Il conflitto in Kosovo è la lotta del bene contro il male. È un
conflitto giusto, che dobbiamo vincere. Non ci sono altre strade. Dobbiamo
vincere se vogliamo che i nostri figli crescano in un mondo sicuro e stabile.
Dobbiamo vincere perché la lotta contro il Fascismo negli anni quaranta non sia
stata inutile.
Tony Blair
EGITTO
Mohammed Elbaradei, ex direttore dell’Agenzia
Internazionale per l’Energia Atomica e uomo apparentemente tutto d’un pezzo,
essendosi sempre opposto alle trame dell’amministrazione Bush e del governo
Blair, sbugiardandoli, ha annunciato che non parteciperà alle elezioni
presidenziali che si terranno prima della fine di giugno (la data non è ancora
stata decisa):
Il gran rifiuto è motivato dal
suo timore che il risultato sia già stato predeterminato dalla giunta militare al
potere in Egitto e che – sono le sue parole – “governa come se Mubarak non
fosse mai stato spodestato”.
Non sta esagerando, anzi:
Il problema è che, dal punto di
vista della giunta militare, non c’è
mai stata una rivoluzione in Egitto. L’esercito ha preso il potere,
ufficialmente nell’interesse del popolo. È vero che la rivoluzione non c’è
stata, ma è indubbiamente falso – come si evince dalle informazioni contenute
nell’articolo sopra-linkato – che l’esercito fa esclusivamente i suoi
interessi. Con buona pace di Alaa al-Aswany, uno dei più importanti scrittori
egiziani contemporanei, che aveva detto che “per giustificare l'invasione
dell'Iraq gli Americani dissero che era l'unica maniera per liberare una
nazione da un terribile dittatore. Abbiamo dimostrato con la nostra rivoluzione
che si può costringere un dittatore ad andarsene pacificamente”, non c’è stata rivoluzione, c’è stato
invece un colpo di stato finalizzato all’autoperpetuazione dell’establishment.
Tahar Ben Jelloun [“Sangue a
piazza Tahrir, il furto di una rivoluzione”, la Repubblica, 24 Dicembre 2011]
avvalora quest’interpretazione: “Gli
avvenimenti in atto a piazza Tahrir, in Egitto, ci obbligano a rettificare
alcuni dati divulgati da tutti noi, che però sono errati. Ciò che è accaduto un
anno fa in Egitto non era una rivoluzione, bensì un colpo di stato militare. Mubarak
non ha lasciato il Paese sotto la spinta dei manifestanti, per quanto numerosi
e decisi, ma per volontà di una giunta militare che non gli ha lasciato altra
scelta. Questo punto è essenziale per comprendere la violenza della repressione
scatenata dall´ottobre scorso contro gli egiziani e le egiziane.
L’esercito ha preso il potere, facendo credere che sarà il popolo a governare
il Paese. Grave errore. Il popolo è rimasto per le vie e sulle piazze, e ha
creduto di essersi sbarazzato dalla dittatura di un capo corrotto. Ma purtroppo
la verità è un´altra: l´esercito ha
mantenuto lo stato d´emergenza decretato 50 anni fa. Il 9 ottobre scorso, alcune auto blindate
hanno investito 27 manifestanti che si ribellavano contro le aggressioni ai
danni dei copti; e il 19 novembre lo stesso esercito ha ucciso 50 manifestanti
e tradotto davanti a tribunali speciali migliaia di insorti, condannati a pene
pesanti. L´esercito non intende cedere neppure un grammo del suo potere, e
soprattutto dei suoi privilegi. Come già Sadat, Mubarak aveva colmato i
militari di favori: sapeva che in questo modo li avrebbe placati, evitando un
colpo di stato. Ma nel gennaio scorso, quando tra il clamore popolare milioni
di persone hanno occupato piazza Tahrir, così come i rivoluzionari francesi
avevano preso Place de la Bastille, i militari non potevano contrapporsi a
quella forza popolare, quando già si contavano centinaia di morti e di
dispersi. Hanno dunque giocato il gioco della rivolta, mentre in segreto si
preparavano a prendere il potere. […]. I
militari…stanno rubando la rivoluzione del popolo, mentre le elezioni danno
favoriti i fratelli musulmani. Ora queste elezioni non sono
democratiche, nella misura in cui si intende la democrazia come una cultura,
una tradizione radicata nelle mentalità. In
Egitto, come in Marocco e in Tunisia, la democrazia ha funzionato in quanto
tecnica. Ma votare non basta per essere democratici: occorre difendere i valori
fondamentali che sono alla base di un sistema democratico. Ora, la religione è incompatibile con la
democrazia (si è ben visto ciò che ha dato la democrazia cristiana in
Italia). Quella che aveva preso il nome
di "primavera araba" sta perdendo i suoi colori, e trascolora oramai
verso il rosso: rosso sangue”.
ElBaradei è troppo serio per farsi
coinvolgere nel teatrino della politica egizia, che nominerà il presidente
prima che sia approntata la nuova costituzione, che ne sancirà funzioni e
relazioni rispetto agli altri poteri dello Stato. Chi accetterebbe di
candidarsi per un incarico pubblico senza sapere quali saranno le sue mansioni,
i suoi doveri, il suo effettivo potere decisionale e i suoi margini di
discrezionalità? Solo dei candidati che hanno già un accordo sottobanco con
l’esercito. Così funziona in Egitto (e non solo): anche se i fratelli musulmani
hanno ottenuto la maggioranza dei voti, non saranno loro ad esprimere il primo
ministro, sebbene siano intenzionati a rispettare la laicità dello stato. Al
potere resterà verosimilmente Kamal
Ganzouri, il fantoccio della giunta militare, economista formato negli
Stati Uniti, già premier sotto Mubarak. Come i militari credano di poter
evitare una vera e propria rivoluzione è una domanda che finora non ha trovato
risposta. Il re del Marocco, Muhammad VI,
è riuscito a placare la popolazione accettando di nominare come primo ministro
una figura proposta dalla maggioranza parlamentare. Ora l’Egitto, che è servito
da modello per le proteste marocchine, è più autoritario della monarchia
maghrebina!
Se si trattasse solo di una
questione legata alle libertà ed ai diritti civili gli alti ufficiali non
dovrebbero preoccuparsi poi molto. La rivolta egiziana è nata a causa del fortissimo rincaro dei generi di prima
necessità e dell’aumento della disoccupazione:
non certo per l’iniziativa dei
cosiddetti “fighetti di Tahrir”.
Il problema è che l’economia
egiziana, come quella dell’eurozona, è messa davvero male
e ciò significa che i prossimi
tumulti coinvolgeranno anche le masse contadine, ossia decine di milioni di
persone, con molto poco da perdere.
ElBaradei sospetta che i
Fratelli Musulmani saranno così contenti di mantenere la loro maggioranza
parlamentare (i parlamentari del “nuovo corso”, appena eletti, sono per il 99%
uomini e l’1% donne) e la possibilità di influenzare la stesura della nuova
costituzione, che daranno via libera alla giunta militare per tutto il resto.
Un accordo vantaggioso per entrambe le parti e disastroso per l’Egitto, che ha
già visto un inciucio del genere, nel 2006, quando a 88 fratelli musulmani fu
concesso di entrare in parlamento in cambio del loro sostegno al regime. Ora la
Fratellanza Musulmana sarebbe un partner di maggioranza, con tutto l’interesse
a coabitare con la vecchia élite, a spese dei cittadini.
Cittadini che, nettamente più
svegli e scettici di quelli occidentali, hanno subodorato l’intrallazzo e
stanno preparando una massiccia protesta in occasione dell’anniversario
dell’inizio della “primavera araba”. Così, Hussein
Tantawi, il 75enne comandante in capo dell'esercito egiziano, leader del Concilio Supremo Militare e
dunque capo di stato, si è fatto portavoce della trita, becerissima retorica di
ogni regime, ma che riecheggia sinistramente quella hitleriana: “L’Egitto fronteggia dei gravi pericoli,
pericoli senza precedenti. Le forze armate sono la spina dorsale dell’Egitto e
lo proteggono. Dei complotti minacciano questa spina dorsale e le forze armate
sono state costrette a scendere in campo solo per proteggere l’Egitto dai
nemici della nazione e del popolo”:
La realtà è ben diversa.
L’esercito ha preso il potere, ha rimosso Mubarak e ha fatto piazza pulita
(letteralmente) del movimento libertario, democratico e per una maggiore
giustizia sociale, uccidendo, imprigionando e torturando migliaia di
manifestanti ed attivisti, criminalizzando le manifestazioni e dichiarando,
falsamente, che i rivoluzionari avevano rubato mezzi militari per poterli
schiacciare senza pietà:
Questi spiacevoli sviluppi della
“primavera araba” – questo mostruoso,
visceralmente antidemocratico intreccio di fondamentalismo, militarismo e
capitalismo –, non sono stati coperti adeguatamente dalla stampa
occidentale, fin troppo entusiasticamente fissata sul mantra della primavera
araba, diventato un pretesto per esportare militarmente la democrazia in Libia,
Siria ed Iran, ma non nelle tirannie della penisola arabica, alleate
dell’Occidente:
SIRIA
In una guerra della
disinformazione che si è risolta senza una singola prova che Gheddafi stesse
massacrando la popolazione:
e con il black-out su quel che
sta succedendo nella Libia democratica:
Ora, a proposito della Siria, i
media stanno ancora una volta ribaltando la realtà.
La maggior parte dei giornalisti
italiani lo fa in buona fede, convintamente partecipe di una crociata
umanitaria, sicura che i capi della ribellione non mentirebbero mai sul numero
di morti (sic!). Anche molti politici italiani sono in buona fede. La loro
colpa è quella di essere pigri, di avere la presunzione di sapere molto più di
quel che sanno e di fidarsi di poche fonti smaccatamente di parte e prone alla
volontà di chi vuole procedere con la scaletta delle guerre imperialiste.
Delle persone serie avrebbero
già scoperto da tempo che la stessa “capitale dell’insurrezione”, Homs, è una
città in buona parte favorevole ad Assad:
e che i giornalisti occidentali
che ascoltano sempre e solo le testimonianze dei ribelli che li accompagnano
senza mai nepure chiedere prove che quel che affermano è vero stanno
vergognosamente tradendo la loro etica professionale:
I pochi
giornalisti occidentali che sanno fare il loro mestiere ci lasciano le penne.
Penso, ad esempio, a Gilles Jacquier, che stava documentando un corteo pro-Assad,
quasi 10 anni dopo il primo tentativo di assassinarlo, nei Territori Occupati
(2002), per mano dei soldati israeliani:
L’ipocrisia occidentale si
spinge al punto di celebrare gli osservatori della Lega Araba finché le loro
valutazioni sono in linea con la volontà dei governi euro-americani (es. Libia,
almeno inizialmente) e di condannarli quando invece rivelano che la situazione
in Siria è ben diversa da quella descritta dai media “liberi” delle democrazie
occidentali, enfatizzando il dissenso di un singolo osservatore su 165:
Delle persone serie, che
rispettano i propri lettori ed elettori, avrebbero preso in considerazioni le
informazioni fornite da un ex agente della CIA, Philip Giraldi e riguardanti il
coinvolgimento NATO nella destabilizzazione della Siria, che prevede persino
l’afflusso di quegli stessi guerriglieri “fondamentalisti islamici” (pecunia
non olet) che hanno già combattuto in Libia:
o il punto di vista di un ex
ministro canadese:
IRAN
L’Iran è l’ultima tappa. Gli Stati Uniti hanno dichiarato che
boicotteranno qualunque nazione che comprerà petrolio dall’Iran. Cina e India
non sembrano intenzionati a prendere sul serio questo ricatto. Il Giappone, una
colonia americana come l’Italia, lo farebbe, se se lo potesse permettere, ma
dopo Fukushima e la sospensione delle attività di varie centrali atomiche, non
può permetterselo. È possibile che questa minaccia rafforzi le fazioni
nazionalistiche ed antiamericane che, purtroppo, sono anche anti-democratiche.
La Corea del Sud dipende, come il Giappone, dall’economia cinese: cosa deciderà
di fare? Poi c’è l’Italia, che dipende dalle forniture libiche e iraniane ed è
sull’orlo della recessione e ci sono quei paesi dell’America Latina
“neobolivariani”, che sembrano intenzionati a sfidare gli Stati Uniti:
L’appello statunitense potrebbe
rivelare che le alleanze americane sono molto più gracili di quel che ci si
potrebbe aspettare e che la superpotenza ha i piedi d’argilla:
L’Iran non può certamente
permettersi di restare isolato, piegato sotto l’embargo. Se vuole può chiudere
lo Stretto di Ormuz e se sarà costretto lo farà. Gli Stati Uniti lo considererebbero
un atto di guerra. La Russia ha spiegato che un attacco americano all’Iran
sarebbe considerato una minaccia alla sua sicurezza. La Cina ha detto la stessa
cosa riguardo al Pachistan, che è ai ferri corti con gli Stati Uniti. È come Sarajevo
1914: un colpo di pistola (un lancio di missile) e ci sarà un effetto domino
che causerà un conflitto mondiale:
ed una susseguente pandemia?
Eppure, NON ESISTE ANCORA UN MOVIMENTO DI MASSA CONTRO LA GUERRA. La
crisi economica sembra aver attirato su di sé tutta l’attenzione del mondo. La
gente non riesce a capacitarsi del fatto che qualcuno possa davvero arrivare
alla guerra. Obama, il premio Nobel per la Pace? Hillary Clinton? Impossibile.
E invece…
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