Frei sein,
den eigenen Glauben, die eigene Weltanschauung, die eigene und je gemäße
philosophische Richtung und politische Einstellung zu wählen, zu bekennen und
zu verwirklichen trachten, ist heute vielleicht einer der wenigen Werte, die
von fast allen Strömungen als solche anerkannt werden. Auch erwächst aus dieser
Pluralität unleugbar fruchtbare Begegnung, Dialog, der sich zur Dialektik
ausweitet und oft vom anfänglichen Gegensatz zu wertvoller Synthese führt.
Alex
Langer, Pluralismus und Einheit 1 aprile 1965. Da: skolast Nr. 4-5
Per
umiliare qualcuno si dev'essere in due: colui che umilia, e colui che è
umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se
la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell'aria. [...]
Dappertutto [...] cartelli che ci vietano le strade per la campagna. Ma sopra
quell'unico pezzo di strada che ci rimane c'è pur sempre il cielo, tutto
quanto. Non possono farci niente, non possono veramente farci niente. [...]
Siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori col nostro
atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi,
col nostro odio e con la millanteria che maschera la paura […] Siamo
soprattutto noi stessi a derubarci da soli.
Etty
Hillesum
La libertà
pone al centro l’individuo come principio e come valore. È uno dei capisaldi
del pensiero umanista. “Ti determinerai la tua natura secondo il tuo arbitrio”,
scrive Giovanni Pico della Mirandola nell’orazione De hominis digitate (1486). “Non
vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo
cessi di essere persona e diventi cosa” confermerà Cesare Beccaria, tre secoli
più tardi, nel 1764. Infine, nella sua stesura preliminare, l’articolo terzo
della Costituzione della Repubblica, ingiungeva: “È compito perciò della società
e dello Stato eliminare gli ostacoli di ordine economico-sociale che, limitando
di fatto la libertà e l'uguaglianza degli individui, impediscono il
raggiungimento della piena dignità della persona umana e il completo sviluppo
fisico, economico, culturale e spirituale di essa”. Libertà significa libertà
da forze e circostanze che oggettificano l’umano, che impongono ad una persona
la passività e prevedibilità della materia grezza. Gli oggetti hanno cause, i
soggetti hanno motivazioni e ragioni complesse e anche contraddittorie.
Il
filosofo russo Nikolaj Aleksandrovič
Berdjaev considerava la libertà un valore aristocratico: “In realtà, la libertà
è aristocratica, non democratica. Dobbiamo riconoscere, sconfortati, che la
libertà è cara solo a chi pensa creativamente. Non è necessaria per chi non dà
valore al pensiero. Nelle cosiddette democrazie, che si fondano sul principio
della sovranità popolare, una proporzione considerevole della cittadinanza non
possiede ancora la consapevolezza di essere libera, di recare con sé la dignità
della libertà” (Regno dello Spirito e Regno di Cesare, 1951).
È
difficile dargli torto. È probabile che tante persone che non si curino della
libertà di pensiero, di opinione, di associazione e di stampa lo facciano non
tanto perché temono il carico di responsabilità implicito in ogni libertà o
perché sentono la necessità di una tutela paternalistica ma perché non sanno
cosa farsene, non ne vedono l'utilità, perché non hanno nulla di significativo
da esprimere e non prestano molta attenzione a ciò che altri potrebbero dire. È
un peccato, perché ciascuno di noi è libero solo se si cura di proteggere la
libertà altrui e questa libertà, una volta persa, non la si riguadagna
facilmente. La storia ne è testimone.
Il libero
arbitrio e la libertà d’espressione sono diritti inalienabili perché sono il
prodotto della conoscenza di cui disponiamo e costituiscono una forma di libertà
spirituale, la libertà di non essere governati da menti altrui. Ogni individuo
dovrebbe idealmente godere della medesima libertà interiore e personale. La
libertà interiore comprende la dimensione intellettuale e spirituale della vita
umana, cioè l’autodeterminazione etica degli esseri umani, la loro capacità di
assumersi la responsabilità per le proprie parole, azioni ed esistenze. Cosa
sarebbe l’essere umano senza libertà creativa e realizzativa? Un automa, uno
strumento. Lo sviluppo dell’immaginazione è accrescimento di vita, mentre la
sua limitazione è una riduzione di vita, un impulso di morte. La libertà è la
dimensione di apertura illimitata che consente all’essere umano di trascendere
la finitezza. È una condizione d’esistenza indispensabile allo sviluppo della
psiche e della coscienza, o dell’anima, per chi è credente. Essere libero,
libero di essere onesto con me stesso, di pensare senza dovermi chiedere ogni
volta cosa gli altri penseranno di me, di vivere pienamente ed abbondantemente.
Non c’è
umanità senza libertà di scegliere, non esiste morale e maturazione spirituale
se una persona non può essere libera di compiere il male. Quella persona sarebbe un’arancia
meccanica, un congegno, non un essere vivente. Per questo nei campi di
sterminio il suicidio e lo sciopero della fame erano proibiti e severamente
puniti, anche se acceleravano la morte dei detenuti. Ogni atto di
autodeterminazione doveva essere severamente punito.
Tutto ciò
che penso, che dico, che faccio, ha un significato ed ha un valore perché sono
libero. Solo in questa condizione di libertà la mia vita, i miei pensieri, le
mie decisioni, i miei sentimenti sono realmente miei. Diversamente, sarei una
marionetta. Solo un essere umano traumatizzato sarebbe disposto a rinunciare
volontariamente alla libertà. Altrimenti, di norma, chi la sacrifica, ne
sacrifica solo una parte, perché non sa cosa farsene dell’altra. Che cosa me ne
faccio della libertà di parola se non ho niente da dire?
Ma la
libertà è un bene troppo prezioso per sacrificarlo a qualunque astrazione di
ordine inferiore. Chi la libertà l’ha persa, come Viktor Frankl, sopravvissuto
all’Olocausto, rammenta che la lezione più importante che ne trasse fu che l’uomo
ha sempre una scelta: o un’incrollabile, socratica saldezza d’animo, o la
sottomissione ad un potere che intende spogliarti della dignità e dell’indipendenza
interiore, trasformandoti in un oggetto in balia delle circostanze.
Per essere
effettiva, la libertà esige di poter agire in base alla consapevolezza delle
alternative reali e delle loro conseguenze. Per diventare realmente consapevoli
è indispensabile poter operare in una società dove le informazioni circolino
liberamente e dove tutte le idee possano essere dibattute.
Non si dovrebbe avere paura di questa libertà, che include anche
la libertà di non rispettare le idee altrui (pur rispettando l’interlocutore),
di canzonare e di rappresentare un inconveniente per le opinioni altrui. Un
principio cardine della costituzione come la libertà d'espressione non può
essere fatto valere in certi casi ed ignorato in altri, anche perché una parola
è una parola e non serve dare alle parole più peso di quel che meritano. Non
siamo automi che rispondono meccanicamente a sollecitazioni verbali e le nostre
personali credenze non sono tutelate da alcun diritto inviolabile a non essere
messe in discussione, con tutto il tatto ed il senso di responsabilità
necessari. Sono le parole o gli atti che distruggono le persone e le cose? Un
effetto indiretto è moralmente equivalente ad un effetto diretto? Le parole
esercitano un’influenza sulle persone solo se queste decidono che così dev’essere,
perché attribuiscono credibilità ed autorevolezza a chi le pronuncia e perché
vogliono o temono che il messaggio sia vero. Le parole hanno potere solo se chi
le ascolta o legge glielo conferisce. Altrimenti sono solo vibrazioni nell’aria.
Dunque attribuire uno speciale potere alle parole è una semplice credenza che
ciascuno può respingere coscientemente. Se certe parole ci irritano la
responsabilità è nostra, perché lasciamo che ciò avvenga. Possiamo forse
plasmare il prossimo in modo da costringerlo ad essere più sensibile? Sarebbe
giusto? È sbagliato cercare di controllare gli altri, è una forma di
manipolazione tanto deprecabile quanto l’uso di parole al fine di ferire la
sensibilità altrui. E siccome non è giusto controllare gli altri, non è nemmeno
giusto censurare gli altri.
Senza la
libertà di dire qualcosa di sconveniente non c’è libertà. Se le mie azioni sono
giudicate in base alla sconvenienza, potrò fare solo quello che gli altri mi
consentono graziosamente di fare e, poiché moltissimi sono suscettibili e
permalosi, ciò decreterebbe la morte della libertà.
Le società democratiche
sono conflittuali perché sono formate da esseri umani con punti di vista anche
molto diversi riguardo alla realtà, ciascuno convinto che il suo sia più fedele
al vero. Nessuno di noi è consapevole dell’intera estensione delle sue credenze
e convinzioni e ancor meno di quanto unica e peculiare sia la sua percezione
della realtà.
La libertà di espressione consente a superstizioni, preconcetti e
pregiudizi di essere vagliati, separati e respinti dal maggior numero possibile
di persone, che potranno invece avvalersi delle idee originali e promettenti. È
quindi nel nostro stesso interesse rispettare la libertà del nostro prossimo di
dire la sua, anche quando ci infastidisce, ci sciocca, c’indigna, ci oltraggia,
ci disgusta, ci ferisce. Solo difendendo la libertà altrui posso continuare a
difendere la mia, anche se questa libertà sarà da loro impiegata per ridursi in
un angolo, per scegliere di condurre una vita convenzionale, di rinunciare ad
esercitare i propri diritti, di consegnarsi a rapporti vincolanti, affiliazioni
soffocanti, appartenenze totalizzanti. Se la ricerca della verità e dell’autenticità
li conduce in quei paraggi, allora hanno la prerogativa di comportarsi di
conseguenza senza che una tutela paternalistica li inibisca, senza trattarli
come degli infanti plagiabili, plasmabili, eternamente sprovveduti, inculcando
in loro il sospetto di esserlo veramente anche quando si tratta di una mera
divergenza d’opinioni. Soprattutto, nessuno osi censurare il prossimo per il
mero fatto di essersi permesso di esprimere un punto di vista differente.
La
casa comune dell'umanità che verrà, nel Mondo Nuovo dovrà essere tollerante. Se noi stessi decretiamo
che un diritto universale non è più universale, ma vale solo quando ci pare a
noi, la nostra credibilità ed autorevolezza saranno compromesse, la forza di
quel principio sarà compromessa, la possibilità di tutelare le persone vulnerabili
in nome di quello stesso principio sarà compromessa. Se la nostra casa comune avrà timore di idee diverse, allora non avrà un futuro.
Un soffio e il castello di carte cadrà: “Far apparire come necessario ciò che è
assurdo – che si debba difendere il “mondo libero” rendendolo meno libero,
salvare la civiltà occidentale minacciando i principi della sua identità –, e
dall’altro cerca di rendere credibile ciò che è incredibile, ovvero che si
possa diffondere nel mondo la libertà con l’occupazione militare, instaurare la
democrazia con la coazione, istituire l’autonomia con l’eteronomia” (Bovero,
2004, p. X).
La libertà
che conta è quella da forze e circostanze che trasformano l’uomo in una cosa e
la sua vita interiore in un processo meccanico, automatico, prevedibile,
inerziale, come la materia stessa. Se la libertà è come un volo, allora più si
mozzano le ali per circoscriverla, più basso ed incerto sarà il volo stesso, a
discapito dell’intera comunità. Non si può essere sicuri, nel volo, la libertà
non è rassicurante, non dà garanzie, ma è l’unico modo che ci è dato di essere
autentici (di non limitarci ad essere ciò che gli altri hanno stabilito per
noi) e di diventare più vivi (gioia di vivere) e consapevoli, come il
prigioniero rilasciato nella parabola della caverna di Platone. A quel punto la
sicurezza che si acquista sarà più stabile, più affidabile, ma mai completa.
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