mercoledì 23 novembre 2011

In Italia la tortura non è un reato (e presto non lo sarà negli USA)




Nessun individuo dovrà essere sottoposto a tortura o trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti
Articolo 5, Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948.

È giusto riconoscere che qualcuno sbagliò commettendo degli eccessi. Lo afferma la sentenza 57 della Prima Corte di Assise di Milano del 1964. Chi lo nega, o è in malafede o è ignorante. Credo piuttosto che ogni atto di violenza debba essere denunciato e condannato, anche in rispetto di tutti coloro che sono morti in quegli anni e che hanno onorato la divisa con spirito di sacrificio. Non vorrei che i Consiglieri Urzì e Seppi, e quei pochi accoliti che li seguono come scodinzolatori professionisti, giustificassero gli atti di violenza, perché con questo metro di giudizio giustificherebbero anche gli attentatori.
Mauro Minniti (PDL), presidente del Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano.

Per alcuni politici la tortura è quasi un gioco, una cosa da poco. In Italia la tortura non è un reato, in particolare per l'opposizione della Lega Nord
Nel dibattito tra i candidati repubblicani alle presidenziali statunitensi del novembre 2012 Michelle Bachmann hanno sostenuto la legittimità della tortura, definendola una “tecnica di interrogatorio potenziata” (enhanced interrogation technique). Gli assistenti di Mitt Romney, il candidato favorito, nonché il più moderato, hanno spiegato alla CNN che neanche lui considera il waterboarding (annegamento controllato) come una tortura. Il presidente Obama ha replicato che il waterboarding è tortura e che chiunque si sia informato e abbia compreso di cosa si tratta la chiamerebbe tortura, “e questa non è una cosa che noi facciamo. Punto e basta”.
È curioso che dei possibili futuri presidenti degli Stati Uniti non considerino tortura la stessa tecnica usata dai Giapponesi ai danni dei prigionieri di guerra americani e per cui i leader militari giapponesi furono condannati e giustiziati in quanto criminali di guerra. D’altra parte l’annegamento controllato fu sdoganato già al tempo dell’amministrazione Bush-Cheney, da John Yoo. Se avessero perso una guerra sarebbero stati giudicati come criminali di guerra. Invece sono a piede libero: Yoo insegna diritto a Berkeley! Obama ha scelto di non aprire un’inchiesta. David H. Petraeus, già comandante dello U.S. Central Command, che prevede la responsabilità strategica di tutto il teatro medio-orientale, e attuale direttore della CIA, la pensa come Cain, Bachmann e Romney. Fino all’anno scorso lo si riteneva un virtuale candidato repubblicano alla presidenza. Dunque pare che, tra i Repubblicani, per poter essere un valido candidato alla presidenza degli Stati Uniti, si debba per forza essere favorevoli alla tortura.

Ho già scritto altrove cosa penso della tortura:
Qui mi limito a ricapitolare le riflessioni di Jeremy Waldron, docente di giurisprudenza alla New York University School of Law e di teoria politica e sociale a Oxford, contenute in un suo scritto intitolato “Torture and Positive Law: Jurisprudence for the White House”, che potete leggere qui:
Per Waldron la proibizione della tortura è un archetipo legale, ossia una misura che esemplifica una più generale vocazione alla non-brutalità nell’ambito del sistema legale e che comprende considerazioni di onorabilità. Abu Ghraib ha disonorato gli Stati Uniti nel 2004, come li ha disonorati la rivelazione che quelle pratiche non erano limitate a quel carcere. La tortura è tornata tra noi a distanza di un secolo dall’edizione del 1911 dell’Enciclopedia Britannica, che descriveva la tortura come “un argomento che ha unicamente un interesse storico per quanto concerne l’Europa”. Finora è rimasta relegata alle colonie: Algeria (Francia), Irlanda del Nord (Regno Unito), Territori Occupati (Israele), Iraq, Afghanistan e Guantánamo (Stati Uniti). Ma la paura, una paura acuta, palpabile, permanente, è tornata ad essere la forma più comune di controllo sociale [cf. Judith Shklar, The Liberalism of Fear in “Liberalism and the moral life”, a cura di Nancy Rosenblum, 1989]
John Yoo, docente a Berkeley, è l’autore di un memorandum del gennaio 2002 che razionalizzava la violazione delle Convenzioni di Ginevra sul trattamento dei prigionieri. Alan Dershowitz insegna alla Harvard Law School ed ha pubblicato due libri in cui sdogana la tortura. Jay Bybee era professore di diritto alla Louisiana State University ed alla University of Nevada. [Ora è un giudice federale!]. Tra il 2001 ed il 2003 era direttore dell’Office of Legal Counsel al Dipartimento di Giustizia e scrisse a sua volta un memorandum in cui restringeva la definizione di tortura per poterla rendere legittima.
Sono esperti che hanno scelto deliberatamente di derubricare la tortura come reato. Su quali basi? Il positivismo giuridico insegna che la legge va rivista a seconda delle circostanze. Però, si chiede Waldron, come mai sentiamo che c’è qualcosa di sacro che viene violato dalle considerazioni di Bybee, Yoo e Dershowitz? Che significato possiamo attribuire alla nozione di “sacralità” in una civiltà principalmente laica? Nei lavori preliminari della Convenzione Europea sui Diritti Umani, nel 1949, il delegato britannico, Seymour Cocks, propose l’approvazione della seguente mozione: “L’assemblea consultiva coglie l’opportunità per dichiarare che tutte le forme di tortura…sono incompatibili con una società civile, sono offese al cielo ed all’umanità e vanno proibite. Dichiara altresì che questa proibizione deve essere assoluta e che la tortura non può essere autorizzata in nessun caso, né per estrarre informazioni, né per salvare vite e neppure per la sicurezza dello Stato. Essa ritiene che sarebbe meglio che una società perisse piuttosto che consentire a questo residuo di barbarie di continuare ad esistere”. A titolo personale, Cocks aggiunse: “è un crimine contro il cielo e contro lo spirito santo nell’uomo. Affermo che sia un peccato contro lo Spirito Santo per cui non si può essere perdonati”. Queste sue parole non furono inserite nella stesura finale del rapporto, perché non conforme al linguaggio giuridico.
Purtroppo la nostra società non è più in grado di concepire alcun assoluto morale. Diamo per scontato che quando il gioco si fa realmente duro e c’è moltissimo in ballo certe inibizioni morali devono essere tralasciate. Le situazioni estreme ci fanno sembrare ridicoli certi assoluti morali e nessuno di noi vuol sembrare ridicolo. Ma a quel punto possiamo giustificare tutto ricorrendo ad un semplice computo aritmetico che dipinga la situazione nei toni più catastrofistici possibili. Al cospetto di una catastrofe sufficientemente grande, ogni azione di governo sarebbe implicitamente permessa. Se il numero di vite che può essere salvato è il doppio di quello dei torturati, perché limitarsi alle tecniche di tortura non-letale? Perché non stupri legalizzati e persino azioni terroristiche? Siamo davvero sicuri che delle autorizzazioni alla tortura [le richiede Dershowitz] non sarebbero abusate, che nessuno mentirà sulla disponibilità di informazioni e sulla drammaticità della situazione, che certe pratiche non si applicheranno più estesamente di quel che era stato preventivato, che non nascerà una categoria di torturatori professionisti interessati a trovare un pronto impiego? Esistono chiare indicazioni storiche del carattere metastatico della tortura, che si espande come un tumore maligno in un corpo altrimenti sano. Basti pensare ad Abu Ghraib, dove non esistevano le condizioni minime per alcuna autorizzazione ufficiale e non ufficiale a torturare i prigionieri.
Quello della tortura non è un ambito in cui ci si possa fidare delle motivazioni umane. Sadismo, dispotismo, brama di potere, godimento nelle altrui umiliazioni vengono amplificate in circostanze dominate dalla paura, dalla rabbia, dallo stress, dal pericolo, dal panico e dal terrore.
Ci sono cose che possiamo immaginare di giustificare in teoria ma che, se permesse, avrebbero un impatto devastante sul sistema giuridico tale da indurci a non imboccare quella strada.
Cosa intende Waldron per “archetipo giuridico”? Una disposizione che ha un significato che va ben oltre il suo contenuto normativo perché illumina ed incapsula un principio o un’intera area giuridica. Nel caso della tortura la funzione archetipica della sua proibizione definisce il concetto chiave che la legge non è brutale nelle sue applicazioni, la legge non è selvaggia, non umilia, non terrorizza, non mutila la dignità degli esseri umani. L’idea è che anche laddove si impiega la forza, anche laddove la gente è costretta a fare delle cose contro la sua volontà e soggiornare in luoghi spiacevoli, gli uomini non vanno trattati come bestiame, non vanno domati, picchiati, trattati come corpi da manipolare.
Secondo Waldron il rischio è quello del piano inclinato a rovescio: il problema non è che se si rendono flessibili i principi costituzionali si apre la strada all’abominio della tortura, ma che se si consente la tortura sarà poi difficile difendere i divieti che ci sembrano meno stringenti, come frustare i carcerati, estorcere confessioni, brutalizzare un delinquente. Siamo contrari a certe pratiche perché la loro malvagità ed immoralità è resa manifesta nella tortura. Quel che è sbagliato nella tortura ci aiuta a capire cosa sia sbagliato in altre pratiche, è un punto di riferimento morale importante, il nord della nostra bussola morale. È lo sganciamento della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki che ci ha scioccato a tal punto da farci interrogare, ex post, a proposito della liceità di radere al suolo Dresda e Tokyo con le bombe incendiarie.
Il potere ci corrompe, dobbiamo essere scettici e circospetti, dobbiamo temere il peggio dagli esseri umani, perché la storia ci ha insegnato che a misura che il potere si accentra, si moltiplicano gli abusi, le infamie e le atrocità. Lo Stato, nel ventesimo secolo e ora nel ventunesimo secolo, ha dimostrato che, appena può, non esita a seviziare e far scomparire i suoi nemici interni. Lo Stato fa paura perché dispone di un potere immenso e solo le norme a tutela delle dignità umana possono inibire il pieno impiego di tale potere nella direzione della barbarie, della bestialità e del terrore. Si ripudia la brutalità per dare un esempio al mondo, per rendere il mondo meno disumano.

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