domenica 20 novembre 2011

Omaggio a Aung San Suu Kyi



Non trovo niente di sbagliato nelle persone che identificano la felicità in una casa, due automobili e una famiglia. Se è una famiglia davvero felice, creerà felicità intorno a sé, perciò non c’è niente di male. Credo anche che la mediocrità nei desideri non sia un crimine, né qualcosa di cui vergognarsi. Anzi, ammiro le persone che hanno desideri contenuti e che non cedono ad essi continuamente. È molto in sintonia con il pensiero buddista. Certo, se però la casa e le due automobili diventano il fine ultimo dell’esistenza e una persona è pronta a fare di tutto per ottenerli, anche calpestare altre persone, ovviamente questo non è giusto. Viceversa, se si ha questa ambizione mediocre e ci si impegna con rigore ed equità, senza far del male al prossimo per raggiungere questa mediocre esistenza con una casa, due auto e una famiglia felice, non penso ci sia niente di sbagliato. Molte persone che all’apparenza sembrano degli individui qualsiasi hanno menti molto aperte e valori spirituali di cui noi siamo all’oscuro.
Aung San Suu Kyi, 2008, p. 220.

Ciò che conduce l'uomo a osare e a soffrire per edificare società libere dal bisogno e dalla paura è la sua visione di un mondo fatto per un'umanità razionale e civilizzata. Non si possono accantonare come obsoleti concetti quali verità, giustizia e solidarietà, quando questi sono spesso gli unici baluardi che si ergono contro la brutalità del potere.
Aung San Suu Kyi

Per i Birmani è incomprensibile come i principi che affermano la dignità intrinseca degli esseri umani e il loro diritto inalienabile all’uguaglianza, che riconoscono che tutti gli uomini sono dotati di ragione e coscienza e propugnano lo spirito della fratellanza universale, possano essere in contrasto con i valori autoctoni. […] Ci vuole coraggio per levare gli occhi dalle proprie necessità e per vedere la realtà del mondo intorno a sé, una realtà, come la Birmania, dove non ci sono diritti umani. Ci vuole ancora più coraggio per non voltare le spalle, trovare scuse per non farsi coinvolgere, o farsi corrompere dalla paura. occorre coraggio per sentire la verità, per ascoltare la propria coscienza, Perché una volta che lo fai, devi mettere in discussione lo scopo stesso dell’esistenza. Non ti puoi aspettare di restare seduto senza agire e che la libertà ti venga consegnata in mano. non si ottiene la liberazione in questo modo. la nostra rivoluzione avrà successo solo quando tutti si renderanno conto di poter fare la propria parte. a tale riguardo, il coraggio è triplice: il coraggio di vedere. Il coraggio di sentire. e il coraggio di agire. Se si realizzano questi tre aspetti, la nostra rivoluzione funzionerà.
Aung San Suu Kyi

Di costruttori di ponti ce n’è a bizzeffe: uno in più o uno in meno non farebbe alcuna differenza. Fortunatamente ci sono anche creatori di mondi, di scenari di vita alternativi per umanità migliori. Gli idealisti sono una risorsa per ogni società quando mantengono un legame con la realtà, ossia quando non pretendono che un’intera comunità li segua sulla loro strada. Sono antropologicamente ottimisti e non vogliono imporre il loro volere al prossimo. Gli utopisti sono invece generalmente pericolosi, perché pretendono che la natura umana si conformi alle loro attese e pretese.
Aung San Suu Kyi, come tanti riformatori prima di lei, mi sembra rientrare nel novero di persone che cercano, idealmente appunto, di ispirare le persone, non di rieducarle, di persuaderle che le riforme che contano non provengano dall’alto, ma da dentro di noi. Nessuna riforma può germogliare senza un terreno adatto ed una rivoluzione della coscienza è il terreno più adatto. L’attuale crisi globale potrà servire da innesco per questo tipo di rivoluzione, una volta che le vecchie logiche e mentalità saranno rimosse. È l’opinione di questa magnifica figura del nostro tempo, Aung San Suu Kyi: “Molta gente trova imbarazzante e poco pratico pensare alla vita spirituale e politica come una cosa sola. Io non vedo alcuna divisione. Nelle democrazie esiste questo impulso a dividere il secolare dallo spirituale, ma non è necessario. […]. Quando parlo di rivoluzione dello spirito, mi riferisco alla nostra lotta per la democrazia. Ho sempre sostenuto che una vera rivoluzione deve nascere dallo spirito. Bisogna essere convinti di avere bisogno del cambiamento e di voler cambiare determinate cose, non solo quelle materiali. Occorre un sistema politico ispirato a determinati valori spirituali, valori diversi da quelli del passato” (Aung San Suu Kyi, 2008).
In precedenza, la politica birmana aveva precisato che “l'autentica rivoluzione è quella dello spirito, nata dalla convinzione intellettuale della necessità di cambiamento degli atteggiamenti mentali e dei valori che modellano il corso dello sviluppo di una nazione. Una rivoluzione finalizzata semplicemente a trasformare le politiche e le istituzioni ufficiali per migliorare le condizioni materiali ha poche probabilità di successo” (Aung San Suu Kyi, 2003).

Aung San Suu Kiy ama il coraggio (2008, p. 11):
Ci vuole coraggio per levare gli occhi dalle proprie necessità e per vedere la realtà del mondo intorno a sé, una realtà, come la Birmania, dove non ci sono diritti umani. Ci vuole ancora più coraggio per non voltare le spalle, trovare scuse per non farsi coinvolgere, o farsi corrompere dalla paura. occorre coraggio per sentire la verità, per ascoltare la propria coscienza, Perché una volta che lo fai, devi mettere in discussione lo scopo stesso dell’esistenza. Non ti puoi aspettare di restare seduto senza agire e che la libertà ti venga consegnata in mano. non si ottiene la liberazione in questo modo. la nostra rivoluzione avrà successo solo quando tutti si renderanno conto di poter fare la propria parte. a tale riguardo, il coraggio è triplice: il coraggio di vedere. Il coraggio di sentire. e il coraggio di agire. Se si realizzano questi tre aspetti, la nostra rivoluzione funzionerà.
Ritiene che esistano usi legittimi della violenza (p. 117):
Il compito principale dell’esercito è di proteggere e difendere la popolazione. Se vivessimo in un mondo dove non fosse necessario difenderci, non ci sarebbe bisogno di alcun esercito. Ma non mi pare che a breve termine il mondo subirà una tale trasformazione da rendere superflua ogni protezione. Mi piacerebbe pensare all’esercito come una forza difensiva piuttosto che distruttiva.
Ma rifiuta il melodramma, i sentimentalismi di un certo ribellismo virilista da cui non era purtroppo immune Gandhi (p. 149):
In politica bisogna essere flessibili. Non sono una di quelle persone che direbbero: sciopero della fame fino alla morte. Non credo serva a risolvere le cose. […] nella nostra famiglia non siamo melodrammatici. Pensiamo solo agli aspetti pratici delle cose. Io non incoraggio il melodramma. Non mi piace…lo trovo molto stupido. Bisogna affrontare la vita con razionalità.
Per la stessa ragione, non se la sente di prendere se stessa e i suo compagni troppo seriamente (p. 51) :
Ci siamo sempre fatti grandi risate su tutti i problemi che abbiamo dovuto affrontare e tutte le ingiustizie e gli abusi che abbiamo subito. […]. Questo non significa che siamo del tutto liberi da sentimenti negativi. E finché non ce ne saremo liberati completamente, ne saremo schiavi. ma la bontà e il metta che abbiamo ricevuto hanno fatto molto per scacciarli da dentro di noi.
E ancora (pp. 170-172):
Ho sempre avuto un notevole senso dell’umorismo. riesco a vedere il lato ridicolo delle cose, e questo mi aiuta molto, perché riesco a ridere anche della mia situazione... non ho mai partecipato ad una riunione in cui non si ridesse un po’. […]. Se sei abituato a ridere sempre, cominci a ridere anche dei tuoi problemi. Ti abitui a vedere il lato assurdo e buffo dei fatti e non prendi più tanto sul serio i tuoi guai. Allo stesso modo, se sei abituato a dare amicizia e affetto, è molto più facile concederli anche alle persone che magari si ritengono tue nemiche.
Non reputa di poter condannare chi si affida ai metodi violenti (p. 166):
Non condanno chi combatte per la “giusta causa” con qualsiasi mezzo. Mio padre l’ha fatto e io lo ammiro molto per questo.
Perché la nonviolenza non garantisce il successo e ancora meno l’incolumità (p. 165):
Non pretendiamo neppure di avere il monopolio sui metodi di lotta giusti per ottenere ciò che vogliamo. D’altronde, non possiamo garantire la loro incolumità. Non possiamo dire: “seguiteci sulla via della nonviolenza e sarete protetti”, né che ci arriveremo senza vittime. è una promessa che non possiamo fare.
Tuttavia ritiene che prima di tutto vada tentata la strada della nonviolenza, perché una democrazia conquistata con la violenza sarebbe comunque un pessimo esempio e perciò un fattore di instabilità (p. 164):
Ritengo che se otteniamo la democrazia in questo modo non riusciremo mai a liberarci dell’idea che occorra la violenza per raggiungere i cambiamenti necessari. Tale metodo resterebbe una costante minaccia anche per noi. Perché c’è sempre chi non concorda con la democrazia. E se la raggiungessimo con mezzi violenti, il nocciolo duro di quanti sono sempre stati contrari al movimento democratico potrebbe pensare: “loro hanno cambiato il sistema con la violenza e se noi possiamo sviluppare nostri metodi violenti superiori a loro potremmo riconquistare il potere”. E il circolo vizioso non terminerebbe mai.
Mi sembrano considerazioni di apprezzabile buon senso.

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