Perché Gino Strada è triste? […]. Strada ha capito che la sua predicazione pacifista non approderà a nulla. E non perché lui sia un cattivo predicatore, non perché i suoi argomenti non siano persuasivi, non perché le persone di buona volontà non si riconoscano in lui. Ma lui deve aver capito che la brama di potere, la volontà di potenza, lo scontro con gli altri e infine la guerra sono un istinto della nostra specie. Non è un vizio, non un'indole perversa da rieducare: un istinto che convive con quello della generosità e con l'amore per gli altri. L'uomo è un groviglio di due amori: quello per gli altri e quello per se stesso. E se mai ci si chiede quale sia il più forte e il più irruente di questi due istinti amorosi, s'arriva presto a concludere che l'amore per sé è quello dominante. Lo si può contenere, si può fare in modo di arginarne la pericolosità, ma non si riuscirà mai a spegnerlo perché si dovrebbe trasformare l'uomo in un angelo, dotarlo cioè di un'altra natura che estingua la natura umana.
Eugenio Scalfari, “L’amore per sé e quello per gli altri”, L’Espresso, 22 aprile 2011
A me sembra che dalla filosofia dei Vangeli, espressa in parabole, risulti chiaramente che non la violenza su sé stessi, controproducente e fonte di nevrosi, bensì solo la conoscenza di sé e dei propri meccanismi profondi, possa portare al superamento dell’egoismo e ad un giusto amore per sé stessi, imprescindibile da quello per gli altri..
Commento di un lettore di Scalfari
Nascere creditore significa ritenere che tutto il buono che ci capita nella vita ci sia dovuto; se ci viene negato o impedito subiamo un torto per il quale la sorte e i nostri simili ci dovranno risarcire. Non è chiaro quale sia il motivo del nostro essere in credito, spesso ce lo inventiamo senza esser consapevoli dell'inesistenza di questo credito immaginario, ma non importa: siamo arciconvinti d'essere in credito verso la vita e quindi verso tutte le persone con le quali entriamo in contatto e tanto basta. Chi nasce debitore è l'esatto contrario del suo opposto: è animato da un complesso di colpa esistenziale che sviluppa dentro di lui la convinzione d'avere un debito da pagare, un debito verso la vita e quindi verso tutti. Perciò è oblativo e dare è il suo piacere. In tutte le manifestazioni del suo vissuto, perfino in quelle amorose, il debitore trae piacere dal piacere che dispensa al suo partner e al suo prossimo.
Eugenio Scalfari, “Creditori e Debitori”, L’Espresso, 27 febbraio 2009.
Provo a dire che in realtà sono due modalità differenti di approccio e conoscenza della realtà: i debitori, come sembra descriverli lei, sono più portati a coltivare il dubbio, ad interrogarsi su se stessi, ad affrontare la complessità dei fatti cercando di osservarli da differenti "punti di sguardo", a pensare di poter aver commesso errori. Questo può essere un segno di onestà interiore e di corrispondenza piena a se stessi….I creditori viceversa sarebbero, forse per attitudine, più propensi ad una sintesi finalizzata ad un risultato più immediato, coloro che vedono il mondo come un infinita successione di vittorie o sconfitte per cui vincere è l'obiettivo principale. Credo che forse ciascuno di noi è un po' l'uno un po' l'altro e che la casualità della vita contribuisce ad accentuare ciascuno dei due aspetti secondo circostanze e momenti.
Commento di un lettore di Scalfari.
Le proposte per uscire dalla crisi sono note.
Default controllato
Tobin tax ed altre misure consimili:
Punizione dei colpevoli e lo smembramento dei cartelli finanziari:
Ma è arrivato il momento di passare oltre. Questa è una Depressione, non è una crisi dell’euro, sebbene la crisi sia stata convogliata contro l’euro per poter mungere i contribuenti europei a beneficio dei grandi finanzieri e del dollaro, ben più a rischio dell’euro. Sempre più persone stanno rendendosi conto che le cose non torneranno più come prima, i cambiamenti saranno radicali, come radicale è la crisi:
È perciò arrivato il momento di discutere di offrire una visione di come vogliamo che sia il futuro, dopo la Rivoluzione Globale (ci sarà, perché il Terrore accentra il potere come nessun altra cosa).
Qui propongo una rozza, preliminare introduzione alla visione che sto sviluppando, nel mio piccolo, provando a coniugare il meglio del pensiero anarchico:
con il meglio del pensiero politico-filosofico “classico”:
Il debito e le tasse sono le leve del potere rispettivamente per il sistema finanziario e quello statale. Senza di queste entrambi sarebbero completamente impotenti. Con il debito e le tasse si controlla il futuro di un popolo. In questo momento il sistema finanziario (privato) si sta divorando l’uno e l’altro, ai danni del pubblico. In questo momento, tramite i famigerati salvataggi bancari (es. la Dexia, che è al suo terzo salvataggio a spese dei contribuenti franco-belgi), i politici al governo nelle nostre democrazie stanno trasferendo il potere esecutivo a degli oligarchi privati, violando il contratto sociale che li lega agli elettori. Non è un processo transitorio, temporaneo, è un evento che, nelle intenzioni dei Grandi Traghettatori, ha tutte le caratteristiche della permanenza, della definitività. Si rafforzano le banche, si indeboliscono gli stati, con le agenzie di rating che imperversano. Le tasse vengono dirottate dai servizi sociali ai caveau, ai portafogli di pochi che si premiano con bonus di entità crescente, a dispetto del loro completo fallimento, decretato dalla crisi finanziaria in corso. Mentre uno stato democratico è un’entità che ha il dovere, almeno sulla carta, di sentire il nostro parere (“nessuna tassazione senza rappresentanza parlamentare”, dicevano gli Americani che si ribellavano agli Inglesi), il privato se ne fotte. Il sistema finanziario capitalista è anti-democratico fino al midollo, la sua essenza, la sua ragion d’essere, è la negazione dei principi democratici. È un parassita dei sistemi democratici, li vampirizza.
A ben guardare, non esiste, è un mostro fittizio, creato dalla volontà e dalla potenza di chi ne beneficia maggiormente, lasciando ai cittadini le briciole. Dunque non sarebbe difficile fermarlo, basterebbe un secco no:
No al mantra della presunta efficienza del privato al costo di una crescente sperequazione ed ingiustizia sociale.
Il potere corrompe tutti, nel pubblico come nel privato, solo che un privato che monopolizza un settore, magari in accordo con altri, non lo possiamo rimandare a casa con il voto, il politico sì.
I cittadini non hanno alcun potere contro la finanza globale, se non si organizzano, e lo Stato è il tipo di organizzazione che dovrebbe impedire ai forti di prevalere sempre e comunque sui deboli. Una democrazia costituzionale, a differenza di un’impresa privata, non antepone invariabilmente il proprio profitto ad ogni altro tipo di considerazione, perché non è quella la sua ragion d’essere. Non è nato per farlo, è nato per mediare tra una molteplicità di interessi, non per conquistare il dominio a beneficio di pochi interessi:
Queste sono cose che, più o meno, ci sono chiare.
Quel che, al momento, ci confonde è una serie di dissonanze cognitive che riguardano la giustizia – perché devo pagare io per gli errori di speculatori avventati? –, il fallimento integrale del sistema – quello bancario/finanziario, quello regolativo, quello politico –, la tracotanza – chi ha sbagliato si premia avidamente con giganteschi bonus e noi ci dobbiamo spaccare la schiena per loro e per un tenore di vita costantemente declinante –, l’inciucio – il potere finanziario e quello esecutivo sono ormai una cosa sola e non perseguono il bene comune, ma quello di una ridottissima minoranza –, l’impotenza – tutto è troppo grande per essere lasciato fallire e troppo grande per essere salvato.
Nel complesso, non è facile darsi conto di quel che sta succedendo e provare ad immaginare delle alternative a quelle fatte calare dall’alto.
Tutti gli –ismi hanno dimostrato di essere fallimentari e si vuole evitare di cadere preda dell’ennesimo –ismo di nuovo conio. Si vorrebbe evitare la violenza, ma come resistere nonviolentemente ad un sistema che distrugge milioni di esistenze in modo formalmente legale e senza bagni di sangue? Ci si vorrebbe poter fidare di qualcuno, ma ogni leader ci delude: dice una cosa e poi ne fa un’altra.
Ci troviamo in frangenti molto simili a quelli di chi ci ha preceduto negli anni Trenta e le prospettive non sono molto diverse: autoritarismi, guerre e poi si ricomincia.
Questa volta, però, abbiamo l’occasione di far valere la logica e l’etica del debitore su quella del creditore. Facciamo tesoro della nostra condizione di Debitori Cosmici, visto che le autorità si sforzano di ricordarcelo ad ogni piè sospinto. L’ethos del creditore è quello per cui il sistema si autoregola e gli avanzi dei trionfatori (creditori) saranno miracolosamente sufficienti per i perdenti (debitori). È l’ethos dell’avidità, della competizione e della scarsità/abbondanza selettiva. L’antitesi del messaggio divulgato da praticamente tutti i pensatori che più ammiriamo e degli insegnamenti che impartiamo ai nostri figli. È l’ethos dello psicopatico:
Questo ethos sta distruggendo il mondo. O proviamo a contenerlo o ci lasceremo le penne.
La prima cosa da fare è non usare il denaro per assegnare un valore agli esseri umani. La seconda cosa da fare è spianare la piramide gerarchica della società, cercando di modellare una sfera (letteralmente) sociale in cui tutti i punti sono equidistanti dal centro. La terza cosa da fare è pretendere trasparenza da parte del potere, sempre, e fare in modo che i nostri rappresentanti si sentano delegati, non casta. La quarta cosa da fare è non credere al Salvatore o all’Élite Benevola che corre in nostro soccorso. La quinta cosa da fare è non aspettarsi riforme spontanee dall’altro. Ogni conquista sociale è costata sudore e sangue, così è sempre stato e sempre sarà, finché vivremo in società piramidali dove i vertici sono per definizione autoreferenziati e ragionano in termini di “pesce grande mangia pesce piccolo”. La sesta cosa da fare è nazionalizzare le banche centrali e stampare denaro in proporzione alla ricchezza prodotta dal paese. La settima cosa è promuovere un’etica cooperativa, invece di quella dell’uomo che non deve chiedere mai, che ci martella da mane a sera. L’ottava cosa è concentrarsi sull’ambito locale: le relazioni di potere a livello nazionale ed internazionale sono esageratamente corrotte, perché maggiore è il potere, maggiore è la corruzione. La nona cosa da fare è rinunciare al mito della crescita MATERIALE continua. L’umanità ha bisogno di crescere, maturare, migliorarsi, ascendere, ma non certo nella direzione di oggigiorno, quella del profitto, del superfluo, dell’edonismo, del materialismo. La crescita costante serve a livello interiore, spirituale, non certo esteriore. Da questo punto di vista l’approccio marxista è mostruoso tanto quanto quello capitalista. La decima cosa da fare è far sentire il nostro prossimo coinvolto nelle dinamiche sociali, nelle relazioni interpersonali, valorizzare il suo lavoro ed i suoi talenti, fargli/le capire che il suo contributo creativo ed innovativo è importante, che ciascuno ha un ruolo significativo da svolgere. Al momento presente, in una società della quantità, questa forma mentis è utopica, ma il futuro non potrà essere come il passato. Non può piovere per sempre. Panta rei, tutto cambia.
Per quanto concerne la democrazia diretta, non credo debba essere estesa oltre un ragionevole limite, rimanendo sempre ben consapevoli dei suoi limiti:
Se c’è una società civile informata e partecipe i suoi rappresentanti fanno quello che sono tenuti a fare. Le caste esistono perché i cittadini hanno permesso che si formassero, per ignoranza, ignavia, vantaggi a breve temine. I cittadini sono così perché gli intellettuali non hanno assolto il loro compito e si sono avvitati nei loro narcisismi. Le persone che hanno avuto la fortuna di potersi educare a certi livelli hanno il preciso dovere di produrre idee e farle circolare, di condividere conoscenza, perché la conoscenza può proteggere tutti, mentre l’ignoranza espone ad ogni tipo di periglio.
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