La posizione di Israele nel mondo si fa ogni giorno più delicata. La Turchia ha rotto le relazioni diplomatiche per le mancate scuse sull’attacco sanguinoso alla “Mavi Marmara”, l'ammiraglia della Freedom Flotilla. La recente incursione israeliana che ha causato l’uccisione di cinque soldati egiziani è stata motivata dall’accusa israeliana all’Egitto di ospitare gruppi terroristici nel Sinai. Nel 2006 una situazione analoga è sfociata nella guerra del Libano. Negli Stati Uniti i più accaniti sionisti sono gli esponenti della Destra cristiana, che sono però quasi tanto antisemiti quanto sono islamofobi. Khaled Fouad Allam, sociologo ed editorialista della Repubblica e del Sole 24 Ore, invitato alla manifestazione “Oriente Occidente”dal Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani è perciò comprensibilmente preoccupato per la piega che stanno prendendo gli eventi. Intervistato sul tema “Lo sguardo di Israele e della Palestina di fronte alle rivolte arabe. Effetti e prospettive”, ha spiegato al folto pubblico presente che l’unica soluzione alla questione arabo-israeliana è percorrere la strada della giustizia, ossia la nascita di uno stato palestinese: “se non lo si farà c’è il rischio di una conflagrazione anche più grande di quella del Novecento. Non voglio neppure immaginare cosa potrebbe accadere”. Quel che manca, però, è la volontà politica di dar seguito al “risveglio delle coscienze, alla nascita di una coscienza collettiva, di una comunione umana di fronte al degrado”, un fenomeno che si sta verificando in tutto il mondo a causa della crisi globale e che porta con sé la legittima richiesta di una vera cultura della pace, che “non è fatta di retorica e di marce, ma di una autentica riconversione interiore, che non può avvenire se prima non c’è la giustizia”. Ad Allam non piace l’espressione “risveglio arabo”: “la storia del secolo scorso è stata piena di risvegli arabi, soffocati nel sangue. Questa volta la gente è riuscita a farsi sentire, a conquistarsi la copertura mediatica, ma non è detto che abbia vinto. In Egitto l’islamo-nazionalismo, l’alleanza tra militari e fratellanza islamica, sta scippando la rivoluzione ai cittadini, ed in particolare alle donne, agli omosessuali ed alle minoranze religiose”. La battaglia per la democrazia, ha chiarito lo studioso di padre algerino e madre siriana, è una battaglia per l’uguaglianza che richiede tempi lunghissimi, ma“non sembra che gli Europei siano particolarmente entusiasti nel sostenerla in Tunisia ed in Egitto”. Non è una sorpresa, aggiunge amaramente: “i politici di oggi sono più mediocri che autentici, a causa del divorzio tra politica e cultura che si è consumato negli ultimi decenni. Queste persone non hanno alcuna esperienza della sofferenza, delle tragedie, della catastrofe della seconda guerra mondiale, non possono capire le sofferenze altrui. Non sono profetici e non saprebbero come esserlo. Non hanno alcun interesse a riunificare i popoli e sono troppo schiavi del consenso, in un vuoto di significato che, nel mondo arabo, ha portato alle rivolte. Se la politica è l’arte del vivere assieme, cosa ci si può attendere –ha concluso Allam – da politici che non citano neanche più poeti e filosofi?”.
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La sollevazione in Egitto e Tunisia è stata spontanea ma sarebbe ingenuo credere che lo scacchiere mediterraneo e quello mediorientale siano lasciati alla mercè della società civile. Non è successo in Sudafrica, purtroppo, dove l’eredità di Mandela è già un ricordo; non succederà lì.
Troppi interessi forti stanno già muovendo le loro pedine per riprendere il controllo della situazione, delle risorse energetiche, di Suez, del Mediterraneo nel suo complesso. Chi è Omar Suleiman, figura che determinerà la politica egiziana dei prossimi anni, da dietro le quinte? Uomo dei servizi segreti, probabile torturatore, stretti rapporti con la CIA, amico di Israele. Temo che le cose non andranno diversamente altrove.
Non si può prevedere cosa succederà, ma si può immaginare che arriverà il momento in cui la gente si accorgerà che il “tajdid” è rimasto solo sulla carta e che al potere ci sono andati dei trasformisti camuffati da innovatori. Allora la reazione rischierà di essere quella della violenza cieca, che conduce alla rovina, perché è quello che vogliono i burattinai: una mandria imbestialita e spaventata, non esseri umani consapevoli, determinati e coraggiosi.
Studiosi da tenere d'occhio: Laura Guazzone, François Burgat, Renzo Guolo, John L. Esposito, Frédéric Volpi, Olivier Roy, Massimo Campanini, Eberhard Kienle, Burhan Ghalioun.
Riporto, a beneficio della discussione, le opinioni di una serie di esperti occidentali.
François Burgat (politologo al CNRS), la tentazione autoritaria appartiene al passato! Le Monde, 2 febbraio 2011 “I Fratelli Musulmani sono da lungo tempo il bersaglio privilegiato di un regime che li ha costantemente stigmatizzati secondo la falsa alternativa: “il mio autoritarismo o quello, molto peggiore, degli islamisti”. […]. Sono le forze dell’ordine del regime che torturano ed assassino impunemente da trent’anni, non i Fratelli Musulmani. […]. Penso, in definitiva, che si sia voltata la pagina delle tentazioni autoritarie e che sia percorribile la strada di un’alleanza tra islamici e laici, come succede in diversi paesi, tra i quali lo Yemen e il Libano…ma le modalità della transizione saranno almeno in parte condizionate dall’atteggiamento della comunità internazionale, a seconda che essa si comporti come ha fatto dal 2006 nei confronti di Hamas (che ha cercato di far cadere in ogni modo) o, al contrario, che accetti di rispettare il verdetto delle urne”.
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Laura Guazzone, Un'opportunità storica a rischio di cambi solo cosmetici, Il Manifesto, 11 febbraio 2011
“Questi stati non sono semplici prosecuzioni dei precedenti regimi post-coloniali, bensì dirette emanazioni della globalizzazione neo-liberista che ha fatto nascere qui, come in altre parti del mondo, un nuovo tipo di sistema politico: lo stato neo-autoritario globalizzato. […] In campo politico il passaggio al neo-autoritarismo nel mondo arabo è stato caratterizzato dall'introduzione (in alcuni casi il ripristino) delle istituzioni liberal-democratiche - multipartitismo, costituzioni, corti costituzionali, leggi di garanzia sulla stampa e l'associazionismo - non per consentire una partecipazione politica democratica, bensì per creare canali di mobilitazione e cooptazione finalizzati al sostegno e alla permanenza al potere del regime, il cui strumento più evidente è la manipolazione dei processi elettorali. […]. Se proviamo ad applicare questa descrizione generale ai casi concreti ritroviamo, con poche varianti locali, il succo delle politiche portate avanti da Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Giordania e persino dall'Arabia saudita dagli anni Novanta ad oggi. Il risultato di queste politiche è sotto gli occhi di tutti ed è la causa delle rivolte arabe in corso: le politiche neo-liberiste hanno arricchito le elite di regime e privato i cittadini normali delle garanzie in materia di sanità, istruzione, salari minimi che, seppur in modo corrotto ed insufficiente, i precedenti stati sociali riuscivano ad offrire. La crescita economica dei primi anni 2000 non è stata reinvestita nella creazione di posti di lavoro, bensì in attività economiche speculative a vantaggio delle elite, e la disoccupazione, specie giovanile, è esplosa, mentre alle classi medie, sempre più deboli, e alle classi povere, sempre più povere, non venivano ridistribuite che briciole, ad esempio attraverso i sussidi al prezzo di qualche prodotto essenziale. Con la crisi economica mondiale del 2008 non sono rimaste neanche le risorse necessarie per queste minime politiche redistributive e la crisi socio-economica dei paesi arabi è scoppiata in tutta la sua ampiezza. Dunque il neo-autoritarismo frutto della globalizzazione è la causa delle rivolte arabe di oggi e solo il cambiamento, in tutti i settori, delle strutture di potere che sostengono questo tipo di sistema in ciascun paese può permettere la costituzione di sistemi davvero nuovi, capaci di esprimere e rappresentare gli interessi di tutte le componenti sociali”.
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John L. Esposito, Huffington Post, 14 febbraio 2011
“La fine del regime di Mubarak dimostra la falsità dei pregiudizi diffusi: gli Arabi rifiutano la democrazia, l’Islam è incompatibile con la sovranità popolare, l’autorità degli autocrati è salda. I manifestanti in favore della democrazia erano spinti da una serie di rivendicazioni politiche ed economiche di lunga data: mancanza di democrazia, crescente divario tra una minoranza di ricchi e la classe media e i poveri, corruzione endemica, crescita dei prezzi degli alimenti, alti livelli di disoccupazione, mancanza di opportunità e prospettive per i giovani. Gli egiziani hanno voluto riprendersi la dignità e il controllo sulle loro vite, porre fine alla corruzione, pretendere trasparenza e assunzione di responsabilità, lo stato di diritto, diritti umani e in particolar modo il diritto di decidere chi debba governare l’Egitto ed il suo futuro. Le insurrezioni in Tunisia ed in Egitto hanno rivelato un movimento democratico molto ampio che non è guidato da una singola ideologia o da estremisti religiosi. […] E’ tempo di guardare ai fatti. A partire dalla fine del secolo scorso, lungi dal promuovere l’integralismo religioso, i Fratelli Musulmani, come altri candidati e partiti politici ispirati dall’Islam in Algeria, Tunisia, Marocco, Egitto, Libano, Turchia, Giordania, Kuwait, Bahrain, Pakistan, Malesia e Indonesia, hanno scelto la via del voto, non del botto (“ballots, not bullets”). Tra i nemici e critici più vigorosi dei Fratelli ci sono stati i militanti egizi, compreso l’al-Qaedista Ayman al-Zawahiry. Per decine di anni, i Fratelli Musulmani, sebbene ufficialmente illegali, hanno dimostrato di rappresentare la più vasta ed efficace opposizione nonviolenta nella società egizia…Al contrario, il governo Mubarak, per decenni, ha usato mezzi repressivi, brogli elettorali e la violenza dei suoi gorilla per intimidire e vessare le opposizioni laiche e religiose. […] Ad ogni modo i Fratelli Musulmani non hanno dato l’avvio alle proteste e molti esperti ritengono che possano contare su uno zoccolo duro di elettori che non supera il 25%....In definitiva, come tutti gli altri Egiziani, hanno il diritto di partecipare alle elezioni e di essere rappresentati al governo”.
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Renzo Guolo “Ma il fantasma di Al Qaeda non si aggira nel deserto” La Repubblica 25 febbraio 2011
Per gli islamisti radicali queste rivolte sono, invece, una cocente sconfitta. Il "leninismo religioso" jihadista ha sempre perseguito una logica azione-repressione-insurrezione destinata, nelle intenzioni, a sfociare nell'instaurazione dello Stato islamico. Un progetto fallito: le masse degli "autentici credenti" non hanno seguito le avanguardie. […]. Una duplice sconfitta, quella degli islamisti radicali, perché essi soccombono anche agli odiati rivali neotradizionalisti, come i gruppi di filiera Fratelli Musulmani, che nei nuovi regimi potranno perseguire la via dell'islamizzazione "dal basso" proponendosi come alternativa politica e contraendo ulteriormente lo spazio delle schegge impazzite che ciclicamente rimpinguano il radicalismo jihadista. A evocare il fantasma qaedista sono anche i neocon elettivi di ogni latitudine, privati di un formidabile argomento mobilitante. Accade anche in Italia: non a caso Berlusconi ha messo più l'enfasi sul pericolo del fondamentalismo islamico che sul massacro in corso.
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"La primavera araba non si fermerà il popolo pretende la democrazia", intervista a Olivier Roy la Repubblica Lunedì 28 Febbraio 2011
“L´Occidente cosa deve fare? «Togliersi i paraocchi con cui da 30 anni guarda al mondo arabo: quella paura del nemico Islam, quel modo di vedere ogni movimento in quella zona di mondo come frutto dell´estremismo. È uno schema vecchio, legato alla rivoluzione islamica in Iran: ma attraverso questo schema abbiamo giudicato ogni fenomeno legato a questa zona del mondo, dall´immigrazione alla politica. Oggi è tutto diverso: l´Occidente deve smettere di non credere nei giovani arabi. E deve smettere di tifare per una transizione tranquilla a scapito della democrazia, solo perché, come in Egitto, la transizione è guidata da un esercito pagato dagli Usa. Non ci sarà stabilità solo con la transizione, la stabilità arriverà con la democrazia: la gente vuole democrazia, occorre lavorare per mettere fine alla corruzione e promuovere lo sviluppo economico. Puntare a vere elezioni da cui escano parlamenti rappresentativi, che possano scrivere costituzioni vere”.
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