuali, che vivono in un mondo di idee (la noosfera), ma che la maggior parte delle persone, per fortuna, non ha bisogno di una grandiosa narrazione per poter vivere dignitosamente ed abbondantemente. Si accontenta di una ragionevole misura di libertà, sicurezza e giustizia e merita comunque il nostro rispetto, anche se ci sta un po’ o molto stretto. Questa sobrietà è un antidoto capace di contenere le pulsioni più distruttive dell’uomo, che sono amplificate proprio dalla mancanza di un saldo legame con la realtà (e dall’edonismo/narcisismo dei nostri tempi).

Quando le masse si muoveranno...

Finora la gente non si è ancora mossa, sono solo pochi ad essersi svegliati. Quando si muoverà non sarà difficile notarlo. Quando si muoverà sarà perché avrà capito che non ha più nulla da perdere, che lo status quo non offre più quel minimo di libertà, sicurezza e giustizia sociale che ritiene indispensabile. A quel punto tutto sarà possibile, nel bene e nel male.

Fase epocale della storia umana - sommersi o salvati?

Io nutro una grande fiducia in questo movimento: sono orgoglioso ed onorato di avere il privilegio di essere qui, oggi, in questa incredibile fase della storia umana, ma so anche che le “forze oscure” che controllano l’alta finanza e una buona fetta dell’informazione e della politica hanno un potere senza precedenti e che c’è bisogno di sangue freddo, circospezione e discernimento: non tutti gli amici sono sinceri (Soros/Krugman/Draghi/Barroso ecc. si schierano con Occupy Wall Street: è bene, è male?), non tutti i nemici sono avversari.
Come diceva qualcuno: “semplice come una colomba, ma astuto come un serpente”. Altrimenti finirà molto, ma molto male. La storia è lì a testimoniarlo.

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