Étienne de
La Boétie: giurista, filologo, traduttore dal greco, consigliere al Parlamento
di Bordeaux durante le guerre di religione tra cattolici e ugonotti, grande
amico di Michel de Montaigne che dedica virtualmente un capitolo degli Essais alla
loro amicizia: «Da quando lo persi non faccio che trascinarmi languente; e
perfino i piaceri che mi si offrono, invece di consolarmi, mi raddoppiano il
dolore della sua perdita... Se confronto la mia vita, tutta quanta, ai quattro
anni in cui mi è stato dato di godere della dolce compagnia e familiarità di
quell'uomo, essa non è che fumo, non è che una notte oscura e noiosa»
scrive nel primo libro degli "Essais"], nasce il 1° novembre 1530 a
Sarlat, cittadina del Périgord. Rimane orfano molto presto e viene allevato
dallo zio. Si dimostra abilissimo nella mediazione riconciliativa tra cattolici
e protestanti, molto apprezzato dalla Corona francese. Muore a 33 anni.
Il breve
scritto generalmente noto sotto il titolo di “Discorso sulla servitù volontaria”
e diffuso in ogni ambiente anti-tirannico europeo e non solo, apprezzato dagli
Illuministi, dai socialisti, dai comunisti, dagli anarchici e dai cattolici
progressisti, da figure illustri come Félicité De Lamennais, Lev Tolstoj,
Thoreau, Ralph Waldo Emerson, Gandhi. Per molti versi il pensiero di Étienne
de La Boétie si contrappone al “Principe” di Machiavelli, ma ancor più
significativa è la divergenza rispetto a Nietzsche e a Rousseau, entrambi
partiti dalla medesima premessa, la necessità di restituire all’uomo la sua
libertà, per giungere a soluzioni autoritarie (la casta tirannica ed
imperialista in Nietzsche, lo stato etico-pedagogico in Rousseau). La Boétie,
come Bartolomé de Las Casas, annuncia l’era del suffragio universale, della
democrazia costituzionale e della divisione dei poteri. Montaigne
ricorda che il suo amico era contro le rivoluzioni e gli spargimenti di sangue,
avendo dedicato la sua vita alla riconciliazione.
Come
Socrate, de La Boétie è un "rifiutista": per lui occorre astenersi
dal diventare complici nell’oppressione degli innocenti.
Il rifiuto
dello scandalo di una servitù volontaria, appunto, ossia non dovuta a forme di
coercizione esterna ma ad un acconsentimento interiore di una vittima che
diviene complice del tiranno. Il rifiuto della compiacenza di entrambe le parti,
dove l’una domina, l’altra subisce. Il rifiuto dell'impostura della
sottomissione necessaria, quando invece manca qualunque reale legittimità.
Ecco
esposto il suo pensiero, per sommi capi:
• La
responsabilità del servaggio non ricade solo sul carnefice, ma anche su una
disposizione volontaria delle vittime ad accettarlo. L’unico potere
dei tiranni è quello che gli è concesso dalle loro vittime [“è davvero
sorprendente, e tuttavia così comune che c’è più da dispiacersi che da stupirsi
nel vedere milioni e milioni di uomini servire miserevolmente, col collo sotto
il giogo, non costretti da una forza più grande, ma perché sembra siano
ammaliati e affascinati dal nome solo di uno, di cui non dovrebbero temere la
potenza, visto che è solo, né amare le qualità, visto che nei loro confronti è
inumano e selvaggio”];
• il
tiranno in generale è un ometto debole, privo di forza interiore e senza
talenti che lo rendano speciale rispetto alla media dei suoi sudditi [«Va
aggiunto inoltre che non c'è bisogno di combattere questo tiranno, di toglierlo
di mezzo; egli viene meno da solo, basta che il popolo non acconsenta più a
servirlo. Non si tratta di sottrargli qualcosa, ma di non attribuirgli niente;
non c'è bisogno che il paese si sforzi di fare qualcosa per il proprio bene, è
sufficiente che non faccia nulla a proprio danno. Sono dunque i popoli stessi
che si lasciano, o meglio, si fanno incatenare, poiché col semplice rifiuto di
sottomettersi sarebbero liberati da ogni legame; è il popolo che si assoggetta,
si taglia la gola da solo e potendo scegliere fra la servitù e la libertà
rifiuta la sua indipendenza, mette il collo sotto il giogo, approva il proprio
male, anzi se lo procura. Se gli costasse qualcosa riacquistare la libertà non
continuerei a sollecitarlo; anche se riprendersi i propri diritti di natura e
per così dire da bestia ridiventare uomo dovrebbe stargli il più possibile a
cuore. Tuttavia non voglio esigere da lui un tale coraggio; gli concedo pure di
preferire una vita a suo modo sicura anche se miserabile ad una incerta
speranza in una condizione migliore. Ma se per avere la libertà è sufficiente
desiderarla con un semplice atto di volontà si troverà ancora al mondo un
popolo che la ritenga troppo cara, potendola ottenere con un desiderio? Può
esistere un popolo che non se la senta di riavere un bene che si dovrebbe
riscattare a prezzo del proprio sangue, un bene la cui perdita rende
insopportabile la vita e desiderabile la morte, almeno per chi ha un minimo di
dignità? Come il fuoco che da una piccola scintilla si fa sempre più
grande e più trova legna più ne brucia, ma si consuma da solo, anche senza
gettarvi sopra dell'acqua, semplicemente non alimentandolo, così i
tiranni più saccheggiano e più esigono, più distruggono e più ottengono mano
libera, più li si serve e più diventano potenti, forti e disposti a distruggere
tutto; ma se non si cede al loro volere, se non si presta loro obbedienza
allora, senza alcuna lotta, senza colpo ferire, rimangono nudi e impotenti,
ridotti a un niente proprio come un albero che non ricevendo più la linfa
vitale dalle radici subito rinsecchisce e muore»];
• le
vittime si conquistano quotidianamente il loro diritto di restare soggiogati
– accanto all’anelito libertario coesiste nell’umanità un desiderio di
sottomissione, il tipo di servilismo che denunciò Erich Fromm in “Fuga dalla
Libertà” [“Chiameremo questa vigliaccheria? Diremo che coloro che servono
sono codardi e deboli? Se due, tre o quattro persone non si difendono da
un’altra, questo è strano, ma tuttavia possibile; si potrà ben dire giustamente
che è mancanza di coraggio. Ma se cento, mille sopportano uno solo, non si dovrà
dire che non vogliono, che non osano attaccarlo, e che non è vigliaccheria, ma
piuttosto spregevolezza ed abiezione? […] Dunque quale vizio mostruoso è mai
questo che non merita nemmeno il nome di vigliaccheria, e per il quale non si
trova un termine sufficientemente offensivo, che la natura rinnega di aver
generato e la lingua rifiuta di nominare?”];
• senza
la possibilità di ricorrere alla violenza il re è nudo, ma lo è anche se la
violenza non ottiene risultati [«Colui che tanto vi domina non ha che
due occhi, due mani, un corpo, non ha niente di più dell’uomo meno importante
dell’immenso ed infinito numero delle nostre città, se non la superiorità che
gli attribuite per distruggervi. Da dove ha preso tanti occhi, con i
quali vi spia, se non glieli offrite voi? Come può avere tante mani per
colpirvi, se non le prende da voi? I piedi con cui calpesta le vostre città, da
dove li ha presi, se non da voi? Come fa ad avere tanto potere su di voi, se
non tramite voi stessi? Come oserebbe aggredirvi, se non avesse la vostra
complicità? Cosa potrebbe farvi se non foste i ricettatori del ladrone che vi
saccheggia, complici dell’assassino che vi uccide e traditori di voi stessi?»];
• tiranno
è qualunque corpo politico che imponga ai cittadini la propria volontà ed i
propri interessi invece di perseguire il bene comune. Un iniziale
suffragio popolare non lo rende meno tirannico: “Chi ha ricevuto il
potere dello Stato dal popolo […] è strano di quanto superino gli altri tiranni
in ogni genere di vizio e perfino di crudeltà, non trovando altri mezzi per
garantire la nuova tirannia che estendere la servitù ed allontanare talmente i
loro sudditi dalla libertà, che, per quanto vivo, gliene si possa far perdere
il ricordo”;
• chi
si rifiuta di servire è libero, perché siamo nati per essere liberi e fratelli
e quello è il nostro destino [«credo che sia fuori dubbio che, se vivessimo
secondo i diritti che la natura ci ha dato e secondo gli insegnamenti che ci
rivolge, saremmo naturalmente obbedienti ai genitori, seguaci della ragione e
servi di nessuno. […] di sicuro, se mai c’è qualcosa di chiaro ed evidente
nella natura, che è impossibile non vedere, è che la natura, ministro di Dio,
la governatrice degli uomini, ci ha fatti tutti della stessa forma, e come
sembra, allo stesso stampo, perché possiamo riconoscerci reciprocamente come
compagni o meglio come fratelli. E se, dividendo i doni che ci faceva, ha
avvantaggiato nel corpo o nella mente gli uni più degli altri, non ha inteso
per questo metterci al mondo come in recinto da combattimento, e non ha mandato
quaggiù né i più forti né i più furbi come briganti armati in una foresta, per
tiranneggiare i più deboli. Ma, piuttosto, bisogna credere che la natura dando
di più agli uni e di meno agli altri, abbia voluto lasciar spazio all’affetto,
perché avesse dove esprimersi, avendo gli uni potere di dare aiuto, gli altri
bisogno di riceverne. […] non bisogna dubitare che siamo naturalmente liberi,
perché siamo tutti compagni, e a nessuno può venire in mente che la natura
abbia messo qualcuno in servitù, dopo averci messo tutti insieme. […] Se ne deve
concludere che la libertà è un dato naturale, e per ciò stesso, a mio avviso,
che non solo siamo nati in possesso della nostra libertà, ma anche con la
volontà di difenderla. […]. Il bue stesso sotto il giogo si lamenta e geme
l'uccellin rinchiuso in gabbia».
• le
persone si fanno schiavizzare con la forza o con l’inganno [«certamente
tutti gli uomini, finché conservano qualcosa di umano, se si lasciano
assoggettare, o vi sono costretti o sono ingannati];
• se
succede con l’inganno è perché si sono raggirati da soli (non hanno
riconosciuto la realtà per come era, hanno preferito scambiare i loro desideri
per la realtà): “Per inganno gli uomini perdono sovente la loro libertà; in
questo un poco sono sedotti da altri, spesso però accade che siano loro stessi
ad ingannarsi»;
• Mundus
vult decipi, ergo decipiatur: le persone sembrano credere con più facilità
a chi li inganna deliberatamente, come se necessitassero di farsi circuire [“Il
popolino non è mai tanto asservito come quando ci si burla di lui”].
• le
persone nate schiave considerano la loro condizione come naturale [“È vero
che, all’inizio, si serve costretti e vinti dalla forza, ma quelli che vengono
dopo servono senza rimpianti e fanno volentieri quello che i loro predecessori
avevano fatto per forza. È così che gli uomini che nascono sotto il giogo, e
poi allevati ed educati nella servitù, senza guardare più avanti, si
accontentano di vivere come sono nati, e non pensano affatto ad avere altro
bene né altro diritto, se non quello che hanno ricevuto, e prendono per
naturale lo stato della loro nascita”];
• le
consuetudini, le usanze e gli abiti mentali mantengono le persone asservite
[«La natura dell’uomo è proprio di essere libero e di volerlo essere, ma la sua
indole è tale che naturalmente conserva l’inclinazione che gli dà l’educazione.
[…]. Ma è anche vero che la consuetudine, la quale ha un grande influsso su
tutte le nostre azioni, esercita il suo potere soprattutto nell'insegnarci a
servire, e come Mitridate che si abituò a bere il veleno, ci rende alla
fine assuefatti a trangugiare normalmente il veleno della servitù senza
sentirne l'amaro. Certamente nel tendere verso il bene o verso il male
gioca in gran parte la natura che ci spinge dove vuole; ma bisogna ammettere
che essa ha meno potere su di noi di quanto non l'abbia la consuetudine, perché
la nostra indole, per quanto possa essere buona, va persa se non si cerca di
mantenerla.»].
• chi
perde la sua libertà perde anche la sua forza interiore, il coraggio morale, il
valore [È incredibile come il popolo, appena è assoggettato, cade
rapidamente in un oblio così profondo della libertà, che non gli è possibile
risvegliarsi per riottenerla, ma serve così sinceramente e così volentieri che,
a vederlo, si direbbe che non abbia perduto la libertà, ma guadagnato la sua
servitù];
• i
tiranni ipnotizzano le loro vittime con l’intrattenimento e piaceri effimeri [«i
teatri, i giochi, le farse, gli spettacoli, i gladiatori, le bestie esotiche,
le medaglie, i quadri ed altre simili distrazioni poco serie, erano per i
popoli antichi l’esca della servitù, il prezzo della loro libertà, gli
strumenti della tirannia. Questi erano i metodi, le pratiche, gli adescamenti
che utilizzavano gli antichi tiranni per addormentare i loro sudditi sotto il
giogo. Così i popoli, istupiditi, trovando belli quei passatempi, divertiti da
un piacere vano, che passava loro davanti agli occhi si abituavano a servire
più scioccamente dei bambini che vedendo le luccicanti immagini dei libri
illustrati, imparano a leggere»];
• la
gente si accontenta di poco, senza rendersi conto di essere stata derubata di
molto più di quelle briciole che riceve: «I tiranni elargivano un quarto di
grano, un mezzo litro di vino ed un sesterzio; e allora faceva pietà sentir
gridare: “Viva il re!” Gli zoticoni non si accorgevano che non facevano
altro che recuperare una parte del loro, e che quello che recuperavano, il
tiranno non avrebbe potuto dargliela, se prima non l’avesse presa a loro stessi»;
• si
spacciano per uomini superiori, dotati di poteri virtualmente magici,
taumaturgici, ma sono tutte «belle favole». Il problema del potere va fatto
risalire alla viltà ed inerzia di chi lo subisce, non in una supremazia di chi
lo esercita. Quest’ultimo, poi, non è più libero dei suoi sottoposti. Infatti «Non
ci può essere amicizia dove si trovano crudeltà, slealtà, ingiustizia; e quando
i malvagi si ritrovano tra loro non vi è compagnia ma complotto, non sono amici
ma complici». La tirannia distrugge la libertà di tutti, anche di
chi si trova al vertice della piramide, condannato a distribuire prebende ai
suoi ambiziosi e sleali servitori. Anche per il tiranno vale la verità che “quanti
più padroni si hanno tanto più sventurati ci si trova». Infatti, «In tutta
coscienza va considerata una tremenda sventura essere soggetti ad un signore di
cui non si può mai dire con certezza se sarà buono poiché è sempre in suo
potere essere malvagio, secondo il proprio arbitrio»;
• si
circondano degli scarti della società, persone debole di carattere (“vigliacchi
e rammolliti”), che offrono servilismo in cambio di ricchezze immeritate e si
organizzano gerarchicamente, come in una piramide: “Non basta che eseguano gli
ordini del tiranno: devono compiacerlo in tutto faticando e distruggendosi fino
alla morte nel curare i suoi interessi; inoltre devono godere dei suoi piaceri,
abbandonare i propri gusti per i suoi, andar contro il proprio temperamento
fino a spogliarsene del tutto. Sono obbligati a misurare le parole, la voce, i
gesti, gli sguardi; devono avere occhi, piedi, mani sempre all'erta a spiare
ogni suo desiderio e scoprire ogni suo pensiero. E questo sarebbe un vivere
felice? Si può chiamare vita codesta? C'è al mondo qualcosa che risulti essere
più insopportabile di una simile situazione non dico per una persona di nobili
origini ma semplicemente per chiunque abbia un po' di buon senso o quantomeno
un'ombra di umanità? Quale condizione è più miserabile di questa, in cui non si
ha niente di proprio ma tutto, benessere, libertà, perfino, la vita stessa,
viene ricevuto da altri?" […]. Ma anche supponendo che questi adulatori
riescano a sfuggire alle mani del loro padrone, in ogni caso non si salvano mai
dal re che viene dopo: se è un buon sovrano devono rendergli conto di tutto e
comportarsi secondo ragione; se invece è malvagio come il precedente avrà
anch'egli i suoi favoriti che solitamente non si accontentano di prendere a
loro volta il posto degli altri ma vogliono anche ottenerne i beni e in molti
casi la vita stessa. Com'è dunque possibile che ci sia qualcuno che in mezzo a
tanti rischi e con ben poche garanzie voglia prendere questo sciagurato posto e
servire un padrone così pericoloso? Che tormento, che martirio è mai
questo, buon Dio? Essere occupato giorno e notte a compiacere uno e tuttavia
avere più timore di lui che non di qualsiasi altro uomo, stare sempre all'erta
con l'occhio e l'orecchio tesi a spiare da dove verrà l'attacco, a scoprire gli
agguati, leggere nel cuore dei compagni, denunciare chi sta per tradire,
sorridere a tutti e fidarsi di nessuno, non avere né nemici dichiarati né amici
sinceri, col sorriso sulle labbra e il gelo nel cuore, non riuscire ad essere
lieto e non poter mostrarsi scontento”.
• finché
hanno buone ragioni per obbedire: «non lo si crederà immediatamente, ma
certamente è vero: sono sempre quattro o cinque che sostengono il tiranno,
quattro o cinque che mantengono l’intero paese in schiavitù. È sempre successo
che cinque o sei hanno avuto la fiducia del tiranno, che si siano avvicinati da
sé, oppure chiamati da lui […]. Questi sei ne hanno seicento che profittano
sotto di loro, e fanno con questi seicento quello che fanno col tiranno. Questi
seicento ne tengono seimila sotto di loro, che hanno elevato nella gerarchia,
ai quali fanno dare o il governo delle province, o la gestione del denaro
pubblico […]. Da ciò derivano grandi conseguenze, e chi vorrà divertirsi a
sbrogliare la matassa, vedrà che, non seimila, ma centomila, milioni, si
tengono legati al tiranno con quella corda […]. Insomma che ci si arrivi
attraverso favori o sotto favori, guadagni e ritorni che si hanno sotto i
tiranni, si trovano alla fina quasi tante persone per cui la tirannia sembra
redditizia, quante quelle cui la libertà sarebbe gradita».
• la
codardia, la remissività, l'acquiescenza, il conformismo, la pigrizia: “Davanti
ad esempi tanto evidenti e ad un pericolo così incombente è dunque davvero
pietoso che nessuno voglia diventare saggio a spese altrui, che tanta gente si
dia da fare per star vicina al tiranno e che non ce ne sia neppure uno che
abbia l'avvedutezza e il coraggio di dir loro ciò che in un apologo famoso la
volpe rinfaccia al leone che si finge ammalato: «Verrei volentieri a farti
visita nella tua tana; purtroppo vedo molte tracce di animali che vanno verso
di te, ma non ne scorgo neppure una nella direzione contraria».
• ma
rimangono sempre persone che sono indomabili, che sarebbero in grado di
reinventare la libertà anche se fosse soppressa. Il loro problema è che non si
conoscono tra loro. Se avessero modo di incontrarsi, formerebbero società di
amici [sul modello delle comunità pitagoriche, NdA], fondate sui principi di
libertà, uguaglianza e fratellanza. L’amicizia garantirebbe il massimo grado di
uguaglianza possibile unitamente al massimo grado di libertà possibile;
• NONVIOLENZA:
Se il popolo ritira il suo sostegno al tiranno, questo cade sotto il peso della
sua corruzione «Non voglio che scacciate il tiranno e lo buttiate giù dal
trono; basta che non lo sosteniate più e allora lo vedrete crollare a terra per
il peso e andare in frantumi come un colosso a cui sia stato tolto il basamento»;
• VIOLENZA
E TERRORE RIVOLUZIONARIO: i rivoluzionari di professione, i
tirannicidi, i terroristi vanno contrastati, non sostenuti, perché le loro
iniziative «non furono altro che congiure di gente ambiziosa, la quale non deve
certo essere compianta per gli inconvenienti cui andò incontro, essendo a tutti
evidente che desideravano semplicemente far cadere una corona, non togliere il
re, cacciare sì il despota, ma tenere in vita la tirannide. Riguardo a costoro
sarei dispiaciuto se fossero riusciti nel loro scopo, e sono ben contento che
oggi possano essere portati a dimostrazione del fatto che non bisogna abusare
del santo nome della libertà per compiere imprese malvagie.
LINK UTILI
http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/il-gesu-poderosamente-nonviolento-di.html
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