venerdì 25 novembre 2011

"È successo un quarantotto!" - La rivoluzione del 1848 e quella del 2012



Per l’anno scolastico 2011-2012, il tema prescelto per il “National History Day”, un programma di didattica storiografica che coinvolge mezzo milione di studenti americani e 30mila insegnanti, è “Revolution, Reaction, Reform in History”.

In precedenza, ho scritto: “Mi aspetto un 1848 su scala globale e molto ma molto più poderoso e sanguinoso. Una cosa senza precedenti, tipo un 1789 planetario”:
Ho poi scoperto che lo ritiene possibile anche un giornalista dell’Indipendent (che mi ha anticipato di alcuni giorni!):
Andreas Whittam Smith, “Western nations are now ripe for devolution”, The Independent, 20 October 2011

Meglio dunque dare un’occhiata a questo famoso ’48.
Il “48” fu caratterizzato da malcontento popolare, irrequietudine, frustrazione, forte volontà di cambiare le cose, insofferenza e risentimento nei confronti di chi esercitava il potere economico e politico, defezioni tra i membri delle classi dominanti, crisi economico-finanziaria, crescenti disparità sociali, uso della forza da parte del governo per bloccare le proteste. Gli ingredienti ci sono già tutti.
Il 1848 fu transnazionale (Italia, Germania, Francia, Danimarca, Romania) e globale: gli attivisti neri per l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti inviarono denaro ai rivoluzionari tedeschi, alcuni tra i quali, una volta sconfitti e trasferitisi negli Stati Uniti, ingrossarono le file degli abolizionisti, per gratitudine e per principio. Disoccupazione e carestia spinsero contadini, operai e classe media a fare causa comune. 
Il 48 scoppiò in primavera (“la primavera dei popoli”), già in estate (“l’estate rossa”) si verificò una scissione tra radicali socialisti e moderati liberali (come al tempo della Rivoluzione Francese: Mirabeau contro Robespierre), che all’Est si sommò ai dissidi interetnici. Queste divisioni indebolirono il movimento e vennero sfruttate dalla Reazione. In autunno ci fu un ritorno di fiamma del movimento rivoluzionario (”Estate Indiana”, specialmente in Italia e Germania meridionale), ma i potenti passarono al contrattacco: la contro-rivoluzione si concentrò sulla soppressione delle insurrezioni in Germania e Italia ed sulla guerra contro l’Ungheria, nel 1849. Alla fine, la Seconda Repubblica si convertì nel Secondo Impero (al tempo della Rivoluzione Francese: Direttorio e Napoleone Bonaparte). Nel 1851 gli Ungheresi si arresero.
Quasi ogni fase della rivoluzione fu preannunciata da eventi parigini, amplificati dal telegrafo, dal trasporto su rotaia e su nave a vapore, come un contagio. Ma, contemporaneamente, i rivoluzionari in fuga da Italia e Germania influenzarono le dinamiche rivoluzionarie francesi. Già allora, fatte le debite proporzioni, vi era un’interazione paragonabile a quella dell’era digitale: le istanze locali si riconoscevano in uno spirito comune, paneuropeo, solidale.
Il 1848 fallì perché il libertarismo nazionalista (che è prima di tutto conservatore) ebbe la meglio sulle rivendicazioni sociali e democratiche. Tuttavia, da quel momento, i regimi non-costituzionali furono costretti a mettersi sulla difensiva e rimasero isolati. La popolazione europea non era più disposta a rinunciare a certi diritti che ormai considerava fondamentali ed alla democrazia parlamentare che se ne doveva fare garante.

Nel 2012, Egitto, Grecia, Italia, Spagna e Francia saranno presumibilmente i paesi in cui l’impatto della crisi economica si farà sentire più pesantemente, almeno inizialmente, e quelle a maggior rischio di esplosione sociale proto-rivoluzionaria. Poi arriverà il momento del mondo anglo-americano, e saranno gli scossoni di un elefante. A quel punto l’Unione Europea come la si intende oggi e come la intendevano i suoi fondatori sarà un ricordo del passato. Tutto questo potrebbe essere evitato con la remissione dei debiti, ma non succederà mai: l’avidità di alcuni è senza limiti ed ogni rivoluzione offre l’opportunità di istituire nuovo ordini sociopolitici, a volte più autoritari di prima, se il terrore rivoluzionario ha sgomentato a sufficienza la popolazione. Non è improbabile che una svolta rivoluzionaria sia già stata prevista e programmata. Non è però chiaro come chi sta in alto possa sentirsi certo di poterla cavalcare, su un pianeta in subbuglio climatico e tettonico.

All’inizio del 1848 nessuno si aspettava che la rivoluzione fosse imminente, ma le precondizioni c’erano tutte. Oggi siamo in frangenti paragonabili a quelli del 1848. Negli ultimi 25 anni il divario tra ricchi e poveri è cresciuto stabilmente, la tendenza alla sperequazione si è diffusa come un contagio, a partire dagli Stati Uniti di Reagan e dal Regno Unito della Thatcher. Un recente studio dell’OCSE indica che persino Danimarca, Svezia e Germania sono state contagiate dal virus delle disparità. Oggi, nelle nazioni occidentali, il reddito medio della fascia più ricca (10%) della popolazione è nove volte superiore a quello del 10% più povero. I dirigenti in molti casi guadagnano 200 volte più dei loro dipendenti. Nessuna società può sopravvivere quando si trova alle prese con tali squilibri di remunerazione e tenore di vita, per di più in un contesto di incessante recessione, crescente disoccupazione, estrema difficoltà a trovare un primo impiego dignitoso, aumento dell’inflazione, contrazione dei salari, incremento del costo degli affitti e dei mutui. Non è certo per caso che il denominatore comune delle proteste degli indignati e degli occupanti di tutto il mondo è la rivendicazione di un sistema più equo, più rispettoso della dignità umana del 99%, contro l’avidità e la corruzione del 1%.
Anche le rivoluzioni del 1848 iniziarono in modo confuso, casuale, disorganizzato, guidate da intellettuali che non avevano alcuna esperienza politica e non erano uomini d’azione. La forza della spinta popolare si rafforzò a causa delle incertezze e delle repressioni dei governi ed il movimento si auto-organizzò spontaneamente, perché vi era l’esigenza di farlo.

FONTI:
Wolfgang Mommsen, 1848, die ungewollte Revolution: Die revolutionaren Bewegungen in Europa 1830-1849, Frankfurt/M.: Fischer Taschenbuch Verlag, 1998.
Mike Rapport, 1848: Year of the Revolution, New York: Basic Books, 2009.
Jonathan Sperber, The European Revolutions, 1848-1851, Cambridge: Cambridge University Press, 1994.

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