Non siamo soli ad
affrontare l'avventura,
perché gli eroi di tutte le epoche ci hanno preceduti. Il labirinto non ha più
segreti. Dobbiamo semplicemente seguire il filo lungo il percorso dell’eroe, e
dove pensavamo di incontrare un mostro, troveremo un dio. Dove pensavamo di
uccidere altri, uccideremo noi stessi. Dove pensavamo di dover cercare
all’esterno, ci ritroveremo invece al centro della nostra esistenza. E dove
avevamo pensato di essere soli, avremo tutto il mondo al nostro fianco.
Joseph Campbell, “L’eroe
dai mille volti”
L’unico che mito che vale
la pena di prendere in considerazione nell’immediato futuro è quello che parla
del pianeta…e di tutti quelli che ci stanno sopra
Joseph Campbell
A un giovane indiano
d’America
venne dato questo consiglio
nel momento
dell’iniziazione:
“Camminando sul sentiero
della vita
un grande abisso taglierà
la tua strada.
Salta. È meno ampio di quel
che credi”.
Joseph Campbell,
“Riflessioni sull’arte di vivere”
Il nostro spettacolo è
finito. Questi nostri attori,
come ti avevo detto, erano
tutti spiriti
e si sono dissolti
nell’aria, nell’aria sottile.
E, come l’edificio senza
fondamenta di questa visione,
le torri ricoperte dalle
nubi, i palazzi sontuosi,
i templi solenni, questo
stesso vasto globo, sì,
e quello che contiene,
tutto si dissolverà.
Come la scena priva di
sostanza ora svanita
tutto svanirà senza
lasciare traccia.
Noi siamo della materia di
cui sono fatti i sogni;
e la nostra piccola vita è
circondata da un sonno.
Prospero, “La Tempesta”
(William Shakespeare)
Viviamo in un corpo e
questo corpo plasma e limita la nostra comprensione della realtà. A volte siamo
costretti ad usare metafore, altre volte sono gli archetipi che ricapitolano
universi di significato troppo estesi per essere metabolizzati dalle nostre
menti. Lost è un’epopea e, come ogni mito, la sua funzione è quella di
fungere da specchio rivelando a noi stessi quel che c’è dentro di noi
(“conosci te stesso”, ci esorta l’Oracolo di Delfi), catapultandoci in
un’esperienza eroica, nel labirinto. L’isola di Lost è un universo tascabile,
una metafora della creazione ed i sopravvissuti imparano con il tempo che le
risposte a tutte le loro domande erano già dentro di loro e che tutto ciò che
eleva, e che si eleva, converge.
L’isola richiede
equilibrio. C’è una qualche forza che per qualche ragione opera in modo tale da
mantenere tutto in equilibrio. L’equilibrio sembra essere raggiunto solo
attraverso uno scontro tra elementi contrapposti, tra prospettive sul mondo
contrarie. Il conflitto tra le consorterie è armonico, è equilibrio, è la
fusione delle polarità, la coincidentia oppositorum.
L’isola non è né buona né
cattiva, è quello che è: sono le persone che la rendono paradisiaca o
infernale, sono le persone che si salvano e si dannano. Forse non è che pretende
equilibrio, è che è essa stessa equilibrio, equilibrio tra luce ed oscurità,
nascita e decesso, individuo e gruppo, scienza e fede, in un incessante
mutamento, bilanciato. Insomma, non è consapevole, o almeno non lo è
pienamente.
Lost vive di strutture
narrative che compaiono nelle mitologie di tutto il mondo. I suoi protagonisti
sono anche i protagonisti del viaggio dell’eroe come viene descritto da Joseph
Campbell nel suo “L'eroe dai mille volti” (The Hero With a
Thousand Faces, 1973). Specchi, caverne, cunicoli, mostri, duelli, ombre,
doppelgänger, acque catartiche, magnetismi trasformatori, trascendenza di
spazio e tempo, semidèi, dimensioni parallele, prove iniziatiche: ci sono
proprio tutti gli ingredienti del mito.
Un po’ come Solaris,
l’isola sembra avere la capacità di usare le emozioni e i ricordi dei suoi
residenti per cristallizzare i loro desideri, sogni, paure ed incubi
Jacob è l’equivalente maschile
delle tessitrici del fato, le Norne (nordiche), Moire (greche), Parche
(romane): i nostri eroi fanno delle scelte e queste scelte sono i fili dai
quali prende forma l’intreccio delle loro esistenze sull’isola e al di fuori
dell’isola. Kate e Desmond imparano a non scappare, Claire
accetta la responsabilità della maternità, Sawyer smette di odiarsi, Richard
smette di sentirsi un dannato, Miles scopre la ragione delle scelte
paterne, Sun e Jin imparano a non mentire e a fidarsi l’uno
dell’altra. Jack accetta di lasciare che altri decidano cosa sia meglio
per tutti e anche per lui, si toglie gli abiti del pastore (Shephard/shepherd)
e lascia che il gregge diventi adulto e gli insegni quel che non ha ancora
imparato. Ad esempio la sua ipocrisia e corruzione morale quando esclama: “non
siamo dei selvaggi!” per poi dimostrarsi violento, maniaco del controllo,
pronto ad autorizzare la tortura ai danni di un compagno di sventura per poi
dare la colpa a quest’ultimo: “la scelta è stata di Sawyer, non mia”.
La contrapposizione tra Jack e Sawyer, causata principalmente
dalle differenze di temperamento (sembrano l’uno il doppio dell’altro: Geova
e Satana) e dalla rivalità amorosa, insegnerà a tutti e due come si sta
al mondo, dopo aver compreso che nessuno dei due è l’uomo che pensava di
essere. Eko, oberato dal peso della colpa per la morte del fratello e
per il massacro nella chiesa, desidera non esistere più in un mondo in cui non
può tornare indietro e cancellare le proprie malefatte: Fumo Nero se lo
mangia e pone fine alle sue pene. Locke e Sayid (forse i due
personaggi più interessanti?) soccombono sotto il peso delle loro debolezze. Benjamin
Linus comincia a redimersi solo nel buio più profondo, quando il suo
orgoglio ferito e la sua superbia lo spingono all’omicidio. Jacob viene
ucciso da Ben, ma solo così, ossia con la sua morte, prende forma il mondo da
lui auspicato, una società in cui le persone non seguono un pastore, ma
ragionano coralmente su cosa si debba fare. L’Uomo in Nero, manipolando
e massacrando le persone per poter fuggire e dominare il mondo esterno, insegna
ai superstiti che è sbagliato offrire empatia a qualcuno che non ne ha, non sa
cos’è e non sa cosa farsene. L’unico dovere è quello di resistere e di
ostacolarlo. Jacob, con l’aiuto del suo gemello “malvagio”, l’Uomo in Nero, non
dimostra che c’è del bene nelle persone o che gli esseri umani sono
essenzialmente buoni – non era questo il suo obiettivo – ma piuttosto che
esiste il libero arbitrio, cioè che le persone possono scegliere.
Uomo in Nero a Jacob: “Come
hanno fatto a trovare l'isola?”
Jacob: “Dovrai
chiederglielo quando arriveranno qui”
UiN: “Non devo chiedere. Li
hai portati tu qui. Stai ancora cercando di dimostrarmi che ho torto, vero?”
Jacob: “Tu hai torto”
UiN: “Ah sì? Arrivano,
combattono, distruggono, corrompono. Finisce sempre allo stesso modo”.
Jacob: “Finisce solo una
volta. Tutto quello che accade prima è solo progresso”.
Le persone che nella
dimensione parallela non sono precipitate sono tutte segnate dal rimorso di aver
compiuto delle scelte sbagliate e sono meno accattivanti degli originali, così
complicati, contradditori, sofferenti, irritanti, esasperanti perché sono i
principali responsabili del loro dolore e non ne sono coscienti.
Lost è anche la storia di
come dei figli di padri incapaci o terribili riescono a superare il loro
trauma, uscire dall’ombra del padre, emanciparsi, maturare e diventare dei
bravi genitori. Una storia di amori e sacrifici, di perdite e di ritrovamenti,
di cadute e redenzioni, vergogna, colpa, speranza. Una storia istruttiva,
perché ci mostra che bene e male non sono tratti costitutivi delle persone ma
il risultato di un buono o cattivo uso della facoltà empatica, della
compassione, il fondamento della nostra esperienza morale.
Esaminiamo il comportamento
dei superstiti, valutiamo le opportunità di scelta che hanno avuto, le loro
motivazioni, le emozioni e le forze che li fanno propendere per un tipo di
azione piuttosto che un altro. Di che cosa ci rendiamo conto? Che chi si sente
malvagio è meno cattivo di altri e che gli Altri si considerano buoni anche se
torturano, rapiscono, uccidono, ingannano, conducono esperimenti umani, ecc.
Impariamo anche che nei
miti non ci sono cattivi, ci sono solo cospiratori, ossia agenti del fato che,
inconsapevolmente, compongono quegli scenari che permetteranno all’eroe di
compiere la sua impresa, superando le prove che testano la sua maturità morale
e spirituale. Ma se non ci sono i cattivi o, per meglio dire, se i
cattivi sono tanto utili quanto i buoni, se non di più, allora non ha più
senso tifare per l’uno o l’altro schieramento: tutto è una scuola di vita,
tutti sono degli insegnanti, anche loro malgrado. Un insegnamento che non
riusciamo a trarre dai fatti quotidiani ma è più facile assimilare attraverso
una storia che ci emoziona.
Una storia come quella di
Lost, o come la Tempesta di Shakespeare. In entrambe le
narrazioni le vicende si svolgono su un’isola di bisbigli [“Be not afeard; the
isle is full of noises”], dopo un naufragio/incidente aereo, i superstiti sono
divisi in gruppi, senza che gli uni sappiano che gli altri sono ancora vivi.
Jacob corrisponde abbastanza bene a Prospero – tutti e due credono che
l’insegnamento possa aiutare le persone volonterose a migliorarsi e riscattarsi
–, Desmond ha poteri soprannaturali come quelli di Ariel. Calibano potrebbe
essere l’equivalente dell’Uomo in Nero.
Prospero è saggio e
benevolo, ma sa essere severo. Alla fine rinuncia alla magia. Non cerca
vendetta ma la redenzione per chi l’ha offeso e bandito, per chi ha commesso un
enorme torto. I protagonisti devono superare delle prove di carattere che
determineranno la loro integrità morale. Se falliranno saranno persi, se le
supereranno saranno redenti. L’Uomo in Nero manipola Benjamin Linus in modo
da indurlo ad uccidere Jacob, proprio come Calibano insinua nelle menti di
Stefano e di Trinculo l’idea di uccidere Prospero per assumerne i poteri.
Ferdinando e Miranda giocano a
scacchi. John Locke trova sulla spiaggia un backgammon e spiega a
Walt che è un gioco migliore della dama: “Due giocatori, uno contro l’altro:
la luce e l’oscurità”.
Prospero fa le sue mosse,
muove i suoi pezzi, esattamente come l’Uomo in Nero e Jacob.
In Lost è in palio la
definizione della natura umana. UiN pensa che sia irrimediabilmente corrotta,
Jacob crede che possa apprendere dai propri errori e, alla lunga, caduta dopo
caduta, riscattarsi: “voglio che si aiutino a capire la differenza tra
giusto e sbagliato senza che sia io a dovergliela spiegare”.
Desmond è come Ulisse, un’inversione
di Ulisse, che resta fermo ad Itaca. È più scaltro che coraggioso. Continua a
rinunciare ad affrontare le sfide, pur essendo molto curioso. Come Ulisse, una
volta liberatosi dalla vecchia “persona”, si ritrova nudo nell’isola, con il
potenziale di un superuomo. Penny (Penelope) è evidentemente la Penelope
di Odisseo che però, invece di restare a casa ad attenderlo, lo cerca per i
sette mari. Chi resta fermo, in attesa, tessendo una narrazione
apparentemente senza fine, come l’omerica Penelope, è invece Jacob.
Nella Tempesta Antonio e
Alonso abbandonano in mare Prospero e la figlia Miranda, condannandoli ad una
morte orribile, però l’Isola salva i due derelitti ed offre loro l’opportunità
di rivalersi e soprattutto di insegnare una lezione esistenziale ai due
criminali. Alonso si pente sinceramente. Antonio no, ma viene perdonato
ugualmente [… “I do forgive thee, Unnatural though thou art”].
I protagonisti di Lost,
quelli “eletti”, prendono coscienza del più autentico significato di giustizia,
dignità, coscienza, crescita verso la conoscenza di sé.
LA DIFFERENZA TRA I DUE
NUMI DELL’ISOLA
L’UOMO IN NERO: il
suo metodo è quello di scoprire ciò in cui la vittima ha un investimento
emozionale e sfruttarlo. La quintessenza della tentazione. È un angelo caduto.
Un tempo creatura meravigliosa, ora interamente auto-referenziata: l’intero
universo deve ruotare attorno a lui ed ai suoi bisogni. Disprezza
l’umanità perché è caduta ancora più in basso di lui e perché non ha potere, è
inerme, vulnerabile, manipolabile, indottrinabile. Ritiene che gli umani siano
comunque condannati ad essere avidi, aggressivi, corrotti e distruttori. Tutti
quanti, senza eccezioni: tutti uguali e tutti eternamente dannati (altrimenti
come potrebbe sfruttarli?). È ostile al libero arbitrio e cerca di piegarlo ai
suoi scopi, pur non potendo apertamente violarlo. Seleziona le paure in modo da
dire a ciascuno ciò che vuole sentirsi dire, non ciò che è vero o giusto dire.
È fatalista e determinista, un cinico riduzionista e materialista. Il fatalismo
genera orgoglio ed apatia: se uno è comunque destinato al peccato, che senso ha
impegnarsi per essere salvato? Non crede al progresso spirituale, essendo
convinto che tutto rimanga sempre uguale. L’unica cosa che conta per lui è il
potere sugli altri e la libertà di esprimerlo a suo piacimento. Si circonda di
pecore impaurite che minaccia: obbedite o morite. La società che costruisce è
un branco, sempre sulla difensiva o all’attacco, una comunità chiusa, che si
sente assediata. Usa miracoli, misteri, potere e menzogne per guadagnarsi
l’ammirazione intimidita della gente e poi governarla. Li convince che la
libertà è una condanna alla sconfitta, alla disperazione. Se offre scelte, è
solo per punire chi sceglie male e non si dimostra all’altezza di essere un suo
servitore. Ama il potere, il controllo, lo brama, perché gli consente di
ottenere ciò che vuole in ogni modo possibile, ad ogni costo. È brillante ma
usa le sue capacità per servire se stesso a discapito degli altri. Se qualche
beneficio percola, è solo perché ha bisogno di servitori e li controlla con dei
contentini. Si ritiene speciale, se ne frega di ciò che pensano gli altri e
perciò non sa e non può perdonare. Si circonda di figure manipolatorie, infide,
egoiste ed avide perché sono mezzi in vista di un fine. Non potrà mai avere
amici perché il resto dell’universo è solo uno strumento, per lui.
È un povero diavolo.
JACOB: rivolge a Benjamin Linus, che sta per ucciderlo, le seguenti parole: “qualunque
cosa ti abbia detto voglio che tu capisca una cosa: hai sempre una scelta”.
Crede che l’umanità abbia in sé il potenziale per evolvere, per diventare
autenticamente, spiritualmente umana. Concede sempre una scelta, valorizza il
consenso informato. Non convince con i miracoli o con il pugno di ferro, anche
se è potentissimo. È un maestro compassionevole e fiducioso. Ci tiene
all’umanità, è antropologicamente ottimista e premuroso: gli esseri umani
possono e debbono scegliere autonomamente la retta via. Offre salvezza a chi è
disponibile a guadagnarsela, gli altri debbono comunque restare liberi di agire
diversamente. È trasparente, non ha secondi fini, è disposto a morire pur di
non tradire la fiducia del prossimo, per amore. C’è progresso ogni volta che
qualcuno ce la fa, l’importante è che la mano non sia forzata, che non ci sia
interferenza. Ciascuno deve capire da solo cosa sia giusto fare, non può essere
portato per mano alla giusta destinazione, altrimenti non c’è alcuna condotta
virtuosa. Fare la cosa giusta non vuol dire essere premiati all’istante. Non
c’è nessuno che fa il tifo, ringrazia e distribuisce onorificenze. C’è sempre
qualcosa di prezioso e speciale nell’atto di chi fa la scelta giusta senza che
gli si dica cosa è meglio fare. Sono le scelte che uno fa che rivelano la sua
indole, non le cose che gli capitano. Anche il Cristo, antropologicamente
ottimista, crede nella capacità di ciascuno di seguire un percorso di
redenzione personale, per questo offre una scelta, senza perciò aspettarsi che
tutti vadano con lui.
Nessun commento:
Posta un commento