mercoledì 19 ottobre 2011

Madre Teresa e la violenza della fede




Ero arrivato alla conclusione che Madre Teresa di Calcutta fosse non tanto un'amica dei poveri quanto un'amica della povertà. Lodava la povertà, la malattia e la sofferenza come doni dall'alto, e diceva alle persone di accettare questi doni con gioia. Era adamantinamente contraria alla sola politica che abbia mai alleviato la povertà in tutte le nazioni – e cioè dare potere alle donne ed estendere il loro controllo sulla propria fertilità.
Christopher Hitchens

Il servizio evangelico ai più poveri dei poveri compiuto da Madre Teresa ha dato al mondo una stimolante lezione di compassione e di amore autentico nei confronti del nostro prossimo che è nel bisogno. Questa carità e questo sacrificio di sé, è una sfida per il mondo, un mondo ormai troppo avvezzo all'egoismo e all'edonismo, avido di denaro, di prestigio e di potere.
Papa Giovanni Paolo II

Indipendentemente dai giudizi che uno vuole dare sulla sua vita e sulle sue opere, Madre Teresa è stata una figura straordinaria che, pur avendo perso la fede, con grandissima abnegazione ha permesso ad altre migliaia di consorelle di assolvere la propria vocazione. Oggi è un punto di riferimento per molti di coloro che si occupano di solidarietà al cosiddetto Terzo Mondo. Proprio per questa ragione è importante capire come al successo delle sue attività si contrapponga il suo, dolorosissimo, forse immeritato fallimento personale. Nel 2008 sono state raccolte e messe sul mercato italiano le lettere e gli scritti precedentemente inediti di Madre Teresa che, a dire il vero, lei stessa aveva espressamente richiesto di non rendere pubblici (Madre Teresa, 2008). Ho ritenuto di inserire una disamina della sua vicenda terrena perché, dopo averli letti, non posso che dare ragione al suo consulente spirituale, Brian Kolodiejchuk, che nel 2007 ha deciso di pubblicare questi testi amari ma anche edificanti che ci restituiscono una Madre Teresa pienamente umana, candida, mirabilmente onesta con se stessa e con gli altri, persuasa fino all’ultimo che, essendosi assunta un incarico, doveva portarlo a compimento, ma anche che nel farlo non aveva senso razionalizzare le sue frustrazioni, disillusioni, rimpianti, sensi di colpa. Siamo al cospetto di una persona che ebbe il coraggio di guardarsi allo specchio e di non piacersi, nonostante tutto quel che aveva fatto. Un modello per tutte le persone che credono in questo tipo di missione ma sanno di dover tenere gli occhi bene aperti sulle proprie azioni e motivazioni e sugli effetti che queste producono sugli altri, su chi vogliamo aiutare. In questo senso personalmente la preferisco a un Gandhi e ad un Tolstoj, che a mio avvisto peccarono di autoreferenzialità, individualismo e freddezza. Madre Teresa non lasciò che le astrazioni le facessero perdere di vista le persone in carne ed ossa ed ebbe il coraggio di affrontare a viso aperto l’oscurità interiore, invece di relegarla ai margini con l’aiuto di uno stuolo di seguaci. Per questo non si tratta di una lettura facile, almeno per chi ha a cuore le sorti del prossimo, per chi preferirebbe vivere in un mondo in cui chi vuole davvero fare del bene agli altri trovi il modo di farlo in piena letizia e con la piena soddisfazione di chi ne beneficia. Purtroppo non fu il caso della piccola Madre Teresa, che già l’8 febbraio del 1937 confidava al confessore Franjo Jambreković “più spesso ho per la mia compagna l’oscurità” (Madre Teresa, 2008, p. 31). Qualche anno dopo, nel settembre del 1946, durante un viaggio in treno, riceve la prima di una serie di “locuzioni interiori” – che chiamava la “Voce”, attribuendole ad un Cristo immensamente sofferente, ancora segnato dalla Passione – e che suscitarono le perplessità dell'arcivescovo Ferdinand Périer. Eccone alcuni estratti: “rifiuterai di fare questo per Me?” “Hai paura di compiere un altro passo per il tuo sposo, per Me, per le anime? La tua generosità si è raffreddata? Vengo dunque al secondo posto per te? Tu non sei morta per le anime, ed è per questo che non ti preoccupi di ciò che accade loro; il tuo cuore non è mai sprofondato nel dolore come quello di Mia Madre. Entrambi abbiamo dato tutto per le anime, e tu?” “So che tu sei la persona più incapace, debole e peccatrice, ma proprio perché sei così voglio servirMi di te per la Mia gloria! Rifiuterai?” “Tu soffrirai e già ora soffri, ma se sei la Mia piccola sposa, la sposa di Gesù crocifisso, dovrai sopportare questi tormenti nel tuo cuore” “Piccola mia, damMi anime, le anime dei poveri…son loro che desidero ardentemente…rifiuterai? Chiedi a Sua eccellenza di donarmi questo in ringraziamento per i venticinque anni di grazia che gli ho dato” (p. 59). In seguito la Voce, che si identifica esplicitamente come Gesù il Cristo, si diceva molto ferito per i timori e le esitazioni di Madre Teresa e precisava di volere “suore indiane vittime del Suo amore” e “Quanto desidero entrare nei loro [dei bambini poveri in India] “buchi”, nelle loro case buie e infelici. Vieni, sii vittima per loro! Nella tua immolazione, nel tuo amore per Me, loro vedranno Me, Mi conosceranno, Mi vorranno” (p. 88). “Obbedisci soltanto, obbedisci con molta gioia e prontezza e senza fare domande. Obbedisci soltanto. Non ti abbandonerò mai, se obbedisci” (p. 108). Nel corso dell’anno successivo, le locuzioni ebbero termine: “da allora non né udito, né visto nulla, so che tutto ciò che ho scritto è vero” (109).
Come detto, le autorità ecclesiastiche, nella persona dell’arcivescovo Périer, inizialmente molto scettiche, la invitarono a “prendere in considerazione tutti i pensieri ispirati da Nostro Signore, ma senza soffermarsi su voci o fenomeni soprannaturali”. Padre van Exem, suo confessore, le rivelò che l’arcivescovo non era interessato alle sue voci e visioni. Lei rispose che non sarebbe stato un problema: “sono arrivate senza invito e poi se ne sono andate. Non mi hanno cambiato la vita. Mi hanno aiutata ad essere più fiduciosa e ad avvicinarmi di più a Dio. […]. Non so perché siano venute, né cerco di scoprirlo. Sono felice di lasciare che Lui faccia di me ciò che più gli piace” (p. 98). L’arcivescovo restò però dubbioso: “è possibile che per lei [Madre Teresa] tutto sia chiaro come la luce del giorno. Per quanto mi riguarda, non posso dire la stessa cosa” (p. 101).
A cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta la separazione dal Cristo si fece sempre più dolorosa ed implacabile per Madre Teresa. Il 18 marzo del 1953 si decise a confessare all’arcivescovo Périer la sua penosa condizione interiore: “Per favore, preghi specialmente per me, affinché io non rovini il lavoro di Gesù e Nostro Signore si riveli, perché c’è una così terribile oscurità dentro di me, come se tutto fosse morto. Mi sono sentita così più o meno da quando ho dato inizio all’opera. Chieda a Nostro Signore di darmi coraggio” (p. 157). L’arcivescovo non parve comprendere appieno la gravità della situazione, forse perché la descrizione che ne fece Teresa era estremamente stringata. Nel gennaio del 1955 si aggiunse la solitudine: “nel mio cuore vi è una tale profonda solitudine da non poterla esprimere”. Nel 1956 il gelo interiore: “dentro di me tutto è freddo come il ghiaccio. È solo quella fede cieca che mi fa andare avanti, perché in realtà per me tutto è tenebra. Finché Nostro Signore ha tutto il piacere, io, veramente, non conto”. Nel 1957 fu la volta di un senso di annichilimento: “se lei solo sapesse che cosa sto passando. Egli sta annientando ogni cosa in me” e di assoluta sfiducia: “C’è tanta contraddizione nella mia anima: un profondo anelito verso Dio, così profondo da far male, e una sofferenza continua, e con essa la sensazione di non essere amata da Dio, di essere rifiutata, vuota, senza fede, senza amore, senza zelo…La salvezza delle anime non desta il mio interesse, il Cielo non significa nulla per me: mi sembra un luogo vuoto. Pensarci non ha alcun senso per me”. Nel 1958 Madre Teresa, dimostrando un’ammirevole onestà intellettuale e morale per qualcuno che aveva dedicato la sua intera vita ad un singolo, grandioso progetto, faticava a convivere con la sensazione di una profonda ipocrisia: “Il sorriso è un grande mantello che copre una moltitudine di dolori”. Per fortuna non era stata completamente abbandonata. Una nuova grazia le giunse come pioggia nel deserto verso la fine dello stesso anno, colmando di amore il suo cuore. Purtroppo fu di breve durata: dopo un mese scompare e tornarono le perpetue afflizioni. Nel 1959, sconsolata ed estenuata, scrisse una struggente lettera a Cristo: “Signore, mio Dio, chi sono io perché tu mi abbandoni?La figlia del Tuo amore, e ora diventata come la più odiata, quella che hai gettato via come non voluta e non amata. Io chiamo, io mi aggrappo, io voglio…e non c’è nessuno a rispondere, nessuno a cui mi possa aggrappare, no, nessuno. Sono sola. L’oscurità è così fitta e io sono sola, non voluta, abbandonata….Anche nel profondo, dentro, non c’è nulla se non vuoto e oscurità. […]. Quando cerco di elevare i miei pensieri al Cielo c’è un vuoto che mi condanna, tanto che quegli stessi pensieri si ritorcono su di me come lame affilate e feriscono la mia stessa anima. Amore…questa parola non suscita nulla. Mi viene detto che Dio mi ama, e tuttavia la realtà dell’oscurità, del freddo e del vuoto è così grande che niente tocca la mia anima….Ho fatto un errore ad abbandonarmi ciecamente alla chiamata del Sacro Cuore? […] Se ciò Ti porta gloria, se Tu ottieni una goccia di gioia da questo, se le anime sono portate a Te, se la mia sofferenza sazia la Tua Sete, eccomi, Signore, con gioia accetto tutto fino alla fine della vita e sorriderò al Tuo Volto Nascosto, sempre” (p. 194-195). Il 3 settembre 1959, in un’altra lettera indirizzata a Gesù e scritta su richiesta del suo confessore, affidò i suoi angoscianti turbamenti: “Per che cosa mi affatico? Se non c’è Dio non ci può essere anima, se non c’è anima, allora anche tu, Gesù, non sei vero, Cielo…quale vuoto”. Ma insistette, indomita: “voglio saziare la Tua sete con ogni singola goccia di sangue che puoi trovare in me” (p. 202).
L’anno dopo, sempre più sconfortata, si appella ad un inquietante simbolismo: “in me il sole delle tenebre risplende”. Padre Neuner restò stupefatto nello scoprire che la notte oscura dell'anima di Teresa si prolungava ormai da anni e fosse così profonda. Madre Teresa, peraltro, non si riconobbe mai nella figura di San Giovanni della Croce e nella sua esperienza oscura e non chiamò mai “notte oscura” la sua condizione. Neuner le consiglia di accettarla fatalisticamente, confidando nei disegni della Provvidenza. Lei lo fece e “per la prima volta in questi undici anni sono giunta ad amare l’oscurità […]. Se mai diventerò una santa, sarò di sicuro una santa dell’oscurità”. Ma non per questo era disponibile a tacitare la sua coscienza, neppure in nome dell’utile. Con onestà nel 1962 dichiarò che il peso della vergogna diventava difficile da sostenere: “le persone dicono di essere attratte a Dio vedendo la mia salda fede. Questo non è ingannare la gente? Ogni volta che tento di dire la verità – che io non ho fede – le parole semplicemente non escono, la mia bocca rimane chiusa”. Quanti altri sarebbero in grado di ammetterlo? O di confessare che il senso di svuotamento le ha tolto anche l’amore per gli altri, per i pazienti di cui si prende cura e per le altre suore? “li amo quanto amo Gesù e ora, dato che non amo Gesù, non amo neanche loro”. Era il 1967 e Madre Teresa era consapevole del fatto che Gesù definiva Satana “Padre della menzogna” e non voleva in alcun modo favorirne i piani.
A questo punto, dopo 38 anni di sofferenza e di oscurità, la Voce ritorna, ma non si rivolge a lei, bensì a un sacerdote romano, al quale comanda: “Dì a Madre Teresa: “Ho sete”. Il sacerdote spiega: “la udii non tanto come una richiesta, ma piuttosto come un ordine. Devo qui specificare che non ho mai avuto né prima né dopo un’esperienza simile: non sono incline alle suggestioni. Non ho mai avuto né mi aspetto visioni o locuzioni. Piuttosto, per natura sono diffidente nei riguardi delle manifestazioni soprannaturali. Tuttavia mi sentii spinto fortemente a rispondere a quella singolare Ispirazione”.
Molti sono stati i critici dell’opera di Madre Teresa e di certe sue scelte anche discutibili (Shields 1998; Chatterjee, 2003; Hitchens, 2003) e molti sono stati i lettori sconvolti dalle rivelazioni sul malessere spirituale di Madre Teresa. Trovo però che il travaglio interiore che emerge da quelle pagine sia reale, sincero e lacerante e un’anima dubbiosa è la rivendicazione più grande che avrebbe potuto fare per sé, è quel che le dona una statura positivamente eroica, non tutto il servizio, più o meno lucido, di una vita.
Riflettere sulla vita e sulle sofferente di Madre Teresa ci aiuta ad apprezzare le argomentazioni di quegli esperti di aiuti al terzo mondo che si lamentano del fatto che la filantropia è dannosa, che rende chi la riceva sempre più servo e sempre meno libero, che l'unico modo per sanare i mali del terzo mondo sarebbe rinunciare a certi nostri privilegi, rendere più equo il sistema economico e non votare per politici che fomentano guerre civili o colpi di stato e favoriscono il grande capitale neo-coloniale. Invece molti di noi hanno incontrato Madre Teresa, ci siamo “innamorati” di questa donnina vestita così umilmente che passava tutto il tempo coi poveri, abbiamo pagato la nostra quota filantropica per mettere a tacere la coscienza e poi abbiamo continuato a seguire le regole di un mondo che crea povertà e che rende necessaria anche la filantropia, in mancanza di meglio. Così facendo abbiamo impedito che a Calcutta o in Kenya si costruissero cliniche igienicamente e sanitariamente all’altezza delle nostre. Abbiamo alimentato il risentimento ed il fondamentalismo. Abbiamo perpetuato l'immagine di un Terzo Mondo che non riesce a risollevarsi autonomamente, che è come un infante da allevare e da tenere per mano. Abbiamo trasformato un essere umano – Madre Teresa – nell’ennesimo idolo, in un essere semi-divino che non può per sua natura provare afflizioni e necessitare delle cure che amministrava ai malati, una donna che non deve chiedere mai, che non deve dipendere da chi le sta intorno, affidarsi a loro, esplicitare i suoi tormenti cercando conforto. Non è una spaventosa contraddizione che la nostra società sia riuscita a manipolare a tal punto la vocazione di questa donna così semplice e ben intenzionata, che non desiderava fare altro che rendersi disponibile ed utile al prossimo e a Dio, da trasformarla in un’icona dei peggiori vizi della contemporaneità?

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