Una reazione puramente istintiva, beninteso, dà spesso una gran sensazione
di sollievo. Hitler diede modo alla Germania di scaricarsi delle frustrazioni e
del malcontento di cui era preda, comportandosi semplicemente come un bambino
di tre anni: quando voleva qualcosa, usciva dai gangheri, urlava e pestava i
piedi, finché non l’aveva ottenuto.
Northtop Frye, “L'immaginazione coltivata”, Milano: Longanesi, 1974, p.
104.
La maggior parte delle capitali europee è il possibile bersaglio delle
nostre forze aeree…Abbiamo la capacità di inabissare il mondo assieme a noi e
posso assicurarvi che succederà prima che Israele scompaia.
Martin Van Creveld, docente di storia militare alla Hebrew University di
Gerusalemme, intervista per Elsevier, no. 17, p. 52-53, 27 aprile
2002.
Non si chiede agli Israeliani di dare qualcosa, ma di restituire ai
Palestinesi ciò che è loro, la terra, l’autostima ed i loro diritti. Nessun
ladro può pretendere qualcosa per restituire il maltolto. Solo uno psicopatico
sarebbe pronto a distruggere un condominio o un intero quartiere per eliminare
dei malviventi. Ma è quel che succede a Gaza.
Gideon Levy "Demands of a thief", Haaretz, novembre 2007.
«I significati dell'Olocausto,» rispose lui con voce grave, «devono essere
determinati da noi, ma una cosa è certa: il suo significato non sarà meno
tragico di quanto lo è oggi se ci sarà un secondo Olocausto, e se la
progenie degli ebrei europei che evacuarono l'Europa per un asilo in apparenza
più sicuro dovesse andare incontro alla distruzione collettiva in Medio
Oriente. Un secondo Olocausto non avrà luogo sul continente europeo, perché
questo è stato teatro del primo. Ma un secondo Olocausto, qui, potrebbe
verificarsi fin troppo facilmente e, se lo scontro tra arabi ed ebrei dovesse
continuare ad aggravarsi, si verificherà: è inevitabile. La distruzione di
Israele in un conflitto nucleare è oggi una possibilità assai meno remota di
quanto lo fosse l'Olocausto cinquant'anni fa».
Philip Roth, “Operazione Shylock”, Mondadori, 1993.
Perché gli Israeliani non sembrano pensare alle generazioni future? Sono
davvero convinti che la loro supremazia militare ed economica li metterà al
riparo per sempre da una resa dei conti determinata dalla loro aggressività,
violenza ed iniquità? Sono davvero disposti a subire la condizione di stato
paria agli occhi dell’opinione pubblica internazionale?
Sì, purtroppo, perché le popolazioni che si sentono minacciate di
estinzione non avvertono alcuno scrupolo morale: il fine (sopravvivenza)
giustifica ogni mezzo, anche se sono mezzi che alla lunga si dimostreranno
autrodistruttivi. Le rappresaglie e le vendette non diventano solo giuste ma
necessarie. “Con noi o contro di noi”, "O tutto o niente",
"ora o mai più", “non sarò più alla mercé di nessuno, sarò io a
tenere il coltello dalla parte del manico, costi quel che costi”. È questa
la malattia israeliana: non esiste alcuna democrazia sana in cui la parte che
governa deve convincersi ogni giorno del fatto di essere onnipotente, di non
dover scendere a compromessi, di non potersi permettere di fare concessioni.
Israele è pericoloso per sé e per il mondo perché è guidato da una politica
incessantemente espansionistica che può solo provocare nuovi conflitti e la
compromissione dello stato di diritto in patria.
Non c’è nulla di razionale in tutto questo: egoismo ed avidità in una
cornice patriottica/nazionalistica che dovrebbe in qualche misura legittimare
il perseguimento dei peggiori istinti umani. Da Ben Gurion, a Sharon
(1993), a Netanyahu, l’obiettivo è la restaurazione del Regno di Davide e
Salomone – di una Sparta giudea, con i Palestinesi come iloti –, ossia di
un’invenzione, una tremenda invenzione. Come si può scendere a compromessi con
una fantasia maniacale?
In Medio Oriente si sta profilando una crisi probabilmente senza precedenti
e che interessa tutti noi. C’è chi sogna un Israele più mite e comprensivo,
disposto a “gettare il cuore oltre l’ostacolo e dire sì alla richiesta
palestinese”. Purtroppo è destinato a restare un sogno. Dopo l'uccisione di
Yitzhak Rabin per mano dell'ennesimo colono fanatico, Israele si è
costruito attorno un ghetto, si è isolato internazionalmente e ormai dipende
dalla benevolenza americana e da generosi sussidi che, a causa della crisi,
verranno presto a mancare. Eppure continua a lamentarsi e pestare i piedi per
ottenere quel che vuole, invece di programmare un futuro di pace, finalmente
libero da una paranoia psicologicamente e moralmente distruttiva.
Il governo israeliano pare aver già deciso che la guerra con l'Iran è
inevitabile e giusta:
L’esercito israeliano si esercita in preparazione di un possibile conflitto
con gli Arabi in seguito al voto sulla sovranità palestinese:
Gli effetti psicologici dell'Occupazione sulla parte di popolazione
israeliana (credo maggioritaria) che resta ancora sana, ragionevole, integra,
umana sono deleteri:
Goebbels a suo tempo diceva che certe questioni si possono risolvere solo
in tempo di guerra. In questo caso ci sono migliaia di Palestinesi da
ricollocare (pulizia etnica). Una guerra in Palestina (e non solo) sarebbe
conveniente. Non lo penso solo io, ne è convinto anche lo scrittore
israeliano Uri Avnery:
“Un giornalista straniero mi ha chiesto l’altro giorno: “Ma cosa ne
pensano?” “Loro” – Netanyahu, Lieberman e altri – stanno perdendo tutti gli
amici rimasti, umiliando nel frattempo Barack Obama. Hanno sabotato la ripresa
dei colloquio di pace. Hanno sparpagliato gli insediamenti ovunque. Se la
soluzione dei Due Stati è diventata impossibile, cosa rimane? Uno stato
unificato dal Mediterraneo alla Giordania? Che tipo di nazione sarebbe? Sono
assolutamente contrari a uno stato bi-nazionale, che sarebbe la negazione
totale del sionismo. Uno stato di apartheid? Quanto potrebbe durare? L’unica
alternativa “razionale” sarebbe una pulizia etnica totale, lo sfollamento di 5
milioni e mezzo di palestinesi dalla West Bank, dalla Striscia di Gaza Strip e
dalla stessa Israele. È una cosa possibile? Il mondo potrebbe tollerarlo, se
non venisse distratto da un’invasione dei marziani? La risposta è: “loro” non
pensano proprio. Gli israeliani sono condizionati dalla loro storia a
pensare a brevissimo termine. Come dicono gli americani: “Un uomo di stato
pensa alla prossima generazione, un politico alle prossime elezioni.” O come
diceva di solito il dirigente sionista Chaim Weizmann: “Il futuro arriverà e si
preoccuperà del futuro.” Non c’è dibattito nazionale, solo un vago desiderio di
tenere tutto per sé. I sionisti di destra vogliono avere tutta la Palestina
storica, quelli di sinistra vogliono avere il più possibile. Questo è il
massimo di elaborazione possibile. I vecchi saggi ebrei dicevano: “Chi è l’eroe
più coraggioso? Quello che trasforma il suo nemico in amico.” I saggi moderni
che ci governano lo hanno così trasformato: “Chi ha il prestigio più alto? Chi
trasforma il suo amico in nemico.”
L'interpretazione della realtà dei governi israeliani è la seguente: prima
era Arafat (Nobel per la Pace) ad ostacolare la pace, poi l'Intifida, ora la
Palestina e l'Iran. Un editoriale di Haaretz conclude, logicamente, che i
governi israeliani non hanno mai cercato la pace e faranno di tutto per
impedire la nascita di uno stato palestinese, solo che hanno esaurito gli
argomenti per giustificarsi, la messinscena è ormai evidente a chiunque
abbia occhi per vedere:
Qui traduzione in italiano:
Netanyahu, nel 2003, affermava che se gli Arabi arriveranno a costituire il
40% della popolazione di Israele sarà la fine dello stato giudeo. “Ma
anche il 20% è un problema e se le relazioni con questo 20% diventano
problematiche, lo stato è autorizzato a prendere misure drastiche”
(citato in Ilan Pappe, "The ethnic cleansing of Palestine", 2010).
Il che spiega la pericolosa e smaccatamente immorale prossimità con
il regime sudafricano dell'Apartheid, che pure affondava le sue radici
nell'antisemitismo e, in casi tutt'altro che isolati, nel nazismo:
Nel 2002, David Perlmutter, docente alla Louisiana State University,
specialista di giornalismo, comunicazioni di massa e propaganda, pubblicò una
sua riflessione sul Los Angeles Times che illustra meglio di un saggio tematico
la prigione mentale nella quale sono rinchiusi molti Ebrei: “Israele ha
costruito armi nucleari per 30 anni. Gli Ebrei capiscono che cosa ha
significato in passato l’accettazione passiva ed inerme di un tragico fato.
Masada non è un esempio da seguire – non ha minimamente danneggiato i Romani,
ma Sansone a Gaza? Con una bomba nucleare? Quale miglior castigo per un
mondo che odia gli Ebrei e migliaia di anni di massacri se non un Inverno
Nucleare?...Per la prima volta nella storia, un popolo che rischia lo sterminio
mentre il mondo ridacchia o guarda altrove – a differenza degli Armeni, dei
Tibetani, degli Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale o dei ruandesi, ha il
potere di distruggere il mondo. Una giustizia suprema? Questi sono i
miei pensieri oscuri e la mia quieta disperazione. Chi li farà volatilizzare?
Chi taciterà la follia? Mi sarà concesso di diventare un vecchio amareggiato?
Avremo la possibilità di tornare col pensiero a questi giorni, oltre i funghi
atomici del domani?”
In un altro editoriale apparso su Haaretz, Gideon Levy scriveva: “Vogliamo
guerre violente e operazioni militari brutali ma senza che il mondo le veda.
Vogliamo violazioni dei diritti umani ma senza il clamore delle critiche.
Vogliamo pregare il mondo di boicottare Hamas e allo stesso tempo siamo contro
i boicottaggi. Vogliamo la democrazia ma senza i rumori di sottofondo delle
minoranze. Vogliamo vivere in una quasi-teocrazia, uno dei Paesi più religiosi
al mondo, ma immaginare di vivere in una democrazia secolare e liberale”.
Dal canto suo Meir Dagan, che fino a pochi mesi fa era il direttore del
Mossad, sta criticando severamente la dirigenza politica del suo paese,
definendola “irresponsabile e scriteriata”, mentre esprime apprezzamento per le
aperture dei paesi arabi. Pretende che abbiano fine i “pericolosi avventurismi”
del suo governo, che “potrebbero mettere a rischio la stessa esistenza di
Israele”. Commentando queste esternazioni, il giornalista del quotidiano Maariv
ha scritto: “se quest’uomo dice che il governo non ha una visione ed è
irresponsabile, dovremmo smettere di dormire sonni tranquilli”.
Lo stesso Bill Clinton ha recentemente dichiarato che Netanyahu non
è minimamente interessato a degli accordi di pace per il Medio Oriente.
Infine ci sono i pareri di due analisti internazionali di primo piano,
entrambi ebrei americani. Thomas L. Friedman ha ammesso di non
essere mai stato così preoccupato per il futuro di Israele, a causa del “governo
più inetto dal punto di vista diplomatico e più incompetente dal punto di vista
strategico della sua storia”. Michael Walzer ha definito
l’ostinato rifiuto di Netanyahu di avviare seri negoziati “una scelta folle.
Non inaspettata, ma pur sempre folle”.
Israele è un interessante applicazione della Mortality Salience Theory
(o Terror Management Theory TMT, Solomon 2004), su scala nazionale-collettiva.
La teoria riguarda gli individui e sostiene che la paura della morte
spinge a sostenere misure autoritarie e tradizionalismi. In Israele, la
prospettiva più o meno plausibile dell’annichilimento dello stato ebraico
proietta su scala collettiva una predisposizione altrimenti ristretta alla
sfera personale.
*****
La posizione di Israele nel mondo si sta facendo ogni giorno più delicata.
La Turchia ha rotto le relazioni diplomatiche per le mancate scuse sull’attacco
sanguinoso alla “Mavi Marmara”, l'ammiraglia della Freedom Flotilla.
L’incursione israeliana che ha causato l’uccisione di cinque soldati egiziani è
stata motivata dall’accusa israeliana all’Egitto di ospitare gruppi
terroristici nel Sinai. Nel 2006 una situazione analoga è sfociata nella guerra
del Libano. Negli Stati Uniti i più accaniti sionisti sono gli esponenti
della Destra cristiana, che sono però quasi tanto antisemiti quanto sono
islamofobi. Khaled Fouad Allam, sociologo ed editorialista
della Repubblica e del Sole 24 Ore, invitato alla manifestazione
“Oriente Occidente”dal Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani è perciò
comprensibilmente preoccupato per la piega che stanno prendendo gli eventi.
Intervistato sul tema “Lo sguardo di Israele e della Palestina di fronte alle
rivolte arabe. Effetti e prospettive”, ha spiegato al folto pubblico presente
che l’unica soluzione alla questione arabo-israeliana è percorrere la strada
della giustizia, ossia la nascita di uno stato palestinese: “se non lo si farà c’è
il rischio di una conflagrazione anche più grande di quella del Novecento. Non
voglio neppure immaginare cosa potrebbe accadere”.
Temo che non esageri. Troppi tabù, troppa pressione psicologica, corde
troppo tese. L’affetto ed il sostegno alla causa ebraica potrebbero convertirsi
in odio e i Palestinesi, loro malgrado, subirebbero la medesima sorte di
Israele.
Esaminiamo la situazione nel suo complesso. Gli Israeliani sono
concentrati in un'area prevalentemente desertica, grande come la
Lombardia, con le spalle al mare ed al muro, ossia un gigantesco ghetto
non-denuclearizzato. La stessa Hannah Arendt era dell’avviso che ammassare
milioni di ebrei in un fazzoletto di terra era una pessima idea.
L’avvocato difensore di Eichmann, Robert Servatius, nell’arringa finale incolpò
tutti i capi di stato (non solo i nazisti e collaborazionisti) per l’Olocausto,
aggiungendo: “L’hanno fatto nel passato e probabilmente lo faranno di nuovo
nel futuro”. Così la vede l’amico Mario Giuliano: “lo stato di
Israele costituisce un immenso lager per diversi milioni di ebrei, costretti a
servire nell'esercito per 2 o 3 anni, a seconda se siano femmine o maschi,
senza che ve ne sia la reale necessità militare. Ed ovviamente questo fatto, di
aver servito nell'esercito, va a pregiudicare la possibilità per tutti quei
cittadini israeliani, di acquisire la cittadinanza di un altro paese. A
questo serve il servizio militare israeliano. Fa parte del sistema-lager”.
Israele è una
nazione molto piccola, poche testate atomiche sarebbero sufficienti per
annientarla. Qualche milione di Arabi (Palestinesi, Libanesi,
Giordani, Siriani, Egiziani, ecc.) morirebbe assieme agli Ebrei.
Chi paventa un Secondo Olocausto per mano iraniana sostiene che Mahmud
Ahmadinejad e i mullah se ne infischiano della sorte di Palestinesi, Giordani e
Libanesi. Ne siamo certi? Dobbiamo veramente credere che possono permettersi di
sterminare milioni di altri musulmani e di produrre una nube radioattiva che
potrebbe raggiungere la Mecca e poi l’Iran stesso? Queste
esternazioni possono solo servire a scatenare una guerra preventiva che rischia
veramente di causare un Secondo Olocausto. Non è certo accidentale che nel
corso della campagna elettorale per le presidenziali sia Sarah Palin sia John
McCain abbiano riproposto la retorica dell’incrollabile intenzione iraniana di
spazzare via Israele con un Secondo Olocausto. Tuttavia Mahmoud
Ahmadinejad si è sempre limitato a dire che il regime occupante è destinato a
scomparire, che i suoi giorni sono contati, ecc. denunciando nel contempo le
atrocità commesse dagli Israeliani nei Territori Occupati. Non ha mai
espresso alcuna intenzione di muovere una guerra suicida agli Israeliani.
In cambio negli anni passati sono affluiti moltissimi “Ebrei” non
particolarmente raccomandabile, gente disposta a tutto, anche a rendersi
responsabile di atrocità a nome di Israele e di tutti gli Ebrei. Molti Ebrei
più moderati e civili sono emigrati, lasciandosi alle spalle una più elevata
densità di aggressività, egoismo, paranoia, narcisismo e brame di dominio sul
prossimo:
Si è anche instaurato un tabù del politicamente corretto contro il pensare
o il parlar male di Israele che sta facendo fremere di sdegno l’opinione
pubblica internazionale, incapace di sfogare le sue emozioni in modo ragionato
e controllato. Questo tabù ha prodotto le condizioni esistenti in una pentola a
pressione. Qualora il sostegno americano ed europeo ad Israele dovesse venir
meno, magari a causa della crisi economico-finanziaria o di un conflitto non
voluto, l’assenza del necessario dibattito spassionato e ragionevole su quel
che avviene in Palestina si ritorcerebbe contro tutti gli Ebrei del mondo,
trasformati ancora una volta nel capro espiatorio dei mali del mondo, come ai
tempi del nazismo. L’immagine da
visualizzare è quella del bacino che si riempie, con le saracinesche chiuse. La
diga fatica a contenere la pressione dell’acqua, poi cede (la corda si spezza),
si verifica un palese, crudele, ipocrita voltafaccia, quando la posizione
israeliana sarà indifendibile (e lo sarà perché nessuno ha richiesto
moderazione in tempi utili, innescando un circolo vizioso). Saranno rimasti in
pochi a protestare se succederà qualcosa ad Israele ed agli Ebrei di tutto il
mondo.
Un blogger si è spinto anche oltre. Non condivido necessariamente la sua
posizione, ma non voglio escluderla in modo categorico: "Israele potrebbe in questa ottica essere il
prossimo detonatore, la prossima Germania Nazista di cui da una parte si
favorisce l' ascesa, ma intanto si prepara l' opinione pubblica a richiedere e
sostenere la sua caduta .. E' solo un' ipotesi ovviamente, che mi viene dalla
semplice lettura "mediatica" ... ma anche il semplice disegno di
unificazione dell' Occidente sotto gli Usa, dovrebbe passare per dinamiche di
questo tipo ... fare esplodere un contrasto ideologico all' interno dell'
Occidente stesso (e l' ideologia religiosa è sempre stato un ottimo veicolo) e
poi porsi ad arbitri della situazione, favoriti dall' opinione pubblica che
intanto si monta in senso contrario ...L' ipotesi, insomma, è che si stia
preparando un progetto a lungo-medio termine, ed Israele in qualche modo ne
sarà il perno”.
Il voltafaccia è già in preparazione: “The only people that would
benefit from this would be the Israeli's and the Saudis... and I think if I was
looking at a counter intelligence operation to decide where this information
came from I'd be very interested to see if I could find an Israeli hand, or
Saudi hand... because in the long run Judge, BOTH ISRAEL AND SAUDI ARABIA
ARE MUCH MORE DANGEROUS ENEMIES THAN THE IRANIANS ARE. The congress is
crazy for war with Iran... listen to senator Graham, and senator McCain and Joe
Lieberman... they are owned by the Israeli's... the Saudi's are very
influential so when you look at these kind of things you have to ask who would
benefit from the war? The Israeli's and the Saudi's would LOVE to see our money
and our young men and women being killed to fight their enemies in Iran”.
Michael
Scheuer, ex CIA, storico alla Georgetown University - 2011-10-13 su Fox News.
A questo proposito, ci si
potrebbe chiedere cosa ci faccia una base americana in territorio israeliano: http://philadelphians.50megs.com/US_IL_base2.html
Serve a proteggere Israele o a controllare l’area, anche a discapito di
Israele?
Cosa succederebbe a Israele se Obama perdesse le prossime elezioni?
La destra fondamentalista
americana odia tradizionalmente gli Ebrei e pregusta l'avvento dell'Armageddon,
in cui gli Ebrei o si faranno cristiani o periranno nello scontro finale tra le
forze del bene e del male. La fondazione
dello stato di Israele nel 1948 ed il controllo ebraico su Gerusalemme inverano
la profezia e preparano l’avvento di Cristo e dell’era messianica in cui i
fedeli godranno dei frutti della società ideale. Mancano la distruzione delle moschee musulmane sulla spianata e la
ricostruzione del Tempio a Gerusalemme. I saggi di Gershom Gorenberg e
Grace Halsell illustrano molto bene la situazione. Questi eventi preannunciano
– sono i pre-requisiti – per la venuta del Primo Messia (sionismo) e per il
Secondo Avvento (cristiani). I cristiani parlano di un Armageddon nucleare,
mentre i sionisti non lo contemplano, né si rendono conto che, stando alle
scritture cristiane, una volta costruito il terzo tempio il loro destino sarà
segnato: convertirsi o scomparire.
In cambio i musulmani si attendono che,
alla fine dei tempi, Gerusalemme sarà la nuova Mecca, ospitando la Ka'ba.
Teniamo a mente che nel 1999 un gruppo di evangelici americani (che si
facevano chiamare “Concerned Christians”) fu arrestato in Israele mentre
cercava il modo di far saltare in aria una moschea ed accelerare la venuta di
Cristo. Azioni analoghe sono state progettate da terroristi sionisti (cf.
Renzo Guolo, “Terra e redenzione. Il fondamentalismo nazionalreligioso in
Israele”, Milano, Guerini, 1997)
Qui maggiori dettagli sul rapporto schizofrenico tra Ebrei e
fondamentalisti cristiani americani:
"The so called unconditional support of Christian Zionists towards the
state of Israel is loaded with self interest to say the least. Their support is
entirely related to the convergence of their end goals with that of the
Zionists i.e, for all Jews to live in Eretz Israel. If the Zionists had chosen
to create a state any where else but Palestine, these Christians would probably
revert back to the same type of religious anti-Semitism that has been common in
Christian history for the past two thousand years. Even now many Christian
Zionists believe that the Anti-Christ will be a Jew and that the vast majority
of Jews will be hurled into the lake of fire upon Christ’s return to be
tormented for all eternity".
CONCLUSIONI
Se avete
amici in Israele il mio consiglio è: sforzatevi di convincerli a trasferirsi
altrove entro l’estate del 2012 o giù di lì. E' ormai il posto più pericoloso
del mondo, assieme a degli ipotetici Stati Uniti post-Obama, in mano alla
destra cristiana antisemita (vi è la fondata possibilità che si verifichi
un’ondata di pogrom o che siano rinchiusi in campi di concentramento).
ALLEGATO A
La Stampa 10/6/2010 - Appello di Alain Elkann: "Gli ebrei
diventino tutti cittadini di Israele"
“Se noi ebrei vogliamo esistere ed essere forti, dobbiamo capire che c’è
uno Stato ebreo di cui Gerusalemme è la capitale”. “I nostri figli nel mondo
intero dovrebbero sentirsi toccati, e diventare soldati in Israele, all’età
richiesta e quando la necessità si fa sentire”. “Tutti gli ebrei
dovrebbero conoscere le stesse paure e le stesse speranze per i loro bambini”. “Gli
ebrei possono non condividere la politica israeliana a condizione che si
considerino come israeliani”. “Senza dubbio la maggioranza degli
ebrei non ha voglia di abbandonare la propria posizione sociale, acquisita
nella Diaspora, e di rinunciare al proprio lavoro, ma devono capire che non
hanno più scelta. Hanno un paese che appartiene loro, e se lo
desiderano possono acquisire la doppia nazionalità. Se un ebreo vuol veramente
diventare un ebreo autentico, deve diventare israeliano”. “I nostri
nemici e i nostri detrattori ci rispetterebbero di più, se fossimo uniti nel
credere che israeliani ed ebrei sono la stessa cosa”. “In quanto popolo
monoteista più antico meritiamo rispetto”. “In Israele c’è uno stato
ebraico basato su principi ebraici. Essere ebrei in Israele non significa
essere una minoranza in un paese sicuro, ma appartenere ad una maggioranza che
affronta delle responsabilità e dei pericoli”. “Non bisogna dimenticare che gli
ebrei sono un popolo del deserto, che Abramo ha lasciato il suo focolare per partire
nel deserto. Allora perché non torneremo alle nostre radici e alle nostre
origini?”. “Dovremmo essere molto fieri, d’avere un paese nostro, e dunque
dovremmo sostenerlo e restare uniti”. “Dio ci benedica”.
C’è o ci fa? Quali sono le reali motivazioni di Alain Elkann? E’ stato
ingannato o inganna?
ALLEGATO B
Il 25 gennaio 2002, 52 riservisti israeliani scrivono una lettera aperta
alla società israeliana, pubblicata su Ha’aretz:
- noi, ufficiali e soldati…ai quali sono stati impartiti ordini che non avevano
nulla a che fare con la sicurezza della nostra nazione ma avevano come unico
scopo quello di perpetuare il nostro controllo sui Palestinesi;
- noi, che abbiamo visto il prezzo di sangue che questo esige da entrambe
le parti;
- noi, che abbiamo creduto che quegli ordini distruggono tutti i valori che
abbiamo assimilato crescendo in questa nazione;
- noi, che ora comprendiamo come il prezzo dell’occupazione è la perdita
del carattere umano delle Forze di Difesa Israeliane e la corruzione
dell’intera società israeliana;
- noi, che sappiamo che quei territori non sono Israele e che tutti gli
insediamenti sono destinati ad essere evacuati, alla fine:
noi, con la presente, dichiariamo che non
intendiamo continuare a combattere questa guerra per gli insediamenti. Non
continueremo a combattere oltre i confini del 1967 per dominare, espellere,
affamare ed umiliare un intero popolo. Dichiariamo altresì che continueremo a
servire nell’esercito israeliano in ogni missione che serva a difendere
Israele. Le missioni di occupazione ed oppressione non hanno questo obiettivo e
non intendiamo prendervi parte.
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