lunedì 24 ottobre 2011

Massimo Fini - il pifferaio magico de' noantri



Il pifferaio di Hamelin era meno pericoloso di lui. Quanti lo seguiranno ipnotizzati dall'archetipo del distruttore/purificatore?
Qui il problema non è negare certi aspetti della natura umana - sono io per primo a riaffermarle, contro gli idealismi del pacifismo senza se e senza ma -, ma la scelta tra esaltarli e invece disciplinarli. Un conto è constatare l'esistenza di certi impulsi, un altro conto è incitare a dar libero sfogo ai medesimi. Nel primo caso si è persone di buona volontà, nel secondo si è miccia in quella che ormai sta diventando una polveriera. Mi pare che la selezione di testi che ho riportato di seguito illustri molto bene a che categoria appartenga Massimo Fini.
Nietzsche e Massimo Fini esaltano gli impulsi dionisiaci, li considerano nobili, forse perché non hanno mai compensato i loro istinti (ombra) e ora sono in preda ad un ego ipertrofico, ad uno squilibrio tra apollineo e dionisiaco in cui il secondo domina il primo, invece di mirare all'unione dei contrari.
Nietzsche è poi rimasto vittima delle sue psicosi: sarà interessante capire la sorte di Fini.
Per questo le loro esortazioni sono pericolose. Possono piacere solo a chi, finora, non si è mai trovato dalla parte che riceve le bastonate o a chi è vittima della medesima deriva egomaniaca.
Purtroppo non ho dubbi sul fatto che alla fine quelli come lui l'avranno vinta, perché le condizioni per una rivoluzione violenta e globale ci sono. Lui e quelli come lui sono solo la miccia. Ma io non sarò mai un loro complice.

*****
Jung su Nietzsche:
Il superuomo nietzscheano, per Jung, è solo un tentativo fallito di congiungere i contrari. Il suo errore è stato quello di non cercare il culmine in una espressione di interezza e unità, ma solo un’insoddisfacente unilateralismo. N. commette l’errore di identificare ego con il Sé e quindi con il superuomo, il che può solo condurre ad un’esplosione. N. elimina Dio e si fa paladino della finitezza, dell’essere umano come una sorgente di significato – deificazione dell’uomo e della sua corporeità. Corpo al di sopra lo spirito, conscio al di sopra dell’inconscio. Per Jung il superuomo è una proiezione della patologia di Nietzsche, il sintomo della sua neurosi che sfocia nella deflazione di ego e nella depressione, oppure nell’inflazione, la deificazione di ego: sovrastima della propria personalità. N. sovrastima la sua personalità, crea un legame indissolubile con l’umano, si conferisce prerogative divine, impazzisce. N. non riesce a superare la prima fase nello sviluppo del Sé. Non incorpora l’elemento negativo nell’unione dei contrari e promuove solo ciò che è forte e superiore. Più una persona soffre di un complesso di inferiorità e più avrà un atteggiamento aggressivo, da dominatore e più, conseguentemente, manterrà quel tipo di atteggiamento, più si sentirà inferiore. N. vocifera per impressionare gli altri, per dar mostra di sé, per far credere a tutti quanto sia superiore e speciale, per non far capire a nessuno quanto si senta inferiore. "Perché sono una fatalità?"; "Perché sono tanto saggio", "Perché sono tanto accorto", "Perché scrivo così buoni libri", "Io non sono un uomo, sono dinamite", "io sono per natura battagliero", è "Dioniso", è "l’Anticristo" è "il più grande filosofo della storia", è una persona sofferente, sconfitta dalla vita che cerca un riscatto nelle sue fantasie e merita il nostro rispetto, perché è successo a molti di noi.        



*****
"Eppure la guerra ha avuto un ruolo determinante nella storia dell'uomo. Sia dal punto di vista politico e sociale che, e forse soprattutto, esistenziale. Soddisfa pulsioni e bisogni profondi, in genere sacrificati nei periodi di pace. La guerra consente di liberare, legittimamente, l'aggressività naturale, e vitale, che è in ciascuno di noi. È evasione dal frustrante tran tran quotidiano, dalla noia, dal senso di inutilità e di vuoto che, soprattutto nelle società opulente, ci prende alla gola. È avventura. La guerra evoca e rafforza la solidarietà di gruppo e di squadra. Ci si sente, e si è, meno soli, in guerra. La guerra attenua le differenze di classe, di ceto, di status economico che perdono importanza. Si è tutti un po' più uguali, in guerra. La guerra, come il servizio militare, l'università, il gioco regolato, ha la qualità del tempo d'attesa, del tempo sospeso, la cui fine non dipende da noi, al quale ci si consegna totalmente e che ci libera da ogni responsabilità personale. La guerra riconduce tutto, a cominciare dai sentimenti, all'essenziale. Ci libera dall'orpello, dal superfluo, dall'inutile. Ci rende tutti, in ogni senso, più magri. La guerra conferisce un enorme valore alla vita. Per la semplice ragione che è la morte a dare valore alla vita. Il rischio concreto, vicino, incombente, della morte rende ogni istante della nostra esistenza, anche il più banale, di un'intensità senza pari. Anche se è doloroso dirlo la guerra è un'occasione irripetibile e inestimabile per imparare ad amare ed apprezzare la vita".

Massimo Fini, “Elogio della guerra”, Marsilio, 1999.


*****

"Io sto con gli ultras. Anche quelli violenti di Bergamo. Perché mi paiono gli unici ad aver voglia ed energia di rivolta in un Paese in cui i cittadini si fan passare sopra ogni sorta di abusi, di soprusi e di autentiche violenze sempre chinando la testa. Sudditi. Nient’altro che sudditi". 

Massimo Fini, www.ilfattoquotidiano.it/ 29.08.2010



*****
 
"Le donne sono una razza nemica. Bisognerebbe capirlo subito. Invece ci si mette una vita, quando non serve più. Mascherate da “sesso debole” sono quello forte. Attrezzate per partorire sono molto più robuste dell’uomo e vivono sette anni di più, anche se vanno in pensione prima. Hanno la lingua biforcuta. L’uomo è diretto, la donna trasversale. L’uomo è lineare, la donna serpentina. Per l’uomo la linea più breve per congiungere due punti è la retta, per la donna l’arabesco. Lei è insondabile, sfuggente, imprevedibile. Al suo confronto il maschio è un bambino elementare che, a parità di condizioni, lei si fa su come vuole. E se, nonostante tutto, si trova in difficoltà, allora ci sono le lacrime, eterno e impareggiabile strumento di seduzione, d’inganno e di ricatto femminile. Al primo singhiozzo bisognerebbe estrarre la pistola, invece ci si arrende senza condizioni. Sul sesso hanno fondato il loro potere mettendoci dalla parte della domanda, anche se la cosa, a ben vedere, interessa e piace molto più a lei che a lui. Il suo godimento – quando le cose funzionano – è totale, il nostro solo settoriale, al limite mentale (“Hanno sempre da guadagnarci con quella loro bocca pelosa” scrive Sartre). La donna è baccante, orgiastica, dionisiaca, caotica, per lei nessuna regola, nessun principio può valere più di un istinto vitale. E quindi totalmente inaffidabile. Per questo, per secoli o millenni, l’uomo ha cercato di irreggimentarla, di circoscriverla, di limitarla, perché nessuna società regolata può basarsi sul caso femminile. Ma adesso che si sono finalmente “liberate” sono diventate davvero insopportabili. Sono micragnose, burocratiche, causidiche su ogni loro preteso diritto. Han perso, per qualche carrieruccia da segretaria, ogni femminilità, ogni dolcezza, ogni istinto materno nei confronti del marito o compagno che sia, e spesso anche dei figli quando si degnano ancora di farli. Stan lì a “chiagne” ogni momento sulla loro condizione di inferiorità e sono piene zeppe di privilegi, a cominciare dal diritto di famiglia dove, nel 95% dei casi di separazione, si tengono figli e casa, mentre il marito è l’unico soggetto che può essere sbattuto da un giorno all’altro sulla strada. E pretendono da costui, ridotto a un bilocale al Pilastro, alla Garbatella, a Sesto San Giovanni, lo stesso tenore di vita di prima. Non fan che provocare, sculando in bikini, in tanga, in mini (“si vede tutto e di più” cantano gli 883), ma se in ufficio le fai un’innocente carezza sui capelli è già molestia sessuale, se dopo che ti ha dato il suo cellulare la chiami due volte è già stalking, se in strada, vedendola passare con aria imperiale, le fai un fischio, cosa di cui dovrebbero essere solo contente e che rimpiangeranno quando non accadrà più siamo già ai limiti dello stupro. Basta. Meglio soddisfarsi da soli dietro una siepe".
Massimo Fini, il Fatto Quotidiano del 27 marzo 2010

REPLICA ALLE ACCUSE DI MISOGINIA

Ho scritto che le donne “sono una razza nemica”. Non mi sono mai sognato di dire che siano inferiori a chicchessia. Se la lettrice Cristina Di Bortolo avesse letto il mio articolo con “un minimo di cervello” avrebbe capito che, al contrario, considero la donna, meglio: la femmina, molto più vitale del maschio. È lei, che procrea, la protagonista del gran gioco della vita (quello reale, non quello virtuale) mentre il maschio è un fuoco malinconico e transeunte animato da un oscuro istinto di morte (“La donna è orgiastica, baccante, dionisiaca, caotica, per lei nessuna regola, nessun principio può valere più di un istinto vitale”).

La donna è la vita, l’uomo è la legge, la regola, il rigore, la morte (il contrasto tra Antigone e Creonte in Sofocle). Non a caso nella tradizione kabbalistica, e peraltro anche in Platone, quando l’Essere primigenio, dopo la caduta, si scinde in due la Donna viene definita “la Vita” o “la Vivente” mentre l’Uomo è colui che “è escluso dall’Albero della Vita”. È per riempire questo vuoto, per sopperire a questa impotenza procreativa (“l’invidia del pene” è una sciocchezza freudiana), che l’uomo si è inventato di tutto, la letteratura, la filosofia, la scienza, il diritto, il gioco regolato e il gioco di tutti i giochi, la guerra, che però oggi ha perso quasi tutto il suo fascino perché affidata alle macchine e anche perché in campo han voluto entrare pure le stronzette che pretendono di fare i soldati e vogliono fare, con i loro foularini, le corrispondenti di guerra (Ma state a casa, cretine, a fare figli. L’interesse della donna per la guerra è una perversione degli istinti.

La donna, che dà la vita, non ha mai amato questo gioco di morte, tipicamente maschile. Ma ormai così è: le più assatanate guerrafondaie di questi ultimi anni sono state la Albright, Emma Bonino e quella pseudodonna e pseudonera di Condoleezza Rice). Della vitalità della donna fa parte anche la sua curiosità. Che può avere conseguenze catastrofiche. Ma è mai possibile che con tutte le mele che c’erano lei sia andata a mangiare proprio quella che Domineiddio aveva proibito? (da lì sono cominciati tutti i nostri guai, porca Eva).

Comunque sia è vero che da quando si sono “liberate” si sono appiattite sul maschile, diventandone una parodia, e insieme alla femminilità hanno perso anche il loro fiore più falso e più bello, il pudore, per il quale valeva la pena, appunto, di corteggiarle. Han perso la sapienza delle loro nonne alle quali bastava far intravedere la caviglia. Rivestitevi, sciocchine. All’uomo non interessa la vostra nudità, ma scartocciare, lentamente, la colorata e inquietante caramella anche se, alla fine, c’è sempre la solita, deludente, cosa. In quanto a Lisistrata, cara Truzzi, il suo sciopero del sesso fallì completamente. Perché le spose dei guerrieri continuarono a fare i consueti lavori di casa. Essere accuditi senza nemmeno avere l’obbligo di scoparle: l’Eden ritrovato. Inoltre ogni maschio bennato di fronte alla scelta fra la donna e la guerra non ha dubbi: sceglie la guerra (e persino il calcio, che ne è una metafora). La lettrice Roberta Pesole mi confonde con quei nove milioni di uomini che, dice, vanno a puttane.

Posso rassicurarla, nel mio “Di(zion)ario erotico-Manuale contro la donna a favore della femmina” ho scritto “pagare una donna per fare l’amore, c’è qualcosa di più insensato? Ma come, io faccio la fatica di scoparti e ti devo pure pagare? Ma siamo diventati matti?”. Infine nella mia vita ho conosciuto molte donne intelligenti, ironiche e anche autoironiche. Ma nessuna che non fosse permalosa. Come la valanga di insulti che mi è stata rovesciata addosso dimostra.

Massimo Fini, il Fatto Quotidiano del 3 aprile 2010



******


"Non è più il tempo delle parole. È venuto quello della violenza. Non intendo, naturalmente, la violenza terroristica. Del terrorismo ne abbiamo avuto abbastanza, in Italia, negli anni Settanta e nei primi Ottanta, un terrorismo favorito dall’inerzia e a volte dalla complicità, soprattutto di una parte del Partito socialista, della classe dirigente che non fece nulla per combatterlo finché uccideva  agenti di custodia, vigili urbani, operai, baristi, e si svegliò solo dopo il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro quando si rese conto che anche i propri esponenti, e non solo cittadini comuni, potevano esserne colpiti. Oltretutto quel terrorismo cavalcava un’ideologia morente, il marxismo-leninismo, che si sarebbe dissolto di lì a pochi anni col crollo dell’Unione Sovietica. In ogni caso il terrorismo, oltre a rafforzare le classi dirigenti che dice di voler combattere, non è moralmente accettabile se non quando si rivolge contro truppe straniere che occupano il territorio nazionale, come avviene in Afghanistan e come fu quello della resistenza italiana peraltro ininfluente, a differenza di quella afgana, dal punto di vista militare.
La violenza di cui parlo qui è quella di massa, non armata ma disposta a lasciare sul terreno qualche morto, com’è stata quella tunisina che nel giro di due soli giorni ha spazzato via il dittatore Ben Alì.
La violenza di massa, di popolo, è giustificata, anzi resa necessaria, da tre elementi. Il primo è generale. Gli altri due riguardano precisamente l’Italia.

1) La democrazia rappresentativa, come credo di aver dimostrato in “Sudditi. Manifesto contro la democrazia”, non è la democrazia, ma un sistema di oligarchie, politiche ed economiche, che schiacciano il singolo, colui che conserva quel tanto di rispetto di sé, dal rifiutare gli umilianti infeudamenti a una di queste mafie, e che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia, se esistesse davvero, e ne diventa invece la vittima designata.
2) Nelle altre democrazie occidentali questa sostanza di fondo viene mascherata con un rispetto delle forme della democrazia. Non è molto, ma è perlomeno qualcosa perché, come diceva La Rochefoucauld, “l’ipocrisia è il prezzo che il vizio paga alla virtù”. In Italia sono saltate anche le forme della democrazia. Si accetta, come cosa naturale, che delinquenti, criminali, troie siano i nostri cosiddetti rappresentanti. E la nostra libertà si riduce a scegliere, ogni cinque anni, da quale delinquente o puttana preferiamo essere comandati. Che questa classe dirigente, di maggioranza ma anche di opposizione, non faccia più nemmeno finta di occuparsi del bene collettivo ma pensi solo ad autoperpetuarsi lo si è visto con chiarezza in questa crisi economica. È stato tutto un azzuffarsi per scaricarsi l’un l’altro responsabilità che sono, sia pur in misura diversa, di tutti e per ritagliarsi ulteriori microfettine o macrofettone di potere.
Mentre agli italiani, anche e soprattutto a quelli che hanno lavorato onestamente tutta una vita, si chiedevano altri sacrifici, costoro si tenevano ben stretti i propri privilegi. Noi, per questa classe di parassiti profumatamente pagati per non fare assolutamente nulla, come i nobili dell’ancien régime, non siamo che asini al basto, pecore da tosare.
1)
Poi c’è il fenomeno Berlusconi. Un presidente del Consiglio che definisce il Paese che ha governato per dieci anni “un Paese di merda” non lo si era ancora mai visto, sotto nessuna latitudine. Ci aspettavamo quindi un sussulto, un soprassalto di dignità da parte degli italiani. Non per un malinteso senso di orgoglio nazionale, ma perché, quell’espressione offende tutti noi, uomini e donne, singolarmente presi, dandoci dei “pezzi di merda”. Ci aspettavamo quindi che gli italiani scendessero in strada, non per il solito e inconcludente sciopero alla Camusso, ma per dirigersi, con bastoní, con randelli, con mazze da baseball, con forconi verso la villa di Arcore o Palazzo Grazioli o qualsiasi altro bordello abitato dall’energumeno, per cercare di sfondare i cordoni di polizia e l’esercito privato da cui, come un signorotto feudale, si fa proteggere, per dargli il fatto suo. Invece la cosa, di una gravità inaudita, è passata come se nulla fosse. Anzi sul sito del Corriere della Sera Pierluigi Battista ha difeso Berlusconi affermando che dire che “l’Italia è un Paese di merda” non è reato.
Che c’entra? Non tutte le cose che hanno rilevanza politica sono reati. Se un premier dicesse “da oggi tutti gli stipendi sono dimezzati” nemme-
no questo sarebbe un reato, ma non per ciò i cittadini perderebbero il diritto di difendersi. Fino a quando tollereremo che questo mitomane schizoide, questa faccia di bronzo, questa faccia di palta, questa faccia
di merda, questo corruttore di magistrati, (nessuno crederà, sul serio, che Prevìti abbia pagato in proprio il giudice Metta per “aggiustare” il Lodo Mondadori a favor di Fininvest), corruttore di testimoni (Mills), corruttore della Guardia di Finanza, concussore della polizia (caso Ruby), creatore dí colossali “fondi neri”, campione dell’evasione e dell’”elusione”, ci insulti impunemente e altrettanto impunemente violi quelle leggi che noi cittadini siamo chiamati invece a rispettare?
Ma, in fondo, Berlusconi è utile. Perché, con la sua arroganza, con la mancanza di qualsiasi prudenza, smaschera la sostanza della democrazia, di qualsiasi democrazia: impunità per i membri delle oligarchie dominanti, “in galera subito e buttare via le chiavi” per i reati da strada che son quelli commessi dai povericristí.
La solita, vecchia, cara, schifosa giustizia di classe.
Le democrazie rappresentative vanno quindi abbattute. E non è affatto necessario, come le oligarchie dominanti vogliono far credere per poter continuare a ruminare in tranquillità i propri privilegi, che siano seguite da dittature. Sí può pensare a sistemi comunitari, a una sorta dì feudalesimo senza feudatari, o ad altro. Comunque cominciamo a liberarci di questo sistema. Ciò che verrà dopo si vedrà. Quello che non è più possibile tollerare è continuare a star seduti, come se nulla fosse, su una truffa che dura da due secoli".
Massimo Fini, editoriale de Il Ribelle, n. 35/36 autunno 2011


*****
"Alessandro Magno catturò un pirata che infestava i mari. E civilmente, come usava in quei tempi barbari che non conoscevano ancora la "cultura superiore" né gli odierni "eroi della libertà" che si fan liberare dalle armi straniere e poi si dedicano al linciaggio sotto gli occhi compiaciuti del mondo intero o alla caccia sistematica al nero, gli concesse l'ultima parola prima di impiccarlo. Il pirata disse: "Vedi Alessandro, noi due facciamo le stesse cose. Solo che io le faccio con trecento uomini e tu con trecentomila. Per questo io sono un pirata e tu un grande Re".

I cinquecento che l'altra domenica hanno messo "a ferro e fuoco" Roma sono oggi, oggettivamente, dei teppisti, ma se diventassero cinque milioni sarebbero dei rivoluzionari, come è accaduto in Tunisia dove una rivolta violenta ma non armata ha cacciato in due giorni il dittatore Ben Alì

E il coro unanime di indignazione, da destra a sinistra, dai fascisti mascherati del PDL, ai fascisti propriamente detti come Ignazio La Russa (che nel 1974 organizzò a Milano una manifestazione dove due giovanissimi militanti dell'MSI, Murelli e Loi, uccisero un poliziotto buttandogli una bomba sul petto) all'estrema sinistra, ai sindacati, ai Pierluigi Battista che in sintonia col premier ha lanciato il diktat "chi non si dissocia anarcoinsurrezionalista è", al Presidente Napolitano, dimentico che era già un alto dirigente del PCI quando il suo sodale Secchia preparava la rivolta armata, significa proprio questo: il timore di questa classe dirigente, che ha la coscienza sporca e nera come la pece, che quei cinquecento decerebrati, smaniosi di distruggere tanto per distruggere, possano diventare cinque milioni che decerebrati non sarebbero.

Nei giorni successivi ai fatti ero a Roma, "la capitale ferita", e parlando con amici, conoscenti, taxisti, personale d'albergo, gente incontrata al bar non ho notato una dissociazione così netta dai teppisti, ma un'oscura, sottaciuta, vergognosa soddisfazione. Come se quell'esplosione di violenza li avesse vendicati, anche se per interposta persona, dalle umiliazioni, dalle frustrazioni, dal senso di impotenza che il cittadino subisce ogni giorno. Il fatto è che è diventato sempre più difficile tenere le mani a posto, facendo un tremendo sforzo su se stessi, assistendo quotidianamente allo spettacolo di una classe dirigente, politica, economica, intellettuale, autocostituitasi in una nuova oligarchia nobiliare, con noi cittadini normali retrocessi a sudditi, senza dignità e senza onore, pecore da tosare, asini al basto ad uso di "lorsignori", che mentre "la città brucia" (non Roma, l'Italia), continua nelle solite manfrine, nei soliti giochetti, nelle solite sordide lotte di potere senza tenere in minimo conto quel "bene comune" con cui si sciacqua quotidianamente la bocca.

Certo che ci vorrebbero, noi del ceto medio, buoni, civili, educati, rispettosi delle buone maniere, come siamo sempre stati, per poter ruminare in tranquillità i propri privilegi. Ma, come tutte le cose, anche la pazienza ha un limite. E, come dice la Bibbia: "terribile è l'ira del mansueto" o, per dirla più modernamente con Peckinpah del “Cane di paglia". Ed è proprio questo che i politici, gli economisti, gli intellettuali ben sistemati nel regime, temono. Ma questo vulcano che potrebbe esplodere da un momento all'altro è un fatto. Un fatto che si misura attraverso la violenza patetica di tutti i discorsi che vorrebbero cancellarlo".


Massimo Fini, il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2011

Commento di un lettore:


"Vede un cittadino onesto che decide per un qualche gesto "rivoluzionario" mira all'obbiettivo che si è posto, o che si è prefissato in comunione d'intenti l'intero gruppo di cittadini stufi, in questo caso la famigerata casta. Quanto detto avviene SENZA mettere a ferro e fuoco macchine, vetrine, cassonetti, case private, facciate di edifici privati, ecc., la cui proprietà è poi casuale e certamente slegata dall'obbiettivo preposto. Casomai il suddetto cittadino esercita eventualmente tutta la rabbia e/o la violenza che ritiene necessaria contro il nemico che si è prefissato, cioè lo stato divenendo così, e accollandosi le conseguenze ...diciamo un rivoluzionario. Al contrario un teppista, una bestia, un vandalo è e resta tale a prescindere dal numero, poi che i vandali siano 500 oppure cinque milioni ha un effetto di sicuro sull'entità dei danni, sulla programmazione becera delle tv, su tutta quella carta stampata finanziata dallo stato, ecc, ecc, ma finisce lì. Infatti se mai dovesse esserci un effetto "sociale" su quanto già detto non si tratterebbe di rivoluzione ma di anarchia, non le pare?"
 
*****
 
Massimo Fini sulla sorte di Nietzsche: "Il capitolo finale del libro è dedicato alle ipotesi sulla follia di Nietzsche, che possono dare indicazioni anche sulla sua vicenda culturale. Una tesi molto in voga fu quella di una sifilide con complicazioni nervose. In realtà tutto lascia pensare che Nietzsche fosse sessualmente inibito e la possibilità che abbia avuto rapporti con prostitute, pur non essendo impossibile, pare poco probabile. Sulla sessualità di Nietzsche l’unica testimonianza è quella relativa al celebre episodio del bordello di Colonia: quando studiava all’università Nietzsche fu introdotto a sua insaputa in una casa di tolleranza ma, anziché scegliere una ragazza, si diresse al pianoforte e accennò qualche accordo, poi se ne andò fra la costernazione delle giovani prostitute. Questo episodio ha dato il via a una serie di ipotesi decisamente fantasiose, tanto più che le cartelle cliniche di Nietzsche non mostrano i segni più caratteristici della sifilide. La tesi della sifilide probabilmente ha avuto grande seguito perché corrispondeva a certi stereotipi di scrittori maledetti molto in voga a fine ‘800. L’ipotesi più plausibile sulla causa della follia è che Nietzsche non abbia retto all’enorme tensione intellettuale che si era accumulata in lui: per molto tempo il suo disagio si manifestò in forme somatizzate, poi il suo cervello è andato in pezzi e lo ha fatto all’improvviso, in un solo schianto".
http://www.centrostudilaruna.it/massimo-fini-su-nietzsche.html.

Nessun commento: