Amo Reinhold Niebuhr. È uno dei miei filosofi preferiti. Da lui ho
appreso che esiste un male reale nel mondo e avversità e dolore e che dovremmo
essere umili e modesti nella nostra convinzione di poter eliminare queste cose.
Ma non dovremmo usarla come scusa per giustificare il nostro cinismo ed
inazione. Ho appreso il senso che dobbiamo fare questi sforzi consapevoli che
sono ardui, senza oscillare tra l’idealismo ingenuo ed il realismo amaro.
Senatore
Barack H. Obama, candidato alle presidenziali statunitensi, 2007
La società occidentale è stata salvata dal destino del “mondo nuovo”
descritto da Aldous Huxley da fortunate confusioni della democrazia, da quel
poco di buon senso rimasto alla gente comune e dalla sconfitta dei presunti
signori della storia nel creare un progetto politico che desse loro
quell’onnipotenza che la loro onniscienza sembrava meritare.
Reinhold
Niebuhr
Uno dei consigli favoriti degli studiosi di scienze sociali è quello
di giungere a un accomodamento. Se due parti sono in conflitto, fatele
negoziare, moderare le loro pretese, giungere a un modus vivendi…senza dubbio
innumerevoli conflitti possono essere risolti in questo modo. Ma un gruppo
diseredato, come per esempio i neri, potrà mai ottenere piena giustizia per
questa via? Le sue anche più minime richieste non sembreranno esorbitanti ai
bianchi dominanti, solo una piccola minoranza dei quali guarda con un obiettivo
senso di giustizia al problema dei rapporti razziali? O come faranno gli operai
a seguire questo consiglio quando devono trattare con i proprietari delle
industrie, i quali hanno talmente tanto potere da poter uscire vincitori da un
dibattito per poco convincenti che siano le loro argomentazioni? Ben pochi
sociologi hanno capito che la soluzione – basata su un compromesso tra le parti
– di un conflitto sociale causato da uno squilibrio di potere nella società è
difficile che sia conforme a giustizia fintanto che tale squilibrio di potere
sussiste….La maggior parte degli studiosi delle scienze sociali è costituita da
razionalisti talmente convinti da ritenere che gli uomini al potere limiteranno
immediatamente il loro sfruttamento e le loro pretese non appena avranno
appreso dai sociologi che le loro azioni e i loro atteggiamenti sono
antisociali […] . Ciò che manca a questi moralisti, siano essi religiosi o
razionalisti, è la comprensione del carattere brutale del comportamento di
tutte le collettività umane, e della forza dell’interesse personale e
dell’egoismo collettivo in tutte le relazioni tra gruppi….Questi pensatori guardano
al conflitto sociale come a un metodo mediante il quale non si possono
conseguire dei fini moralmente approvabili, oppure come a un espediente
momentaneo che un’educazione più perfetta o una religione più pura renderanno
superfluo. Essi non si avvedono che le limitazioni dell’immaginazione umana, e
la facile soggezione della ragione ai pregiudizi e alla passione, specialmente
nei comportamenti di gruppo, rendono il conflitto sociale un fenomeno
inevitabile nella storia dell’uomo, probabilmente fino alla fine di essa.
Reinhold
Niebuhr
Affrontare con il riso le delusioni e le frustrazioni, le
irrazionalità e le contingenze della vita è una forma di superiore
sapienza…Un’accettazione umoristica del destino è veramente espressione di
un’alta forma di distacco da se stessi. Se gli uomini non si prendono troppo
sul serio, se hanno qualche senso della natura precaria dell’avventura umana,
dimostrano che stanno guardando all’intero dramma della vit, non soltanto dal
punto di vista limitato dei loro interessi ma da un orizzonte visuale più
lontano e superiore.
Reinhold
Niebuhr
C’è
chi mi ha chiesto quali siano i miei pensatori di riferimento. Io ho moltissimi
pensatori di riferimento, perché mi rifiuto di privilegiare un’unica fonte.
Devo però dire che ho scoperto, abbastanza recentemente, che c’è un pensatore
con cui mi trovo sostanzialmente in accordo su quasi tutto. Questa cosa mi
mette un filino a disagio, perché dimostra che non c’è quasi nulla di originale in quello che
penso e scrivo. Tanti anni di studi e riflessioni per arrivare a dire cose già
dette, scrivere cose già scritte!
A
differenza di Obama, Bush aveva dichiarato che il suo filosofo preferito era
Gesù Cristo e, durante la sua amministrazione, Niebuhr fu eclissato. Obama ha
anche affermato di essere stato influenzato da Friedrich Nietzsche – per il
quale Niebuhr coltivava una tenace avversione – e da Paul Tillich, amico
personale di Niebuhr. Niebuhr lo aiutò ad emigrare e provò a fare lo stesso con
Bonhoeffer (suo allievo tra il 1930 e 1931), il quale prima gli diede ascolto e
poi però decise di rientrare in patria e caricarsi sulle spalle la croce del
tirannicidio.
Reinhold
Niebuhr (1892-1971) è stato uno dei giganti della cultura statunitense del
dopoguerra, la cultura egemone a livello globale. Dunque merita la nostra
attenzione.
È
stato il teologo americano più influente del ventesimo secolo. Non era un
biblista, ma un teologo morale e politico che si domandava, molto
socraticamente, come ciascuno di noi dovrebbe agire, individualmente e collettivamente,
nel mondo post-edenico.
Niebuhr
distingueva l’etica dalla politica ma le considerava intrecciate,
interpenetrate.
La
coscienza e il potere, l’etica e la coercizione, l’idealismo ed il realismo,
sono fattori della vita umana che non possono non incontrarsi e che devono
coesistere attraverso compromessi per nulla facili, spiegava nel suo testo più
noto, intitolato “Moral Man and Immoral Society” (1932). Il realista privo di
uno sguardo morale è uno stolto tanto quanto l’idealista che non tiene conto
della realtà della vita umana. Abbiamo
l’obbligo morale di vedere il mondo come è, non come preferiremmo che fosse e
di astenerci dal ricrearlo in funzione dei nostri desideri e valori (che non
sono universali).
L’egoismo
comunitario è inevitabile e le nazioni
sono tenute assieme dal collante della forza e delle emozioni, non dalla
ragione, per questo sono essenzialmente egotistiche. Per di più
lo Stato conferisce potere agli impulsi collettivi più egotisti e convince
l’individuo ad identificarsi sempre più saldamente con essi. Poiché la
negatività della nostra natura non si può cancellare, è assurdo pensare di
poter pianificare il futuro. Dunque le
politiche debbono essere modeste e moderate, se non si vuole rischiare di
peggiorare le cose, a causa dei limiti della razionalità umana,
dell’incompletezza delle nostre conoscenze e della parzialità del nostro
comportamento.
Non
si fondano istituzioni globali (governo
planetario, nuovo
ordine mondiale) finché non esiste una coscienza cosmopolita e
questa, finora, è un miraggio.
In
breve, questi sono gli elementi chiave dell’approccio niebuhriano alla politica
ed alla società:
1.
compromesso invece di utopismi e dottrinarismi;
2.
Realismo morale;
3.
Necessità del potere;
4.
Limiti morali all’azione politica;
5.
Esigenza di umiltà;
6.
Azione politica responsabile;
7.
Fermezza realistica e speranza;
NIEBUHR E IL NUOVO ORDINE MONDIALE (GOVERNO GLOBALE) – Niebuhr ravvisa nel racconto
futuristico “The shape of things to come” di H.G. Wells (1933) i tratti
distintivi di un ipotetico governo globale: “i tecnici moderni, simbolizzati da
un gruppo cospiratore di aviatori, avrebbero stabilito un’autorità mondiale
sufficientemente potente per imporre i principi della verità universale
attraverso un programma educativo destinato a tutta l’umanità. Questo programma
educativo avrebbe infine creato la mentalità universale e la cultura globale
indispensabile per la stabilità della comunità universale. Il movimento del suo
[di Wells] pensiero dalla democrazia alla tirannia è la prova della sua
disperazione”.
In
“the myth of world government” (“The Nation”, 1946), Niebuhr spiega che, in assenza di una comunità organica mondiale, il
governo mondiale diventerebbe una costruzione artificiale priva di alcuna
autorità. Incrementerebbe il chaos e l’anarchia nel tentativo di esercitare la
propria autorità in un mondo diviso, pieno di disparità, socialmente
diversificato, multiculturale e, in breve, plurale, senza un obiettivo comune
ed un’identità condivisa. Un tale governo sarebbe o totalmente inefficiente e
perciò irrilevante, oppure dispotico, di un dispotismo senza precedenti, una
nuova tirannia imperialistica, globale, sanguinaria, totalizzante, distopica e,
in ultimo, caotica. L’alternativa quindi sarebbe da un lato l’impotenza, dall’altro
la tirannia e il caos.
Senza
una comunità organica non si formano istituzioni durevoli. Nel numero di Times
che gli dedicò la copertina, un numero importante perché celebrava
l’anniversario del suo venticinquesimo anno di pubblicazioni, N. dichiarava: “non si fa un governo mondiale redigendo una
splendida costituzione. Lo si fa all’interno di un processo storico, maturando
fino ad essere pronti”.
Per
N. un tale ordinamento
transnazionale sarebbe inevitabilmente caratterizzato da un blando capitalismo,
una blanda democrazia, un blando filantropismo ed una religione aristocratica:
se a qualcuno tutto questo non bastasse o non stesse bene, sarebbe bollato come
minaccia pubblica ed eretico, violatore dei decreti divini.
Un
governo globale non potrebbe mai fabbricare dal nulla uno spirito di comunità e
quindi, alla lunga, fallirebbe, ma la sua ascesa sarebbe facilitata dalla
stupidità (sic!) dell’uomo medio, che assiste l’oligarca nei suoi sforzi di
dissimulare i suoi reali intenti. N. pensa che la maggior parte delle persone
non sia dotata di quelle capacità intellettuali sufficienti a formarsi dei
giudizi autonomi e per questo il conformismo prevale in ogni società.
“L’illusione
di un governo mondiale” (da “Christian Realism and political problems”, 1953):
“il nostro problema è che la tecnica ha creato un abbozzo di comunità mondiale,
ma non l’ha integrata organicamente, moralmente o politicamente; ha creato una
comunità di reciproca dipendenza, ma non di reciproca fiducia e rispetto…era
probabilmente inevitabile che la condizione disperata del nostro tempo dovesse
persuadere alcuni uomini ben intenzionati che le lacune di una comunità
tecnicamente integrata, ma politicamente divisa, si potessero colmare con il semplice espediente di stabilire un governo
mondiale attraverso il dominio della volontà umana e di creare una comunità
mondiale tramite il dominio di un governo mondiale…Purtroppo la nostra precaria situazione non è una prova né
della capacità morale di creare un governo mondiale con un atto di volontà, né
della capacità politica di un simile governo di integrare una comunità mondiale
ancor prima di organizzare una crescita più graduale del “tessuto sociale” di
cui ogni comunità ha bisogno ancor più che di un governo…L’apparato
per l’applicazione della legge può essere efficace quando la comunità nel suo
complesso obbedisce implicitamente alle leggi, cosicché l’applicazione
coercitiva può essere limitata a una minoranza riottosa…La falsità implicita
nell’idea di governo mondiale si può esprimere con due semplici proposizioni:
la prima è che i governi non si
creano per decreto (benché talora li si possa imporre con la tirannia),
la seconda è che i governi hanno
un’efficacia limitata nell’integrare una comunità. I sostenitori del governo mondiale propongono di
convocare un’assemblea costituente mondiale, che creerebbe l’apparato per un
ordine costituzionale globale e poi inviterebbe le nazioni ad abrogare o
ridurre la loro sovranità al fine di dare a questa sovranità universale di
nuova istituzione un dominio incontrastato…I governi non
possono creare le comunità, per il semplice motivo che l’autorità del governo
non è primariamente l’autorità della legge o della forza, ma l’autorità della
comunità stessa. Le leggi vengono obbedite perché la comunità le accetta come
corrispondenti, nella loro globalità, alla sua idea di giustizia”.
Come
dopo di lui Norberto Bobbio, anche Niebuhr si domanda come si possa costituire
una forza di polizia fedele a uno
stato mondiale
Per
Niebuhr la figura allegorica dell’Anticristo è il nume tutelare di questo
organismo transnazionale. Cita il Nuovo Testamento: “Poiché molti verranno nel
mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo”. E ne sedurranno molti” (Matteo 24: 5) –
“Perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e
miracoli così da ingannare, se possibile, anche gli eletti” (Matteo 24: 24) –
“…Ma sappi questo, che negli ultimi giorni ci saranno tempi difficili. 2 Poiché
gli uomini saranno amanti di se stessi, amanti del denaro, millantatori,
superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, sleali, 3 senza
affezione naturale, non disposti a nessun accordo, calunniatori, senza
padronanza di sé, fieri, senza amore per la bontà, 4 traditori, testardi, gonfi
[d’orgoglio], amanti dei piaceri anziché amanti di Dio, 5 aventi una forma di
santa devozione ma mostrandosi falsi alla sua potenza; e da questi allontanati”
(2 Timoteo 3:1-5).
NIEBUHR E L’IDEOLOGIA DEL SALVATORE DEL GREGGE UMANO – N. è un severo critico
dell’esigenza psicologica umana di attendere che qualcuno – un re o un semidio
scomparso ma che ha promesso di tornare dal suo popolo – arrivi a salvarla,
sollevandola dalle proprie responsabilità. Trova che questo motivo archetipico
sia infantile, indegno di adulti maturi e dignitosi. Perciò mette in guardia i
suoi lettori dal cadere nella trappola del “re messianico davidico, il
re-pastore, che porterà la rettitudine e la giustizia, che guiderà benevolmente
il suo gregge e porterà gli agnelli in seno. In breve, egli unirà amore
perfetto e grande potere, risolvendo così la perenne ambiguità morale di tutti
i sistemi politici, derivante dal fatto che il potere non è mai perfettamente
armonizzato con i fini della giustizia”.
NIEBUHR CONTRO L’ANGELISMO – “se soltanto più gente andasse in chiesa o
all’università, i ricchi che ora hanno troppe ricchezze si priverebbero dei
loro privilegi e farebbero giustizia tra le nazioni e al loro interno. Questa
facile soluzione ai mali del mondo viene proposta nonostante tutta la storia
dell’umanità provi il contrario….Esso non affronta il fatto che i gruppi umani, le classi, le nazioni e le razze
sono egoisti, indipendentemente dall’idealismo morale degli
individui all’interno dei gruppi” – “i
figli delle tenebre sono malvagi perché non conoscono altra legge al di là
dell’io. Benché malvagi, sono avveduti perché comprendono il potere
dell’interesse individuale. I figli della luce sono virtuosi perché hanno una certa comprensione
dell’esistenza di una legge superiore alla loro volontà, ma in genere sono
stolti perché non conoscono il potere della volontà individuale. Sottovalutano
il pericolo dell’anarchia sia nella comunità nazionale sia in quella
internazionale” – “si deve comprendere che i figli della luce
sono stolti non soltanto perché sottovalutano il potere dell’interesse
individuale nei figli delle tenebre, ma perché lo sottovalutano in se stessi. Il mondo democratico è
giunto così vicino alla catastrofe non soltanto perché non ha mai creduto che
il nazismo possedesse la furia demoniaca che esso dichiarava apertamente: la
civiltà ha rifiutato di riconoscere all’interno delle sue comunità il potere
degli interessi di classe. Parlava con disinvoltura di coscienza internazionale
ma nel frattempo i figli delle tenebre riuscivano abilmente a mettere una
nazione contro l’altra”.
NIEBUHR E L’IMPERIALISMO AMERICANO – Per N. il Vietnam è “un
esempio dell’illusione di onnipotenza americana”. L’idea di una missione sacra
dell’America in difesa dell’umanità e della civiltà è un indice di bancarotta
morale: “è intollerabile il pensiero di un’America così potente da essere
ritenuta responsabile dei grandi eventi storici in ogni parte del globo, al di
là delle sue possibilità di conoscenza e progettualità. Per una nazione potente
niente è più pericoloso della tentazione di nascondere i limiti del proprio
potere. Sarebbe la nostra rovina se ci ritenessimo i signori della storia contemporanea”.
NIEBUHR E LA RIVOLUZIONE – C’è sempre un gruppo dominante e quelli che prevalgono
sono i suoi interessi e la loro massimizzazione. Nessun gruppo dominante
rinuncia volontariamente al proprio potere ed al proprio prestigio. Non basta la persuasione razionale e morale,
servono pressioni economiche e politiche, proteste e anche rivoluzioni, laddove
tutte le altre strade sono state tentate. La ragione è serva,
non padrona, dell’interesse personale. Anche laddove uno è smascherato, farà di
tutto per mantenere lo status quo, usando una varietà di argomentazioni che
ritiene plausibili per giustificare il suo egoismo. La mente affila le unghie
del predatore e siccome il predatore umano si nutre di idee e non solo di cibo
e la sua immaginazione è sconfinata, il suo istinto predatorio sarà
insaziabile.
Ciò
detto, le ideologie rivoluzionarie
sono autoreferenziate, totalitarie, ricercano il potere assoluto, non possono
riconoscere la legittimità di istanze diverse dalle loro.
NIEBUHR SU PACIFISMO E NONVIOLENZA
Rifiutare di usare ogni metodo coercitivo significa che non ci si è
resi conto che ognuno li usa continuamente, che tutti viviamo […] in un sistema
politico ed economico che mantiene la sua coesione anche con l’uso di varie
forme di coercizione politica ed economica.
“Why I leave the FOR”, in “The
Christian Century”, LI, 1934, pp. 18-19; p. 18
Il pacifismo è incapace di distinguere tra la pace della
capitolazione di fronte alla tirannia e la pace del Regno di Dio.
“Christianity and Power
Politics”, New York
1940
Se alla fine Hitler sarà sconfitto, lo sarà perché la crisi ha
risvegliato in noi la volontà di conservare una civiltà nella quale la
giustizia e la libertà sono delle realtà e ci ha fatto conoscere che per le
ambiguità della storia sono necessari metodi ambigui. Coloro che sono
disgustati da tali ambiguità abbiano la decenza e la coerenza di ritirarsi in
un monastero, dove i perfezionisti medievali trovano il loro rifugio.
“An end to illusions”, in The
Nation, CL 1940, p. 779
Crede
nel valore del pacifismo assoluto, il pacifismo di testimonianza, che ci
ricorda l’esistenza di una dimensione trascendente in cui la legge della
nonviolenza è l’unica legge, una testimonianza essenziale per chi non vuole
sprofondare nel cinismo che legittima qualunque uso della forza. L’importante è
che non ci spinga a rifiutare categoricamente la politica, privilegiando il
Regno di Dio.
N.
considera deplorevole il pacifismo come strategia per purgare il mondo dai
conflitti politici ed internazionali.
Per
lui l’unica distinzione significativa è tra nonresistenza e resistenza in tutte
le sue forme, che sono tutte violente in quanto coercitive, seppure in diverso
grado e vanno valutate a seconda dei loro presumibili effetti. In certi casi la
resistenza violenta può essere malauguratamente preferibile, perché produce
conseguenze meno dannose e dolorose di quella “nonviolenta”.
Rilassare
la tensione tra essere e dover essere, tra reale e ideale, abbracciando un pacifismo assoluto significa commettere il
peccato di superbia, credersi Dio, negare la nostra finitezza: “le esigenze
etiche esposte da Gesù non possono trovare la loro realizzazione nelle attuali
condizioni di esistenza dell’uomo” (“An interpretation of
christian ethics”, London, SCM Press, 1936, p. 64).
Contemporaneamente,
rilassare la tensione nel senso di
concentrarsi sulla corporeità, sulla natura, significa cadere nuovamente,
renderci ancora più animali, controllati da istinti ed impulsi,
dall’autoconservazione e dal benessere materiale.
In
altre parole: non serve attendere
il Regno di Dio per usare l’insegnamento di Gesù come bussola morale. Però lo
si consideri un esempio, un modello, senza pretendere di emularlo. Lo
scimmiottamento è eretico ed autolesionistico, perché rende superbi. È un
ideale etico, non una strategia politica e di vita quotidiana. Possiamo farci
illuminare, ma non saremo mai la luce, in questo mondo.
Nelle
pagine di “Christianity and Society” N. polemizza con Richard Roberts, uno dei
più importanti pacifisti canadesi. I pacifisti non paiono essere consapevoli
del carattere tragico dell’esistenza, sono inclini a credere che la lotta per
il potere possa essere placata rinunciando all’uso dei mezzi violenti di
controllo sociale. Partono da un’erronea comprensione della natura e condizione
umana. Gesù non ha salvato gli
uomini dalla caduta, ha solo mostrato la via della redenzione.
La violenza e le guerre non sono
accidenti, casualità, sono i sintomi della nostra realtà, dell’inevitabilità
storica della conflittualità. Non per questo bisogna
abbandonarsi al cinismo: per evitare questo rischio è necessario tenere sempre
a mente la sopracitata tensione tra reale ed ideale e ricordarsi anche che il
compito del cristiano è quello di difendere e valorizzare la dignità e la
giustizia
Chi non vede la differenza tra la barbarie nazista e l’imperialismo
britannico e preferisce la remissività nei confronti della tirannia nazista
alla guerra lo fa per cecità auto-indotta. In generale, le critiche alla
sua posizione insistono sulla speranza di eliminare i conflitti attraverso una
sottomissione ancora più radicale alla legge dell’amore. Per lui questo è un
argomento scarsamente convincente: senza un’assoluta certezza della sua
efficacia si possono solo commetere errori irreparabili, causando danni ingenti
a persone incolpevoli.
La natura umana è violenta, votata all’autoperpetuazione, alla
sopravvivenza, alla competizione per le risorse. Nessuna teologia cristiana può
fingere che non sia mai esistito il peccato originale. Camminiamo su un terreno minato
di egoismi, interessi privati, pregiudizi e preconcetti.
N.
cita spesso Matteo 13, 24-30: “Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo
che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il
nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe
fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono
dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel
tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha
fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?
No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa
sradichiate anche il grano. Lasciate
che l’una e l’altra crescano insieme fino alla mietitura e al momento della
mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli
per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio“.
E
1 Giovanni 1: 8-10: “Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi e
la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e
giusto, da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di
non aver peccato, lo facciamo bugiardo e la sua parola non è in noi”.
Chi ama gli assolutismi non deve entrare nell’arena
politica, il terreno dei chiaro-scuri, della sobrietà, dell’attitudine al compromesso,
della flessibilità, della tolleranza, della giustizia, ecc. dove un Goebbels è
nonviolento ed un Bonhoeffer è un violento, dove si cerca di praticare la
giustizia, invece di limitarsi ad attenderla dall’alto.
NIEBUHR, LA MODERNITÀ E LA NATURA UMANA
Non c’è alcun fondamento cristiano nell’industria moderna. È basata
su una concezione della vita puramente naturalistica e si fa beffe,
cinicamente, di ogni comprensione spirituale degli esseri umani. La cristianità
non ha nulla a che fare con l’organizzazione della civiltà industriale (1923).
La
modernità vive di due dogmi indiscutibili, l’idea del progresso e l’idea della perfettibilità
dell’uomo: “questa religione essenziale della modernità non è meno dogmatica
per il fatto di essere implicita anziché esplicita e non è più autentica perché
si riveste con tutta l’armatura della scienza”. Il paradosso è che più
l’umanità sembra capire la natura, meno sembra capace di comprendere se stessa.
Una cosa che proprio non vuole capire è che le possibilità del male crescono
assieme a quelle del bene, più cresce l’ordine, più si moltiplicano le
occasioni per il caos. L’uomo è
una creatura finita che non può fare a meno di vedere il mondo da una
prospettiva limitata, in funzione del suo istinto di sopravvivenza, che lo
induce a tradurre la sua brama di vivere in brama di potere, per trascendere la
sua finitezza, la sua mortalità. Il suo orgoglio gli
impedisce di capirlo e lo rende pericoloso. Così, le inconsapevoli illusioni
dell’utopia si trasformano nelle consapevoli menzogne, l’idealismo in cinismo.
Quando la storia dimostra di non essere in grado di colmare lo scarto tra ciò
che l’uomo è e ciò che vorrebbe essere, gli uomini si incaricano di
reindirizzarla a loro discrezione.
L’uomo
è un essere vivente che sa riconoscere il flusso vitale in cui è immerso.
Dunque non vi può appartenere integralmente, pur non essendo completamente al
di sopra della natura. La natura
non produce individui, ma tipi, specie e generi. L’individualità umana è il
frutto della libertà, che a sua volta deriva dallo spirito, l’intelletto puro,
che è universale, come la logica e la matematica, che sono i mezzi con cui si
esprime. Questo comporta un problema: essendo al tempo
stesso fuori e dentro il mondo,
l’uomo può cadere vittima della tentazione alla megalomania, a sentirsi un dio
al centro dell’universo.
NIEBUHR E LA DEMOCRAZIA
Il sentimento umano di giustizia rende possibile la democrazia; la
sua inclinazione all’ingiustizia la rende necessaria.
“The Children of Light and the
Children of Darkness” (1944)
Mentre
la tirannia amplifica e glorifica la superbia e la brama di potere, la
democrazia mitiga questi peccati, pur non potendo eliminarli.
La
democrazia permette di controllare il potere, favorisce la libertà e ne limita
gli eccessi, ossia il “carattere perenne e persistente dell’egoismo umano”.
L’individuo è “morale” solo se è in accordo con gli standard del gruppo, ossia
se si sacrifica per esso. Chi dissente di fronte ad un comportamento
discriminatorio del proprio gruppo nei confronti di altri, diventa immorale,
sebbene da una prospettiva universale sia l’unico la cui condotta sia
autenticamente morale (es. Socrate e Gesù morti perché giudicati non
sufficientemente altruistici e umili). Tutti i gruppi sono ipocriti perché
devono placare gli scrupoli dei loro membri e quindi proclamano di incarnare i
più nobili principi e virtù e di perseguire i fini più virtuosi e condivisibili,
quando dovrebbe essere chiaro a tutti che gli obiettivi e le motivazioni di ogni gruppo sono egoistiche,
gruppo-centriche (egoismo collettivo), perché quella è la sua ragion d’essere.
Il sacrificio e l’abnegazione del singolo si prestano ad abusi e condotte
immorali da parte della comunità.
NIEBUHR E LA GIUSTIZIA – La giustizia distributiva è il più razionale e supremo
obiettivo che una società possa porsi. Non possiamo più permetterci di
gratificare i nostri desideri a spese degli altri, al prezzo dell’ingiustizia
sociale e globale. L’ordine e la pace borghesi sono incompatibili con il dovere
di garantire una minore disparità sociale.
Chi
vuole eliminare l’ingiustizia parte svantaggiato, perché viene accusato di
mettere a repentaglio la stabilità della società, anche quando usa metodi
pacifici. Una passione per la
pace che in alcuni è estremamente ipocrita, disonesta ed egoistica ed in altri
è coltivata in buona fede, perché chi è privilegiato tende a considerare i suoi
privilegi come dei diritti e a trascurare gli effetti delle disparità sociali
su quelli che stanno alla base della piramide sociale. Il loro malcontento è
ingiustificato e dettato dall’ignoranza, l’gnoranza della violenza coercitiva e
della violenza psicologica implicite nel mantenimento dello status quo. Per
questo aborrono la violenza dei contestatori e sorvolano, perché non la
percepiscono, sulla violenza strutturale della società in cui vivono.
NIEBUHR SUL BENE E SUL MALE
Reputo che il peccato cardinale del liberalismo sia stato quello di
conferire all’egoista un’opinione di sé eccessivamente benevola (1930).
La
nobiltà degli ideali non implica un’assenza di egoismi ed egotismi. La
giustezza della causa non rende automaticamente giusti. Ogni virtù è soggetta a
corruzione, il male che mi fanno gli altri non è molto dissimile da quello che
faccio agli altri. Tendiamo a malgiudicare chi non è all’altezza dei nostri
ideali, senza capire che siamo noi i primi ad esserne distanti. Il problema
degli esseri umani è che trasformano in bene infinito il loro ego ed i loro
valori soggettivi e parziali: è questo il peccato.
Il male, che è inclinazione ad un eccessivo amore di sé, è negativo e
parassitario nella sua origine, è attivo, i suoi effetti possono essere
positivi. Il mito biblico del serpente è molto profondo, perché mostra come
l’uomo sia stato tradito dalla sua incredulità e dal suo orgoglio.
Il
peccato originale risiede nel nostro dualismo: siamo corpo ed anima, immanenza
e trascendenza, sentiamo un impulso a trascendere la materia alla ricerca della
perfezione, dell’eternità e dell’infinito, ma non possiamo farlo perché siamo
finiti e questa conflittualità ci porta a credere di aver ottenuto l’autorità
dell’assoluto quando invece la nostra condizione ci permette l’accesso solo a
verità molto parziali. Consideriamo i nostri valori assoluti quando sono solo
l’espressione dei nostri interessi. Il nostro egoismo ci rende bigotti e
smaniosi di imporre la nostra volontà e punto di vista sugli altri. La superbia
è un problema spirituale permanente dell’uomo. Il male peggiore proviene dalla
furia degli zeloti.
L’uomo
è più inumano proprio quando crede che i suoi impulsi naturali ed i suoi valori
soggettivi siano al servizio di un bene assoluto.
L’uomo
è ignorante, finito e limitato ma immagina di non esserlo, si convince di non
esserlo, di poter trascendere i suoi limiti e fare in modo che la sua mente si
universalizzi e colga la Verità Assoluta. È il peccato di superbia al servizio della volontà di potenza, che
piega e subordina ciò che ci circonda al nostro ego ipertrofico,
aggressivamente votato a porsi al centro della Creazione.
L’uomo
ama se stesso eccessivamente ma una voce dentro di lui sa che questo
abbandonatissimo amore è ingiustificato ed immorale, per questo ciascuno si inventa
una tecnica di mimesi per continuare a venerare se stesso anche se
all’apparenza ci si vota ad una causa che ci trascende. La prima persona da
ingannare con questa manipolazione siamo noi stessi. S’ingannano gli altri per
poter ingannare e tacitare meglio la nostra coscienza. Ma se non ci fosse
qualcosa di buono in noi, tutto questo non avrebbe senso. Dunque proprio gli sforzi dissimulatori sono la miglior
prova del fatto che non siamo radicalmente depravati (cf. “The nature and
destiny of man”), che ci vergogniamo del nostro status privilegiato, del nostro
benessere, che sentiamo che c’è qualcosa che non va quando costringiamo gli
altri ad adeguarsi al nostro volere, anche se per la gran parte del tempo
facciamo finta di niente. Solo il dogmatismo, il fanatismo e la frenesia
omicida possono sopprimere la voce della coscienza.
Il
peccato ci unisce, la colpa ci separa: vi sono essenziali distinzioni tra
l’ammontare di responsabilità che spettano a ciascun singolo e ciascun gruppo
per il male nel mondo. Bisogna schierarsi con quelli che si debbono far carico
del minor fardello di iniquità. Chi esercita maggior potere è anche
maggiormente responsabile delle condizioni in cui versa il mondo.
Come
Agostino, N. ritiene che uno non scelga volontariamente di peccare ma lo faccia
credendo di compiere il bene (anche se in un angolo del cervello sappiamo di
aver peccato). Perché siamo liberi
ma non riusciamo a non peccare, ad essere meno ostili, violenti, egotisti e più
amabili ed amorevoli, pur sapendo che ciò comporta solo guai? Agostino e N.
pensano che ci sia un pregiudizio intrinseco, un meccanismo, una forza
interiore che fa in modo che si compia più facilmente il male: dunque non siamo
completamente liberi, ma non siamo neppure innocenti in quanto completamente
subordinati al corpo ed ai suoi bisogni. Infatti, come detto,
sentiamo rimorso e vogliamo pentirci.
Un
inconscio determinatore delle nostre azioni consapevoli ci rende più
insensibili, più egocentrici, più ingiusti ed iniqui di quanto potremmo essere
se facessimo attenzione ai nostri gesti ed alle nostre motivazioni. È come se ogni volta che abbassiamo la guardia
dessimo il peggio di noi e, una volta causato il danno, ci sforzassimo di
giustificare gli errori retroattivamente. Adamo ed Eva sono i
simboli di questa condizione umana, non certo gli originatori di un peccato
trasmesso ereditariamente. Gli automatismi mentali ci spingono a porci al
centro del nostro universo, a credere di dover essere autosufficienti (a spese
altrui), per sfiducia nei confronti dell’altro e per via dell’istinto di
autoconservazione: per questo siamo cronicamente ingiusti. Idolatriamo il nostro ego attraverso la
venerazione di idoli esterni come la patria, la nazione, la classe, la razza,
la chiesa, ecc. che ci rendono aggressivi e violenti, ossia malvagi.
NIEBUHR SU NIETZSCHE E NAZISMO
Il moralismo dell’accomodamento immagina che non ci sia un conflitto
che non possa essere aggiudicato. Non capisce cosa significhi incontrare
un nemico risoluto che desidera solo la tua distruzione o asservimento
Nietzsche
si è fatto veicolo di una religione demoniaca perché non riconosce altra legge che la propria volontà
di potenza e non ha altro Dio all’infuori della propria illimitata ambizione.
Il nazismo è la radicalizzazione di tendenze intrinseche all’umanità. I nemici
del nazismo non sono ai suoi antipodi, sono solo meno estremi, o più moderati. Il nazismo resta un’opzione universale che
esisterà finché esisterà l’umanità.
NIEBUHR CONTRO IL PATRIOTTISMO – Il
patriottismo è solo un particolarismo su più vasta scala, un familismo
ipertrofico. “La più decisiva prova del fatto che l’egoismo
delle nazioni è una caratteristica della vita spirituale, e non una mera espressione
dell’istinto naturale di sopravvivenza, è il fatto che le sue espressioni più
tipiche sono la brama di potere, l’orgoglio (incluse le considerazioni di
prestigio e “onore”), il disprezzo per gli altri (altra faccia dell’orgoglio e
suo necessario fattore concomitante in un mondo in cui l’autostima è
costantemente sfidata dai successi altrui), l’ipocrisia (l’inevitabile pretesa
di conformarsi a una norma più alta dell’interesse individuale), e infine la
pretesa dell’autonomia morale, mediante la quale l’autodeificazione del gruppo
sociale viene resa esplicita dal fatto di presentarsi come fonte e fine
dell’esistenza…L’orgoglio delle nazioni consiste nella tendenza a porre pretese
incondizionate per i loro valori condizionati. Il carattere incondizionato di
tali pretese ha due aspetti. La nazione proclama una devozione ai valori che la
trascendono più assoluta di quanto venga testimoniato dai fatti, e considera i
valori ai quali è fedele come più assoluti di quanto siano realmente… nessuna
nazione, razza o classe sacrifica se stessa. I gruppi umani fanno
dell’affermazione del proprio interesse una virtù…il meglio che ci si possa
aspettare da un gruppo umano è un interesse individuale intelligente anziché
stupido. Poiché la maggior parte dei gruppi umano non ha ancora raggiunto
questo ideale minimo e il mondo corre il pericolo di sprofondare nel caos
perché ogni nazione moderna sta perseguendo l’interesse del momento a discapito
di un interesse ultimo più generale che condivide con vicini e nemici”.
NIEBUHR, LE VIRTÙ PRIMARIE E LA LORO PERVERSIONE – gentilezza reciproca, fiducia,
sollecitudine, tolleranza, generosità, libertà, cooperazione, responsabilità
sono virtù primarie. Ma queste stesse possono essere pervertite e servire a
generare superbia, intolleranza, disprezzo e crudeltà verso chi non fa parte
del nostro gruppo (che invece si merita una mia condotta in pieno accordo con
le suddette virtù).
La reciprocità è la migliore guida etica che abbiamo
trovato e che può andar bene per una specie di esseri non innocenti e puri è la
reciprocità. Le norme di mutualità, esercitate con spirito di umiltà e
giustizia sono il meglio che possiamo fare. Reciprocità significa usare
l’empatia per rendersi sensibili, porosi, ricettivi alle esigenze, sentimenti e
prospettive altrui. L’umiltà tiene sotto controllo il nostro istinto di
dominare chi è più debole di noi, la nostra aggressività e ci permette di
raggiungere dei compromessi, nel rispetto degli altri.
LA TEOLOGIA DI NIEBUHR
Il panteismo irrobustisce quelle forze nelle religione che tendono a
santificare il reale invece di ispirare l’ideale.
Punto
di partenza di N.: gli imperativi di Gesù il Cristo non sono praticabili dagli
esseri umani nel mondo decaduto, ma devono servire di ispirazione. Occorre
cercare di modellare la propria esistenza in modo che questi ideali impossibili
non divengano un pretesto per diventare indifferenti e crudeli nei confronti
delle persone in carne ed ossa, con tutte le loro debolezze. La perfezione del Cristo sarà realizzata nel Regno
di Dio, dopo l’Apocalisse/Rivelazione che ce lo renderà visibile.
N. non reinterpreta Gesù, sa che il Sermone della Montagna ingiunge di
comportarsi in ogni circostanza non violentemente: la sua etica è assoluta,
intransigente, un’etica universalista e perfezionista. Ma N. ritiene che l’enfasi sul perfezionismo sia
relativamente recente, rinascimentale, e che i primi cristiani fossero molto
più consapevoli del fatto che la natura umana è difettosa.
Gli esseri umani non sono intrinsecamente buoni, ma egoisti, egocentrici, con
tutto quel che ne consegue. Pretendere
da un essere umano che raggiunga la perfezione significa spingerlo lungo un
percorso che lo costringerà a compromettere altre virtù di primaria importanza,
il che sarebbe socialmente e moralmente irresponsabile. È assurdo pensare che
il peccato originale sia stato cancellato dalla morte sulla croce. Gli esseri
umani di oggi non sono migliori di quelli di ieri e di prima della venuta di
Gesù il Cristo.
John
Haynes Holmes, teologo pacifista, lo attaccò ferocemente: “appare chiaro che la
serena fiducia di Gesù nella natura umana, il suo rigido plauso della legge
morale, la sua fede assoluta nelle forze spirituali, il suo solare ottimismo,
la sua radiosa passione, sarebbero sembrati alquanto ridicoli agli occhi di
Niebuhr. Egli non si sarebbe opposto all’Uomo della Galilea, ma lo avrebbe
certamente disprezzato. E con quanto sollievo si sarebbe rivolto al cinico e
realista Pilato. Pilato: l’uomo del momento”. Niebuhr, prevedibilmente, la
prese molto male, parlando di una mostruosa ingiustizia nei suoi confronti.
Holmes replicò che, in quanto suo amico, riteneva di doverlo aiutare a “porre
rimedio alla sua bancarotta intellettuale e spirituale”. Niebuhr non lo
considerava un amico, anzi spiegò ai suoi veri amici che lo disprezzava. Ma su
una cosa ammise che i suoi critici avevano ragione: credeva che l’insegnamento
di Gesù fosse fondamentale perché indicava l’esistenza di una realtà superiore,
di ideali morali autentici, ma non forniva alcuna linea-guida su come
affrontare un mondo corrotto fino all’avvento del suo Regno, su come assicurare
la giustizia e l’equilibrio dei poteri, su come mantenere sotto controllo la
tensione di forze contrastanti, che porta ai confitti, ossia alla violenza.
Contestava la credenza del cristianesimo liberale che una società
autenticamente cristiana avrebbe mantenuto la pace senza l’uso della forza coercitiva.
La loro visione della cristianità si riduce ad una sua interpretazione come
predicazione che gli esseri umani non seguono, ma dovrebbero seguire. Un
perfezionista morale dovrebbe fare come i francescani, i mennoniti, gli amish,
ecc. e ritirarsi da un coinvolgimento attivo nella sfera pubblica. Erano ciechi di fronte “alla tragica inevitabilità
dell’esistenza umana, all’irriducibile irrazionalità del comportamento umano,
alle tortuosità della storia umana”.
Dopo
essersi opposto ai piani di riarmo di Roosevelt, nel 1940 dovette ammettere che
il presidente aveva anticipato i rischi del nazismo meglio di chiunque altro e
cominciò a sostenere l’idea dell’intervento armato contro la barbarie
nazista. Già nell’aprile dei 1939, l’amico Dietrich Bonhoeffer, il celebre
teologo protestante tedesco poi coinvolto nell’attentato ad Hitler del 1944, lo
aveva avvertito che negli ambienti militari si parlava di un piano di attacco
alla Polonia previsto per l’inizio di settembre. A ottobre, mentre si trovava
ad Edinburgo, aerei tedeschi bombardarono una base navale a poche miglia da
dove stava esponendo le sue tesi nelle celebri Gifford Lectures intitolate “La
natura ed il destino dell’uomo”. In esse criticava il liberalismo cristiano e
la sua fissazione per Gesù come
“uomo molto, molto, molto buono”. “E se dovesse arrivare una persona ancora più
buona?” domandava. I cristiani dovrebbero allora ri-orientare
la loro devozione? Il senso dell’ammonimento era quello di non credere di poter
trascendere le relatività della storia aumentando il numero di superlativi
applicati alla figura di Gesù, che serve solo a svalutarne la rivelazione della
possibilità di redimersi dalla caduta nel peccato, causata dalla superbia e
dalla brama di potere di ego, che si pone al centro della creazione e subordina
inevitabilmente tutto il resto al suo volere, disseminando ingiustizia, perché
è finito, non infinito, e quindi accede solo a verità parziali, soggettive,
illusorie ed ingannevoli.
BIBLIOGRAFIA
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the Making: Interpreting an American Tradition”, Chichester:
Wiley-Blackwell, 2009.
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Non-Utopian Liberalism: Beyond. Illusion and Despair”, Brighton/Portland, Oregon: Sussex
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Reinhold Niebuhr, “Love and
Justice: Selections from the Shorter Writings of Reinhold Niebuhr”, ed. DB
Robertson, Philadelphia: Westminster Press, 1957.
Reinhold
Niebuhr, “Uomo morale e società immorale”, Milano : Jaca book, 1968.
Reinhold Niebuhr, “The Essential
Reinhold Niebuhr: Selected Essays and Addresses”, ed. Robert McAffee Brown, Yale: Yale University
Press, 1986.
Reinhold
Niebuhr, “Il destino e la storia: antologia degli scritti”, a cura di Elisa
Buzzi; traduzione di Antonella Bartoletti, Milano: Rizzoli, 1999.
Massimo
Rubboli, “Politica e religione negli USA : Reinhold Niebuhr e il suo tempo
(1892-1971)”, Milano: Angeli, 1986.
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