lunedì 24 ottobre 2011

Dove sta andando l'Ungheria? Dove sta andando l'Europa?


non siamo riusciti a creare una tradizione intellettuale in cui le persone pensano con la propria testa. Operiamo solo collettivamente. Parliamo al plurale, come Serbi. È spaventoso, specialmente tra i giovani. Ci vorranno anni prima di potersi liberare di questo virus.

Obrad Savic, uno dei leader dell’opposizione a Milosevic.


 All'immagine di un male banale ma contagioso ed epidemico Rumiz affianca quella di un bene ingenuo e cieco, di un bene imbecille e infermo che ha il pericoloso difetto di non saper fiutare il pericolo. Egli sottolinea, da questo punto di vista, come sia molto rischioso continuare a parlare di integrazione, di convivenza in Europa solamente a livello retorico, “nella beata ignoranza dei meccanismi della disintegrazione”. Nel suo “Maschere per un massacro” Rumiz ha insistito molto su questo aspetto, sottolineando che tutte le mosse preparatorie del conflitto in Bosnia si sono svolte in gran parte alla luce del sole, e che nonostante questo la maggioranza delle persone fino all'ultimo non voleva credere che l'efferatezza potesse scatenarsi tra di loro. "La velocità impressionante della pulizia etnica fu resa possibile non solo dalla sua lunga, meticolosa preparazione, ma anche da questa incredulità delle vittime e della gente in generale. Non esiste prova migliore, forse, che la Bosnia non è stata distrutta dall'odio - come fa comodo a troppi supporre - ma da una diffusa ignoranza dell'odio". Paradossalmente, racconta Rumiz, a Sarajevo è la "piccola criminalità" a fiutare prima l'arrivo della guerra e organizzare un minimo di difesa perché più consapevole delle possibilità e dei meccanismi del male e della violenza. […] Riprendendo l'intuizione di Rumiz, l'insegnamento che ci viene dall'esperienza balcanica è che ciò che ci trasforma in carne da cannone è lo stesso imbonimento, la stessa inerte apatia, la stessa acquiescenza che ci porta a seguire tutti lo stesso programma televisivo, o a comprare lo stesso prodotto reclamizzato, o a votare in massa il primo pagliaccio che scende in campo promettendoci di risolvere tutti i nostri problemi se solo acconsentiamo ad affidargli un po' più di potere.

Marco Deriu, 2005, pp. 66-68.


Essere un democratico significa innanzitutto non aver paura di chi ha opinioni diverse, di chi parla lingue diverse, di chi appartiene ad un’altra razza

Istvàn Bibò



L’Ungheria si trova a 300 chilometri circa da Trieste e 500 da Innsbruck.


Oggi in Ungheria si vendono magliette che chiedono la revisione del Trattato del Trianon (1920) che spezzò l’Ungheria in diversi tronconi, assegnati a Croazia, Slovacchia, Romania, Ucraina, paesi che si ritrovarono a governare delle consistenti minoranze magiare.


Viktor Orbán, primo ministro ungherese tra il 1998 ed il 2002, è stato rieletto nel 2010. È il leader di Fidesz, un partito liberista, nazionalista ed etnopopulista. Il suo primo atto di governo è stato quello di ordinare che sugli edifici pubblici fossero affissi manifesti con la scritta: “nella primavera del 2010 la nazione ungherese raccolse ancora una volta le sue forze e mise in atto una rivoluzione nei seggi elettorali”. Lo slogan del partito: “lavoro, casa, famiglia, salute e ordine”. Tra le varie misure poste in atto dal suo governo: l’appropriazione della pensioni private, il restringimento dei poteri della corte suprema, la creazione di una commissione sull’informazione composta da simpatizzanti del partito che possono sanzionare con multe salate chi si macchia del fumoso crimine di “offesa alla dignità umana”. Il governo di Orbán ha smantellato una serie di fondazioni pubbliche, da quelle che curano la traduzione di opere letterarie ungheresi (troppo poco nazionaliste ed etniciste, o “addirittura” critiche, quelle che possono interessare il pubblico straniero), a quelle che si occupano della tutela e sostegno dei Rom, dei disabili e dei senzatetto. Persino l’associazione che studia l’insurrezione del 1956 è stata soppressa con il taglio dei fondi, a causa della sua indipendenza di ricerca. Le fondazioni ed associazioni che invece minimizzano il ruolo ungherese nell’olocausto e presentano la storia ungherese come quella di una monolitica lotta contro il comunismo, godono di ottima salute e beneficiano di laute sovvenzioni. Le restrizioni a possibili futuri emendamenti, nomine di partito ad incarichi che potranno essere mantenuti per anche 12 anni, esclusione dei partiti minori e disposizioni che stabiliscono che numerose leggi, incluse le manovre economiche debbono essere approvate con una maggioranza di due terzi, consentiranno a Fidesz di mantenere il potere anche in caso di disfatta alle prossime elezioni, o comunque di ostacolare efficacemente l’azione di un diverso governo. Il partito al potere ha in pratica fossilizzato una profonda frattura in seno alla società magiara, rendendola insanabile.  


Il nuovo testo costituzionale, che entrerà in vigore il 1 gennaio 2012, è stato approvato con 262 voti a favore, 44 contrari, un’astensione e 79 membri dell’opposizione che si sono rifiutati di presenziare alla votazione.  È stato votato da un parlamento dominato per i due terzi dal partito Fidesz (che però ha superato appena il 50% dei voti). La nuova “legge fondamentale dello Stato” è un’ampia revisione della costituzione, in senso anti-democratico, ufficialmente resa necessaria dall’imperativo morale di lasciarsi alle spalle il comunismo: omettendo però di dire che dal 1989 in poi è stata riformata in misura così radicale che, scherzosamente, si dice che l’unico residuo della vecchia costituzione è “Budapest è la capitale dell’Ungheria”. Il partito al potere ha superato la metà dei consensi all’elezioni perché il precedente governo era manifestamente corrotto: non ha dunque ricevuto alcun mandato a rivoluzionare la politica e la società ungherese in senso autoritario, integralista, etno-nazionalista e liberista, inserendo nella carta costituzionale un preambolo che è una sorta di credo nella nazione, nell’etnia, nella fede cristiana e nel loro grandioso destino. Questo preambolo dichiara di riconoscere “il ruolo del Cristianesimo nella tutela della nazionalità" e stabilisce che il popolo ungherese è “orgoglioso del fatto che mille anni fa il suo re, Santo Stefano, eresse lo stato ungherese su solide fondamenta, rendendo la nazione parte dell’Europa cristiana”. Questo senza fare alcuna menzione dell’enorme comunità giudea e del suo inestimabile contributo alla civiltà magiara. Nell’articolo II si legge che “la vita del feto è protetta dal momento del concepimento”, ma per ora non è prevista una legge che vieti l’aborto [articolo II]. La famiglia è “la base per la sopravvivenza della nazione” e il matrimonio è “l’unione tra uomo e donna”, il che esclude famiglie monoparentali, coppie conviventi e coppie dello stesso sesso [articolo K]. La “fonte del potere pubblico è il popolo” [Articolo B]. L’Ungheria si riserva il dovere di farsi carico del destino degli Ungheresi che vivono al di fuori dei propri confini, “guidata dal principio di una singola nazione ungherese” [articolo D]. L’Italia applica una simile legislazione ai discendenti di italiani residenti all’estero, ma è difficile immaginare che l’attuale governo ungherese sarà disposto ad applicarlo agli Israeliani ed ai Rom di discendenza magiara. In fondo, nella nuova costituzione, la dicitura “Repubblica Ungherese” è scomparsa, sostituita da “Paese Magiaro” (Magyarorszàg).


La famiglia è l’architrave della nazione e quindi non sorprende che in parlamento si sia formulato il progetto di concedere un voto supplementare alle madri, cioè di farlo pesare doppio, come se il figlio già contasse come elettore, o come se la loro scelta di maternità meritasse un premio. Sono molte le domande che viene spontaneo porsi. Ciò servirà a migliorare la qualità della democrazia in Ungheria? Perché le donne senza figli dovrebbero essere discriminate rispetto a quelle con figli? Che dignità si conferisce alla donne se le si considera migliori in quanto madri mentre si effettuano tagli allo stato sociale che si ripercuoteranno principalmente su di loro? Infine, perché il resto dei cittadini dovrebbe subire una misura che genera rivalità e divisioni e compromette il principio di uguaglianza di tutti i cittadini, lo stesso che ha permesso alle minoranze di essere riconosciute come cittadini ungheresi alla pari degli altri? La proposta è stata respinta anche perché ostacolata dal timore che i Rom, che in genere hanno più figli della media, possano acquistare più voti.


La xenofobia è endemica in certe fasce di popolazione e non è più dissimulata. Robert Alföldi, direttore del Teatro Nazionale di Budapest, è stato sottoposto a continui attacchi da parte dei militanti del movimento di estrema destra Jobbik - “Movimento per un’Ungheria Migliore”, antisemita e anti-Rom, che negli ultimi anni ha ottenuto una percentuale di voti che oscilla tra il 12 ed il 17% -, perché “ebreo, checca e pervertito”.


Giorgio Pressburger, che ha origini magiare, ha condiviso la sua amarezza ed inquietudine con i lettori del Corriere della Sera (“Quei fantasmi dell’intolleranza che si alzano dalla mia Ungheria”, 20 aprile 2011):   


L’Europa a poco a poco sta diventando di nuovo un ricettacolo di fantasmi. Fantasmi nuovi e vecchi si aggirano per le nostre città, nelle nostre strade, nelle nostre case. E anche nella nostra mente. Chi avrebbe creduto, fino a quindici, vent’anni fa di sentir risuonare vecchie marce che incitano all’odio, parole d’ordine che toccano i toni del forsennato razzismo, del becero disprezzo per gli altri, per chi non siamo noi? Chi noi? I membri della nostra Nazione, della nostra Regione, città, del nostro quartiere, pianerottolo. C’è una tendenza a esaltare tutte le forme di egoismo. Tutto questo succede nel nostro Paese, sul nostro Continente. Su quel Continente, sul quale duemilacinquecento anni fa è nata la democrazia. E anche se certi slogan che risuonano oggi in Ungheria come in Finlandia, simili a quelli di alcuni nostri partiti, che incitano al volgare disprezzo (föra di bal) possono suonare soltanto come battute elettorali, pure fanno sorgere dalla terra, dai soffitti delle case, dagli scantinati, vecchi fantasmi macabri, fantasmi di morte. In Ungheria come da noi. Chi, come me, in questi Paesi, ha visto la propria famiglia sterminata dai nazisti tedeschi e anche da quelli casalinghi, a sentire il vocìo di questi fantasmi, non può restare indifferente”.


Non è solo l’Ungheria ma l’intera Europa dell’Est ad essere in preda a convulsioni cripto-fasciste, con venature neonaziste, come tra i veterani lituani delle SS, che sfilano al passo dell’oca. Società che erano avviate sulla strada di una sempre maggiore apertura, si stanno chiudendo. In Slovacchia si intende incentivare la sterilizzazione delle fasce più povere della popolazione – in particolare i nomadi – come ai tempi delle campagne eugenetiche del secolo scorso.

LINK UTILI:
http://fanuessays.blogspot.com/2011/10/psicopatici-al-potere-conoscerli-per.html.

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