So che la maggior parte degli
uomini, compresi coloro che hanno dimestichezza con problemi della più grande
complessità, raramente riesce ad accettare la verità più semplice e ovvia, se
questa li costringe ad ammettere la falsità delle conclusioni che essi hanno
orgogliosamente insegnato ad altri e che hanno intessuto, un filo dopo l'altro,
nell’ordito della propria vita.
Tolstoj, “Che cos'è l'arte?”,
1897
Che la pace sia un valore è
cosa che nessuno discute (anche i folli e i fanatici, a modo loro, vogliono la
pace), ma non bisogna confonderla con la resa. Chi vuole la pace con Hitler,
meriterebbe appunto di averla, e di godersela sino in fondo. Col male politico
non si viene a patti, e pur di estirparlo è sensato pagare anche un alto prezzo
di sofferenza. Il punto essenziale è che non si creda di lottare per il bene,
se no si dà immediatamente ragione all'avversario: è appunto perché è buono che
ci uccide. Non esiste la guerra del bene contro il male. Esiste la guerra del
bene assoluto e del male minore. Cioè, ormai dovrebbe essere chiaro, del male
assoluto e del male minore. Non bisogna lottare per la verità, ma per
l'incertezza. Per il tentativo. Per l'esperimento. Per l'avventura. Per la
fallibilità. Dunque per la libertà, purché sia una libertà che non si realizza
mai, e dunque che non è duratura in nessuna della sue singole forme. Non
bisogna lottare per nulla che sia infinito ed eterno: queste armi lasciamole
all'avversario. Non bisogna lottare per essere perfettamente buoni, ma per
essere moderatamente, tollerabilmente, umanamente cattivi. Non c'è diritto più
grande ed irrinunciabile di quello all'imperfezione: perché è il diritto alla
perfettibilità.
Luigi Alfieri, “Riflessioni
sul male politico (a partire dall'11 settembre)”, in Dialoghi, anno II, n. 1,
2002, pp. 46-55.
Già da un po' di tempo ho
espresso il mio parere che il 2012 sarà l'anno in cui le rivolte cominceranno a
prendere una piega rivoluzionaria, specialmente in seguito all'attacco
preventivo israeliano all'Iran. Perciò mi aspetto che il 2013 ed il 2014 siano
anni Rivoluzionari con la maiuscola.
Ciò detto, per chi non conosce
il mio pensiero, è bene specificare che sono recisamente contrario alla
violenza aggressiva (chi dovrebbe desiderare di fare del male a qualcun
altro?), ma anche alla nonviolenza e pacifismo, che ostacolano l’indispensabile
autodifesa ed il ristabilimento della libertà e della giustizia (quando ce vo'
ce vo'):
Sospetto però che le
rivoluzioni facciano il gioco dei potentati e che quindi andrebbero evitate, se
possibile. Gli scioperi di massa (una forma di violenza molto limitata e
dignitosa) dovrebbero essere sufficienti a cambiare le cose (es. nell’epica
sumera gli umani si ribellano al loro asservimento agli dèi gettando a terra
gli attrezzi da lavoro – gli dèi sono ricondotti a più miti consigli).
Temo però che sia utopistico
sperare nell’autocontrollo delle folle e, soprattutto, nel buon senso dei
potenti dei nostri tempi; quindi è bene prepararsi ad un nuovo 1848:
Per questo è meglio fare una
ripassatina di alcuni fatti storici.
Movimenti rivoluzionari
sfociati in regimi tirannici: 1642 in Inghilterra (Cromwell), 1789 in Francia
(Robespierre e Napoleone), 1848 in Francia (Napoleone III), 1917 in Russia
(Lenin e Stalin), 1919 in Italia (biennio rosso - Mussolini), 1930 in Germania
(Hitler), 2011 in Egitto, 2012 negli Stati Uniti?
La Rivoluzione del 2012 sfocerà
anch’essa nel Terrore (perché conviene a chi intende instaurare un Nuovo Ordine
patentemente anti-democratico),
ma si può cercare di
interferire o magari addirittura interrompere questo genere di degenerazione.
La storia ci insegna quali sono i leader che faranno il gioco del Potere.
Finché essi vivono non è
possibile che vi liberiate dal timore umano…Non lasciatevi atterrire, dio è con
voi.
Thomas Müntzer (1794 – 1525)
Se la forza del governo popolare
in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di
rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù, senza la quale il
terrore è cosa funesta; il terrore, senza il quale la virtù è impotente. Il
terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è
dunque una emanazione della virtù. È molto meno un principio contingente, che
non una conseguenza del principio generale della democrazia applicata ai
bisogni più pressanti della patria. […]. Punire gli oppressori dell’umanità:
questa è clemenza. Perdonare loro sarebbe barbarie. Il rigore dei tiranni ha
come fondamento soltanto il rigore: quello del governo repubblicano ha invece
come sua base la beneficenza.
Maximilien Robespierre, “Sui
principi di morale politica”, 5 febbraio 1794.
I popoli non giudicano come le
corti giudiziarie, non emettono sentenze: lanciano la loro folgore; non
condannano i re: li piombano nel nulla… quale altra legge può seguire il popolo
se non quella della giustizia e della ragione sostenute dalla sua onnipotenza?
Maximilien Robespierre, “Discorso
per la condanna a morte di Luigi Capeto”, 3 dicembre 1792.
Io ho sostenuto, tra
persecuzioni incredibili e senza appoggi, che il popolo non ha mai torto, io ho
osato proclamare questa verità in un tempo in cui non era ancora riconosciuta;
il corso della rivoluzione l’ha dimostrato.
Maximilien Robespierre, 25
febbraio 1793
Se la forza del governo
popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di
rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù, senza la quale il
terrore è cosa funesta; il terrore, senza il quale la virtù è impotente. Il
terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile…Sparta brilla
come un punto luminoso in tenebre sterminate.
Robespierre, “Sui rapporti tra
le idee religiose e morali e i principi repubblicani”, 7 maggio 1794
Il fine della rivoluzione è il
trionfo dell’Innocenza.
Robespierre
Questa nostra Rivoluzione è
una religione e Robespierre è il capo della setta. È un prete che governa i
devoti…Robespierre predica, Robespierre censura, è furioso, solenne,
melanconico, esaltato – ma tutto freddamente; i suoi pensiero fluiscono con
regolarità, le sue abitudini sono regolari; tuona contro i ricchi e i grandi;
vive con molto poco; non ha bisogni. Ha una sola missione – parlare, e parla
incessantemente; crea discepoli…parla di Dio e della Provvidenza; si definisce
amico degli umili e dei deboli…riceve la loro venerazione…è un prete e non sarà
mai altro che un prete.
Condorcet (1743 –1794) su
Robespierre, articolo apparso su Chronique de Paris
Voi dovete punire non solo i
traditori, ma anche gli indifferenti; dovete punire chiunque sia apatico nella
Repubblica e non faccia nulla per essa; giacché, dopo che il popolo ha
manifestato la sua volontà, tutto ciò che si oppone ad essa si pone fuori del
popolo sovrano, e tutto ciò che è fuori del popolo sovrano è nemico.
Saint-Just, “Sulla necessità
di dichiarare il governo rivoluzionario fino alla pace”, 10 ottobre 1793
ART. 1 “gli stranieri, sudditi
dei governi con i quali la Repubblica è in guerra, saranno detenuti fino alla
pace” – ART. 2 “Le donne, unite in matrimonio con dei francesi prima del 18 del
corrente mese, non sono comprese nella presente legge, a meno che non siano
sospette o mogli di sospetti” – ART. 10 “Il comitato di Salute Pubblica è
egualmente autorizzato a trattenere in requisizione permanente tutti gli ex
nobili e gli stranieri che crederà utile adibire ai lavori pubblici” – ART. 23 “Tutti
gli oziosi, che saranno riconosciuti colpevoli di essersi lagnati della
Rivoluzione, che non abbiano compiuto i sessant’anni e che non siano infermi,
saranno deportati alla Guyana”.
Saint-Just, articoli proposti
alla Convenzione.
[Il decreto del 6 settembre
1793 sospende l’ospitalità pubblica ed espelle gli stranieri nati nei paesi con
cui la Francia è in guerra, perché considerati serpi in seno. Lo stesso farà
Petain nei confronti degli Ebrei al tempo di Vichy. Gli stranieri “degni” di
restare devono ottenere un certificato di ospitalità attraverso un garante e si
suggerisce di costringerli ad indossare un bracciale tricolore con la scritta “ospitalità”,
proposta terribilmente anticipatrice delle perversioni naziste, ma che
fortunatamente non viene accettata].
La rivoluzione deve fermarsi
quando abbia raggiunto la perfezione della felicità e della libertà pubblica
per mezzo delle leggi. I suoi slanci non hanno altro scopo, e devono spazzar
via tutto ciò che vi si oppone.
Saint-Just, “Frammenti sulle
istituzioni repubblicane”, 1794
Perché allora non ricorriamo
ai detenuti nobili ordinando loro di compiere ogni giorno questi lavori di
riassetto delle grandi strade?
Saint-Just, 1794
Occorre obbligare ogni
cittadino a collaborare all’attività nazionale…non abbiamo forse navi da
costruire, officine da migliorare, terre da bonificare?
Saint-Just, 1794
Quello che costituisce una
Repubblica è la distruzione di tutto ciò che la contraria.
Saint-Just
Noi faremo un cimitero della
Francia, piuttosto che non rigenerarla a nostro modo.
Jean-Baptiste Carrier (1756 –
1794)
Molti dei Francesi che ci
avevano appoggiato ci guardavano come dei pazzi, come degli energumeni, spesso
persino come degli scellerati.
René Levasseur de la Sarthe,
giacobino, 1795.
Bisogna affermare
apertamente, intendo in senso politico, e non in termini strettamente
giuridici, il principio che motiva l’essenza e la giustezza del terrore, la sua
necessità, i suoi limiti. Il tribunale non deve sopprimere il terrore, dirlo
equivarrebbe a mentirsi o a mentire, ma dargli un fondamento, legalizzarlo in
base a dei principi, con chiarezza, senza barare o nascondere la verità. La
formulazione deve essere il più aperta possibile, perché solo la coscienza
legale rivoluzionaria e la coscienza rivoluzionaria creano le condizioni per
applicarlo nei fatti.
V.I. Lenin al commissario del
popolo per la giustizia D.I. Kurskij, 17 maggio 1922.
L'odio come fattore di lotta -
l'odio intransigente contro il nemico - che spinge oltre i limiti naturali
dell'essere umano e lo trasforma in una reale, violenta, selettiva e fredda
macchina per uccidere. I nostri soldati devono essere così, Un popolo senza
odio non può vincere un nemico brutale. Bisogna portare la guerra nei luoghi
del nemico: a casa sua, dove si diverte. Renderla totale. Bisogna impedirgli di
avere un solo istante di respiro, un minuto di sosta, fuori e persino dentro le
sue caserme: attaccarlo dovunque sia. Farlo sentire una bestia braccata
dovunque vada. […]. E dovunque ci sorprenda la morte, sia benvenuta, purché il
nostro grido di guerra raggiunga chi è pronto a raccoglierlo e un'altra mano si
tenda ad impugnare le nostre armi e altri uomini si preparino a intonare canti
di lutto con il tambureggiare delle mitragliatrici e nuovi gridi di guerra e di
vittoria.
Messaggio di Ernesto Che
Guevara per la rivista Tricontinental (16 aprile del 1967), considerato il suo
testamento politico.
La rivoluzione francese mi ha
influenzato molto e in special modo Robespierre…Robespierre è il mio eroe.
Robespierre e Pol Pot: entrambi hanno la medesima qualità di determinazione ed
integrità.
Suong Sikoeun, uno dei leader
dei Khmer Rossi (1975-1979)
Il problema non è il terrore
in quanto tale, il nostro compito è precisamente quello di reinventare il
terrore emancipatore.
Slavoj Zizek, “In difesa delle
cause perse: materiali per la rivoluzione globale”, 2009.
Etichette come “terrorista”
sono quelle che una cultura corrotta e decadente usa per designare quelle che
persone che cercano di combattere il vero male nel mondo. Ben desiderava
colpire tutto ciò che sta lentamente soffocando questo mondo e ha fatto
qualcosa di prematuro, non autorizzato. Ma far saltare quel treno era
sbagliato? No. stava combattendo il male con tutto il cuore.
Sorella Clarice Willow, “Caprica”
(2010)
Altrettanto mortiferi sono i
leader rivoluzionari che non sanno difendere la rivoluzione e la democrazia
dalle mostruosità immorali appena elencate e dai rivoluzionari più prosaici,
quelli falsi, privi di principi morali, irresponsabili, intringanti, parassiti
della politica, delinquenti e terroristi, cinici ed arrivisti, quelli che
detestano gli uomini di valore perché mettono in risalto la loro pochezza, l’insignificanza
della loro persona e la miseria della loro personalità.
Tra i leader rivoluzionari
inadeguati per eccesso di idealismo e mitezza, un esempio per tutti è
Alexander Kerenksij: “un uomo onesto, sincero e pronto a dare la vita per il
suo Paese. Ma che non sa assolutamente niente dell’arte del governo e immagina
di fare grandi cose quando elabora sulla carta piani per l’abolizione della
pena di morte in tempi di guerra e di rivoluzione. Aborrisce forza, violenza e
crudeltà e pensa davvero che sia possibile esercitare il potere con parole
gentili e sentimenti elevati. Più di ogni altra cosa sembra compiacersi della
sua purezza, umanità e idealismo. Un uomo buono, ma un cattivo leader, di fatto
il tipo perfetto dell’intelletto russo” (Pitirim A. Sorokin, già collaboratore
di Kerenskij nel governo provvisorio del 1917).
Ci sono analogie tra
giacobinismo e bolscevismo: fede rivoluzionaria, esigenza di sovversione
totale, epurazioni, “dispotismo della libertà”, magistero di ortodossia,
implacabilità, radicalismo, assolutismo, egualitarismo radicale, messianismo,
antiliberalismo, antiparlamentarismo, meccanismi di produzione dell’unanimità,
centralismo politico ed amministrativo, cinismo, sospensione della realtà e
trionfo del principio sul fatto, virtù indivisibile del popolo che perciò deve
restare unito, fanatismo, violenza, terrorismo.
Saint-Just è grandiosamente
scellerato, glacialmente narcisista e forse psicopatico. I leader rivoluzionari
più radicali sono più spesso ventenni-trentenni, con poca esperienza di vita,
che impongono la loro rozza, inesperta visione del mondo a tutti gli altri.
Coltivano orgoglio, a volte crudeltà, quasi sempre un appetito di dominazione.
Sono tigri erudite che non hanno ancora avuto tempo di diventare adulte.
Un fanatico austero, dal cuore
freddo come la sua morale, Saint-Just si paragona a Tarquinio e Muzio Scevola.
Lui e Robespierre usano spessissimo i termini “cuore”, “sensibilità” e “virtù”,
come se dovessero supplire verbalmente alla loro mancanza di cuore, sensibilità
e virtuosità. Saint-Just si attribuisce una ragguardevole dose di virtù, ma è
un pessimo giudice di se stesso - come tutti gli esseri umani. Sfortunatamente
le rivoluzioni nutrono mostri e sono alimentate da mostri. La violenza
generalizzata è l’habitat perfetto per i mostri, per gli psicopatici integrati,
quelli che s’irrigidiscono nei moralismi e si fissano intransigentemente sulle
virtù etiche perché non hanno empatia e quindi non possono sapere cosa sia un
comportamento spontaneamente morale. Una loro tragedia personale, da compatire,
ma con esiti assolutamente devastanti per tutti gli altri:
Questi pifferai di Hamelin
sono responsabili della conversione della rivoluzione in una crociata
teocratica, in un moloch che divora gli esseri umani. In nome della loro
certezza che siccome c’è una sola verità e loro sono riusciti a comprenderla,
ad impadronirsene definitivamente, chiunque sia in disaccordo è motivato da
propositi maligni. Robespierre si considera e dichiara vittima di persecuzione
tutte le volte che qualcuno lo contraddice, si sente investito di una sacra
missione, e patisce un’immensa frustrazione quando il mondo si rifiuta di
sottomettersi al suo volere: conclude che solo la violenza purificatrice può
ristabilire l’ordine naturale delle cose. Lo stesso discorso vale per
Saint-Just. Sono entrambi sicuri che la cosa giusta da fare sia ridurre la
diversità del mondo al proprio denominatore individuale. Il loro ego
ipertrofico proietta sul gruppo la loro esigenza di uniformità, di una singola
volontà, di un carattere unitario: la premessa di ogni politica genocidaria.
Sono l’Alfa e l’Omega, l’inizio
e la fine. Notiamo la stessa logica in Mao, Pol Pot, Stalin e Hitler, nella
vicenda biblica dello sterminio dei Cananei, ma anche in Karl Rove. Nel 2002,
un consigliere di George W. Bush, presumibilmente Karl Rove, spiegò a
Ron Suskind: “Ora noi siamo un impero e quando agiamo, creiamo la nostra
realtà. E mentre voi state giudiziosamente analizzando quella realtà, noi
agiremo di nuovo e ne creeremo un’altra e poi un’altra ancora che potrete
studiare. È così che andranno le cose. Noi facciamo la storia e a voi, a tutti
voi, non resterà altro da fare che studiare ciò che facciamo”.
O tutto o niente, o con noi o
contro di noi, ora o mai più. La rivoluzione, come la guerra degrada le
coscienze: “Quello che in tempo di pace viene considerato immorale, ingiusto,
dannoso per la collettività, in tempo di guerra cambia di segno, si trasforma
in valore positivo e viene perciò stimolato e incoraggiato. Non uccidere, non
mentire, non tradire, ecc. sono tutte massime che devono essere ribaltate
durante un conflitto lungo e radicale per il bene della collettività; inoltre
deve essere sviluppata in tutti i modi una mentalità aggressiva, bellicosa,
spietata se occorre. In altre parole la guerra crea un “nuovo universo morale”
con regole e valori specifici che sono in contrasto profondo con quelli dell’universo
morale dell’epoca in cui la società è in pace. Inoltre la guerra produce una
mentalità manichea che porta a scomporre il mondo in amici e nemici e a
guardare con sospetto gli stessi membri del gruppo di appartenenza, se questi
manifestano in qualche modo un ardore sufficiente o addirittura riserve morali
sulla lotta in atto” (Luciano Pellicani, “I rivoluzionari di professione”,
2008, p. 215).
Se pure è un male necessario,
la rivoluzione resta comunque un male ed è uno strumento che non può mai
divenire un fine. Una volta rimosso l’establishment, la rivoluzione deve finire
e la democrazia deve prevalere – una democrazia autentica, non la democrazia
dei fanatici che si considerano santi, unici depositari della virtù –
altrimenti tutto sarà stato vano.
Seguendo Albert Camus, una
genuina rivolta dev’essere umanista, deve prendere in considerazione l’umanità
nella sua interezza. Non è il ribellismo egotista adolescenziale à la
Nietzsche. Non è la rivolta del no. Il ribelle dice no ma dice anche sì, nel
momento in cui compie il primo gesto di ribellione. La libertà che esige, la
esige per tutti: “Mi ribello, quindi esistiamo”. La rivoluzione è sempre
integralista (o tutto o niente), perciò tradisce invariabilmente lo spirito
umanitario della rivolta. La misura è la cifra della rivolta. Non c’è rivolta
senza una filosofia del limite. Sono gli psicopatici che rifiutano i limiti e
non sanno distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Diceva Benjamin Constant (1767
–1830), ne “Gli effetti del terrore”: “Il terrore esiste solo quando il crimine
diventa sistema di governo e non quando ne è il nemico; quando il governo lo
prescrive e non quando lo combatte; quando organizza la furia degli scellerati
e non quando invoca il soccorso degli uomini dabbene”.
Su FB:
Nessun commento:
Posta un commento