La paura conduce alla rabbia,
la rabbia all’odio e l’odio alla sofferenza…rabbia, paura, violenza, sono loro
il lato oscuro… allenati a lasciar andare quello che hai paura di perdere…la
paura della perdita conduce al lato oscuro…La paura è la via per il Lato
Oscuro. La paura conduce all’ira, l'ira all’odio, l'odio conduce alla
sofferenza. Io sento in te molta paura.
Yoda
Chi ha paura muore ogni
giorno, chi non ha paura muore una volta sola.
Giovanni Falcone
Cowards die many times before
their deaths. The valiant never taste of death but once.
William Shakespeare,
"Julius Caesar"
Bello vivere nella paura,
vero? In questo consiste essere uno schiavo.
Roy Batty
Nel circo, gli esseri umani
sono rappresentati come liberi dall’abbraccio della morte. Nel circo una
persona cammina su un cavo a cinquanta piedi dal suolo…un’altra rimane sospesa
in aria per il tallone, qualcuno sostiene dodici persone in una piramide umana,
qualcun altro è un proiettile umano. L’artista circense è l’immagine della
persona escatologica – emancipata dalla fragilità e dall’inibizione, briosa ed
eccitante mentre trascende la morte, ormai né confinata né conforme ai dettami
della paura di morire. Il circo perciò ridicolizza la morte e, così facendo, ci
mostra che l’unico nemico in vita è la morte, un nemico che dobbiamo
fronteggiare tutti, in ogni circostanza, in ogni momento…Il servizio che ci
rende – più di quello che ci rendono le chiese, malauguratamente – è quello di
illustrare esplicitamente, drammaticamente ed umanamente la morte in seno alla
vita. Il circo è una parabola escatologica e una parodia sociale: segnala la
possibilità di trascendere il potere della morte, rivelando il mondo così com’è
mentre apre al strada al Regno
William Stringfellow, “A
Simplicity of Faith”
Che cosa è questa complicità
degli oppressi con l'oppressore, questo vizio mostruoso che non merita nemmeno
il titolo di codardia, che non trova un nome abbastanza spregevole?
Gustavo Zagrebelsky, La
Repubblica, 16 giugno 2011
Il valore del viaggio è nella
paura. E' nel fatto che, a un certo momento, così lontani dal nostro paese e
dalla nostra lingua (un giornale francese assume un valore inestimabile. E
quelle ore serali trascorse al caffé cercando di stabilire un contatto con
altri uomini), un vago timore ci coglie, e l'istintivo desiderio di ritrovare
il rifugio delle vecchie abitudini. E' l'apporto più evidente del viaggio. In
quel momento siamo febbrili ma porosi. La minima emozione ci scuote sino al
fondo dell'essere. L'incontro con una cascata di luce ci mette in presenza
dell'eternità. Per questo non bisogna dire che si viaggia per piacere. Non
esiste piacere nel viaggiare, ma piuttosto, mi sembra, un'ascesi.
Albert Camus, “Taccuini,
1935-1942” – “Alle Baleari, l'estate scorsa”
Soltanto di rado anche il più
coraggioso tra noi possiede il coraggio di ciò che veramente sa.
Nietzsche
Solo tardivamente guadagniamo
il coraggio di ammettere quello che sappiamo.
Camus
Il teologo statunitense
William Stringfellow, molto apprezzato da Karl Barth, era un grande amante dell’arte
circense e il 15 gennaio del 1966 pubblicò un saggio intitolato “The Circus and
Society” su “The Scotsman”. In esso descriveva il circo, nei suoi aspetti
migliori, non quelli disumanizzanti del Diverso e del clown alienato, come la
prefigurazione di un’umanità redenta, in un nuovo Eden. Il Circo era la
parabola del Regno e la parodia del mondo. Per Stringfellow i cristiani erano
dei viaggiatori, come la gente del circo. Si fermavano un poco e poi
ripartivano. Eterni pellegrini. Nel circo gli animali giocano tra loro ed
assieme agli uomini, imitando gli uomini. Gli uomini camminano nel fuoco, o in
cielo sospesi su un corda, danzano nell’aria afferrandosi in volo, giocano con
mille oggetti contemporaneamente. Sfidano la morte, le leggi della fisica, la
paura. Intanto i pagliacci si fanno beffe della serietà delle persone, del loro
amor proprio. Stringfellow usa il circo come allegoria della condizione umana: l’unico
potere che le potenze (celesti e terrene) esercitano su di noi è quello della
morte. La paura della morte ci controlla e ci rende schiavi. Gesù ci ha
mostrato che è una paura insensata, dunque non abbiamo nulla da temere.
Jiddu Krishnamurti, che
cristiano certamente non era, ha dedicato moltissimo tempo allo svisceramento
della questione della paura e dell’incantesimo che getta su di noi. Krishnamurti
osserva che più c’è confusione, più la gente cerca un pastore, o un testo
sacro, o un’ideologia. Il sistema, l’uomo della provvidenza e l’idea
diventano importanti, a discapito dell’essere umano. Si ha paura di perdere
il lavoro, del giudizio altrui, del dolore e delle malattie, della morte, di
essere disprezzato ed irriso, di non essere amato, della noia, della
solitudine, ecc. La paura è la transizione da una condizione di certezza ad
una di incertezza. Se una cosa accade improvvisamente non c’è tempo di avere
paura, è lo scarto temporale che ci lascia il tempo di pensare – ossia di non
osservare i fatti ma di riconcettualizzarli nella nostra mente sulla base dei
ricordi (condizionamento sociale) – e quindi di temere: il tempo è tiranno, si
dice. Temiamo l’ignoto e il cambiamento, ma allora temiamo la vita stessa,
perché panta rei, tutto scorre, imprevedibilmente. Dunque abbiamo paura
di morire ma anche di vivere. Difficile essere sereni. La vita è cambiamento ed
aggrapparsi al passato significa condannarsi alla paura. Aggrapparsi
disperatamente alla patria, all’ideologia, ad una parola/concetto (es. cancro,
guerra, crisi), alla stessa famiglia, significa che ogni mutamento ci intimorirà.
La paura rincitrullisce la mente e non c’è libertà nella paura. La paura
rende schiavi. Non c’è amore nella paura: è più facile che ci sia odio,
menzogna, autoinganno, superficialità, meccanicità, egoismo. Ma la “società”
– chi detiene il potere – ha deciso che senza la paura ci sarebbe il caos. La
paura serve a controllare la gente e trono ed altare sono alleati.
Se non ci comportiamo nel modo
corretto in questa vita pagheremo nella prossima, o lo Stato ci punirà
severamente. Oppure si insinua il bisogno di continuare a mettersi a confronto
con gli altri: guardate loro, loro sì che hanno successo, non sono dei perdenti
come voi. Serve ad instillare paura, paura del confronto, appunto, della
competizione. Una mente spaventata non è mai onesta, né con se stessa né con
gli altri. Se non fossimo psicologicamente in preda alla paura ci
emanciperemmo dagli idoli/golem, dagli dèi, dai simboli di venerazione, dai
leader populisti.
Poi c’è la paura della
differenza, di qualcuno diverso che ci mette in difficoltà, la paura del
conflitto conseguente a questa messa in discussione delle nostre certezze, la
paura della perdita che potrebbe conseguirne, la paura del cambiamento che
tutto ciò comporta. Le persone impaurite vivono all’interno di confini
ristretti, tendono a sforzarsi di controllare tutto attorno a loro, incluse le
altre persone, sono inibite nella loro capacità di empatizzare, sono inclini a
ritirarsi nelle vecchie abitudini, nei vecchi paradigmi, quelli che stanno
estinguendosi. Sono a rischio di perdersi e di spingere altri a perdersi.
Nel film “Fast Food Nation”,
un gruppo di studenti apre il recinto del bestiame destinato ad essere
macellato, che vive in condizioni di marcato degrado. Vorrebbero che uscissero
ed invadessero le strade, in modo da poter poi sollevare la questione sul loro
trattamento. Per quanto si sforzino, nessun bovino esce. Il cancello è aperto,
ma è come se fosse ancora chiuso, a causa del condizionamento mentale. In verità
non c’è alcun vincolo che non sia scioglibile. Ciò che ci trattiene è la paura,
la paura della frusta, dell’elettrochoc, della morte, del giudizio altrui, ecc.
L’intera società è concepita per rivitalizzare periodicamente queste paure,
come un grande allevamento di bestiame. Dieci persone autenticamente,
profondamente consapevoli sarebbero più pericolose di un milione di anarchici
armati. Il potere nasce dalla docilità dell’uomo, dal fatto che esso accetti di
obbedire.
*****
IL REGNO DEL TERRORE
Sopravvivere non basta,
bisogna esserne degni e bisogna che siano presenti quelle precondizioni
essenziali, senza le quali la vita non è tollerabile e perde il suo valore
specifico, riducendosi ad un concetto astratto. “Il problema non è se
conserveremo le nostre vite ad ogni costo, ma come le conserveremo”,
constata Etty Hillesum. Gesù, Buddha e Socrate,
ciascuno a suo modo, indicano che l’autoconservazione non è una ragione
sufficiente per commettere il male. Sopravvivere senza una coscienza
integra è peggio che morire. La vita del corpo non è il valore
precipuo, ma è su questa fossilizzazione delle nostre emozioni che si alimenta
la paura del terrorismo e la paura della crisi, che altera i
riflessi dei cittadini: abbiamo già rinunciato al salutare scetticismo nei
confronti del governo e del potere, sostituendolo con la deferenza:
Così accettiamo una
progressiva restrizione dei nostri diritti. Poiché la Guerra al Terrore e la
Guerra alla Crisi sono perpetue, non ci sono limiti a quel che ci potrebbe
essere richiesto di sacrificare, tra tutte le conquiste delle passate
generazioni.
Nulla di tutto questo
sussisterebbe se non avessimo paura di morire. Tutte le virtù che le nazioni
esaltano ed idolatrano – la potenza militare, l’abbondanza materiale, l’alta
cultura, la sofisticatezza tecnologica, la grandeur imperiale, l’orgoglio
razziale/etnico, la prosperità, i risultati sportivi, la lingua, ecc. sono
ricollegabili alla necessità di tenere sotto controllo la paura della morte.
Amiamo la patria perché viviamo della sua vitalità riflessa, uccidiamo per essa
per la stessa ragione:
L’aggressività, la violenza,
nascono dalla paura. La paura è dunque il problema centrale della nostra
specie. Una mente in preda alla paura è confusa, conflittuale e tende ad
essere violenta, distorta, aggressiva. L’umanità ha bisogno delle sue emozioni.
Dice bene il mitico James T. Kirk, in “Ultima Frontiera”: “Sai bene che il
dolore e la colpa non possono essere eliminati dal gesto di una mano fatata. Le
cose che portiamo con noi ci rendono ciò che siamo. Perdendole, perdiamo la
nostra identità. Non voglio che mi portino via il mio dolore, ne ho bisogno!".
Abbiamo bisogno delle nostre emozioni per dare il meglio di noi stessi. Una
società che volesse amputarci emotivamente – per il nostro bene – sarebbe un
totalitarismo mascherato che vuole trasformarci in marionette (cf. l’esoterico
eppur rivelatore “Teatro delle marionette” di Heinrich Von Kleist, ma anche “Equilibrium”
di Kurt Wimmer)
http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/lanticristo-e-il-teatro-delle.html
togliendoci ciò che ci rende umani e il potenziale per essere migliori, migliori di quanto vorrebbe quell’ipotetico regime di un futuro distopico, purtroppo non troppo remoto:
http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/lanticristo-e-il-teatro-delle.html
togliendoci ciò che ci rende umani e il potenziale per essere migliori, migliori di quanto vorrebbe quell’ipotetico regime di un futuro distopico, purtroppo non troppo remoto:
http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/i-cyloni-sono-gia-tra-noi.html
Quel che abbiamo il dovere di fare è controllare le emozioni negative (incluso l’amore possessivo), disciplinandole, non sopprimendole. In questo modo le emozioni da trappola ed ostacolo si trasformano in trampolino di lancio.
Quel che abbiamo il dovere di fare è controllare le emozioni negative (incluso l’amore possessivo), disciplinandole, non sopprimendole. In questo modo le emozioni da trappola ed ostacolo si trasformano in trampolino di lancio.
Al giorno d’oggi, purtroppo, intere
industrie lucrano sul terrore come dei parassiti, e lo stesso fanno i politici
autoritari. Tutte queste sinistre figure, interessate solo al proprio
tornaconto, rendono il mondo progressivamente più miserabile, oscuro e
sgraziato di quel che sarebbe altrimenti. Nessuno di loro può offrire l’immortalità
o prevenire eventi catastrofici, reali o immaginari. Il rischio fa parte della
vita, non ha senso ripudiare il nostro modo di vivere per gratificare chi
desidera che lo facciamo e ci spaventa per indurci a farlo.
La paura è ciò che impedisce a
molta gente di accettare la realtà così com’è, preferendo continuare ad
ignorare gli indizi che demolirebbero la loro visione idealizzata. Non possono
affrontare l’idea che chi sta in alto e può disporre delle vite di milioni di
persone a sua completa discrezione possa scegliere di ucciderle per i propri
scopi, senza il minimo scrupolo e rimorso. Questa verità dev’essere repressa dietro
un velo di fantasie. Paradossalmente,
quando indirizziamo i nostri timori, scegliamo la direzione sbagliata, un falso
babau.
L’induzione della paura è un’idra
che sembra impossibile uccidere, perché è connaturata all’esercizio del potere
in un mondo che non è in grado di selezionare i suoi governanti sulla base
della coscienza e coscienziosità. Perché ci nutriamo di cliché, scorciatoie
logiche, sensazionalismi, semplificazioni, generalizzazioni, dicotomizzazioni.
L’effetto dirompente di questa estenuante litania di frasi fatte e pensieri
precotti corrode le coscienze ed agita gli animi. Bombardati costantemente,
reagiamo con riflessi pavloviani: islamismo = terrorismo; stranieri = minaccia;
libertà = egoismo; scetticismo = antipatriottismo; altruismo = comunismo;
felicità = soldi, potere.
Per far pendere la bilancia in
favore della libertà servono le 3C: Conoscenza, Cooperazione e Compassione.
Esse contrastano le 3M di Mistero, Miracolo e Militarismo, disseminate
da chi ha interesse ad imprigionare la coscienza e l’anima umana. Le 3C sono evolutivamente
aperte, le 3M sono evolutivamente chiuse. Dovrebbero restare in uno stato di
equilibrio, ma dovrebbe essere chiaro a tutti che così non è: le 3M dominano ad
ogni livello. Tuttavia il futuro è aperto, non è predeterminato, è un groviglio
vorticoso di incertezza e possibilità inimmaginabili fino al momento in cui non
si fanno certe scelte.
*****
CORAGGIO E VILTÀ
Coraggio: "forza d'animo, connaturata o suscitata dall'altrui esempio, che permette di affrontare, dominare, subire con serenità e senso di responsabilità situazioni scabrose, difficili, avvilenti, ed anche la morte".
Viltà: "disonorante rifiuto di affrontare pericoli o responsabilità, dovuto a codardia o pavidità".
Queste sono le definizioni del Devoto-Oli.
A questo punto non vorrei che
si finisse per confondere la paura con il timore e l'apprensione. Non mi pare
indichino la stessa cosa. Essere vigili, circospetti, cauti, ragionevolmente
intimoriti/apprensivi di fronte ad una sfida non è aver paura, che è legata a
stati ansiosi ed angosciati in cui c'è una perdita di controllo di pensieri ed
azioni che può creare assuefazione e diventare un alibi. Finché questi sono
temporanei, finché si possono imbrigliare con la forza d'animo e di volontà
allora va tutto bene. Il codardo è uno che ha abdicato ad ogni possibilità di
riacquistare l'autocontrollo: è servo della paura e vede pericoli ovunque.
Dominato dal suo ego con le sue maniacalità e paranoie.
Codardia è "il venir meno
all'adempimento del proprio dovere di fronte ad un pericolo". Il
codardo vede rischi e minacce dove non ci sono, il coraggioso (che non è
incosciente - non sono sinonimi) ha una visione più obiettiva, o meno
soggettiva, della realtà, rispetto al codardo. Proprio perché è una
questione morale il codardo muore ogni giorno e, poiché ogni giorno non si
dimostra all'altezza, rende più arduo per gli altri far conto su di lui/lei.
La differenza è, io credo,
sostanzialmente questa: il coraggioso mette il proprio ego e la propria
sopravvivenza in secondo piano rispetto al bene comune, il codardo dà priorità
ad ego ed alla propria sopravvivenza.
Solo quando ci si sforza di
conoscere se stessi e ci si affronta a viso aperto, onestamente, il nostro
comportamento è moralmente e spiritualmente integro. Serve coraggio perché
spesso, purtroppo, si perviene a questa conoscenza solo attraverso la
sofferenza o il superamento di enormi ostacoli.
Il vile evita in ogni modo il
patimento, quindi difficilmente maturerà.
Chi è troppo spaventato vede i
pericoli più grandi di quelli che sono ed è incapace di contrastarli con
efficacia. Temendo di perdere la vita dimentica che una vita senza onore,
integrità e libertà non è degna di essere vissuta. Chi usa il terrore come arma
politica ci spinge a temere le cose sbagliate, in misura sproporzionata, ad
agire senza riflettere e così acquista un controllo smisurato sulle nostre
vite, molto maggiore di quello che sarebbe giustificato dal suo potere reale:
Politici privi di scrupoli
cavalcano la paura ed accusano i loro critici di vivere nel mondo dei sogni,
disconnessi dalla realtà, di spingere la nazione verso il disastro.
Uno stato d’animo impaurito ed
aggressivo fa il gioco di chi vuole controllarci, di chi desidera distruggere
la nostra libertà di dare espressione alle qualità della nostra
coscienza/anima, di rimanere in piedi, non proni. Per farlo hanno bisogno di
condizionarci in modo tale da indurci a pensare unicamente alla nostra
sopravvivenza. Di qui il caos che regna sovrano sul nostro mondo, in questa
fase della storia umana: il caos sovverte l’armonia interiore.
La battaglia più importante
diventa allora quella combattuta per rifiutarsi di pensare e sentirsi come
altri vogliono che noi pensiamo e ci sentiamo (ossia la modalità “istinto di
sopravvivenza”). È una battaglia per il nostro cuore e la nostra mente. Temere
la violenza che sospettiamo tengano in serbo per noi significa reprimere il
potenziale di espansione della nostra verità interiore, della nostra libertà
interiore. È quel che alcuni vogliono: Guerra e Terrore Rivoluzionario, seguiti
da Ordine e Disciplina. Ogni Rivoluzione, non lo ripeterò mai abbastanza,
necessità di coraggio ma anche di lucidità. Si vince la paura del Potere, che è
tale solo perché gli consentiamo di esserlo, e poi si domina ego, che ci spinge
al messianismo, all’intolleranza, alla megalomania (es. Robespierre,
Saint-Just, Lenin, ecc.). No alla Guerra, sì alla Rivoluzione, no al Terrore
Rivoluzionario, sì alla Democrazia:
*****
LA LEZIONE
C’è una lezione in tutto
questo. C'è sempre una lezione in ogni cosa: la vita è una scuola a tempo pieno. Il fatto è che viviamo in un mondo insicuro anche perché certi politici
hanno interesse a renderlo tale o a farcelo percepire come più insicuro di quel
che è o potrebbe essere. Uscendo dall’infanzia dell'umanità ci siamo resi conto
che i nostri genitori non ci possono proteggere, che non c’è alcun tutore che
ci garantisca contro i pericoli. La raggiunta maturità comporterebbe la presa
di coscienza del fatto che non abbiamo bisogno di guardiani e curatori dei
nostri interessi e che coltivare questo tipo di dipendenza conduce dritti sulla
strada dell’entropia e della Vera Morte, la morte della coscienza/anima.
Sfortunatamente non tutti
hanno il coraggio di crescere e così ci si affida alle utopie ed ai Grandi
Inquisitori, ai Fratelli Cosmici ed alle Chiese, che fanno le veci del defunto
Dio Onnipotente. In questa crisi esistenziale/identitaria globale è insita un'enorme
opportunità di crescita per chi è disposto e pronto a farlo, cioè
dotato di sufficiente discernimento da prevedere i pericoli e le insidie, di
sufficiente altruismo da provare ad alleviare la sofferenza che ci circonda, di
sufficiente apertura alla conoscenza, all’apprendimento, al cambiamento di
prospettiva, al vivere in uno stato d’animo rischioso ed avventuroso.
Agendo in buona fede,
fiduciosi nell’esistenza di un fine e di valori ultimi nella vita, ci si sforza
di raggiungere quella condizione indispensabile alla comprensione della verità, per quel che è possibile:
Con diligenza, pronti a
rinunciare a ciò che si riteneva vero, in favore di una verità più profonda,
pronti a divenire un veicolo e recipiente di salvezza, in qualunque contesto
essa si manifesti.
In questo modo, attraverso la
sincera convinzione (la verità interiore) e l’empatia/compassione/comprensione,
ciò che c’è di meglio in noi si fa più presente a noi stessi. Questa è la
peggiore minaccia esistenziale per lo psicopatico, è come una blasfemia, perché
con la sua presenza nega la sua esistenza, o ne svela la vuotezza, la vacuità:
4 commenti:
Ottimo posto Sig Fait. La sua capacità di farmi riflettere e di coinvolgermi nelle sue riflessioni è sorprendente.
Grazie.
cordialità,
Gabriele
Stefano, dopo avere letto quello che comunichi rimango sempre come in apnea.
Una tristezza, poi mi ha preso leggendo un brano:"..Uscendo dall’infanzia dell'umanità ci siamo resi conto che i nostri genitori non ci possono proteggere, che non c’è alcun tutore che ci garantisca contro i pericoli. ...." perche' ho pensato che, nel tempo in cui viviamo, e' terribilmente facile trovare genitori che non riescano nemmeno a dare quel minimo di protezione.
Che tristezza...
Peggio ancora, Luisa, rischiamo di farci adottare da Barbablù!
Gli adulti non hanno bisogno di genitori, ma di Amici con la a maiuscola, di loro pari.
Per come la vedo io, dovremmo liberarci dalla dipendenza psicologica nei confronti del Dio Padre e della Dea Madre, non per farci dèi, ma per farci Badanti, nel senso più nobile del termine: qualcuno che si prende cura del prossimo.
Non ho dubbi che ci sarebbe molta meno paura (e più libertà) in giro, se tutti entrassimo in quella dimensione del pensare, del sentire e dell'agire.
Caro Stefano, condivido lo stesso pensiero e ogni volta sorrido.
Proprio cosi' farci badanti e prenderci cura di chi ci circonda e soprattutto essere Amici, di tutti, senza timori ne' freni, senza esclusioni ne' gelosie, ma divertendoci e sorridendo nel ripensare a chi si e' incontrato sulla strada del giorno.
Stada da percorrere con fiducia e senza paura.
Ciao!
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