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mercoledì 25 gennaio 2012

La pedagogia nera del nuovo ordine mondiale





In futuro il fatto che i leader non siano mai sottoposti a qualche verifica che ne accerti le qualità umane e morali sembrerà altrettanto grottesco di quanto oggi ci apparirebbe mettere un portatore di difterite a dirigere il reparto lattanti di un ospedale.
Erich Neumann, “Psicologia del profondo e nuova etica”, p. 82

Il più perfetto ed adeguato sviluppo di ogni individuo non coincide necessariamente con la più completa ed intensa coltivazione della sua personalità, ma piuttosto l’adattamento nella misura più profonda possibile alla sua umile funzione nella grande macchina sociale. Dobbiamo abbandonare l’arrogante preconcetto che siamo unità indipendenti, per piegare le nostre menti orgogliose, assorte nella loro auto-coltivazione, alla sottomissione ad un fine più elevato, il Bene Comune.
Sidney Webb, “Fabian essays”, 1889.

Tu non sarai mai più capace di sentimenti umani…di sentire amore, amicizia, gioia di vivere, di ridere, di sentire curiosità, di onestà. Sarai vuoto. Ti spremeremo fino a che tu non sia completamente svuotato e quindi ti riempiremo di noi stessi.
“1984”

Le buone istituzioni sono quelle che sanno denaturare l’uomo…e trasferire l’io in un’unità comune, col risultato che ogni individuo non si sente più uno, ma parte dell’unità e non senta più nulla se non all’interno dell’insieme…Lo si incatena, lo si spinge, lo si trattiene, avendo come unico vincolo la necessità, senza che egli mugugni: lo si rende duttile e docile con la semplice forza delle cose, senza che alcun vizio abbia l’occasione di germinare in lui; giacché le passioni non si animano se non hanno alcun effetto.
J.J. Rousseau, “Emilio o dell'educazione”

Nella repubblica i cittadini sono frenati dai costumi, dai principi, dalla virtù: ma come frenare dei domestici, dei mercenari se non con la costrizione e la soggezione? Tutta l’arte del padrone consiste nel dissimulare questa costrizione dietro il velo del piacere o dell’interesse, in modo che essi pensino di volere ciò che in effetti li si obbliga a fare.
J.J. Rousseau, “Giulia o la nuova Eloisa”

La maggior parte della gente vive alla giornata e se fa dei progetti questi sono solo anticipazioni di un corso di eventi naturali (matrimonio, figli, pensione). La maggior parte delle persone non vuole pianificare niente. Vuole che ci sia qualcuno che lo faccia al posto loro, assumendosene le responsabilità. L’unica loro pretesa è di avere a disposizione ciò che serve a vivere bene, i beni primari e una modica quantità di superfluo decorativo.
B.F. Skinner, “Walden II”

Se il dispotismo venisse a stabilirsi nei paesi democratici di oggi, sarebbe piú esteso, meno violento e degraderebbe gli uomini senza torturarli. La violenza avverrà, ma solo in periodi di crisi, che saranno rari e passeggeri. Se cerco di immaginare il dispotismo moderno vedo una folla smisurata di esseri simili e eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima. Ognuno di essi, ritiratosi in disparte, è come straniero a tutti gli altri, i suoi figli e i suoi pochi amici costituiscono per lui tutta l’umanità; il resto dei cittadini è lí, accanto a lui, ma non lo vede; vive per sé solo e in sé, e se esiste ancora la famiglia, già non vi è più la patria. Al di sopra di questa folla vedo innalzarsi un immenso potere tutelare, che si occupa da solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare alle loro sorti. E’ assoluto, minuzioso, metodico, previdente e persino mite. Assomiglierebbe alla potestà paterna, se avesse per scopo, come quella, di preparare gli uomini alla virilità. Ma, al contrario, non cerca che di tenerli in un’infanzia perpetua.
Alexis de Toqueville, “Democrazia in America”, 1840

L’organizzazione attuale è così estesamente casuale, priva di finalità, incoerente, frustrante…mentre invece una società eugenetica sarebbe pianificata e permetterebbe all’uomo di elevarsi spontaneamente sopra il proprio fosco passato per lanciarsi in uno sviluppo armonioso in una società perfetta.
F.C.S. Schiller (1864-1937)

Nell’anno della sua morte, lo zoologo francese Isidore Geoffroy Saint-Hilaire (1805-1861) pubblicò un saggio sull’addomesticazione degli animali e distinse tre possibili stati in cui gli animali possono essere ridotti dall’uomo, per subordinarlo ai suoi desideri: ingabbiati, addomesticati e domestici. I primi, se liberati, tornerebbero in libertà senza essere segnati dall’esperienza. I secondi sono stati domati e non devono essere tenuti prigionieri. La loro idea della vita ideale è stata radicalmente trasformata e stanno bene dove sono. Gli animali domestici sono una specie che ormai riproduce ad ogni generazione la condizione di addomesticamento. Non è più una condizione di subordinazione interiorizzata a livello individuale, ma collettivo. Non hanno più una volontà indipendente da quella dei loro padroni. Sono convinto che, da sempre, il progetto di una società senza conflitti e tensioni, perfettamente armoniosa e stabile, sia inscindibile dal cinismo e dalla megalonia dei domatori ed allevatori di esseri umani:
caratterizzati da una mentalità e personalità che amplificano e potenziano i nostri vizi congeniti:
che li spinge in un’unica, possibile direzione, volenti o nolenti:

Ogni progetto totalitario è partito dalla premessa che la zootecnia sia una prassi idonea alla gestione del “bestiame umano”.
Non ne abbiamo ancora avuto abbastanza? Essere umani, da un punto di vista evolutivo e culturale, significa mantenere mille opzioni aperte, significa che non esiste alcuna condizione naturale e soddisfacente per noi: l’unica condizione naturale è il cambiamento. Ogni società che brama la stabilità e fissità deve esigere la trasformazione dell’umano ed è per ciò stesso totalitaria – considererà l’esistenza di certe categorie di persone come un ostacolo alla felicità collettiva – e va combattuta. Una società viva è sottoposta ad un’incessante metamorfosi, come la vita appunto, e non può essere spogliata dell’imprevedibilità, creatività, emotività umana:
Viviamo su questo pianeta ma per qualche ragione ci sentiamo fuori posto. Ma va bene così, perché è ciò che ci ha preservato dall’estinzione, a differenza del 99% della vita sulla terra.

I Mondi Ideali, i Nuovi Ordini Mondiali, sono sempre ostili alle persone reali, perché si prefiggono degli obiettivi irrealistici, rispetto ai quali gli esseri umani non potranno mai essere all’altezza. Detestano gli esseri umani del presente ed idealizzano quelli del futuro, commisurati alle attese dell’élite.
La loro diffidenza nei confronti dell’uomo è alla base del dirigismo esasperato, della più pedante pedagogia, della proliferazione legislativa e giuridica. Queste utopie sono inflessibilmente stataliste, la legge regola ogni dettaglio della vita. L’ostacolo è l’uomo, l’ambito incontrollabile del privato. La fiducia nelle istituzioni non cancella la svalutazione dell’uomo:
Nell’utopia si coltiva la facoltà di fermarsi di colpo, come per istinto, sulla soglia di un pensiero pericoloso – la potremmo chiamare “stupidità protettiva”. Il pensiero viene colonizzato, paralizzato, tramite la confusione tra finzione e realtà. Nella prefazione ad una riedizione di “Il Mondo Nuovo” Aldous Huxley osservava giustamente che una dittatura del futuro non sarebbe stata violenta perché avrebbe avuto a disposizione tutto ciò che occorre per controllare le menti della gente: “Non ci sono motivi per pensare che uno Stato totalitario nuovo debba per forza assomigliare ai vecchi. Governi di oligarchie e squadre con la camicia nera, deportazioni di massa e imprigionamenti sommari non sono solo inumani, sono anche inefficienti. […]. Uno Stato totalitario realmente efficiente dovrebbe avere un esecutivo di capi politici coadiuvati dal loro esercito di managers che controlla una popolazione di schiavi che non sono tenuti a bada con mezzi coercitivi, perché amano il loro stato di servitù”.

La cancellazione chimica dei ricordi è stata presentata dai mezzi d’informazione come la soluzione ai problemi di chi ha subito violenze ed abusi e non riesce a rimettere in sesto la sua vita. Pochi si sono chiesti cosa succederebbe se un governo impiegasse questa tecnica per eliminare ricordi spiacevoli che possono risvegliare nei cittadini la voglia di ribellarsi al potete costituito, o per neutralizzare la personalità dei dissidenti, o per rimuovere dalla mente di una persona la consapevolezza di essere stato programmato per uccidere gli oppositori di un regime.
Non esiste tuttavia un vero controllo laddove ci sono solo persone disponibili a controllare. Serve anche una maggioranza di cittadini che desidera essere controllata, una fantasia di soggiogamento volontario e spontaneo che comincia con l’infanzia e che mantiene la popolazione in uno stato di infantilismo prolungato, la cosiddetta sindrome di Peter Pan. In questo modo si arriva ad un mondo diviso tra chi monitora e sa, ma rimane anonimo, celato, e chi è monitorato e noto, ridotto allo stato di oggetto, o strumento. La società contemporanea marcia in questa direzione, quella della perdita dell’anonimato, persino a livello psicologico e genetico, della permeabilità della mia identità e della categorizzazione arbitraria dei cittadini in attivisti (pericolosi e colpevoli) e docili (provvisoriamente utili e potenzialmente innocenti).
Per come stanno andando le cose, pare di poter dire che il destino dell’umanità sarà quello di costruire tirannie mascherate da utopie. Utopie fatte di Intelligenza Artificiale, ologrammi interattivi, ibridazione tecnologica dell’umano, un nuovo sistema economico-finanziario che faccia a meno dei contanti, la comunicazione telepatica tramite chip che contemporaneamente monitorano il cervello 24 ore su 24 registrando le sue attività, l’identificazione a radio frequenza utile per il controllo psicotronico, oltre ad indubbie meraviglie come l’energia gratuita, sistemi di trasporto anti-gravitazionali, l’eliminazione di certe terribili patologie, forse persino la telepatia.
Negli Stati Uniti si stanno fabbricando soldati psicopatici:
La miscela che può condurre l’umanità alla rovina è quella di masse remissive ed acquiescenti e però allo stesso tempo pretenziose.
Attenzione alla vanagloria del Grande Inquisitore di Dostoevskij, perché di figure così è pieno il mondo contemporaneo e, davvero, non esiste nessuna autorità più pericolosa e tossica della loro, per i corpi e per le coscienze: “Sì, noi li obbligheremo a lavorare, ma nelle ore libere dal lavoro daremo alla loro vita un assetto come di gioco infantile, con canzoni da bambini, cori e danze innocenti. […]. Ed essi non ci terranno nascosto assolutamente nulla di loro stessi. Noi permetteremo loro, o proibiremo, di vivere con le loro mogli e amanti, di avere o non avere figli, sempre regolandoci sul loro grado di docilità, ed essi si sottometteranno a noi lietamente e con gioia. Perfino i più torturanti segreti della loro coscienza, tutto, tutto porranno in mano nostra, e noi tutto risolveremo, ed essi si affideranno con gioia alla decisione nostra, perché questa li avrà liberati dal grave affanno e dai tremendi tormenti che accompagnano ora la decisione libera e personale. […]. In silenzio essi morranno, in silenzio si estingueranno nel nome Tuo [Gesù il Cristo] e oltre tomba non troveranno che la morte. Ma noi manterremo il segreto, e per la loro stessa felicità li culleremo nell’illusione d’una ricompensa celeste ed eterna. Infatti, seppure ci fosse qualcosa nel mondo di là, non sarebbe davvero per della gente simile a loro”.
Un’altra eccellente fonte di illuminanti suggestioni è il celebre “Il Mago” di John Fowles. La chiave di lettura è semplice ed eterna: è giusto che una persona sia sottoposta a pressioni, stimoli dolorosi e persino tortura psicologica per farlo maturare? Il romanzo di Fowles, a mio avviso, è un'apologia della manipolazione e della tortura psicologica a fini didattici. Nessun mago “bianco” violerebbe il libero arbitrio di un novizio; nessun governo democratico ed autenticamente illuminato farebbe sue le filosofie pedagogiche nere del Nuovo Ordine Mondiale.
Nel Mondo Nuovo, per quanto è possibile, lasciate che gli esseri umani adatti a quel tipo di organizzazione sociale si riuniscano e vivano come meglio credono, astenendovi dal seguire il loro esempio. A ciascuno il suo.

venerdì 16 dicembre 2011

Tecniche di manipolazione - conoscerle per difendersi (parte prima)






Le scoperte delle scienze cognitive e della psicologia sociale sono molto utili per gli scopi di chi intende ritorcere contro gli esseri umani le vulnerabilità e le aberrazioni cognitive e comportamentali che li contraddistinguono.

lenire il dolore: la scomparsa del dolore significa felicità. Si ordina a qualcuno di gettare qualcun altro in un fiume e poi lo si recupera: salvando la sua vita, si conquista un’eterna gratitudine. Diventa quasi impossibile deprogrammare la vittima di questo salvataggio fasullo. Vale anche per le crisi economiche (generate). Si crea il problema, si offre una soluzione vantaggiosa per il manipolatore: problema – reazione – soluzione. Ripristinando l’ordine si ricevono come ricompensa gratitudine e fiducia;
disseminare un sentimento di commiserazione e condiscendenza nei confronti di chi dissente, che è ancora più efficace dell’odio. È arduo prendere sul serio le ragioni di chi è comunque destinato all’inferno, alla rovina, alla follia. Inoltre questa strategia ingenera un senso di superiorità intellettuale e morale tra le pecore del gregge. Classica è l’accusa di complottismo, che equivale ad un marchio di infamia e riduce alla condizione di appestato intellettuale chi ne è colpito (il complottismo è contagioso? Vade retro!);
capro espiatorio / strategia della distrazione: trovare una vittima designata (ebreo, rom, straniero, gay) concentrando su di essa l’insoddisfazione, la frustrazione, il risentimento della folla, che altrimenti si rivolgerebbe contro l’élite. Le masse possono arrivare ad essere grate a chi ha fornito loro un conveniente bersaglio per il loro scontento. Odiare fa stare meglio chi soffre;
elenchi di regole: indurre le pecore, cioè a dire gli esseri umani irreggimentati, a seguire quante più regole possibili (più materialiste e liberticide sono, meglio è). Devono arrivare a credere che l’osservanza delle regole li pone automaticamente dalla parte del giusto. Ciò produce gratificazione, quiete, mansuetudine che ipnotizzano ed intossicano le persone, mentalmente, emotivamente e fisicamente. Armonia = mansuetudine = controllo assoluto;
strumentalizzazione della naturale tensione verso la libertà: confondere gli animi tramutando la ricerca della libertà in una ricerca di espansività fisica: la crescita economica, l’estensione territoriale della patria, la moltiplicazione dei beni superflui, il gonfiarsi dei muscoli;
pacificazione ed unità: la gente tende a credere che unità ed integrità coincidano nella pace. Chi non crede ad una speciosa unità d’intenti imposta dall’alto è un’anima perduta, una pecora nera (cf. capro espiatorio o commiserazione);
sicurezza: il posto più sicuro in assoluto è una cella d’isolamento, ma molta gente è disposta ad accettare una condizione servile in cambio di un po’ meno ansia ed un po’ più di senso di sicurezza. Si legga la “Leggenda del Grande Inquisitore” di Dostoevskij per maggiori lumi. 
verità: ogni menzogna è efficace solo in virtù del fatto che contiene una parte di verità. Più potente questa verità (es. anelito verso la libertà), più ipnotica sarà l’illusione menzognera;
gradualità: mitridatizzazione (un po’ di veleno alla volta e ci si abitua) o rana nella pentola (butta una rana nell’acqua bollente e questa salterà fuori, fai bollire l’acqua con una rana dentro e questa si lascerà cuocere);
“doloroso ma necessario”: la gente crede all’esperto che assicura che è meglio fare un sacrificio oggi che soffrire di più domani (es. Manovra Salva-Italia). Fuori il dente, fuori il dolore;
emotività: far leva sull’emotività della gente inibisce il discernimento critico dei singoli e rende vulnerabili all’instillamento di idee ed archetipi manipolatori (cf. il film “Inception”);
sindrome del Grande Fratello: coltivare l’ignoranza, la superficialità, il culto per tutto ciò che è esteriore, dozzinale, vacuo ed il disprezzo per la cultura e le persone di cultura (anti-intellettualismo). La conoscenza protegge, l’ignoranza espone ad ogni sorta di pericolo e di manipolazione: informare per resistere;
dare la colpa alla gente per le cose che non vanno: La crisi socioeconomica è colpa della gente, non degli speculatori e dei politici consenzienti. Far leva sul senso di responsabilità. Chi si oppone è ignorante ed irresponsabile (es. la recente, patetica filippica di Ferdinando Adornato contro la Lega Nord e l’Italia dei Valori);

Per maggior dettagli su certe autolesionistiche inclinazioni umane e su come contrastarle:

venerdì 2 dicembre 2011

Della Paura e del Potere



La paura conduce alla rabbia, la rabbia all’odio e l’odio alla sofferenza…rabbia, paura, violenza, sono loro il lato oscuro… allenati a lasciar andare quello che hai paura di perdere…la paura della perdita conduce al lato oscuro…La paura è la via per il Lato Oscuro. La paura conduce all’ira, l'ira all’odio, l'odio conduce alla sofferenza. Io sento in te molta paura
Yoda

Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.
Giovanni Falcone

Cowards die many times before their deaths. The valiant never taste of death but once.
William Shakespeare, "Julius Caesar"

Bello vivere nella paura, vero? In questo consiste essere uno schiavo.
Roy Batty

Nel circo, gli esseri umani sono rappresentati come liberi dall’abbraccio della morte. Nel circo una persona cammina su un cavo a cinquanta piedi dal suolo…un’altra rimane sospesa in aria per il tallone, qualcuno sostiene dodici persone in una piramide umana, qualcun altro è un proiettile umano. L’artista circense è l’immagine della persona escatologica – emancipata dalla fragilità e dall’inibizione, briosa ed eccitante mentre trascende la morte, ormai né confinata né conforme ai dettami della paura di morire. Il circo perciò ridicolizza la morte e, così facendo, ci mostra che l’unico nemico in vita è la morte, un nemico che dobbiamo fronteggiare tutti, in ogni circostanza, in ogni momento…Il servizio che ci rende – più di quello che ci rendono le chiese, malauguratamente – è quello di illustrare esplicitamente, drammaticamente ed umanamente la morte in seno alla vita. Il circo è una parabola escatologica e una parodia sociale: segnala la possibilità di trascendere il potere della morte, rivelando il mondo così com’è mentre apre al strada al Regno
William Stringfellow, “A Simplicity of Faith”

Che cosa è questa complicità degli oppressi con l'oppressore, questo vizio mostruoso che non merita nemmeno il titolo di codardia, che non trova un nome abbastanza spregevole?
Gustavo Zagrebelsky, La Repubblica, 16 giugno 2011

Il valore del viaggio è nella paura. E' nel fatto che, a un certo momento, così lontani dal nostro paese e dalla nostra lingua (un giornale francese assume un valore inestimabile. E quelle ore serali trascorse al caffé cercando di stabilire un contatto con altri uomini), un vago timore ci coglie, e l'istintivo desiderio di ritrovare il rifugio delle vecchie abitudini. E' l'apporto più evidente del viaggio. In quel momento siamo febbrili ma porosi. La minima emozione ci scuote sino al fondo dell'essere. L'incontro con una cascata di luce ci mette in presenza dell'eternità. Per questo non bisogna dire che si viaggia per piacere. Non esiste piacere nel viaggiare, ma piuttosto, mi sembra, un'ascesi.
Albert Camus, “Taccuini, 1935-1942” – “Alle Baleari, l'estate scorsa”

Soltanto di rado anche il più coraggioso tra noi possiede il coraggio di ciò che veramente sa.
Nietzsche

Solo tardivamente guadagniamo il coraggio di ammettere quello che sappiamo.
Camus

Il teologo statunitense William Stringfellow, molto apprezzato da Karl Barth, era un grande amante dell’arte circense e il 15 gennaio del 1966 pubblicò un saggio intitolato “The Circus and Society” su “The Scotsman”. In esso descriveva il circo, nei suoi aspetti migliori, non quelli disumanizzanti del Diverso e del clown alienato, come la prefigurazione di un’umanità redenta, in un nuovo Eden. Il Circo era la parabola del Regno e la parodia del mondo. Per Stringfellow i cristiani erano dei viaggiatori, come la gente del circo. Si fermavano un poco e poi ripartivano. Eterni pellegrini. Nel circo gli animali giocano tra loro ed assieme agli uomini, imitando gli uomini. Gli uomini camminano nel fuoco, o in cielo sospesi su un corda, danzano nell’aria afferrandosi in volo, giocano con mille oggetti contemporaneamente. Sfidano la morte, le leggi della fisica, la paura. Intanto i pagliacci si fanno beffe della serietà delle persone, del loro amor proprio. Stringfellow usa il circo come allegoria della condizione umana: l’unico potere che le potenze (celesti e terrene) esercitano su di noi è quello della morte. La paura della morte ci controlla e ci rende schiavi. Gesù ci ha mostrato che è una paura insensata, dunque non abbiamo nulla da temere.

Jiddu Krishnamurti, che cristiano certamente non era, ha dedicato moltissimo tempo allo svisceramento della questione della paura e dell’incantesimo che getta su di noi. Krishnamurti osserva che più c’è confusione, più la gente cerca un pastore, o un testo sacro, o un’ideologia. Il sistema, l’uomo della provvidenza e l’idea diventano importanti, a discapito dell’essere umano. Si ha paura di perdere il lavoro, del giudizio altrui, del dolore e delle malattie, della morte, di essere disprezzato ed irriso, di non essere amato, della noia, della solitudine, ecc. La paura è la transizione da una condizione di certezza ad una di incertezza. Se una cosa accade improvvisamente non c’è tempo di avere paura, è lo scarto temporale che ci lascia il tempo di pensare – ossia di non osservare i fatti ma di riconcettualizzarli nella nostra mente sulla base dei ricordi (condizionamento sociale) – e quindi di temere: il tempo è tiranno, si dice. Temiamo l’ignoto e il cambiamento, ma allora temiamo la vita stessa, perché panta rei, tutto scorre, imprevedibilmente. Dunque abbiamo paura di morire ma anche di vivere. Difficile essere sereni. La vita è cambiamento ed aggrapparsi al passato significa condannarsi alla paura. Aggrapparsi disperatamente alla patria, all’ideologia, ad una parola/concetto (es. cancro, guerra, crisi), alla stessa famiglia, significa che ogni mutamento ci intimorirà. La paura rincitrullisce la mente e non c’è libertà nella paura. La paura rende schiavi. Non c’è amore nella paura: è più facile che ci sia odio, menzogna, autoinganno, superficialità, meccanicità, egoismo. Ma la “società” – chi detiene il potere – ha deciso che senza la paura ci sarebbe il caos. La paura serve a controllare la gente e trono ed altare sono alleati.

Se non ci comportiamo nel modo corretto in questa vita pagheremo nella prossima, o lo Stato ci punirà severamente. Oppure si insinua il bisogno di continuare a mettersi a confronto con gli altri: guardate loro, loro sì che hanno successo, non sono dei perdenti come voi. Serve ad instillare paura, paura del confronto, appunto, della competizione. Una mente spaventata non è mai onesta, né con se stessa né con gli altri. Se non fossimo psicologicamente in preda alla paura ci emanciperemmo dagli idoli/golem, dagli dèi, dai simboli di venerazione, dai leader populisti.

Poi c’è la paura della differenza, di qualcuno diverso che ci mette in difficoltà, la paura del conflitto conseguente a questa messa in discussione delle nostre certezze, la paura della perdita che potrebbe conseguirne, la paura del cambiamento che tutto ciò comporta. Le persone impaurite vivono all’interno di confini ristretti, tendono a sforzarsi di controllare tutto attorno a loro, incluse le altre persone, sono inibite nella loro capacità di empatizzare, sono inclini a ritirarsi nelle vecchie abitudini, nei vecchi paradigmi, quelli che stanno estinguendosi. Sono a rischio di perdersi e di spingere altri a perdersi.

Nel film “Fast Food Nation”, un gruppo di studenti apre il recinto del bestiame destinato ad essere macellato, che vive in condizioni di marcato degrado. Vorrebbero che uscissero ed invadessero le strade, in modo da poter poi sollevare la questione sul loro trattamento. Per quanto si sforzino, nessun bovino esce. Il cancello è aperto, ma è come se fosse ancora chiuso, a causa del condizionamento mentale. In verità non c’è alcun vincolo che non sia scioglibile. Ciò che ci trattiene è la paura, la paura della frusta, dell’elettrochoc, della morte, del giudizio altrui, ecc. L’intera società è concepita per rivitalizzare periodicamente queste paure, come un grande allevamento di bestiame. Dieci persone autenticamente, profondamente consapevoli sarebbero più pericolose di un milione di anarchici armati. Il potere nasce dalla docilità dell’uomo, dal fatto che esso accetti di obbedire.

*****

IL REGNO DEL TERRORE
Sopravvivere non basta, bisogna esserne degni e bisogna che siano presenti quelle precondizioni essenziali, senza le quali la vita non è tollerabile e perde il suo valore specifico, riducendosi ad un concetto astratto. “Il problema non è se conserveremo le nostre vite ad ogni costo, ma come le conserveremo”, constata Etty Hillesum. Gesù, Buddha e Socrate, ciascuno a suo modo, indicano che l’autoconservazione non è una ragione sufficiente per commettere il male. Sopravvivere senza una coscienza integra è peggio che morire. La vita del corpo non è il valore precipuo, ma è su questa fossilizzazione delle nostre emozioni che si alimenta la paura del terrorismo e la paura della crisi, che altera i riflessi dei cittadini: abbiamo già rinunciato al salutare scetticismo nei confronti del governo e del potere, sostituendolo con la deferenza:
Così accettiamo una progressiva restrizione dei nostri diritti. Poiché la Guerra al Terrore e la Guerra alla Crisi sono perpetue, non ci sono limiti a quel che ci potrebbe essere richiesto di sacrificare, tra tutte le conquiste delle passate generazioni.
Nulla di tutto questo sussisterebbe se non avessimo paura di morire. Tutte le virtù che le nazioni esaltano ed idolatrano – la potenza militare, l’abbondanza materiale, l’alta cultura, la sofisticatezza tecnologica, la grandeur imperiale, l’orgoglio razziale/etnico, la prosperità, i risultati sportivi, la lingua, ecc. sono ricollegabili alla necessità di tenere sotto controllo la paura della morte. Amiamo la patria perché viviamo della sua vitalità riflessa, uccidiamo per essa per la stessa ragione:
L’aggressività, la violenza, nascono dalla paura. La paura è dunque il problema centrale della nostra specie. Una mente in preda alla paura è confusa, conflittuale e tende ad essere violenta, distorta, aggressiva. L’umanità ha bisogno delle sue emozioni. Dice bene il mitico James T. Kirk, in “Ultima Frontiera”: “Sai bene che il dolore e la colpa non possono essere eliminati dal gesto di una mano fatata. Le cose che portiamo con noi ci rendono ciò che siamo. Perdendole, perdiamo la nostra identità. Non voglio che mi portino via il mio dolore, ne ho bisogno!". Abbiamo bisogno delle nostre emozioni per dare il meglio di noi stessi. Una società che volesse amputarci emotivamente – per il nostro bene – sarebbe un totalitarismo mascherato che vuole trasformarci in marionette (cf. l’esoterico eppur rivelatore “Teatro delle marionette” di Heinrich Von Kleist, ma anche “Equilibrium” di Kurt Wimmer)
http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/lanticristo-e-il-teatro-delle.html
togliendoci ciò che ci rende umani e il potenziale per essere migliori, migliori di quanto vorrebbe quell’ipotetico regime di un futuro distopico, purtroppo non troppo remoto:  
http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/i-cyloni-sono-gia-tra-noi.html
Quel che abbiamo il dovere di fare è controllare le emozioni negative (incluso l’amore possessivo), disciplinandole, non sopprimendole. In questo modo le emozioni da trappola ed ostacolo si trasformano in trampolino di lancio.

Al giorno d’oggi, purtroppo, intere industrie lucrano sul terrore come dei parassiti, e lo stesso fanno i politici autoritari. Tutte queste sinistre figure, interessate solo al proprio tornaconto, rendono il mondo progressivamente più miserabile, oscuro e sgraziato di quel che sarebbe altrimenti. Nessuno di loro può offrire l’immortalità o prevenire eventi catastrofici, reali o immaginari. Il rischio fa parte della vita, non ha senso ripudiare il nostro modo di vivere per gratificare chi desidera che lo facciamo e ci spaventa per indurci a farlo.
La paura è ciò che impedisce a molta gente di accettare la realtà così com’è, preferendo continuare ad ignorare gli indizi che demolirebbero la loro visione idealizzata. Non possono affrontare l’idea che chi sta in alto e può disporre delle vite di milioni di persone a sua completa discrezione possa scegliere di ucciderle per i propri scopi, senza il minimo scrupolo e rimorso. Questa verità dev’essere repressa dietro un velo di fantasie. Paradossalmente, quando indirizziamo i nostri timori, scegliamo la direzione sbagliata, un falso babau.

L’induzione della paura è un’idra che sembra impossibile uccidere, perché è connaturata all’esercizio del potere in un mondo che non è in grado di selezionare i suoi governanti sulla base della coscienza e coscienziosità. Perché ci nutriamo di cliché, scorciatoie logiche, sensazionalismi, semplificazioni, generalizzazioni, dicotomizzazioni. L’effetto dirompente di questa estenuante litania di frasi fatte e pensieri precotti corrode le coscienze ed agita gli animi. Bombardati costantemente, reagiamo con riflessi pavloviani: islamismo = terrorismo; stranieri = minaccia; libertà = egoismo; scetticismo = antipatriottismo;  altruismo = comunismo; felicità = soldi, potere.
La paura serve a manipolare la coscienza umana. Non si ha facile accesso ai centri superiori del cervello e quindi non si scorgono alternative, non si è più in grado di ragionare lucidamente. L’uso della paura è deliberato: lo scopo è mantenerci ad un livello di consapevolezza inferiore, in modo da preservare lo status quo anche in piena Era dell’Informazione. Non siamo imprigionati da sbarre di ferro, ma dalla chiusura delle “porte della percezione”.

Per far pendere la bilancia in favore della libertà servono le 3C: Conoscenza, Cooperazione e Compassione. Esse contrastano le 3M di Mistero, Miracolo e Militarismo, disseminate da chi ha interesse ad imprigionare la coscienza e l’anima umana. Le 3C sono evolutivamente aperte, le 3M sono evolutivamente chiuse. Dovrebbero restare in uno stato di equilibrio, ma dovrebbe essere chiaro a tutti che così non è: le 3M dominano ad ogni livello. Tuttavia il futuro è aperto, non è predeterminato, è un groviglio vorticoso di incertezza e possibilità inimmaginabili fino al momento in cui non si fanno certe scelte.

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CORAGGIO E VILTÀ
Coraggio: "forza d'animo, connaturata o suscitata dall'altrui esempio, che permette di affrontare, dominare, subire con serenità e senso di responsabilità situazioni scabrose, difficili, avvilenti, ed anche la morte".



Viltà: "disonorante rifiuto di affrontare pericoli o responsabilità, dovuto a codardia o pavidità".
Queste sono le definizioni del Devoto-Oli.

A questo punto non vorrei che si finisse per confondere la paura con il timore e l'apprensione. Non mi pare indichino la stessa cosa. Essere vigili, circospetti, cauti, ragionevolmente intimoriti/apprensivi di fronte ad una sfida non è aver paura, che è legata a stati ansiosi ed angosciati in cui c'è una perdita di controllo di pensieri ed azioni che può creare assuefazione e diventare un alibi. Finché questi sono temporanei, finché si possono imbrigliare con la forza d'animo e di volontà allora va tutto bene. Il codardo è uno che ha abdicato ad ogni possibilità di riacquistare l'autocontrollo: è servo della paura e vede pericoli ovunque. Dominato dal suo ego con le sue maniacalità e paranoie.


Codardia è "il venir meno all'adempimento del proprio dovere di fronte ad un pericolo". Il codardo vede rischi e minacce dove non ci sono, il coraggioso (che non è incosciente - non sono sinonimi) ha una visione più obiettiva, o meno soggettiva, della realtà, rispetto al codardo. Proprio perché è una questione morale il codardo muore ogni giorno e, poiché ogni giorno non si dimostra all'altezza, rende più arduo per gli altri far conto su di lui/lei.
La differenza è, io credo, sostanzialmente questa: il coraggioso mette il proprio ego e la propria sopravvivenza in secondo piano rispetto al bene comune, il codardo dà priorità ad ego ed alla propria sopravvivenza.
Solo quando ci si sforza di conoscere se stessi e ci si affronta a viso aperto, onestamente, il nostro comportamento è moralmente e spiritualmente integro. Serve coraggio perché spesso, purtroppo, si perviene a questa conoscenza solo attraverso la sofferenza o il superamento di enormi ostacoli. 
Il vile evita in ogni modo il patimento, quindi difficilmente maturerà.
Chi è troppo spaventato vede i pericoli più grandi di quelli che sono ed è incapace di contrastarli con efficacia. Temendo di perdere la vita dimentica che una vita senza onore, integrità e libertà non è degna di essere vissuta. Chi usa il terrore come arma politica ci spinge a temere le cose sbagliate, in misura sproporzionata, ad agire senza riflettere e così acquista un controllo smisurato sulle nostre vite, molto maggiore di quello che sarebbe giustificato dal suo potere reale:
Politici privi di scrupoli cavalcano la paura ed accusano i loro critici di vivere nel mondo dei sogni, disconnessi dalla realtà, di spingere la nazione verso il disastro.
Uno stato d’animo impaurito ed aggressivo fa il gioco di chi vuole controllarci, di chi desidera distruggere la nostra libertà di dare espressione alle qualità della nostra coscienza/anima, di rimanere in piedi, non proni. Per farlo hanno bisogno di condizionarci in modo tale da indurci a pensare unicamente alla nostra sopravvivenza. Di qui il caos che regna sovrano sul nostro mondo, in questa fase della storia umana: il caos sovverte l’armonia interiore.

La battaglia più importante diventa allora quella combattuta per rifiutarsi di pensare e sentirsi come altri vogliono che noi pensiamo e ci sentiamo (ossia la modalità “istinto di sopravvivenza”). È una battaglia per il nostro cuore e la nostra mente. Temere la violenza che sospettiamo tengano in serbo per noi significa reprimere il potenziale di espansione della nostra verità interiore, della nostra libertà interiore. È quel che alcuni vogliono: Guerra e Terrore Rivoluzionario, seguiti da Ordine e Disciplina. Ogni Rivoluzione, non lo ripeterò mai abbastanza, necessità di coraggio ma anche di lucidità. Si vince la paura del Potere, che è tale solo perché gli consentiamo di esserlo, e poi si domina ego, che ci spinge al messianismo, all’intolleranza, alla megalomania (es. Robespierre, Saint-Just, Lenin, ecc.). No alla Guerra, sì alla Rivoluzione, no al Terrore Rivoluzionario, sì alla Democrazia:

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LA LEZIONE
C’è una lezione in tutto questo. C'è sempre una lezione in ogni cosa: la vita è una scuola a tempo pieno. Il fatto è che viviamo in un mondo insicuro anche perché certi politici hanno interesse a renderlo tale o a farcelo percepire come più insicuro di quel che è o potrebbe essere. Uscendo dall’infanzia dell'umanità ci siamo resi conto che i nostri genitori non ci possono proteggere, che non c’è alcun tutore che ci garantisca contro i pericoli. La raggiunta maturità comporterebbe la presa di coscienza del fatto che non abbiamo bisogno di guardiani e curatori dei nostri interessi e che coltivare questo tipo di dipendenza conduce dritti sulla strada dell’entropia e della Vera Morte, la morte della coscienza/anima.
Sfortunatamente non tutti hanno il coraggio di crescere e così ci si affida alle utopie ed ai Grandi Inquisitori, ai Fratelli Cosmici ed alle Chiese, che fanno le veci del defunto Dio Onnipotente. In questa crisi esistenziale/identitaria globale è insita un'enorme opportunità di crescita per chi è disposto e pronto a farlo, cioè dotato di sufficiente discernimento da prevedere i pericoli e le insidie, di sufficiente altruismo da provare ad alleviare la sofferenza che ci circonda, di sufficiente apertura alla conoscenza, all’apprendimento, al cambiamento di prospettiva, al vivere in uno stato d’animo rischioso ed avventuroso.

Agendo in buona fede, fiduciosi nell’esistenza di un fine e di valori ultimi nella vita, ci si sforza di raggiungere quella condizione indispensabile alla comprensione della verità, per quel che è possibile:
Con diligenza, pronti a rinunciare a ciò che si riteneva vero, in favore di una verità più profonda, pronti a divenire un veicolo e recipiente di salvezza, in qualunque contesto essa si manifesti.
In questo modo, attraverso la sincera convinzione (la verità interiore) e l’empatia/compassione/comprensione, ciò che c’è di meglio in noi si fa più presente a noi stessi. Questa è la peggiore minaccia esistenziale per lo psicopatico, è come una blasfemia, perché con la sua presenza nega la sua esistenza, o ne svela la vuotezza, la vacuità:



mercoledì 30 novembre 2011

Il Gesù poderosamente nonviolento di John Milton



Io che ho cantato il giardino gioioso perduto per la disobbedienza di un solo uomo, canto ora il paradiso riconquistato per tutta l’umanità dalla tenace obbedienza di un solo uomo, messo alla prova fino in fondo da ogni tentazione; e il tentatore fallì in tutte le sue astuzie, sconfitto e respinto, e l’Eden sbocciò nello squallido deserto.
John Milton, Paradiso Riconquistato.

Per Paolo di Tarso, e quindi per la Chiesa, Gesù il Cristo è il nuovo Adamo, il figlio di Dio che ci ricorda com’era Adamo prima della caduta. È l’uomo perfetto, immerso nel tempo e nel divenire, ma modello dell’uomo a venire, ponte tra l’uomo caduto ed il Creatore. Gesù insegna che la morale non proviene dalla nostra esperienza empirica, dall’accumulazione di conoscenza e valori, è un a priori che proviene dal nostro intimo, dalla profondità di ciò che siamo, dal nostro legame con il Regno di Dio e si realizza nella spontaneità dell’atto d’amore che, come spiega molto bene Paolo ai Corinzi: “è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità. Ci riempiamo la bocca con la parola amore, però amiamo rozzamente, narcisisticamente, in preda all’ansia, alla gelosia, alla dipendenza, all’aggressività, alla devozione, al desiderio, all’autocommiserazione ed all’invidia: ci piace sapere che la persona che amiamo dice in giro che ci appartiene, come se amore e possesso coincidessero; preferiamo amare qualcuno finché la pensa come noi; uccidiamo per amor patrio. Eppure, se non fosse per i mille modi, più o meno sgraziati o fulgidi, con cui tentiamo di amarci l’un l’altro, non sarebbe possibile attribuire alcun significato all’idea della dignità della persona, dell’inalienabilità dei suoi diritti: sarebbero involucri vuoti.
Non si può comunque ridurre il messaggio di Gesù al Discorso della Montagna ed alla predicazione dell’Amore per il prossimo. La resistenza alle tentazioni (simile a quella di Gauthama) e l’apocalisse sono elementi fondamentali, forse anche più importanti della dottrina dell’amore, perché essa non si può realizzare pienamente se non dopo la fine dei tempi mondani. Questo perché Satana – come Mara, il tentatore di Gautama Siddharta – si proclama signore di questo mondo e Gesù non lo contraddice, non lo smentisce. Anzi, resiste fattivamente alle tentazioni del Signore del Mondo: non le considera illusorie o ludiche. Non è nel Mondo Caduto che intende stabilire il Regno di Dio: “il mio regno non è di qui” (Giovanni 18, 36). Non è della corruzione della carne che si preoccupa: “E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccider l’anima; temete piuttosto colui che può far perire e l’anima e il corpo nella Geenna” (Matteo 10, 28).
Invece di scegliere la via della dominazione o della rivoluzione (come gli zeloti), sceglie la via del servizio: “E Gesù, chiamatili a sé, disse: “Voi sapete che i sovrani delle nazioni le signoreggiano e che i grandi esercitano il potere su di esse, ma tra di voi non sarà così; anzi chiunque tra di voi vorrà diventare grande sia vostro servo;  e chiunque tra di voi vorrà essere primo sia vostro schiavo. Poiché anche il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Matteo 20: 25-28).
Resiste a tutte le tentazioni: quelle diaboliche, quelle del popolo che lo acclama re, quella della fuga di fronte alla prospettiva di una morte certa. Come il Buddha, in luogo dei piaceri edonistici preferisce la vita dello spirito: “Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Matteo 4, 4). Infatti, “chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per me, esso la salverà. Infatti, che giova all’uomo l’aver guadagnato tutto il mondo, se poi ha perduto o rovinato se stesso?” (Luca 9:24-25).
Gesù sconsacra il mondo e consacra la coscienza (Lenoir, 2007). Insegna che sopravvivere non basta, bisogna esserne degni. Vivere senza una coscienza integra è peggio che morire. La vita del corpo non è il valore precipuo. Gesù ci rammenta che c’è un confine che i giusti non osano oltrepassare, ci sono azioni che non commetterebbero mai, indipendentemente dagli ordini che vengono loro impartiti o da quanto disperata sia la loro situazione. Questo perché sentono, istintivamente, che varcata quella linea, non potrebbero più tornare indietro, non ci sarebbe più un’ulteriore occasione per marcare il confine del nec plus ultra (non oltre). L’integrità morale è più preziosa della vita. Infatti: «Gesù disse, "Se esprimerete quanto avete dentro di voi, quello che avete vi salverà. Se non lo avete dentro di voi, quello che non avete vi perderà"» [Tommaso, 70]. Gesù è pienamente autorizzato ad usare toni perentori e definitivi. È riuscito a resistere alle tentazioni di Satana, mostrando di essere pronto ad assolvere i compiti per cui si è incarnato in quel tempo ed in quel luogo.
Trovo che la rilettura di questa disputa effettuata da John Milton ne “Il Paradiso Riconquistato” sia particolarmente illuminante. Per Milton, come per tanti altri pensatori, l’incarnazione è una degradazione ontologica, una spiacevole caduta in una gerarchia monistica materiale che va invertita. Quest’opera parte dalla premessa che Gesù sia il secondo Adamo e che il ritiro spirituale nel deserto, dove sarà “aggredito” da Satana, sia un viaggio alla scoperta di sé – come l’Odissea, come la cerca del Graal. Il dialogo miltoniano tra Gesù e Satana mostra un Satana molto retorico e sofisticato ed un Gesù semplice, preciso, conciso ed incisivo. Satana si affida al potere dello scrutinio razionale, come ogni formalista (la storia della Chiesa insegna). Tenta Gesù informandolo di un difetto fondamentale della sua opera: le sue virtù non sono sufficientemente pubblicizzate. Se solo il mondo si potesse accorgere della sua grandezza, la gloria e la fama sarebbero garantite. Gesù però sa che non trarrebbe alcun beneficio dall’adorazione delle folle, che non sono certamente sagge e non potrebbero mai veramente capire la specificità della sua missione. Le folle hanno dimostrato a più riprese di non essere in grado di discernere a chi spetti la loro ammirazione, intessendo le lodi di despoti e condottieri sanguinari. La vera gloria si consegue “per vie molto diverse”, cioè “senza ambizione, guerra o violenza; con opere di pace, saggezza eminente, pazienza e temperanza” (PR III). 
Satana insiste: libera Israele, come puoi restare indifferente di fronte all’oppressione dei popoli? Gesù mette in dubbio l’interpretazione della realtà formulata dal Tentatore: a chi verrebbe mai in mente di liberare chi è interiormente schiavo, prigioniero per sua stessa mano? Le persone che sono spiritualmente schiave non possono essere liberate: finché non scelgono di cambiare dall’interno non saranno in grado di capire cosa sia la libertà e la scambieranno per qualcos’altro
A questo punto Satana batte la strada che ha già portato alla rovina Eva ed Adamo. Se vuoi farcela, insinua il Tentatore, ti conviene equipaggiarti con la sapienza classica. Gesù ribatte che la comunione con Dio gli offre tutta la conoscenza di cui abbisogna: “Chi riceve la Luce dall’alto, dalla Fonte di luce, non necessita di altre dottrine, per quanto siano date per veridiche; ma esse sono false, o poco più che sogni, congetture, fantasticherie, costruite su fragili fondamenta” (PR IV, 286-292).
Satana non è un rivoluzionario, ma un controrivoluzionario: gli piacciono le gerarchie feudali, ma vuole essere lui il capo. Gesù invece predica l’uguaglianza, ossia l’abolizione di tutte le gerarchie. Satana parla di libertà, ma le sue azioni sono all’insegna della dominazione, della gloria, della fama personale. Non riconosce gli altri come suoi pari. Non è neppure più un mentitore patologico, è una menzogna ambulante, così innamorato di sé stesso da aver rinunciato ad interessarsi a Dio, da desiderare di esistere per conto suo, da credere di non essere mai stato creato. Crede che lui ed i suoi angeli siano autogenerati "self-begot, self-raised" in virtù della loro potenza, in una sorta di percorso evolutivo spontaneo (fatal course). L’orgoglio, l’invidia, il risentimento, l’odio, la furia, la gelosia sono le sbarre della sua prigione infernale. Si sente vittima pur essendo la causa dei suoi mali e questo vittimismo perpetuo lo imprigiona e lo corrompe progressivamente.
Che cosa dovrebbe impedire alle legioni dell’Inferno di deporre Satana stesso, ora che quest’ultimo ha tracciato la strada della ribellione? Satana, come Robespierre, è un aspirante tirannicida con il cuore di un tiranno. Stabilisce una gerarchia infernale di carattere monarchico e nel farlo si appella proprio alla logica del sistema di potere che vuole abbattere. È un ipocrita. Usa le stesse parole per condannare gli uni e giustificare se stesso. Non è davvero possibile avere un dialogo con lui, perché il suo intelletto è gravemente compromesso, è virtualmente reso autistico dalla sua assoluta preferenza per se stesso. Di conseguenza, nelle tentazioni della Partia, di Roma e di Atene non possiamo fare a meno di notare la futilità dell’interloquire, che rende onore a Milton, disposto a sacrificare l’intrattenimento pur di preservare l’integrità dell’opera. Satana non è strutturalmente in grado di capire le argomentazioni di Gesù e quest’ultimo non è minimamente interessato alle profferte di Satana, che considera ben poca cosa rispetto a ciò che già possiede.
Satana gli dice: tu pensi di sapere molto, ma io ti posso garantire che la fonte di conoscenza che ti offro è infinitamente più vasta. Potrebbe farcela, com’è già successo con Eva, perché Gesù si è ritirato nel deserto proprio alla ricerca della conoscenza che gli permetterà di realizzare la sua missione (Yim, 2003). Ma Gesù, come già Socrate, sa che la vera conoscenza è già dentro di lui e si tratta solo di recuperarla scandagliando la sua interiorità: “conosci te stesso” è il motto dell’oracolo delfico. Il rifiuto di questa profferta indica il grado di consapevolezza acquisito da Gesù: “sono già in comunione con il divino”, non ho bisogno di altro. 
Allora Satana si gioca l’ultima carta, deponendolo sul pinnacolo del tempio: dimostra che sei chi pretendi di essere. Il primo Adamo è caduto, il secondo Adamo resiste. Narcisismo, ipocrisia e orgoglio non lo condizionano. La Caduta è l’incapacità di separare l’idea dalla realtà, la sovrapposizione delle proprie idee alla realtà, che impedisce di vederla come effettivamente è (“potrebbe essere”, “dovrebbe essere”, in luogo di “è”), fino al distacco completo dalla realtà stessa, che è il nostro fato: un estetismo cronicizzato che cancella il realismo, la visione obiettiva dei fatti.
La critica letteraria Carol Barton (Barton, 2000) ha osservato che i lettori del Paradiso Riconquistato si lamentano della staticità della trama, della passività del protagonista (Gesù), della mancanza di tensione nello scontro tra Bene e Male, del ripudio della cultura umanistica da parte di Gesù. Ma Gesù non deve fare altro che smascherare l’illusione, per annientare il potere del “mago”, come ne “Il meraviglioso Mago di Oz”. Non c’è alcun bisogno di un duello fisico o di un elaborato confronto filosofico. Una volta che l’eroe si rende conto del meccanismo che sorregge l’illusione, questa cessa di esercitare il suo potere su di lui e si dissolve. Gesù non agisce solo perché ha capito fin dall’inizio che le varie opzioni che gli vengono presentate sono fuorvianti e corrompenti, dietro un’apparenza di stuzzicante appetibilità. Compiere qualunque azione sollecitata da Satana (incluso sfamare gli affamati e liberare un popolo) equivale a rendersi suo complice e servo.
Gesù non deve dimostrare la sua divinità o superiorità, perché sono un dato di fatto, non un motivo di vanagloria. Non deve prevalere sul Male, ma su di sé. Se Adamo ed Eva avessero avuto la stessa intuizione, non ci sarebbe stata alcuna Caduta. 
La grande impresa di Gesù il Cristo è  precisamente questa: saper dire di no alle tentazioni, con determinazione, senza tentennare. Da quel momento in poi potrà portare a buon fine la sua impresa. È maturo per far sì che ogni sua azione sia equilibrata, attenta e tempestiva. È Adamo redivivo, prima della Caduta. Ogni azione va compiuta al momento opportuno, né prima, né dopo. Non spetta a Gesù o a chiunque altro alterare o accelerare il corso e la manifestazione della volontà divina. Ciò lo rende inattaccabile. Non deve scegliere tra le alternative proposte da Satana: sono inevitabili solo perché Satana vuol far credere e vuol credere lui stesso che lo siano. Non è certo Satana a dover stabilire quali siano le opzioni disponibili.
Satana semplicemente non sa abbastanza delle cose dell’universo, mentre Gesù sa che affidarsi alla conoscenza umana sarebbe come guardare il mondo con delle lenti distorcenti ed opacizzate. Perché rinunciare ai suoi 11 decimi di visione? Perché dovrebbe accontentarsi delle ombre sulle pareti della caverna quando può vedere il cielo stellato, cioè la Verità? Adamo ed Eva non dimostrarono la stessa lucidità.
A Gesù non è richiesto di annullare se stesso in Dio. Dio non è un divoratore di anime, non chiede nulla di più di quanto chiederebbero una moglie o un marito: non anteporre te stesso alla nostra unione. L’obbedienza non è una virtù in quanto tale se ci si piega alla tradizione o alla tirannia. L’obbedienza ha valore e significato solo se si fonda sull’amore e sulla sapienza. 
Ne “Il Paradiso Perduto”, l’arcangelo Raffaele spiega: “serviamo liberamente, perché amiamo liberamente” (5.538-9). Gesù ama e si fida, Adamo ed Eva no: si comportano impulsivamente ed egoisticamente e si prendono di nascosto quel che decidono sia loro per diritto acquisito, senza neppure domandarsi se sia saggio fidarsi di uno sconosciuto, tradire la fiducia di chi ti ama e dare per scontato che quel frutto ti sarà per sempre negato – e, se anche così fosse, che ciò avviene per futili motivi e non per il tuo bene.
Gesù preserva il suo libero arbitrio, scegliendo di non agire, che è di per sé un’azione. Infatti non è immobile, passivo, inerte. Sembra inattivo, ma è attivo, perché mentre il suo corpo appare inoperoso, la sua coscienza è attiva, circospetta, lungimirante: le tentazioni lo rendono consapevole di quale sia la sua natura ed il suo ruolo cosmico, lo aiutano a capire la differenza tra quel che lui vuole e la volontà della Provvidenza. Satana sembra in moto perpetuo, ma si affanna a correre senza riuscire a spostarsi dal luogo in cui si trova. Alla fine perde il controllo e precipita, ancora più dannato di prima, ancora più statico. È altrettanto significativo che Dante lo descriva come immobilizzato in una glaciale perpetuità.
Come Dostoevskij nella Leggenda del Grande Inquisitore, Milton non assegna al suo Gesù alcuna missione se non quella di resistere alla manipolazione della sua coscienza. Si salverà solo chi imiterà il suo rifiuto. L’immobilità di Gesù sul pinnacolo è quella di un uomo in cui la volontà personale è sorretta da quella divina, senza che le due possano essere distinte, perché la natura umana si è fatta umilmente e prontamente veicolo, strumento di quella divina, ricevendone in cambio l’onnipotente agape. Satana impone un “o…o”, Gesù risponde con un “e…e” (Barton, op. cit.). Solo in quell’istante si manifesta il Cristo, ossia una figura investita di poteri e funzioni speciali. Infatti, nei vangeli sinottici, sebbene gli angeli e i magi lo riconoscano come tale, il dubbio serpeggia. Giovanni Battista sospetta che sia proprio lui, ma non ne è certo. Gesù non si proclama tale ed anzi invita gli apostoli a mantenere un basso profilo: “Allora egli intimò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno” (Marco 8, 30). Nel Paradiso Riconquistato, Milton non lo chiama mai Cristo, ma “il Figlio”, a riecheggiare le parole di Giovanni: “ma a tutti coloro che lo hanno ricevuto, egli ha dato l'autorità di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome” (Giovanni 1, 12) e di Paolo: “Poiché tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio sono figli di Dio” (Romani 8, 14). Ancora più chiaramente, nella prima lettera di Giovanni: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro” (1 Giovanni 3, 1-3).
Fino alla fine dei tempi non potremo essere come Gesù, ma tutti possono sforzarsi di essere più simili al secondo Adamo, rispetto al primo. 


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