sabato 12 novembre 2011

Argentina - un esempio da seguire




“Sotto le amministrazioni Kirchner, l’Argentina ha raggiunto la crescita più rapida crescita nell’occidente dopo il default. Europa, stai ascoltando?
Cristina Fernandez de Kirchner dovrebbe essere rieletta presidentessa dell’Argentina nelle elezioni di domenica, anche se ha dovuto affrontare l’ostilità dei media per lunga parte della sua presidenza e di molte potenze economiche della nazione. Può essere il momento di chiederci perché ciò è accaduto.
Esatto, si parla di economia. Da quando nove anni fa l’Argentina andò in default sul suo debito di 95 miliardi di dollari ignorando il Fondo Monetario Internazionale, l’economia è andata davvero bene. Negli anni dal 2002 al 2011, usando le proiezioni del FMI per la fine di quest’anno, l’Argentina ha conseguita una crescita reale del PIL pari al 94%. Si tratta della crescita economica più rapida dell’emisfero occidentale, circa il doppio del Brasile, ad esempio, che ha comunque migliorato enormemente la sua prestazione. Visto che il presidente Fernandez o suo marito Nestor Kirchner, che l’ha preceduta nella carica, hanno guidati il paese per otto di questi nove anni, non è sorprendente che gli elettori la confermino per un altro mandato.
I benefici della crescita non sempre trapelano, ma in questo caso il governo argentino ha reso la cosa possibile. La povertà e l’estrema povertà sono state ridotte di circa due terzi dal picco del 2002, e l’occupazione è incrementata a livelli senza precedenti. La spesa sociale da parte del governo è quasi triplicati in valori reali. Nel 2009 il governo ha implementato un programma di fondi destinati ai bambini che ora raggiunge più di 3,5 milioni di famiglie. È probabilmente il più grande di questi programmi, valutando il reddito nazionale, dell’America Latina.
Anche la disuguaglianza è stata significativamente ridotta in Argentina durante questa espansione degna di nota. Ciò contrasta con quello che avviene nella gran parte delle altre economie in rapida crescita (e in alcune di quelle a crescita lenta, come gli Stati Uniti), dove la disuguaglianza è cresciuta nell’ultimo decennio. Nel 2001 gli argentini del 95esimo percentile della distribuzione del reddito avevano una quota di reddito pari a 32 volte quella di quelli che erano nel quinto percentile. Alla fine dello scorso anno questo rapporto era sceso di quasi la metà, portandosi a 17.
Posso già immaginarmi i commenti che ci saranno a questo articolo: bisognerebbe gridare per il tasso di inflazione dell’Argentina che, secondo alcune stime private, in questo momento è compreso tra il 20 e il 25%. Certo, è troppo, e probabilmente verrà abbassato nei mesi e negli anni a venire (è stata molto più basso per molto tempo negli ultimi nove anni). Ma è importante ricordare che è il reddito reale (aggiustato all’inflazione) e l’occupazione, così come la distribuzione dei redditi, che determina il livello di vita di una popolazione. Se l’inflazione è alta ma il reddito cresce più velocemente dell’inflazione, si sta meglio rispetto a un’inflazione più bassa e a un reddito che non ne tiene il passo, e ancora di più rispetto a non avere un lavoro.
L’esperienza argentina negli ultimi nove anni ha importanti implicazione per come valutiamo le politiche economiche, specialmente riguardo certi miti che vengono correntemente usati per giustificare la triste performance economica degli Stati Uniti, di gran parte dell’Europa e di altre nazioni dopo la crisi economica del 2008-2009 e la recessione planetaria. Una teoria recentemente diffusa dall’ex economista del FMI Ken Rogoff e da Carmen Reinhart ritiene che le recessioni causate dalle crisi finanziarie debbano essere seguite da recuperi lenti e dolorosi. Ciò viene comunemente riportato nelle informazioni economiche ed è servito come scusa ai governi incompetenti o ai detentori di interessi personali (vi suona nuovo?) per evitare la responsabilità di aver favorito anni di alta occupazione e di stagnazione economica.
L’Argentina, comunque, ha fornito una bruciante refutazione di questa teoria. La crisi finanziaria argentina alla fine del 2001, e nel 2002, è stata la madre di tutte le crisi finanziarie. Il sistema bancario è praticamente collassato. Ma dopo che l’Argentina ha fatto default suo debito alla fine del 2001, c’è stato solo un quadrimestre di contrazione economica prima che l’economia si avviasse verso una ripresa notevole. Nel giro di tre anni il paese era di nuovo ai livelli pre-recessione del reddito nazionale.
Se guardiamo le economie più deboli dell’eurozona (Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda), ad esempio, è difficile capire quando potranno ritornare a livelli normali di occupazione, specialmente se continueranno a seguire le politiche pro-cicliche richieste dalle autorità europee (la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea, il FMI). L’Argentina ha ricuperato rapidamente perché si è liberata non solo di un peso del debito insostenibile, ma anche dalle politiche distruttive imposte da creditori e alleati. La Grecia, in particolare, la cui economia si sta stringendo al tasso annuale del 5% mentre si attende che le autorità europee ristrutturino il suo debito, dovrebbe considerare che potrebbe essere meglio seguire la strada argentina. Per l’Argentina ha funzionato di sicuro”.
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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“Si ritiene che la Grecia, che ha seguito politiche analoghe a quelle adottate dall’Argentina durante la recessione del 1998-2002, necessiterà di oltre 9 anni per tornare ai livelli di PIL precedenti alla crisi. La disoccupazione che attualmente è al 16 per cento, potrebbe richiedere ancora più tempo per tornare a livelli normali….La situazione nelle altre economie dell’eurozona è paragonabile a quella greca, sebbene non così terribile. […]. Il tentativo di sistemare le cose in Europa attraverso una “svalutazione interna” [leggi: povertà, NdR] si sta dimostrando un disastro paragonabile a quello argentino della recessione del 1998-2002. Il più grave rischio del presente è che insistendo con questi errori strategici si spingerà l’Italia sulla stessa china della Grecia. Il rapporto debito-Pil della Grecia quando sottoscrisse il primo accordo con il FMI nel maggio dell’anno scorso era 115%, ci si attende un 190% l’anno prossimo…le prospettive di crescita dell’Italia si sono ridotte significativamente negli ultimi sei mesi a causa delle misure di austerità da 54 miliardi di euro adottate dal governo sotto la pressione delle autorità europee, alias la “troika” (Commissione Europea, BCE, FMI). Il che indica la possibilità che l’Italia segua la sorte della Grecia, con obiettivi di riduzione del deficit sempre più improbabili da raggiungere a causa di un gettito fiscale in costante calo, al quale le autorità rispondono con ulteriori misure di “consolidamento fiscale” (Leggi: riduzione dei risparmi privati, NdR), in una spirale discendente  (circolo vizioso) di redditi in calo, maggiori rendimenti attesi da titoli di debito a rischio e quindi più elevati tassi di interesse sulle obbligazioni del paese. […]. Ogni singolo governo sottoposto a questo processo dovrebbe considerare come una possibile soluzione alternativa quella argentina, che prevede un default sufficientemente ampio da ridurre il peso del debito pubblico a livelli più sostenibili. Nella situazione in cui versa la Grecia, per esempio, ciò potrebbe essere preferibile alla rotta tenuta fin qui, anche se ciò dovesse comportare l’uscita dall’euro.
L’esperienza argentina mette in discussione il diffuso mito secondo cui la recessione provocata dalle crisi finanziarie implica un percorso di ripresa lento e doloroso. La crisi finanziaria e crollo dell’Argentina non sono stati meno drammatici di quelli di quasi ogni altro paese degli ultimi decenni; eppure ci è voluto solo un quadrimestre dopo il default per ricollocarsi sulla strada di una ripresa rapida e consolidata. Questo non solo in virtù della svalutazione e di migliori politiche macroeconomiche, ma perché il default emancipò il paese da una servitù del debito che lo azzoppava e da politiche pro-cicliche [in un contesto congiunturale sfavorevole, NdR] imposte dai creditori.  Queste politiche, assieme all’ultra-conservatorismo delle banche centrali come l’attuale BCE, sono le principali responsabili del rallentamento del risanamento dopo le crisi finanziarie. Il governo argentino ha dimostrato che questo cupo scenario è solo uno dei possibili esiti e che una rapida ripresa nell’ambito della produzione, dell’impiego, della riduzione della povertà e delle disuguaglianze è un percorso alternativo perfettamente praticabile”.
Mark Weisbrot & Rebecca Ray & Juan Montecino & Sara Kozameh, Oct. 2011. "The Argentine Success Story and its Implications," CEPR Reports and Issue Briefs 2011-21, Center for Economic and Policy Research (CEPR).

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La presidente rieletta domenica con il 54% dei voti, il secondo si è fermato al 17%. I ceti poveri ma anche la classe media, la comunità dello spettacolo, gli intellettuali, i giovani: cosa c'è dietro il «cristinismo»
“BUENOS AIRES. La Piazza di Maggio, cuore della vita politica argentina, si è di nuovo riempita nella notte di domenica e fino all'alba di ieri. Cristina Fernández de Kirchner stava celebrando la maggior vittoria in un'elezione presidenziale dal ritorno della democrazia nell'83, con il 54% dei voti, che la catapultava a un secondo mandato per i prossimi 4 anni.
Più ancora che la conferma del kirchnerismo, sorto nel 2003 con la vittoria di Néstor Kirchner, il voto di domenica ha fatto emergere in Argentina il «cristinismo». La morte e resurrezione politica della presidenta sembra avviare una nuova fase. A 37 punti di distanza, 17%, si ritrova il secondo arrivato, il governatore della provincia di Santa Fe Hermes Binner (socialista di centro-sinistra) e ancora più indietro, 11%, Ricardo Alfonsín, centrista della Unión civica radical, figlio dell'ex-presidente Raúl ('83-'89). Spazzati via dalla scena politica due protagonisti degli ultimi decenni: Eduardo Duhalde (peronista di destra), 6%, e Elisa Carrió (una mistica di destra),1.8%.
Una delle chiavi che danno il senso a questo fenomeno è che la Piazza di Maggio scoppiava l'altra notte di giovani e di ragazzi, un settore sociale che fino a pochi anni fa guardava alla politica con sospetto e disprezzo, che ora levava bandiere con su scritto «Cris-pasión» e ha fatto la sua clamorosa apparizione quando morì improvvisamente Néstor Kirchner il 27 ottobre dell'anno scorso. Allora centinaia di migliaia di muchachos si riversarono nelle strade per lo sconcerto degli anti-kirchneristi e anti-peronisti che mai si sarebbero aspettati una cosa simile.
La presidente peronista di centro-sinistra con il voto di domenica ha ripreso anche il controllo assoluto del parlamento. Secondo le proiezioni, alla Camera, dove era in netta minoranza e si rinnovava la metà dei deputati, il kirchnerismo doc tocca i 117 seggi, 135 con gli alleati, sopra la maggioranza assoluta (129). Al senato, rinnovato per un terzo, il Frente para la victoria di Cristina insieme agli alleati arriva a 38 seggi sul totale di 72.
Un altro dato fondamentale nella vittoria di domenica è il sostegno compatto dei ceti più bassi. Per quanto tradizionalmente peronista, il voto dei poveri si è riversato su Cristina in misura ancor più massiccia delle altre volte e ha toccato percentuali pazzesche nella Gran Buenos Aires e nelle province del nord (le più povere). Sono gli effetti combinati di una crescita economica complessiva che ha dato lavoro a settori emarginati dalla vita sociale e di programmi d'intervento come l'assegnazione di 47 euro mensili per figlio a tutti e la fornitura di computer gratis per gli studenti delle scuole secondarie pubbliche.
Non solo. La comunità artistica e intellettuali prestigiosi hanno avuto un ruolo essenziale nella sopravvivenza politica di Cristina e Néstor Kirchner nel 2008 e 2009, gli anni più duri dello scontro con gli agrari e della guerra senza quartiere mossa dai grandi media (il Clarín arrivò a prevedere che Cristina non sarebbe arrivata a concludere il mandato). Allora un fronte di attori famosi, cantanti, pittori e docenti universitari scese in campo in difesa delle politiche del governo. Ma questa volta la presidenta ha sfondato anche nella classe media. Come provato dalla vittoria perfino nella città di Buenos Aires, sempre difficile per il peronismo, a Santa Fe e Córdoba.
Ora però il «cristinismo» si ritrova di fronte a molte e non facili sfide. Nel campo dei servizi pubblici, i Kirchner hanno rinazionalizzato qualche impresa (acqua, poste, linee aeree) e hanno messo in piedi un colossale sistema di sussidi a imprese private (elettricità, gas, trasporti) su cui i controlli sono scarsi. Sussidi che distorcono l'economia e che risultano vantaggiosi non solo per i bassi redditi ma anche per chi potrebbe pagare di più. Per quanto a Buenos Aires comprare abbigliamento può costare quanto a New York, un biglietto del metrò costa 0.19 centesimi di euro, la luce per una famiglia di classe media può non costare più di 10 euro a bimestre...
Sul piano economico ma anche simbolico uno dei momenti-chiave sarà quando la giustizia decreterà l'applicazione della legge anti-monopolio sui media, bloccata dai ricorsi di Clarín: la vendita obbligata di quell'immenso conglomerato che conta più di 200 canali via cavo e giornali nel paese promette si essere traumatico”.
Sebastian Lacunza
25.10.2011


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