Tutto l’egotismo
svanisce; le correnti dell’Essere Universale circolano attraverso di me; io
sono parte o particella di Dio.
R.W. Emerson, “Natura”
E infatti la
personalità si dissolveva come un grano di sale nel mare; ma nello stesso tempo
il mare infinito sembrava essere contenuto nel granello di sale. Il granello
non poteva più essere localizzato nel tempo e nello spazio. Era in uno stato in
cui il pensiero perdeva la sua direzione e cominciava a girare su se stesso,
come l'ago della bussola nelle vicinanze di un polo magnetico; finché si
sradicava dal suo asse e cominciava a vagare liberamente nello spazio, come un
nodo di luce nella notte; finché sembrava che ogni pensiero e ogni sensazione,
ogni dolore e perfino la gioia fossero soltanto le linee dello spettro dello
stesso raggio di luce, disintegratesi nel prisma della coscienza.
Arthur Koestler, “Buio
a Mezzogiorno”
Sembrava [la
moglie del collega Alfred North Whitehead] tagliata fuori da tutto e da tutti
da muri di agonia ed improvvisamente fui sopraffatto dal senso di solitudine di
ogni anima umana. Da quanto mi ero sposato la mia vita emotiva era stata calma
e superficiale. Mi ero scordato di tutte queste questioni più profonde,
accontentandomi di frivole arguzie. All’improvviso mi sentii mancare il terreno
sotto i piedi e mi trovai altrove…Al termine di quei cinque minuti ero
diventato una persona completamente differente. Per un momento, una sorta di
illuminazione mistica s’impadronì di me. Sentivo di conoscere i pensieri più
intimi di tutte le persone che incontrato per strada ed anche se questo era
indubbiamente un’illusione, mi trovai effettivamente a più stretto contatto con
tutti i miei amici e molte delle mie conoscenze. Da imperialista, in quei
cinque minuti, divenni un sostenitore dei Boeri ed un pacifista. Dopo aver
passato lunghi anni interessandomi solo alla precisione ed all’analisi, mi
ritrovai inondato di sensazioni semi-mistiche riguardanti la bellezza, con un
intenso interesse per i bambini, e con un desiderio quasi altrettanto profondo
di quello del Buddha di trovare una quale filosofia che rendesse tollerabile la
vita umana. Fui preda di una strana eccitazione che conteneva in sé un
dolore intenso ma anche degli elementi di trionfo per via del fatto che riuscivo
a dominare la sofferenza, trasformandola, così credevo, in un cammino di
sapienza. Da allora l’intuizione mistica che immaginavo di possedere si è
annebbiata e l’abitudine all’analisi si è riaffermata. Ma qualcosa di quel che
ho pensato di vedere in quel momento mi è restato dentro, motivando il mio
atteggiamento nei confronti della prima guerra mondiale, il mio interesse per i
bambini, la mia indifferenza per i piccoli inconvenienti ed un certo tono
emotivo in tutte le mie relazioni umane.
Bertrand Russell, “The
autobiography of Bertrand Russell”, vol. 1, London: Allen and UNwin, 1967.
Io sono l'amante
dell'irresistibile ed immortale bellezza
R.W. Emerson,
Nature
Non credo più che
si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza prima aver fatto la nostra
parte dentro di noi. E' l'unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in
noi stessi, non altrove.
Etty Hillesum
I mistici sono
accomunati dall’estensività, ossia la capacità di usare l’empatia per
decentrarsi, spersonalizzarsi, accogliendo nel proprio Io ogni altro pronome
personale. Qui è utile il confronto con uno dei grandi mistici sufi, Mansur
al-Hallaj (858-922), la cui vita ha davvero molto in comune con quella di
Socrate e di Gesù (Massignon, 1975). Al-Hallaj, dopo aver proclamato la propria
consustanzialità con Dio, con il Cosmo e con gli altri esseri umani – al-Haqq,
“Io sono il Reale”, “Io sono la Verità”, “Io sono Dio” – si difese dalle accuse
dei musulmani ortodossi affermando che “Egli è il tutto in tutto e voi dite che
Egli è lontano da me. L’oceano circonfluente non è lontano e non finisce mai”
(Elenjimittam, 2001, p. 420). L’idea di individualità impersonale – o
sentimento oceanico, o coscienza cosmica, o super-anima, o super-coscienza, o
estasi trascendentale, ecc. – è perfettamente espressa da un suo verso: “In
quella gloria non c’è ‘Io’ o ‘Noi’ o ‘Tu’. ‘Io’, ‘Noi’, ‘Tu’ e ‘Lui’ sono la
stessa cosa” (Nicholson, 1914). La natura umana e quella divina si fondono e
mescolano, divenendo indistinguibili: si è totalmente individuati e, al
tempo stesso, totalmente partecipi.
I mistici sono in
grado di espandere i confini del proprio ego fino ad includere dei totali
sconosciuti; una capacità, questa, che sarà gradualmente estesa agli animali ed
alle piante, perché il nostro destino, a giudicare dalle lucidissime intuizioni
dei mistici, è quello di una totale compartecipazione nell'esperienza della
vita sul pianeta e probabilmente nello spazio. Come ha ben illustrato Jiddu
Krishnamurti, la divisione ontologico-categoriale, a partire da quella tra
Soggetto ed Oggetto, è all’origine della nostra bancarotta morale. In pratica il
primo processo necessario allo sviluppo di una coscienza altruistica è la
costruzione di un’identità personale forte. Questo perché le persone che non si
differenziano dal proprio gruppo di riferimento generano tensioni
egocentrizzanti che non solo impediscono il manifestarsi di un altruismo
spontaneo ma fomentano atteggiamenti discriminatori. La separazione dell’io dal
“noi” è dunque più importante di quella dell’io dal “loro” (Jarymowicz,
1993).
È importante
rilevare come l’ottica dell’individualità impersonale caratterizzasse anche
alcune delle vittime più illustri dell'Olocausto e della guerra, come Anna
Frank, Etty Hillesum, Edith Stein e Simone Weil. In tutte loro non si può fare
a meno di notare un sentimento di profonda compartecipazione alle vicende umane
nella loro totalità. Ne scaturisce una comprensione e condivisione universale
che va oltre i confini del tempo, dello spazio e del giudizio morale sulle
motivazioni dei loro stessi carnefici. Umanissime protagoniste della propria e
dell’altrui vita, della propria e dell’altrui storia, queste filosofe della
vita e dell’amore hanno sconfitto il progetto nazista di deumanizzazione
tramite l'irradiamento di un potente narcisismo collettivo ed il sogno
hitleriano di imporre una morale pre-moderna, improntata alla durezza egoista e
virilista ed all’esclusivismo etnico-razziale.
Il loro maggior
merito, a mio parere è stato quello di cogliere il senso più ampio della
sofferenza umana, trasformandolo, esorcizzandolo e cercando di arginare nel
contempo la disistima dei posteri nei confronti della storia e dell’umanità in
generale. In questo senso, l’analisi attenta e perspicace della Shoah fatta da
Primo Levi, sopravvissuto per poi morire suicida, risulta probabilmente
incompleta senza la loro l’idea di redenzione impersonale e di coscienza
cosmica, intese in un’accezione più ampia di quella cattolica. Ma quale
accezione? Il punto di partenza è quello dell'accidentalità dell'Io.
È semplicemente
ridicolo lasciarsi ossessionare dalle proprie radici quando, per quel che ci è
dato di sapere, il nostro luogo e momento di nascita è del tutto casuale. Un mistico
come Eckhart aggiungerebbe che è altrettanto sbagliato ignorare il Sé
Universale per far confluire tutte le nostre energie in quest'io accidentale e
provvisorio che tiranneggia noi e tiene a distanza ciò che ci circonda - tutti
avranno notato come cambiano i nostri movimenti ed atteggiamenti se siamo soli
o se c’è qualcun altro in una stanza, per quanto disinteressato a quel che
facciamo. Per Eckhart solo la morte ci riavvicina alla sorgente originaria
della creazione, che è totalmente impersonale, come nel Buddhismo. In vita,
possiamo intravedere la nostra condizione oltremondana se ci tuffiamo nell’oceano
della supercoscienza, la superanima di Emerson.
È il “sentimento
oceanico” che lo scrittore francese Romain Rolland aveva suggerito al suo amico
Sigmund Freud di investigare metodicamente, descrivendo questa sensazione come
quella di “un’onda in un oceano sconfinato”. Il padre della psicanalisi, però, non
potendolo esperire in prima persona, non riuscì mai a classificarlo e
razionalizzarlo e lo liquidò alla stregua di una sindrome.
Stando alle
descrizioni che ne danno i mistici, tra i quali il già citato Al-Hallaj, si
tratta dello stato mentale che segue la parziale o totale soppressione dell'Io
o comunque il suo confluire nell'oceano del Sé cosmico (o Dio) e la conseguente
sensazione di unità con tutto quello che, in precedenza, si considerava “il
resto”. L’oceano interiore, che è l'habitat dell'individualità impersonale, non
ha nulla a che vedere con il senso di trascinamento e dispersione nelle folle
oceaniche che acclamano i dittatori, se non nel senso che la possibile
esistenza nella nostra specie di un meccanismo innato che ci invita alla
trascendenza può facilitare la psicologia delle folle (Sironneau,
1982). Per tutto il resto questo fenomeno è diametralmente opposto a quello che
mi interessa. Non a caso Emerson amava la solitudine nella natura: “Stando
sul nudo terreno... il gretto egotismo svanisce. Divento un occhio trasparente;
non sono nulla; vedo tutto; le correnti dell’Essere Universale mi attraversano;
sono parte o particella di Dio” ("Nature", 1844). Qui la
trascendenza è intesa come la percezione di essere una parte del tutto, il
quale sarebbe incompleto senza di noi. Esattamente l’opposto di quel che
predicano i totalitarismi, sempre disposti a sacrificare l’individuo a maggior
gloria del corpo politico o razziale.
Leggiamo un'altra
testimonianza preziosa, quella del filosofo francese Pierre Hadot (2008, p. 9):
“Provavo un senso di estraneità, lo stupore e la meraviglia di esserci.
Nello stesso tempo, percepivo di essere immerso nel mondo, di farne parte, e
che il mondo si estendeva dal più piccolo filo d’erba fino alle stelle. Il
mondo mi era presente, intensamente presente. Molto più tardi avrei scoperto
che questa presa di coscienza del mio essere immerso nel mondo, questa
impressione di appartenenza al Tutto, era ciò che Romaine Rolland ha chiamato
il “sentimento oceanico”. […] Solo molto più tardi ho scoperto che molte
persone hanno esperienze analoghe, ma non ne parlano”. Persone come
Plotino, filosofo e mistico neo-platonico che ricavava dalla sua disponibilità
verso il trascendente l’energia e la volontà per rendersi amabilmente e
calorosamente disponibile verso gli altri, sostenendo che “la natura di tutti
gli esseri va accettata con dolcezza” (Hadot, op. cit. p. 91). Hadot chiama
questo atteggiamento “un’aspettativa amorosa nei confronti del mondo” e
riferisce che, secondo Plotino, l’essere umano può raggiungere questa
condizione quando resta immobile e tutte le cose si volgono verso di lui “come
un cerchio si volge verso il centro da cui emanano i raggi”. Questa è un’immagine
che riporta alla mente le pratiche meditative asiatiche ma anche, e piuttosto
sorprendentemente, il precetto dei Desana della Colombia, che rappresentano
il saggio come un uomo ritto in piedi, a fungere da asse cosmico: “Raggiungere
questo stato di riflessione, stabilizzazione ed equilibrio è l’ideale degli
uomini Desana perché solo allora incontra la sicurezza data dalla comprensione
della religione e della sua funzione nella vita della società”. (Sullivan,
1988: p. 382).
E non è ancor più
affascinante riscoprire la medesima immagine nei Vangeli e nel “Paradiso
Riconquistato” di John Milton?
Una differenza non
marginale tra l’antropologia desana e l’antropologia perenne (cf. “filosofia
perenne”, Aldous Huxley) per come ha preso forma nel Vecchio Mondo risiede nel
fatto che la mistica a noi più familiare è una mistica dell’accoglienza,
dell’appartenenza alla comunità umana (koinomia) ed include l’intera
specie umana, mentre quella dei nativi americani è più localizzata, per via del
relativo isolamento delle tribù indigene rispetto al resto del mondo. Detto
questo, è assai probabile che gli sciamani indigeni provino il medesimo “sentimento
di coappartenenza essenziale” con l’universo circostante e condividerebbero
la descrizione plotiniana di “un’immersione, dilatazione dell’io in un Altro al
quale l’io non è estraneo, poiché ne costituisce una parte” (Hadot, 2008, p.
12). Come per i Giusti, anche se in una forma estremamente più intensa,
si verifica un’espansione di sé (io trascendentale) a
contenere il mondo circostante, verso l’infinito. Hadot, in sintonia con Simone
Weil, che però non cita, suggerisce che non vi possa essere un’autentica
preoccupazione per gli altri senza l’oblio del sé (Hadot, ibid., p. 147).
Di nuovo il tema dell’individualità impersonale. Vediamo altre citazioni. “Tutto
ciò che mi circondava sembrò essersi all’improvviso ritrovato dentro di me. L’universo
intero pareva dimorare in me” (Forrest Reid, cf. Hulin 2000, p. 47).
“Le frontiere tra il mio corpo e il mondo svanivano o, piuttosto, parevano
non essere state altro che un’allucinazione della mia ragione che si scioglieva
al fuoco dell’evidenza” (ibid., p. 50). “Ero in tutto ciò che è stato,
che fu e che sarà; ora mi rendo conto che l’uomo è la misura dello spazio e del
tempo, niente esiste prima o dopo, ma tutto è presente simultaneamente” (p.
52). “Io sono una particella dell’universo. L’universo è felice in me”
(p. 84). “Sento dentro di me e attorno a me una solleticante infinita
rispondenza” (p. 88). La testimonianza di un giovane psichiatra che si
prestò a fare la cavia in un esperimento clinico sugli effetti dell’LSD ci
riporta all’universo morale dei Giusti. Parla della “essenziale bontà presente
in ogni individuo” e di una “vasta unità amichevole, calda, protettrice”: “La
mia sensazione era che, una volta spogliati delle difese e di tutti i detriti
che, per così dire, accumulano nel corso della loro esistenza, gli uomini
risultano fondamentalmente fratelli. […]. Mi sembrava che tutti fossero miei
amici o, almeno, lo sarebbero stati se avessero potuto spogliarsi delle
armature e ridursi al loro nucleo essenziale. […] Questa verità sembrava
comunicarmi che in un certo qual modo, un filo, o un pensiero o un legame
qualunque collega le nostre persone o, se si vuole, le nostre anime”
(p. 116). L’agape, l’amore puro; evocato da Vito Mancuso per onorare un soldato
tedesco che si lasciò fucilare assieme a dei civili jugoslavi dopo essersi
rifiutato di partecipare al plotone di esecuzione che li doveva massacrare come
rappresaglia per l’uccisione di alcuni soldati tedeschi da parte dei partigiani
(Mancuso, 2008). Lo stato di perfezione dell’essere umano che, per parafrasare
Weil, non può fare a meno di amare, come lo smeraldo non può cessare di
essere verde. Una persona che si disidentifica, preparata ad assumere una,
nessuna, centomila identità e personalità diverse, senza lasciarsi
tiranneggiare dalla sua identità convenzionale. L’impersonalità, o
infinitezza, è il segreto per una socialità nella sua forma più alta, per un’umanità
possibile: interconnessa e corale, indivisa e completa, compassionevole,
equanime e libera. Non le identificazioni totemiche della nazione, del partito,
della squadra, dell’etnia o della religione, non l’idolatria tribale dell’amor
patrio e dell’amore per un dio creato a propria immagine e somiglianza e non
vice versa. Non queste false promesse di immortalità, ma l’abolizione delle
stesse. Un’individualità di prima mano, autentica, auto-determinata, decentrata
e decreata, non frammentata né soggiogata, prestata, o affidata ad un guru, ad
un leader, ad un padre spirituale, alla cieca collettività di un gregge di
fedeli, con le relative delimitazioni tra credenti e non credenti ed il codazzo
di sospetti, sfiducia, paura, odio, violenza. Un’individualità i cui contorni
sono posti in risalto proprio da un vuoto inatteso, causato dall’assenza di
considerazioni personali dettate da superficialità, vanità, arroganza,
narcisismo e complessi di inferiorità. Questa è la radicale rivoluzione dello
spirito che si dovrà intraprendere nel Mondo Nuovo ed è l’unica che può
funzionare, perché tutte le altre sono state tentate ed hanno evidentemente e
miseramente fallito.
L’albero che volle farsi artigiano e l’artigiano che sciolse le sue catene
L’albero che volle farsi artigiano e l’artigiano che sciolse le sue catene