venerdì 21 ottobre 2011

Il nazismo - un compendio



"credo di riconoscere nell’opera di Hitler qualcosa che trascende le responsabilità umane; credo insomma che il vero colpevole degli orrori del nazismo non sia l’uomo-Hitler, ma una forza temibile quanto gli Angeli di Rilke che si è servita di quell’uomo, invadendo la sua volontà"
Furio Jesi a Kerényi, 16 maggio 1965; Jesi & Kerényi, 1999, p. 51).

"credo di riconoscere nell’opera di Hitler qualcosa che trascende le responsabilità umane; credo insomma che il vero colpevole degli orrori del nazismo non sia l’uomo-Hitler, ma una forza temibile quanto gli Angeli di Rilke che si è servita di quell’uomo, invadendo la sua volontà".
Furio Jesi

"Avreste creduto che un’intera nazione di persone dotate di intelligenza e cultura elevate potesse lasciarsi catturare dal potere affascinante dell’archetipo…la bionda bestia si sta muovendo nel sonno…Odino il viandante si è messo in cammino".
Carl Jung

"Non c’è dubbio che Hitler rientri nella categoria dello sciamano. Come ebbe a osservare qualcuno durante l’ultimo congresso del partito a Norimberga, non si è visto niente di simile dai tempi di Maometto. Possiamo paragonare Hitler a un uomo che ascolta attentamente il torrente di consigli che gli vengono sussurrati da una fonte misteriosa [inconscio] e che poi li mette in pratica. Se pure non è il vero Messia, Hitler assomiglia però a un profeta del Vecchio Testamento: la sua missione è di unificare la sua gente e condurla alla Terra Promessa. Questo spiega perché i nazisti devono combattere ogni forma di religione che non sia la loro particolare versione idolatra".
Intervista rilasciata da Jung a H.R. Knickerbocker nell’ottobre del 1938.

"Lévinas mostra come il nazismo consista nella filosofia dell’asservimento al corpo, nell’accettarne l’incatenamento, nel cancellare ogni esigenza di evasione. L’appello all’eredità, al passato, al sangue, l’idea della società a base consanguinea, annientano la libertà, precludono ogni possibilità di presa di parola, di critica, di scarto, di rimorso, di pentimento. Le idee che legano l’Io lo legano in maniera indissolubile, egli vi aderisce perché scaturiscono dalla sua carne e dal suo sangue, dal suo passato, dalla sua razza. L’Io non ha più il potere di sfuggire a se stesso. E se le idee con cui si identifica completamente, assumendole come la verità stessa del proprio corpo, pretendono in quanto verità di essere universali, malgrado il loro razzismo, la loro diffusione diviene espansione, diventa violenza, guerra, sterminio. L’origine del nazionalsocialismo è da ricercarsi fondamentalmente nella dedizione all’essere, nell’adesione incondizionata all’essere, da cui solo il peso della responsabilità per altri può disancorarare l’io, schiodarlo. La “filosofia dell’hitlerismo” non è un’anomalia contingente, ma si iscrive come una stabile minaccia nella filosofia occidentale, affetta com’è da allergia all’alterità. Senza il superamento di tale allergia, il liberalismo e la democrazia non possono nulla, dato che essi si sono costituiti fondamentalmente per la difesa dei diritti dell’Io, piuttosto che di quelli dell’Altro; si sono attestati a difesa degli appartenenti, dei comunitari, e non dei non appartenenti, degli extracomunitari".
Augusto Ponzio, introduzione a “Dall’altro all’io” di Lévinas

Fu il giorno dell’anniversario della Rivoluzione Francese che il nazismo annullò per legge il sistema dei partiti e la democrazia parlamentare.
Sappiamo che cosa hanno fatto i nazisti, quale fosse la loro ideologia, ma non sappiamo perché lo abbiano fatto. È stato un incidente di percorso, un’aberrazione, un corpo estraneo o si tratta piuttosto di una presenza che ci accompagna da sempre, in sottotraccia? È un fenomeno puramente “tedesco” da cui ci siamo vaccinati o potrebbe ripetersi altrove, nuovamente? Io non credo sia eccezionale e perciò irripetibile e ho scritto questo libro proprio per mettere in guardia i lettori. Un nuovo nazismo non si ripresenterà mai indossando la stessa maschera, ma la struttura mentale sarà la stessa, perché è una variante della diversità umana, uno dei numeri della ruota che prima o poi viene fuori e che ha successo perché il potere corrompe ed il potere assoluto corrompe assolutamente.

Il Nazional-Socialismo lascia sbalorditi. Per questo molti hanno creduto di vedere in questa dottrina l’irrompere del demoniaco nella nostra realtà. Si è quasi sempre inclini a chiamare in causa agenti metafisici per spiegare qualcosa che non si capisce. La tragica verità è che nessuno l’ha compreso e nessuno lo comprenderà mai. Possiamo solo limitarci a descriverlo e denunciare quei tratti della contemporaneità che paiono virare in quella direzione. Il nazismo non comportò solo un programma di sterminio e schiavismo di interi popoli, ma anche la sistematica demonizzazione di chiunque non fosse sufficientemente nazista. Ogni cittadino del Reich doveva essere nazista e, se possibile, anche le vittime dovevano essere nazificate, dimostrando con il loro comportamento che la via nazista era quella giusta. La pseudo-scienza serviva solo a convincere gli indecisi. La causa della distruzione degli Ebrei – chiamata Shoah o Olocausto – non fu l’identificazione di un ipotetico crimine da loro commesso, ma l’attribuzione di un peccato inespiabile, quello di essere sovversivamente antitetici al nazional-socialismo, per ragioni che non ci risultano chiare, visto che molti Ebrei erano fascisti e, almeno inizialmente, nazisti. Gli Ebrei non potevano essere responsabili della loro condizione, essendo nati così, inadatti alla vita su un pianeta finalmente ordinato al meglio: l’unica soluzione era la loro eliminazione. Il totalitarismo nazista fu dunque un gigantesco esorcismo ed autoesorcismo, con tanto di rituale ecatombe: si trattava anche di estirpare l’ebreo in sé, uccidendo tutti gli Ebrei.
Non fu però solo un inferno in terra. Dal punto di vista degli animali il Terzo Reich fu un’autentica utopia. Hitler era vegetariano e le leggi a tutela degli animali e dell’ambiente erano le più avanzate nel mondo. Molto dipendeva dalla prospettiva e dal proprio ruolo nella società. Anche i cittadini tedeschi “ariani”, prima della guerra, se la passarono molto bene (Mayer, 1971). Pensavano di essere liberi, mentre erano sottoposti ad un processo di graduale assuefazione al male, o quantomeno a quel che in genere si chiama male: un violento, predatorio, tracotante egoismo individuale e collettivo. Accettarono l’idea che il governo doveva operare senza poter condividere con la gente le informazioni in suo possesso, per ragioni di sicurezza. Nutrirono una completa fiducia nelle sue buone intenzioni. Si lasciarono distrarre dal teatrino del regime, penso per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle contraddizioni, dai sotterfugi, dalle spiacevoli verità. Pochi dedicarono del tempo a pensare alle questioni fondamentali. Molti attraversarono la vita in modo abbastanza o molto superficiale. Il regime presentava alla gente un certo numero di spauracchi e ciò bastava a giustificare ogni susseguente decisione. Tutto era in costante movimento, in trasformazione, un’eterna fascinazione estetica e retorica, un continuo rilancio emotivo impedivano di riflettere sulle “piccole” cose spiacevoli che si moltiplicavano, sui segni che indicavano che c’era qualcosa che non andava. Demandarono le loro responsabilità e il regime si assunse l’incarico di pensare per tutti: la gente poteva occuparsi d’altro. Tutto era molto più semplice e piacevole. Per di più in un sistema a risorse finite, se una parte della popolazione veniva esclusa, la restante parte ne traeva concreti vantaggi. In tempi di magra, non si va certo per il sottile. Meglio pensare al presente, meglio non affrontare la realtà nei suoi aspetti spiacevoli, nei suoi presagi più sinistri, nei suoi sintomi più debilitanti. Fai il primo passo perché senti di doverlo fare. Il secondo passo è un po’ più spiacevole del primo, ma lo consideri ancora ragionevole. Il terzo passo serve a giustificare quelli precedenti. Lo devi fare per non ammettere di aver preso una cantonata, di essere una persona cattiva. Nessuno trova facile ammettere di aver sbagliato e di essere malvagio e così si continua con il passo successivo che razionalizza e legittima a posteriori quelli precedenti: ogni male diventa un male necessario, un male minore. Di conseguenza, per molti Tedeschi del dopoguerra, il principale errore di Hitler fu semplicemente quello di aver perso la guerra.
Hitler non era un fesso. La sua filosofia era grezza ma organica e l’egotistica volontà di potenza è un’attrattiva irresistibile per gli esseri umani. La filosofia nietzscheana la incapsula in questo aforisma (259), tratto da “Al di là del bene e del male”: “Lo ‘sfruttamento’ non compete a una società guasta oppure imperfetta e primitiva: esso concerne l’essenza del vivente, in quanto fondamentale funzione organica, è una conseguenza di quella caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita”. Milioni di Europei (e non solo), inclusi decine di insigni letterati, giuristi, filosofi, artisti, fisici, biologi, genetisti, antropologi e medici vi aderirono con entusiasmo (e non per mera convenienza). Si guadagnò anche la stima di Gertrude Stein, Martin Heidegger George Bernard Shaw, Lord Halifax, David Lloyd George, Henry Ford, Walt Disney, Charles Lindbergh, Prescott Sheldon Bush, rispettivamente padre e nonno di George H.W. Bush e George W. Bush. Il nazifascismo seduce perché è l’esaltazione del carnefice per mano del carnefice stesso, è autogiustificativo. Hitler dice ai suoi seguaci: i vostri peggiori vizi sono in realtà le migliori virtù. Non vergognatevene ma inebriatevene. Sono gli altri che hanno frainteso e si comportano innaturalmente. Per questa ragione il nazismo è a tutti gli effetti, un’ideologia eterna. C’è sempre stato e sempre esisterà, perché è mero bullismo all’ennesima potenza, proiettato su scala cosmica e metafisica. In un certo senso si può immaginare che questo tipo di grezzo manicheismo autoreferenziato per cui io vengo prima di tutto il resto e chi si oppone al mio volere si oppone al corso della storia universale sia così elementare da potersi sviluppare tante volte e in tanti mondi diversi. È lo sdoganamento della legge del più forte, sotto le spoglie di un edificio ideologico più o meno sofisticato. Sentiamo dalla “viva voce” dei protagonisti che cos’era per loro il nazional-socialismo. In un discorso tenuto a Kulmbach, il 5 febbraio 1928, Hitler dichiara che “l’idea della lotta è antica come la vita stessa e in questa lotta il più forte, il più abile, vince, mentre il meno abile, il debole, soccombe. La lotta è la madre di tutte le cose... Non è secondo i principi di umanità che l’uomo vive ed è in grado di elevarsi al di sopra del mondo animale, ma soltanto mediante la più brutale delle lotte”. Il Führer si ritiene guidato dalla Divina Provvidenza: “siamo diventati ciò che siamo grazie alla volontà della Provvidenza e fino a quando saremo autentici e rispettabili e valorosi nella lotta, fino a quando crederemo nella nostra grande opera e non capitoleremo, continueremo a godere dei favori della Provvidenza” (discorso a Rosenheim, Baviera, 11 agosto 1935). A Monaco (15 marzo 1936): “Seguo i dettami della Provvidenza con la stessa confidenza di un sonnambulo”. A Norimberga (11 settembre 1936): “Credo nella Provvidenza e la considero giusta. Perciò credo che la Provvidenza premia sempre chi è forte, intraprendente e retto”. Sempre a Norimberga (6 settembre 1938): “Noi veneriamo esclusivamente la cura di ciò che è naturale, e di conseguenza, in quanto naturale, voluto da Dio. La nostra umiltà si afferma nella sottomissione incondizionata alle leggi divine dell’esistenza per come noi uomini riusciamo a comprenderle”. È però consapevole del fatto che il suo obiettivo è cinico e misantropico: “non sono venuto al mondo per rendere gli uomini migliori, ma per sfruttare le loro debolezze” (Hitler, 2010). Hitler si vedeva come un eletto per compiti sovrumani, profeta della rinascita dell’uomo in una nuova forma. Era in corso una completa metamorfosi dell’umanità, proclamava (Griffin, 1998). In un discorso nel 1922 Hitler definì Gesù “il vero Dio”. In seguito lo chiamò “il nostro più grande leader ariano”. Secondo Hitler il movimento nazista avrebbe completato “il lavoro che Cristo aveva iniziato, ma non poté completare”. Infatti “il vero messaggio” della Cristianità poteva essere trovato nel Nazismo. Cristo aveva combattuto gli Ebrei e loro l’avevano liquidato. La sua religione è la “Cristianità Positiva” ossia il Cristianesimo tradizionale spogliato di ogni cosa che non gli piacesse. La divinità di Hitler non era un “deus otiosus” ma un dio attivo, chiamato Creatore o Provvidenza che aveva creato l’universo ed un mondo in cui le varie razze dovevano combattersi per la sopravvivenza (Steigmann-Gall, 2005).
Nel 1926, Joseph Goebbels, affascinato dalla visione di Hitler, gli scrisse una lettera, spiegando: “Lei ha dato un nome alla sofferenza di un’intera generazione. Quel che lei ha espresso è il catechismo di un nuovo credo politico che prende vita in un mondo secolarizzato che sta crollando. A lei un dio ha dato il potere di esprimere la nostra sofferenza. Lei ha formulato la nostra agonia con parole che promettono salvezza” (cf. Burleigh, 2006, p. 200). Secondo Martin Bormann, il delfino di Hitler, “il potere della legge di natura è ciò che chiamiamo l’onnipotente forza di Dio. La pretesa che questa forza universale possa interessarsi alla sorte di ogni individuo, di ogni bacillo sulla terra, che possa essere influenzata dalle cosiddette preghiere o da cose stupefacenti, si fonda su una considerevole quantità di ingenuità oppure sulla piccineria da insolente bottegaio. Noi Nazional-Socialisti, al contrario, pretendiamo da noi stessi di vivere nel modo più naturale possibile, ossia in accordo con le leggi della vita e della natura. Più precisamente le comprendiamo e vi ci atteniamo, più agiamo nel rispetto della volontà della forza onnipotente”. Queste sono concezioni radicalmente estranee alla tradizione umanista e che si collocano nella corrente panteista del pensiero umano, che “venera”, se così si può dire, l’universo fisico. Il panteismo è un sistema filosofico basato sull’idea che nulla muore ma tutto si ricicla ed evolve ciclicamente in modo tale da rinnovarsi e migliorarsi ogni volta (oppure si ripropone identico a se stesso in un Eterno Ritorno – questa era l’interpretazione di Nietzsche). La legge universale dell’universo è il movimento. Il rischio maggiore del panteismo è che l’ammirazione per l’automatismo della natura esteriore (legge di natura) possa spingere ad imitarlo applicandolo alla vita umana (legge morale), tentando di imporre la conformità come virtù suprema, eliminando tutto ciò che è imprevedibile, tutto ciò che consente l’esistenza della libertà e della creatività. Nel panteismo radicale ci sono i germi della degenerazione nazista: la deificazione dei naturali misteri della vita, il sogno di un utopico paradiso in terra, la brama di immortalità, l’esigenza di procreare per perpetuare il proprio genoma e di farlo bene per migliorare l’efficienza biologica umana (eugenetica: la procreazione umana come zootecnia), rimuovendo gli scarti (selezione dei nascituri e degli inferiori). Non ha alcun senso parlare di libertà per gli esseri umani in relazione alla creazione. Per il panteista, il bene ed il male sono identici, perché tutte le cose sono in realtà un’unica cosa, l’unica cosa esistente. Tutto è uno, l’unità di materiale e spirituale, un’unica realtà che è il creatore auto-creatosi. È di questo Creatore che parla Hitler. È a questo Creatore che allude Heinrich Himmler quando afferma che “esiste un solo Grande Spirito e noi individui siamo le sue temporanee manifestazioni. Siamo eterni quando eseguiamo la volontà del Grande Spirito, siamo condannati quando lo contestiamo nel nostro egotismo ed ignoranza. Se obbediamo, viviamo. Lo sfidiamo e siamo gettati nel fuoco inestinguibile. Le nostre esistenze fisiche sono come la guaina dei germogli di bambù. Per la crescita della pianta è necessario che cada una guaina dopo l’altra. Non è che la guaina corporale sia di importanza marginale, è semplicemente che la pianta-spirito è più essenziale e la sua sana crescita è di importanza primaria. Perciò non fissiamoci troppo sull’esistenza fisica ma, quando necessario, sacrifichiamola per un qualcosa di meglio. Perché questa è la maniera in cui la spiritualità del nostro essere si afferma”. O quando demolisce l’antropocentrismo: “L’uomo non è nulla di speciale. È solo una piccola parte della terra…Deve tornare a vedere il mondo con umiltà. Solo allora raggiungerà il giusto senso della misura riguardo a ciò che sta sopra di noi e come siano integrati in questo eterno ciclo. […]. La nostra esistenza, così costretta tra la nascita e la morte, si sottopone nel corso della storia ad un’estensione eterna: ci insegna a sentirci come anelli in una catena che è il prodotto di millenni e che ci trascina verso i futuri millenni, cosicché nella nostra coscienza il retaggio del passato e la responsabilità per il futuro si plasmano in un’unità inscindibile che determina le lotte del nostro presente” (Pois, 1986; Goodrick-Clarke, 1992).
Se c’è un Essere Supremo esso dev’essere una legge suprema di natura, o comunque un tutto organico in costante evoluzione lungo la strada della perfezione, spinto da una forza pre-biologica che compenetra il cosmo animando tutte le cose nell’universo tangibile. Il che presuppone la completa sottomissione alle leggi di natura, e perciò la sopravvivenza del più adatto e la disuguaglianza intrinseca. Nel panteismo ogni singolo individuo è un ingranaggio che serve a far funzionare l’intero sistema e deve assolvere dei compiti specifici. Chi sgarra, chi si oppone, mette a repentaglio l’integrità del tutto, che funziona automaticamente, senza avere alcuno scopo. La morte e la sofferenza non hanno alcun senso al di fuori del processo di autoperpetuazione della creazione, come non lo hanno il principio di giustizia, di equanimità, di clemenza. L’universo è duro ed implacabile ed offre conforto solo a chi obbedisce alle regole, mentre è spietato verso chi le trasgredisce. I nazisti decisero coerentemente che, “stando così le cose”, la volontà di potenza era il principio fondante della creazione. I Tedeschi seguirono il Pifferaio Magico, dimentichi dell’ammonimento di Heinrich Heine (1797-1856), contenuto in “Sulla storia della religione e della filosofia in Germania, libro III): “Ma più terribili di tutti sarebbero ancora i filosofi della natura che attivamente interverrebbero in una rivoluzione tedesca e si identificherebbero con la stessa opera di distruzione. E invero, se la mano del kantiano percuote fortemente e sicuramente, per il fatto che il suo cuore non è mosso da nessuna riverenza tradizionale; se il fichtiano coraggiosamente affronta ogni pericolo, per il fatto che per lui non ne esiste nella realtà nessuno; il filosofo della natura sarà terribile per il fatto che si mette in relazione con le potenze originarie della natura, può evocare le forze demoniache del panteismo alto-germanico, che risvegliano in lui la bellicosità che troviamo negli antichi tedeschi, i quali non combattono né per distruggere né per vincere, ma semplicemente per combattere. Il cristianesimo – e questo è il suo merito più bello – ha addolcito un poco la brutale bellicosità germanica; tuttavia non ha potuto distruggerla, e, quando una volta il talismano lenitore, la croce, si rompe, allora si scatena nuovamente la ferocia degli antichi guerrieri, la folle furia bellicosa, della quale i poeti nordici cantano e dicono tante cose. Quel talismano è tarlato e verrà il giorno in cui andrà miseramente in frantumi”.
Detto questo, si badi bene che questo modo di concepire il cosmo non era unicamente nazista e per questo è giusto definirlo eterno e universale. Non è certo un caso che i Giapponesi siano stati i migliori alleati del Terzo Reich. Il buddhismo zen di quel periodo era stato gradualmente contaminato da una sua corrente radicale, che ha percorso tutta la sua storia per diventare dominante proprio sotto la dittatura militare, che la trovò di grande utilità. Persino il celebre Daisetsu Teitaro Suzuki (1870-1966) rimase imbrigliato in questa deriva estremistica. In quegli anni sosteneva infatti che una persona che uccide può essere nella stessa condizione mentale di una forza naturale, come il fuoco brucia una montagna, come l’uragano abbatte gli alberi e come uno smottamento uccide gli animali. In quel caso non può essere considerato un assassino. L’uomo illuminato dev’essere indifferente ed incosciente come una forza della natura. Se mi annullo, sono neutrale come l’universo ed ogni mia azione è intrinsecamente corretta (Faure, 2008; Jerryson & Juergensmeyer, 2010).

I giudici del tribunale di Norimberga non seppero identificare il male universale che operava dietro la facciata pubblica del Nazionalsocialismo. Mancò l’immaginazione morale che poteva aiutare a percepire il carattere apocalittico della civiltà che sorse nella Germania tra le due guerre, una civiltà fondata su una weltanschauung magica, che aveva sostituito la svastica alla croce. Prevalse l’unanime consenso sulla necessità di trattare gli accusati come se costituissero una parte integrale del sistema umanista-cartesiano occidentale. Forse non ne erano consapevoli, o forse non volevano aprire gli occhi della gente sulla vera natura dell’inversione di valori. Si decise di classificare il tutto come aberrazione mentale e perversione sistematica degli istinti. Più facile parlare in asettici termini psicoanalitici che accennare alla possibilità che non si trattasse solo della psicopatia di un gruppo di delinquenti politicizzati. Ma la cosa più abnorme fu che il nazismo si dotò di una filosofia del vivente (Lebensphilosophie), non dell’umano. L’umanità non aveva alcun valore, alcun ruolo nel nazismo. Stalinismo e Maoismo, per quanto mostruosi e letali per milioni di persone, non giunsero mai a questo estremo: erano più simili alle classiche tirannie sanguinarie del passato. Forse solo gli Aztechi si avvicinarono, per certi versi, alle patologie misantropiche ed omicide del nazismo. Per i nazisti esistevano leggi della vita dei popoli (Lebensgesetze für die Völker) che, tra le altre cose, imponevano la lotta per la vita (Lebenskampf). La storia era la progressione dei popoli nella loro lotta per la sopravvivenza e per lo spazio vitale (Lebensraum). Tutto ciò che divideva e contaminava doveva essere bandito. Il terrorista norvegese Breivik, che pure era anti-nazista, non si discostava poi molto da questa logica: al posto della dimensione biologica aveva collocato quella cultura. Che è poi la logica, ancora una volta elementare, di Gorgia e di Trasimaco, nei dialoghi platonici: “la natura vuole padroni e servi”; la giustizia naturale è “l’utile del più forte”. In più i nazisti aggiunsero il riduzionismo zoologico dello specismo. Erano infatti razzisti verso i neri, gli asiatici e i latino-mediterranei, ma erano specisti nei confronti di Ebrei e Roma e Sinti, che consideravano letteralmente non-umani, una specie differente. Ciò pose fine alla forma più basilare di solidarietà. I nazisti decisero che loro incarnavano la purezza e tutto il resto era impuro, mettendo in opera una produzione seriale di materiale umano di scarto, sospeso appunto tra l’umano e l’inumano, da una parte, e la realizzazione dell’ideale di una Iper-umanità dall’altra. Da un lato, la produzione del sottouomo – quello che Primo Levi chiama il musulmano –, dall’altro, la costruzione del grande corpo perfetto e incontaminato della popolazione: L’uomo incorruttibile, eterno. In un testo di propaganda contro gli Ebrei pubblicato nel 1942 dall’Ufficio centrale delle SS per la razza e la colonizzazione, si legge: “il sott’uomo, questa creatura della natura, con le sue mani, i suoi piedi, il suo tipo di cervello, con i suoi occhi e la sua bocca, una creatura che sembra essere della stessa specie di quella umana. Ne è tuttavia una del tutto diversa: una creatura orribile, una parvenza di uomo, con tratti simili a quelli dell’uomo, ma situata, per via dello spirito, della sua anima, al di sotto dell’animale. All’interno di questa creatura un caos di passioni selvagge, senza freni: un’indicibile volontà di distruzione, messa in atto dagli appetiti più primitivi, un’infamia senza pudore”. Oggi, per molti, questa sembrerebbe una passabile descrizione di un nazista. Tutti proiettiamo l’ombra, la nostra metà oscura, sui nostri rispettivi capri espiatori, per non doverla affrontare, per non ammettere che c’è del marcio in noi.
Purtroppo, come esisteva un ebreo (solo in senso simbolico: compassione, rispetto, tolleranza) in ogni nazista, così esiste un nazista in ciascuno di noi, perché tutti noi tendiamo a prevaricare il prossimo a pensare che l’altro non ha proprio lo stesso nostro valore, ma sempre un po’ di meno, quel po’ di meno che fa la differenza e rende una società violenta ed iniqua. Nelle fasi di crisi, come quella attuale, possono verificarsi psicosi di massa, epidemie psichiche. Lo rimarcava Carl Jung al tempo dell’ascesa del nazismo: “Le antiche religioni, con i loro simboli sublimi e ridicoli, bonari e crudeli, non sono cadute dai cieli ma sono nate in quest'anima umana, la stessa che vive ancora oggi in noi. Tutte quelle cose, le loro forme primordiali, vivono in noi e possono in qualunque momento assalirci con la forza distruttiva, in forma cioè di suggestione di massa, contro la quale il singolo è inerme. I nostri terribili dèi hanno soltanto cambiato nome e rimano tutti in –ismo” (Jung, 1946). Nel sondare l’inconscio dei pazienti e l’inconscio collettivo, gli si rivelano archetipi violenti e tenebrosi, avverte che un cambiamento è imminente, che la nietzscheana bestia bionda si sta risvegliando e o farà con forza esplosiva. Lo fece e continuò a distruggere fino all’ultimo istante. La macchina da guerra tedesca raggiunse il massimale produttivo tra il 1943 ed il 1944. Il massimo numero di morti si registrò nel gennaio del 1945 (450.000 in un mese, contro i 350.000 al mese del 1943). Lo stesso vale per i caduti civili e per le morti causate dalla Germania, che aumentarono costantemente. Il morale dei Tedeschi non venne mai meno fino alla fine. Non fu un lavaggio del cervello: il sacrificio era la strategia di sopravvivenza della Germania e fu condivisa, non imposta. L’individuo doveva sacrificarsi per la comunità e inoltre una nazione colpevole di atrocità e genocidi doveva combattere fino alla morte, non poteva sperare nella pace. Serviva una guerra totale. Non ci si poteva dare per vinti, non si poteva ammettere di aver perduto, ossia di aver sbagliato, non ci si poteva permettere di farsi tante domande sulle proprie scelte. I rapporti della Gestapo indicavano che i Tedeschi non volevano morire e non cercavano la distruzione della Germania, ma sentivano di non aver scelta, ormai. La sopravvivenza stava nell’unità, la dissoluzione dei legami portava alla distruzione: il sacrificio fu una strategia di sopravvivenza. L’unico modo riconosciuto di essere uomo era essere morto o uccidere. Chi era morto obbligava moralmente i commilitoni a continuare a combattere. Fu come una maledizione: i morti governavano i vivi. Goebbels lo intuì molto presto, nel dicembre del 1942: “Non possiamo neppure immaginare oggi il potere che i morti esercitano sui vivi”.

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http://fanuessays.blogspot.com/2011/10/psicopatici-al-potere-conoscerli-per.html.

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