giovedì 3 novembre 2011

Naomi Klein, i capponi di Renzo e l'ottusità del bene



All'immagine di un male banale ma contagioso ed epidemico Rumiz affianca quella di un bene ingenuo e cieco, di un bene imbecille e infermo che ha il pericoloso difetto di non saper fiutare il pericolo. Egli sottolinea, da questo punto di vista, come sia molto rischioso continuare a parlare di integrazione, di convivenza in Europa solamente a livello retorico, “nella beata ignoranza dei meccanismi della disintegrazione”. Nel suo “Maschere per un massacro” Rumiz ha insistito molto su questo aspetto, sottolineando che tutte le mosse preparatorie del conflitto in Bosnia si sono svolte in gran parte alla luce del sole, e che nonostante questo la maggioranza delle persone fino all'ultimo non voleva credere che l'efferatezza potesse scatenarsi tra di loro. "La velocità impressionante della pulizia etnica fu resa possibile non solo dalla sua lunga, meticolosa preparazione, ma anche da questa incredulità delle vittime e della gente in generale. Non esiste prova migliore, forse, che la Bosnia non è stata distrutta dall'odio - come fa comodo a troppi supporre - ma da una diffusa ignoranza dell'odio" (Rumiz, 1996, p. 7). Paradossalmente, racconta Rumiz, a Sarajevo è la "piccola criminalità" a fiutare prima l'arrivo della guerra e organizzare un minimo di difesa perché più consapevole delle possibilità e dei meccanismi del male e della violenza. […] Riprendendo l'intuizione di Rumiz, l'insegnamento che ci viene dall'esperienza balcanica è che ciò che ci trasforma in carne da cannone è lo stesso imbonimento, la stessa inerte apatia, la stessa acquiescenza che ci porta a seguire tutti lo stesso programma televisivo, o a comprare lo stesso prodotto reclamizzato, o a votare in massa il primo pagliaccio che scende in campo promettendoci di risolvere tutti i nostri problemi se solo acconsentiamo ad affidargli un po' più di potere.
Marco Deriu, Dizionario critico delle nuove guerre, EMI, Bologna, 2005, pp. 66-68.

I capponi di Renzo si beccano l’un l’altro invece di identificare la vera causa dei loro mali (divide et impera).

A volte ci sorprende la divergenza nella percezione del mondo che ci separa da tante altre persone. Ci sono quelli che credono che pacifismo e nonviolenza cambieranno il mondo e ci sono quelli che quasi si fidano by default di chi detiene il potere politico ed economico-finanziario. È come se abitassero un pianeta in fondo angelico in cui tutto si sistema e non c'è troppo da temere dal prossimo perché, ad esempio, i grandi azionisti sono sulla stessa barca dei piccoli azionisti. Chiamo questa sindrome “angelismo”.
La mia personale percezione è invece quella di un pianeta abitato da egoisti e manipolatori (ossia violenti, anche solo a livello psicologico), alcuni loro malgrado e non sempre consapevolmente (tra i quali mi colloco), altri con gusto; dunque un pianeta pesantemente condizionato da complotti, tradimenti, sotterfugi, caste, ecc.
L'angelismo mi sembra la filosofia adatta ad un gregge, non a degli esseri umani. Non capisco perché continui a prevalere nonostante la realtà quotidiana ci dovrebbe pur insegnare a tenere gli occhi bene aperti.
Angelismo è credere che: “se non hai fatto nulla di male non hai niente da temere”, “tutto si sistemerà”, “è nell’interesse di tutti che sia ristabilito l’ordine”, “siamo tutti nella stessa barca”, “non farebbero mai cose del genere e comunque non è certo la norma”, “ciascuno riceve ciò che merita”, “a mali estremi, estremi rimedi”, ecc.
Miliardi di persone non hanno ancora capito che le crisi sono generate dall’alto, non sono fenomeni naturali o incidenti di percorso: l’intera economia di mercato è un imbroglio e a nessuno gliene frega assolutamente niente della massa, è solo un gregge da tosare ed eventualmente (se non rende più) da macellare.


Chi non ha ancora letto “Shock economy” di Naomi Klein (Milano : Rizzoli, 2007), è meglio che si sbrighi a farlo, altrimenti non potrà capire assolutamente nulla di quel che sta accadendo. Ripeto: NULLA. L’ha dovuto fare anche Paul Krugman, economista premio Nobel ed editorialista del New York Times:
Recensione di “Shock economy” da parte di Ugo Marani - Ordinario di Politica Economica Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Qui un’intervista alla Klein, per i più pigri:
Qui il documentario completo ed imperdibile di Michael Winterbottom sui temi trattatati nel libro della Klein:
http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/shock-economy-il-capitalismo-del.html


Nel fondamentale “Shock economy” (2007), Naomi Klein ricompone il puzzle raccapricciante della realtà del nostro tempo, affidandosi alle analisi degli editoriali e delle inchieste dei maggiori quotidiani internazionali, ossia ad un tipo di informazione che è accessibile a milioni di persone ma che, a causa della sua frammentazione e diluzione, non è quasi mai tradotta in un quadro d’insieme. Ecco il quadro complessivo: milioni di persone morte, mutilate o torturate nel mondo. Governi e servizi segreti in combutta con le multinazionali e dittatori vari per promuovere i loro interessi comuni. Mentre le piccole imprese fanno pochi danni e creano diversi benefici, le grandi corporazioni possono macchiarsi di incredibili infamie, dai colpi di stato, al drastico taglio dei servizi sociali, all’inquinamento doloso, alla privatizzazione dei beni pubblici (incluso il DNA). La strategia è quella della terapia shock che si usa sui prigionieri: guerre, atti terroristici, disastri naturali come opportunità per sfruttare le masse ed aumentare il loro potere e ricchezza (ampie citazioni ed estratti confermano che questa gente fa sul serio e non ha bisogno di nascondere i suoi obiettivi e metodi). Significativo il fatto che i torturatori tornassero in auge proprio mentre i loro governanti golpisti si accordavano con i luminari del “libero mercato” predicato dalla Scuola di Chicago di Milton Friedman. Tutto questo è documentato in numerosi altri studi.
Intervista più recente, sull’Argentina e le proteste europee:
Qui invece c’è una storiella che spiega perché l’attuale sistema economico-finanziario è uno schema Ponzi:
“C’è un tizio fenomenale, chiamato Bongo, che sta per arrivare in città. E’ industriosissimo ed ha una produttiva enorme. Fa qualunque tipo di lavoretto. Ruben, uno degli abitanti, ha raccontato a tutti di questo Bongo sostenendo che questi gli deve 1000 ore di lavoro. Ha anche dichiarato che è disposto a scambiare alcune di quelle ore per del formaggio e dei vestiti. Ruben stamperà dei Marenghi Bongo. Per ogni Marengo Bongo si ha diritto ad un’ora di lavoro di Bongo. La città viene invasa dai Marenghi Bongo, usati per commerciare e Ruben li spende creando lavoro per tanta gente, che a sua volta li spende per merci e servizi. La città prospera e tutti sono contenti. Finché un giorno si scopre che questo Bongo non esiste, è un’invenzione e non arriverà mai. A quel punto i Marenghi Bongo non hanno più alcun valore, perché questo derivava da un immaginaria prestazione di lavoro che non avrà mai luogo. Ogni persona che ha dei Marenghi Bongo è più povera di quel che pensava di essere. È quel che è successo in questi anni: prezzi delle case alle stelle, i credit derivatives (speculazioni sul prezzo futuro di un bene), la stampa e il prestito di denaro senza un corrispettivo aureo. Tutto si basa sull’assurda aspettativa che qualcuno si farà il sedere più di te per pagare una cifra maggiore di quella che hai pagato tu”.
C’è un patto dissennato tra trono, altare e capitale che divide la popolazione con varie mitologie e storielle e provoca le guerre tra i poveri (divide et impera, operai indigeni contro operai immigrati, famiglie indigene contro famiglie immigrate, cattolici contro musulmani, altoatesini contro sudtirolesi, ecc.) nella ferma e giustificata convinzione che la gente sia troppo stupida e ignorante per rendersene conto. I profitti vanno in gran parte ai pochi, i costi ai molti. Funziona perfettamente, come con i capponi di Renzo.
Per approfondire:
Di chi è la colpa? Dei consumatori che sono stati martellati dalla propaganda del consumo e della spesa compulsiva per preservare la crescita e contenere la disoccupazione? O di chi ha interesse a lucrare sulle disgrazie dei più?
*****
Qui una mia recensione ad un libro di Ryszard Kapuscinski di grande attinenza:
“Da qualche settimana è in vendita un libro che, secondo la figlia del grande reporter polacco Ryszard Kapuscinski, è uno dei suoi migliori. Breve, compatto, implacabile, rivelatore. S’intitola “Perché è morto Karl von Spreti. Guatemala 1970”, edito da “Il Margine” di Trento, con prefazione di Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la Pace. Non è un reportage dettagliato e completo del rapimento e successiva uccisione del conte Karl von Spreti, ambasciatore di Bonn nel Guatemala, perché Kapuscinski era un magnifico narratore prima ancora che un giornalista. In Guatemala fece ciò che qualunque giornalista interessato alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica internazionale farebbe, tentò di trovare un giusto equilibrio tra il dovere di riportare i fatti e quello di renderli leggibili per il maggior numero di persone, in una prosa essenziale ma coinvolgente, lasciando un’impressione durevole nella loro memoria e coscienza.
Il risultato finale è un vero e proprio trattato di ponerocrazia, il “governo dei malvagi” (dal greco ponēros, “malvagio, nocivo”). Il Guatemala come caso esemplare dell’uso della violenza, della sopraffazione, della tortura e della tirannia per promuovere gli interessi di un’accolita di magnati americani ed europei e dei loro lacchè in uniforme, ai danni di una popolazione rurale ridotta in schiavitù. Chi ha trovato sconvolgenti le pagine del fondamentale saggio “Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri”, della giornalista canadese Naomi Klein, qui potrà trovare ulteriori conferme. In un saggio relativamente breve, Kapuscinski riesce a descrivere in maniera efficacissima e coinvolgente la misura del degrado in cui può precipitare un popolo preso di mira dagli interessi corporativi e defraudato dei propri beni – banane, caffè, manodopera, dignità, speranza –, lasciato senza scampo e senza alcuna immediata prospettiva di riscatto. Il tutto, ovviamente, nel nome della lotta al terrore comunista, sebbene le liste di proscrizione elenchino solo un paio di centinaia di nomi di attivisti comunisti, su una popolazione di oltre cinque milioni di abitanti. Il tutto, ovviamente, con l’appoggio delle forze reazionarie della chiesa cattolica guatemalteca e dell’inestricabile intreccio di poteri formato da CIA, amministrazioni americane, diplomazia, nazisti in clandestinità e consigli di amministrazione delle multinazionali.
Più ci si inoltra nella narrazione, più diventa arduo conservare la percezione che questi eventi sono reali, che questa sequela di iniquità, a volte grottesche, a tratti così futilmente scellerate da sembrare morbose e patologiche, è un dato acquisito dalla storiografia, tanto che Bill Clinton si è sentito in dovere di chiedere scusa ai Guatemaltechi per le azioni dei suoi predecessori e della solita CIA. Se la conoscenza e la consapevolezza possono davvero proteggere, allora è bene leggere e capire cos’è successo nel Guatemala di allora, perché il nostro presente non è per nulla rassicurante”.

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