lunedì 31 ottobre 2011

Verso un Secondo Olocausto?





Una reazione puramente istintiva, beninteso, dà spesso una gran sensazione di sollievo. Hitler diede modo alla Germania di scaricarsi delle frustrazioni e del malcontento di cui era preda, comportandosi semplicemente come un bambino di tre anni: quando voleva qualcosa, usciva dai gangheri, urlava e pestava i piedi, finché non l’aveva ottenuto.
Northtop Frye, “L'immaginazione coltivata”, Milano: Longanesi, 1974, p. 104.

La maggior parte delle capitali europee è il possibile bersaglio delle nostre forze aeree…Abbiamo la capacità di inabissare il mondo assieme a noi e posso assicurarvi che succederà prima che Israele scompaia.
Martin Van Creveld, docente di storia militare alla Hebrew University di Gerusalemme, intervista per Elsevier, no. 17, p. 52-53, 27 aprile 2002.

Non si chiede agli Israeliani di dare qualcosa, ma di restituire ai Palestinesi ciò che è loro, la terra, l’autostima ed i loro diritti. Nessun ladro può pretendere qualcosa per restituire il maltolto. Solo uno psicopatico sarebbe pronto a distruggere un condominio o un intero quartiere per eliminare dei malviventi. Ma è quel che succede a Gaza.
Gideon Levy "Demands of a thief", Haaretz, novembre 2007.

«I significati dell'Olocausto,» rispose lui con voce grave, «devono essere determinati da noi, ma una cosa è certa: il suo significato non sarà meno tragico di quanto lo è oggi se ci sarà un secondo  Olocausto, e se la progenie degli ebrei europei che evacuarono l'Europa per un asilo in apparenza più sicuro dovesse andare incontro alla distruzione collettiva in Medio Oriente. Un secondo Olocausto non avrà luogo sul continente europeo, perché questo è stato teatro del primo. Ma un secondo Olocausto, qui, potrebbe verificarsi fin troppo facilmente e, se lo scontro tra arabi ed ebrei dovesse continuare ad aggravarsi, si verificherà: è inevitabile. La distruzione di Israele in un conflitto nucleare è oggi una possibilità assai meno remota di quanto lo fosse l'Olocausto cinquant'anni fa».
Philip Roth, “Operazione Shylock”, Mondadori, 1993.

Perché gli Israeliani non sembrano pensare alle generazioni future? Sono davvero convinti che la loro supremazia militare ed economica li metterà al riparo per sempre da una resa dei conti determinata dalla loro aggressività, violenza ed iniquità? Sono davvero disposti a subire la condizione di stato paria agli occhi dell’opinione pubblica internazionale?
Sì, purtroppo, perché le popolazioni che si sentono minacciate di estinzione non avvertono alcuno scrupolo morale: il fine (sopravvivenza) giustifica ogni mezzo, anche se sono mezzi che alla lunga si dimostreranno autrodistruttivi. Le rappresaglie e le vendette non diventano solo giuste ma necessarie. “Con noi o contro di noi”, "O tutto o niente", "ora o mai più", “non sarò più alla mercé di nessuno, sarò io a tenere il coltello dalla parte del manico, costi quel che costi”. È questa la malattia israeliana: non esiste alcuna democrazia sana in cui la parte che governa deve convincersi ogni giorno del fatto di essere onnipotente, di non dover scendere a compromessi, di non potersi permettere di fare concessioni. Israele è pericoloso per sé e per il mondo perché è guidato da una politica incessantemente espansionistica che può solo provocare nuovi conflitti e la compromissione dello stato di diritto in patria. 
Non c’è nulla di razionale in tutto questo: egoismo ed avidità in una cornice patriottica/nazionalistica che dovrebbe in qualche misura legittimare il perseguimento dei peggiori istinti umani. Da Ben Gurion, a Sharon (1993), a Netanyahu, l’obiettivo è la restaurazione del Regno di Davide e Salomone – di una Sparta giudea, con i Palestinesi come iloti –, ossia di un’invenzione, una tremenda invenzione. Come si può scendere a compromessi con una fantasia maniacale?
In Medio Oriente si sta profilando una crisi probabilmente senza precedenti e che interessa tutti noi. C’è chi sogna un Israele più mite e comprensivo, disposto a “gettare il cuore oltre l’ostacolo e dire sì alla richiesta palestinese”. Purtroppo è destinato a restare un sogno. Dopo l'uccisione di Yitzhak Rabin per mano dell'ennesimo colono fanatico, Israele si è costruito attorno un ghetto, si è isolato internazionalmente e ormai dipende dalla benevolenza americana e da generosi sussidi che, a causa della crisi, verranno presto a mancare. Eppure continua a lamentarsi e pestare i piedi per ottenere quel che vuole, invece di programmare un futuro di pace, finalmente libero da una paranoia psicologicamente e moralmente distruttiva.

Il governo israeliano pare aver già deciso che la guerra con l'Iran è inevitabile e giusta:
L’esercito israeliano si esercita in preparazione di un possibile conflitto con gli Arabi in seguito al voto sulla sovranità palestinese:
Gli effetti psicologici dell'Occupazione sulla parte di popolazione israeliana (credo maggioritaria) che resta ancora sana, ragionevole, integra, umana sono deleteri:
Goebbels a suo tempo diceva che certe questioni si possono risolvere solo in tempo di guerra. In questo caso ci sono migliaia di Palestinesi da ricollocare (pulizia etnica). Una guerra in Palestina (e non solo) sarebbe conveniente. Non lo penso solo io, ne è convinto anche lo scrittore israeliano Uri Avnery:
“Un giornalista straniero mi ha chiesto l’altro giorno: “Ma cosa ne pensano?” “Loro” – Netanyahu, Lieberman e altri – stanno perdendo tutti gli amici rimasti, umiliando nel frattempo Barack Obama. Hanno sabotato la ripresa dei colloquio di pace. Hanno sparpagliato gli insediamenti ovunque. Se la soluzione dei Due Stati è diventata impossibile, cosa rimane? Uno stato unificato dal Mediterraneo alla Giordania? Che tipo di nazione sarebbe? Sono assolutamente contrari a uno stato bi-nazionale, che sarebbe la negazione totale del sionismo. Uno stato di apartheid? Quanto potrebbe durare? L’unica alternativa “razionale” sarebbe una pulizia etnica totale, lo sfollamento di 5 milioni e mezzo di palestinesi dalla West Bank, dalla Striscia di Gaza Strip e dalla stessa Israele. È una cosa possibile? Il mondo potrebbe tollerarlo, se non venisse distratto da un’invasione dei marziani? La risposta è: “loro” non pensano proprio. Gli israeliani sono condizionati dalla loro storia a pensare a brevissimo termine. Come dicono gli americani: “Un uomo di stato pensa alla prossima generazione, un politico alle prossime elezioni.” O come diceva di solito il dirigente sionista Chaim Weizmann: “Il futuro arriverà e si preoccuperà del futuro.” Non c’è dibattito nazionale, solo un vago desiderio di tenere tutto per sé. I sionisti di destra vogliono avere tutta la Palestina storica, quelli di sinistra vogliono avere il più possibile. Questo è il massimo di elaborazione possibile. I vecchi saggi ebrei dicevano: “Chi è l’eroe più coraggioso? Quello che trasforma il suo nemico in amico.” I saggi moderni che ci governano lo hanno così trasformato: “Chi ha il prestigio più alto? Chi trasforma il suo amico in nemico.”

L'interpretazione della realtà dei governi israeliani è la seguente: prima era Arafat (Nobel per la Pace) ad ostacolare la pace, poi l'Intifida, ora la Palestina e l'Iran. Un editoriale di Haaretz conclude, logicamente, che i governi israeliani non hanno mai cercato la pace e faranno di tutto per impedire la nascita di uno stato palestinese, solo che hanno esaurito gli argomenti per giustificarsi, la messinscena è ormai evidente a chiunque abbia occhi per vedere: 
Qui traduzione in italiano:
Netanyahu, nel 2003, affermava che se gli Arabi arriveranno a costituire il 40% della popolazione di Israele sarà la fine dello stato giudeo. “Ma anche il 20% è un problema e se le relazioni con questo 20% diventano problematiche, lo stato è autorizzato a prendere misure drastiche” (citato in Ilan Pappe, "The ethnic cleansing of Palestine", 2010).
Il che spiega la pericolosa e smaccatamente immorale prossimità con il regime sudafricano dell'Apartheid, che pure affondava le sue radici nell'antisemitismo e, in casi tutt'altro che isolati, nel nazismo:

Nel 2002, David Perlmutter, docente alla Louisiana State University, specialista di giornalismo, comunicazioni di massa e propaganda, pubblicò una sua riflessione sul Los Angeles Times che illustra meglio di un saggio tematico la prigione mentale nella quale sono rinchiusi molti Ebrei: “Israele ha costruito armi nucleari per 30 anni. Gli Ebrei capiscono che cosa ha significato in passato l’accettazione passiva ed inerme di un tragico fato. Masada non è un esempio da seguire – non ha minimamente danneggiato i Romani, ma Sansone a Gaza? Con una bomba nucleare? Quale miglior castigo per un mondo che odia gli Ebrei e migliaia di anni di massacri se non un Inverno Nucleare?...Per la prima volta nella storia, un popolo che rischia lo sterminio mentre il mondo ridacchia o guarda altrove – a differenza degli Armeni, dei Tibetani, degli Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale o dei ruandesi, ha il potere di distruggere il mondo. Una giustizia suprema? Questi sono i miei pensieri oscuri e la mia quieta disperazione. Chi li farà volatilizzare? Chi taciterà la follia? Mi sarà concesso di diventare un vecchio amareggiato? Avremo la possibilità di tornare col pensiero a questi giorni, oltre i funghi atomici del domani?”
In un altro editoriale apparso su Haaretz, Gideon Levy scriveva: “Vogliamo guerre violente e operazioni militari brutali ma senza che il mondo le veda. Vogliamo violazioni dei diritti umani ma senza il clamore delle critiche. Vogliamo pregare il mondo di boicottare Hamas e allo stesso tempo siamo contro i boicottaggi. Vogliamo la democrazia ma senza i rumori di sottofondo delle minoranze. Vogliamo vivere in una quasi-teocrazia, uno dei Paesi più religiosi al mondo, ma immaginare di vivere in una democrazia secolare e liberale”.
Dal canto suo Meir Dagan, che fino a pochi mesi fa era il direttore del Mossad, sta criticando severamente la dirigenza politica del suo paese, definendola “irresponsabile e scriteriata”, mentre esprime apprezzamento per le aperture dei paesi arabi. Pretende che abbiano fine i “pericolosi avventurismi” del suo governo, che “potrebbero mettere a rischio la stessa esistenza di Israele”. Commentando queste esternazioni, il giornalista del quotidiano Maariv ha scritto: “se quest’uomo dice che il governo non ha una visione ed è irresponsabile, dovremmo smettere di dormire sonni tranquilli”.
Lo stesso Bill Clinton ha recentemente dichiarato che Netanyahu non è minimamente interessato a degli accordi di pace per il Medio Oriente.
Infine ci sono i pareri di due analisti internazionali di primo piano, entrambi ebrei americani. Thomas L. Friedman ha ammesso di non essere mai stato così preoccupato per il futuro di Israele, a causa del “governo più inetto dal punto di vista diplomatico e più incompetente dal punto di vista strategico della sua storia”. Michael Walzer ha definito l’ostinato rifiuto di Netanyahu di avviare seri negoziati “una scelta folle. Non inaspettata, ma pur sempre folle”.
Israele è un interessante applicazione della Mortality Salience Theory (o Terror Management Theory TMT, Solomon 2004), su scala nazionale-collettiva. La teoria riguarda gli individui e sostiene che la paura della morte spinge a sostenere misure autoritarie e tradizionalismi. In Israele, la prospettiva più o meno plausibile dell’annichilimento dello stato ebraico proietta su scala collettiva una predisposizione altrimenti ristretta alla sfera personale.
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La posizione di Israele nel mondo si sta facendo ogni giorno più delicata. La Turchia ha rotto le relazioni diplomatiche per le mancate scuse sull’attacco sanguinoso alla “Mavi Marmara”, l'ammiraglia della Freedom Flotilla. L’incursione israeliana che ha causato l’uccisione di cinque soldati egiziani è stata motivata dall’accusa israeliana all’Egitto di ospitare gruppi terroristici nel Sinai. Nel 2006 una situazione analoga è sfociata nella guerra del Libano. Negli Stati Uniti i più accaniti sionisti sono gli esponenti della Destra cristiana, che sono però quasi tanto antisemiti quanto sono islamofobi. Khaled Fouad Allam, sociologo ed editorialista della Repubblica e del Sole 24 Ore, invitato alla manifestazione “Oriente Occidente”dal Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani è perciò comprensibilmente preoccupato per la piega che stanno prendendo gli eventi. Intervistato sul tema “Lo sguardo di Israele e della Palestina di fronte alle rivolte arabe. Effetti e prospettive”, ha spiegato al folto pubblico presente che l’unica soluzione alla questione arabo-israeliana è percorrere la strada della giustizia, ossia la nascita di uno stato palestinese: “se non lo si farà c’è il rischio di una conflagrazione anche più grande di quella del Novecento. Non voglio neppure immaginare cosa potrebbe accadere”.
Temo che non esageri. Troppi tabù, troppa pressione psicologica, corde troppo tese. L’affetto ed il sostegno alla causa ebraica potrebbero convertirsi in odio e i Palestinesi, loro malgrado, subirebbero la medesima sorte di Israele.
Esaminiamo la situazione nel suo complesso. Gli Israeliani sono concentrati in un'area prevalentemente desertica, grande come la Lombardia, con le spalle al mare ed al muro, ossia un gigantesco ghetto non-denuclearizzato. La stessa Hannah Arendt era dell’avviso che ammassare milioni di ebrei in un fazzoletto di terra era una pessima idea. L’avvocato difensore di Eichmann, Robert Servatius, nell’arringa finale incolpò tutti i capi di stato (non solo i nazisti e collaborazionisti) per l’Olocausto, aggiungendo: “L’hanno fatto nel passato e probabilmente lo faranno di nuovo nel futuro”. Così la vede l’amico Mario Giuliano: “lo stato di Israele costituisce un immenso lager per diversi milioni di ebrei, costretti a servire nell'esercito per 2 o 3 anni, a seconda se siano femmine o maschi, senza che ve ne sia la reale necessità militare. Ed ovviamente questo fatto, di aver servito nell'esercito, va a pregiudicare la possibilità per tutti quei cittadini israeliani, di acquisire la cittadinanza di un altro paese. A questo serve il servizio militare israeliano. Fa parte del sistema-lager”.
Israele è una nazione molto piccola, poche testate atomiche sarebbero sufficienti per annientarla. Qualche milione di Arabi (Palestinesi, Libanesi, Giordani, Siriani, Egiziani, ecc.) morirebbe assieme agli Ebrei. 
Chi paventa un Secondo Olocausto per mano iraniana sostiene che Mahmud Ahmadinejad e i mullah se ne infischiano della sorte di Palestinesi, Giordani e Libanesi. Ne siamo certi? Dobbiamo veramente credere che possono permettersi di sterminare milioni di altri musulmani e di produrre una nube radioattiva che potrebbe raggiungere la Mecca e poi l’Iran stesso? Queste esternazioni possono solo servire a scatenare una guerra preventiva che rischia veramente di causare un Secondo Olocausto. Non è certo accidentale che nel corso della campagna elettorale per le presidenziali sia Sarah Palin sia John McCain abbiano riproposto la retorica dell’incrollabile intenzione iraniana di spazzare via Israele con un Secondo Olocausto. Tuttavia Mahmoud Ahmadinejad si è sempre limitato a dire che il regime occupante è destinato a scomparire, che i suoi giorni sono contati, ecc. denunciando nel contempo le atrocità commesse dagli Israeliani nei Territori Occupati. Non ha mai espresso alcuna intenzione di muovere una guerra suicida agli Israeliani.
In cambio negli anni passati sono affluiti moltissimi “Ebrei” non particolarmente raccomandabile, gente disposta a tutto, anche a rendersi responsabile di atrocità a nome di Israele e di tutti gli Ebrei. Molti Ebrei più moderati e civili sono emigrati, lasciandosi alle spalle una più elevata densità di aggressività, egoismo, paranoia, narcisismo e brame di dominio sul prossimo:
Si è anche instaurato un tabù del politicamente corretto contro il pensare o il parlar male di Israele che sta facendo fremere di sdegno l’opinione pubblica internazionale, incapace di sfogare le sue emozioni in modo ragionato e controllato. Questo tabù ha prodotto le condizioni esistenti in una pentola a pressione. Qualora il sostegno americano ed europeo ad Israele dovesse venir meno, magari a causa della crisi economico-finanziaria o di un conflitto non voluto, l’assenza del necessario dibattito spassionato e ragionevole su quel che avviene in Palestina si ritorcerebbe contro tutti gli Ebrei del mondo, trasformati ancora una volta nel capro espiatorio dei mali del mondo, come ai tempi del nazismo. L’immagine da visualizzare è quella del bacino che si riempie, con le saracinesche chiuse. La diga fatica a contenere la pressione dell’acqua, poi cede (la corda si spezza), si verifica un palese, crudele, ipocrita voltafaccia, quando la posizione israeliana sarà indifendibile (e lo sarà perché nessuno ha richiesto moderazione in tempi utili, innescando un circolo vizioso). Saranno rimasti in pochi a protestare se succederà qualcosa ad Israele ed agli Ebrei di tutto il mondo.
Un blogger si è spinto anche oltre. Non condivido necessariamente la sua posizione, ma non voglio escluderla in modo categorico: "Israele potrebbe in questa ottica essere il prossimo detonatore, la prossima Germania Nazista di cui da una parte si favorisce l' ascesa, ma intanto si prepara l' opinione pubblica a richiedere e sostenere la sua caduta .. E' solo un' ipotesi ovviamente, che mi viene dalla semplice lettura "mediatica" ... ma anche il semplice disegno di unificazione dell' Occidente sotto gli Usa, dovrebbe passare per dinamiche di questo tipo ... fare esplodere un contrasto ideologico all' interno dell' Occidente stesso (e l' ideologia religiosa è sempre stato un ottimo veicolo) e poi porsi ad arbitri della situazione, favoriti dall' opinione pubblica che intanto si monta in senso contrario ...L' ipotesi, insomma, è che si stia preparando un progetto a lungo-medio termine, ed Israele in qualche modo ne sarà il perno”.

Il voltafaccia è già in preparazione: “The only people that would benefit from this would be the Israeli's and the Saudis... and I think if I was looking at a counter intelligence operation to decide where this information came from I'd be very interested to see if I could find an Israeli hand, or Saudi hand... because in the long run Judge, BOTH ISRAEL AND SAUDI ARABIA ARE MUCH MORE DANGEROUS ENEMIES THAN THE IRANIANS ARE. The congress is crazy for war with Iran... listen to senator Graham, and senator McCain and Joe Lieberman... they are owned by the Israeli's... the Saudi's are very influential so when you look at these kind of things you have to ask who would benefit from the war? The Israeli's and the Saudi's would LOVE to see our money and our young men and women being killed to fight their enemies in Iran”.
Michael Scheuer, ex CIA, storico alla Georgetown University - 2011-10-13 su Fox News.

A questo proposito, ci si potrebbe chiedere cosa ci faccia una base americana in territorio israeliano: http://philadelphians.50megs.com/US_IL_base2.html
Serve a proteggere Israele o a controllare l’area, anche a discapito di Israele?



Cosa succederebbe a Israele se Obama perdesse le prossime elezioni?
La destra fondamentalista americana odia tradizionalmente gli Ebrei e pregusta l'avvento dell'Armageddon, in cui gli Ebrei o si faranno cristiani o periranno nello scontro finale tra le forze del bene e del male. La fondazione dello stato di Israele nel 1948 ed il controllo ebraico su Gerusalemme inverano la profezia e preparano l’avvento di Cristo e dell’era messianica in cui i fedeli godranno dei frutti della società ideale. Mancano la distruzione delle moschee musulmane sulla spianata e la ricostruzione del Tempio a Gerusalemme. I saggi di Gershom Gorenberg e Grace Halsell illustrano molto bene la situazione. Questi eventi preannunciano – sono i pre-requisiti – per la venuta del Primo Messia (sionismo) e per il Secondo Avvento (cristiani). I cristiani parlano di un Armageddon nucleare, mentre i sionisti non lo contemplano, né si rendono conto che, stando alle scritture cristiane, una volta costruito il terzo tempio il loro destino sarà segnato: convertirsi o scomparire. In cambio i musulmani si attendono che, alla fine dei tempi, Gerusalemme sarà la nuova Mecca, ospitando la Ka'ba.

Teniamo a mente che nel 1999 un gruppo di evangelici americani (che si facevano chiamare “Concerned Christians”) fu arrestato in Israele mentre cercava il modo di far saltare in aria una moschea ed accelerare la venuta di Cristo. Azioni analoghe sono state progettate da terroristi sionisti (cf. Renzo Guolo, “Terra e redenzione. Il fondamentalismo nazionalreligioso in Israele”, Milano, Guerini, 1997)
Qui maggiori dettagli sul rapporto schizofrenico tra Ebrei e fondamentalisti cristiani americani:
"The so called unconditional support of Christian Zionists towards the state of Israel is loaded with self interest to say the least. Their support is entirely related to the convergence of their end goals with that of the Zionists i.e, for all Jews to live in Eretz Israel. If the Zionists had chosen to create a state any where else but Palestine, these Christians would probably revert back to the same type of religious anti-Semitism that has been common in Christian history for the past two thousand years. Even now many Christian Zionists believe that the Anti-Christ will be a Jew and that the vast majority of Jews will be hurled into the lake of fire upon Christ’s return to be tormented for all eternity".

CONCLUSIONI 
Se avete amici in Israele il mio consiglio è: sforzatevi di convincerli a trasferirsi altrove entro l’estate del 2012 o giù di lì. E' ormai il posto più pericoloso del mondo, assieme a degli ipotetici Stati Uniti post-Obama, in mano alla destra cristiana antisemita (vi è la fondata possibilità che si verifichi un’ondata di pogrom o che siano rinchiusi in campi di concentramento).

ALLEGATO A
La Stampa 10/6/2010 - Appello di Alain Elkann: "Gli ebrei diventino tutti cittadini di Israele"
“Se noi ebrei vogliamo esistere ed essere forti, dobbiamo capire che c’è uno Stato ebreo di cui Gerusalemme è la capitale”. “I nostri figli nel mondo intero dovrebbero sentirsi toccati, e diventare soldati in Israele, all’età richiesta e quando la necessità si fa sentire”.  “Tutti gli ebrei dovrebbero conoscere le stesse paure e le stesse speranze per i loro bambini”.  “Gli ebrei possono non condividere la politica israeliana a condizione che si considerino come israeliani”.  “Senza dubbio la maggioranza degli ebrei non ha voglia di abbandonare la propria posizione sociale, acquisita nella Diaspora, e di rinunciare al proprio lavoro, ma devono capire che non hanno più scelta. Hanno un paese che appartiene loro, e se lo desiderano possono acquisire la doppia nazionalità. Se un ebreo vuol veramente diventare un ebreo autentico, deve diventare israeliano”. “I nostri nemici e i nostri detrattori ci rispetterebbero di più, se fossimo uniti nel credere che israeliani ed ebrei sono la stessa cosa”. “In quanto popolo monoteista più antico meritiamo rispetto”. “In Israele c’è uno stato ebraico basato su principi ebraici. Essere ebrei in Israele non significa essere una minoranza in un paese sicuro, ma appartenere ad una maggioranza che affronta delle responsabilità e dei pericoli”. “Non bisogna dimenticare che gli ebrei sono un popolo del deserto, che Abramo ha lasciato il suo focolare per partire nel deserto. Allora perché non torneremo alle nostre radici e alle nostre origini?”. “Dovremmo essere molto fieri, d’avere un paese nostro, e dunque dovremmo sostenerlo e restare uniti”. “Dio ci benedica”.
C’è o ci fa? Quali sono le reali motivazioni di Alain Elkann? E’ stato ingannato o inganna?

ALLEGATO B
Il 25 gennaio 2002, 52 riservisti israeliani scrivono una lettera aperta alla società israeliana, pubblicata su Ha’aretz:
- noi, ufficiali e soldati…ai quali sono stati impartiti ordini che non avevano nulla a che fare con la sicurezza della nostra nazione ma avevano come unico scopo quello di perpetuare il nostro controllo sui Palestinesi;
- noi, che abbiamo visto il prezzo di sangue che questo esige da entrambe le parti;
- noi, che abbiamo creduto che quegli ordini distruggono tutti i valori che abbiamo assimilato crescendo in questa nazione;
- noi, che ora comprendiamo come il prezzo dell’occupazione è la perdita del carattere umano delle Forze di Difesa Israeliane e la corruzione dell’intera società israeliana;
- noi, che sappiamo che quei territori non sono Israele e che tutti gli insediamenti sono destinati ad essere evacuati, alla fine:
noi, con la presente, dichiariamo che non intendiamo continuare a combattere questa guerra per gli insediamenti. Non continueremo a combattere oltre i confini del 1967 per dominare, espellere, affamare ed umiliare un intero popolo. Dichiariamo altresì che continueremo a servire nell’esercito israeliano in ogni missione che serva a difendere Israele. Le missioni di occupazione ed oppressione non hanno questo obiettivo e non intendiamo prendervi parte.

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