È sempre l’oppressore, non l’oppresso, che determina la forma della lotta
Nelson Mandela
Nessun paese può rivendicare di essere il poliziotto del mondo e nessuno stato può dettare a un altro cosa deve fare. Quelli che ieri erano amici dei nostri nemici oggi hanno l’impudenza di dirmi di non fare visita al mio fratello Gheddafi. Mi suggeriscono di essere ingrato e di dimenticarmi del passato
Nessun paese può rivendicare di essere il poliziotto del mondo e nessuno stato può dettare a un altro cosa deve fare. Quelli che ieri erano amici dei nostri nemici oggi hanno l’impudenza di dirmi di non fare visita al mio fratello Gheddafi. Mi suggeriscono di essere ingrato e di dimenticarmi del passato
Nelson Mandela
Nelson Mandela, premio Nobel per la pace, uscito dal carcere nel 1990 dopo
27 anni di prigionia e primo presidente nero del Sudafrica nel 1994, era
considerato un terrorista dal governo sudafricano ed il suo nome, come quello
di altri membri dell’African National Congress, è restato fino al 26 giugno
2008 sulla lista delle persone sospettate di legami con il terrorismo del
governo americano, tanto che per poter entrare negli Stati Uniti aveva bisogno
ogni volta di uno speciale nullaosta. Hanno alterato la lista espungendo il suo
nome solo in previsione del suo 90° compleanno, il 18 luglio 2008.
Il movimento di liberazione African National Congress (ANC), da lui
capeggiato, si era dato alla resistenza armata creando una rete di guerriglieri
(Umkhonto we Sizwe, la Lancia della Nazione) dopo che anni di protesta
nonviolenta contro l’apartheid non avevano portato ad alcun progresso.
Inizialmente si era speso assieme al suo amico, l’avvocato Oliver Tambo, per
fornire rappresentanza legale pro bono o comunque ad un costo accessibile ai
neri. Ma la misura fu colma, a giudizio di Mandela, che era già stato
incarcerato dal 1956 al 1961 per la durata di un processo per “alto tradimento”
che si concluse con la sua assoluzione, con il Massacro di Sharpeville, il 21
marzo 1960, quando la polizia aprì il fuoco contro una folla di dimostranti
neri uccidendo 69 persone in conseguenza del fatto che, come dichiarò il
colonnello Pienaar, “la mentalità indigena non permette di radunarsi
pacificamente. Per loro un raduno significa violenza”. I sabotaggi e gli
attentati causarono decine di morti e centinaia di feriti tra i militari, ma
anche tra civili bianchi e neri. La Commissione per la verità e la
riconciliazione ha stabilito che Umkhonto we Sizwe si macchiò di
continue violazioni dei diritti umani, inclusi la tortura e l’esecuzione
sommaria di agenti del regime sudafricano, sebbene queste pratiche non fossero
mai state ufficializzate dall’ANC. Nel 1985 rifiutò la libertà condizionata in
cambio di una rinuncia alla lotta armata motivando la sua scelta con queste
parole: “solo gli uomini liberi possono negoziare. Un detenuto non può
instaurare alcuna relazione contrattuale”.
Per circa 40 anni dovette fronteggiare non solo l’oppressione bianca
sudafricana, ma anche l’opposizione di Stati Uniti, Regno Unito (le scuse
ufficiali sono arrivate solo nel 2010), Francia (fino al 1981) e persino
Israele:
Nel corso di un’intervista al Larry King Live (16 maggio 2000), Mandela ha
espresso il suo punto di vista sul suo passato.
KING: Lei è stato un terrorista?
MANDELA: Beh, il terrorismo dipende da…
KING: …da chi vince.
MANDELA: precisamente. Mi chiamavano terrorista, ma quando fui rilasciato
molte persone mi abbracciarono, anche i miei nemici di un tempo. E questo è
quel che dico alle persone che dicono che chi combatte per la liberazione del
proprio paese è un terrorista. Dico loro che anch’io lo sono stato, ma oggi
sono ammirato da quelle persone che dicevano che ero un terrorista.
KING: è mai riuscito a spiegarsi l’apartheid?
MANDELA: è difficile capire un fenomeno del genere, ma penso che in una
nazione come il Sudafrica, dove la stragrande maggioranza della popolazione era
nera e chi comandava rappresentava solo il 14 per cento della popolazione,
l’apartheid era il modo migliore per difendere la supremazia bianca,
tagliandoci fuori completamente dai diritti di cittadinanza.
KING: Come l’hanno trattata in carcere?
MANDELA: all’inizio molto male e ci è toccato lottare per un trattamento
più dignitoso. Questa lotta ha portato buoni frutti.
KING: come ci siete riusciti? Come si combatte il sistema?
MANDELA: all’inizio abbiamo fatto degli scioperi della fame, una delle
migliori armi a disposizione per dei detenuti. Ci siamo rifiutati di eseguire
dei compiti umilianti, sopportando le punizioni conseguenti. Ma abbiamo
insistito.
KING: erano concesse delle visite?
MANDELA: potevo vedere i membri della mia famiglia solo ogni sei mesi.
Nessuno al di fuori della cerchia famigliare.
KING: come ha fatto a tirare avanti?
MANDELA: ero circondato da persone brillanti, alcuni di loro con
un’eccellente educazione ottenuta in università straniere, persone che avevano
viaggiato ed era un vero piacere sedersi con loro e fare conversazione. Mi
hanno arricchito. E poi ci hanno concesso ottime letture. Così abbiamo scoperto
che anche il solo fatto di sedersi e di pensare era il miglior modo di
mantenersi freschi e in forma, capaci di affrontare i problemi di ogni giorno e
di esaminare il nostro passato. Era possibile prendere le distanze da se stessi
e riflettere sul proprio comportamento, se ero stato all’altezza di qualcuno
che aveva cercato di porsi al servizio della società, e ci furono molti casi in
cui mi sono vergognato di me stesso.
KING: ad esempio?
MANDELA: quando arrivai a Johannesburg dalla provincia non conoscevo
nessuno ma molti sconosciuti furono gentili con me. Poi finii in politica e
divenni un avvocato, così impegnato da non pensare che avrei dovuto tirarmi
fuori il tempo per le persone che avevano fatto così tanto per me. È stato solo
in prigione che mi sono reso conto di aver fatto qualcosa di imperdonabile, di
non aver apprezzato l’ospitalità che mi veniva data da persone che non
conoscevo, la loro generosità. Il fatto di essere diventato un avvocato,
dimenticandomi di loro, mi faceva male.
KING: lei ha fatto amicizia con le guardie, vero?
MANDELA: abbiamo appoggiato le guardie che ci rispettavano e abbiamo visto
che non esisteva un sostegno monolitico per l’apartheid. Ci sono sempre persone
che ragionano umanamente.
KING: alcuni di loro erano analfabeti. Li ha aiutati a scrivere lettere ed
alcuni di loro aveva delle cause in corso e li aiutò anche in quello?
MANDELA: proprio così. Lo facevamo perché quelli in alto se ne fregavano di
quelli in basso, li trattavano come stracci. Abbiamo fatto cambiare le cose
perché trattavamo tutti come degli esseri umani, con delle speranze e delle
aspirazioni.
KING: dopo 26 anni di prigionia, ha chiesto di ritardare il rilascio di tre
settimane.
MANDELA: certamente non vedevo l’ora di andarmene, ma volevo che la mia
liberazione fosse organizzata come si deve e potessero essere presenti le
persone che mi avevano ospitato da giovane e la generosità dei quali non avevo
ricambiato. Volevo avere l’opportunità di ringraziarli personalmente per tutto
quel che avevano fatto per me.
KING: non ha mai odiato i suoi carcerieri?
MANDELA: No, perché bisogna tener conto del fatto che nella situazione in
cui eravamo una promozione dipendeva dal proprio sostegno all’apartheid e
perciò le persone buone si capiva che avevano l’atteggiamento di chi ti
vorrebbe dire che quel che fa lo fa solo per la promozione, non per cattiveria.
Alcuni di loro sono diventati amichevoli e non hanno mai mortificato la nostra
dignità.
Perché rimase amico di Gheddafi fino all’ultimo?
1 commento:
Ascoltami nella notte (2013)
Ascoltami, Erin, intenda tamburo,
nella notte, il tuo grande orecchio
del Kenya, dove tu pascoli ancora
libero. Il dio della Bibbia Swing
mi è morto dentro e l’astro più bello
del firmamento Blues è da tempo
un globo spento. Che ora tuoni
alle nubi a mandrie, che martello
poderoso la mandi su tutte le savane
del mondo. Viva Mandela, abbasso
lo schiavismo di lacrime e diamanti.
F.2000 Ufo for m.i
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