giovedì 19 gennaio 2012

Paradiso perduto e riconquistato - Gesù faceva promesse da marinaio?




Ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato.
Matteo 10: 22

E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna.
Matteo 10: 28

I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù rispose loro: "Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?". Gli risposero i Giudei: "Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio". Rispose loro Gesù: "Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi?”.
Giovanni 10: 31-34

In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.
Giovanni 14: 12.

La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose.
Filippesi, 3: 20-21

La rivelazione cristiana fu una dottrina dell’eguaglianza fra gli uomini, Dio è il padre e gli uomini sono fratelli. Questa dottrina colpì alla radice quella terribile tirannia, che soffocava il mondo civilizzato, essa frantumò le catene degli schiavi e distrusse quel grande inganno, che permetteva ad un piccolo gruppo di persone di vivere nel lusso a spese del lavoro della massa e manteneva i cosiddetti operai in una posizione inferiore. Ecco perché il cristianesimo primitivo fu perseguitato ed ecco perché, quando divenne chiaro che non si poteva eliminarlo, le classi privilegiate l’hanno svuotato e corrotto. Esso cessò così di essere vittorioso, non fu più il cristianesimo dei primi secoli, divenne il servitore delle classi privilegiate e si mise clamorosamente dalla loro parte.
Henry George

Cos’è la felicità se non la semplice armonia tra un essere e l’esistenza che conduce?
Camus

Non chiedere una descrizione delle terre verso cui fai rotta. La descrizione non te le descrive e domani arriverai lì e le conoscerai dimorandovi.
Emerson

Oggi più che mai, disse, gli uomini dovevano imparare a vivere senza gli oggetti. Gli oggetti riempivano gli uomini di timori: più oggetti possedevano, più avevano da temere. Gli oggetti avevano la specialità di impiantarsi nell’anima, per poi dire all’anima che cosa fare.
Bruce Chatwin, “Le vie dei Canti”

Il lavoro è atto creativo, espressione di ciò che vi è di creativo nel lavoratore. Ogni lavoro che sia privo di ciò è lavoro monotono e il lavoro monotono è sfruttamento, che produce solo il meccanico, il brutto, l’inutile.
Northrop Frye, “L’ostinata struttura”

Soltanto in un ambiente domestico bene organizzato, protetto dalle calamità e dalle corrosive anticipazioni delle calamità, possono fiorire durevolmente le attività più elevate, sollecitudine per i giovani, affetto per i vecchi, spirito di collaborazione alla base dei gruppi e degli interessi rivali, pensiero duraturo e sistematico diretto a raggiungere la verità, libertà di espressione nelle arti, e libertà creativa nell’ambito disciplinato di leggi umane, nelle arti del vivere: in breve un modo di vita nel quale i bisogni biologici e sociali sono intessuti in un disegno culturale ricco e multicolore.
Lewis Mumford, “La cultura delle città”, 2007, p. 274

Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni.
K. Marx- F. Engels, Opere scelte, Roma, 1969, pag. 962

Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno.
Atti degli apostoli 4, 34-35

Preferisco le cicale che stridono alle formiche che accumulano, gli insetti che cantano a quelli che si vantano….la cicala è un angelo mancato, la formica un forzato riuscito. 
Jacques Lacarrière, “Un jardin pour mémoire”, 1999

Dostoevskij descrive un sogno che ha fatto un 3 novembre, all’età di 46 anni (il protagonista è un suo omonimo), dopo aver pensato al suicidio ed essersi rifiutato di aiutare una bambina in difficoltà che si era rivolta a lui per chiedere soccorso: perché un aspirante suicida dovrebbe preoccuparsi dei problemi altrui? Il sogno è una rivelazione che gli giunge per “premiare” il suo amaro pentimento per la sua indifferenza, che lo ha distolto dal proposito di porre fine alla sua esistenza. Nel sogno commette il suicidio ed un entità misteriosa dall’aspetto umano, senza essere umano, lo conduce via, lontano dalla Terra – “Noi volavamo nello spazio ormai lontani dalla terra” –, passando nei paraggi di una stella che lui crede erroneamente sia Sirio, essendo invece il Sole, un altro Sole, identico all’originale. Il suo Virgilio gli dice: “Vedrai tutto”. Poi lo deposita su un pianeta identico alla Terra: “Sono dunque possibili simili ripetizioni nell'universo, è tale, dunque, la legge naturale?... E se quella laggiù è la terra, possibile che essa sia uguale alla nostra terra... esattamente uguale, disgraziata, povera, ma cara ed eternamente amata, generatrice di un altrettanto tormentoso amore verso di sé, anche nei suoi figli più ingrati, come la nostra?”. In effetti il pianeta sembra proprio essere la Terra: “Esso si ingrandiva sempre più davanti ai miei occhi e distinguevo già l'oceano e i contorni dell'Europa”. È una Terra edenica: “Mi trovavo, credo, su una di quelle isole che formano l'arcipelago greco, o in qualche luogo sulle rive del continente limitrofo a questo arcipelago. Oh, tutto era esattamente come da noi, ma sembrava che ogni cosa ovunque brillasse di una luce festosa e di una grande, santa e finalmente raggiunta solennità”. 
Una Terra di un’epoca precedente alla Caduta di Adamo ed Eva: “E, finalmente, scorsi e riconobbi gli abitanti di quella terra felice. Furono loro ad avvicinarsi a me circondandomi e baciandomi…Non avevo mai visto sulla nostra terra una simile bellezza in un essere umano. Forse soltanto nei nostri bambini nei primissimi anni della loro infanzia si può trovare un lontano e pallido riflesso di quella bellezza. Gli occhi di quegli esseri felici brillavano di una vivida luce. I loro volti risplendevano di intelligenza e di una sorta di consapevolezza compiuta e serena, ma erano volti allegri; nelle parole e nelle voci di quelle persone echeggiava una gioia fanciullesca. Oh, compresi immediatamente tutto, tutto, fin dal primo sguardo! Quella era una terra non lordata dal peccato, su di essa vivevano persone che non avevano peccato, e vivevano in un paradiso simile a quello nel quale avevano vissuto, secondo le tradizioni di tutta l'umanità, anche i nostri progenitori che caddero nel peccato, con la sola differenza che tutta la terra qui era un unico e identico paradiso”.
Là gli esseri umani vivono in armonia con ciò che li circonda, comunicano con gli animali, le piante, le stelle, in una società anarchica e priva dei classici vizi umani (invidia, malizia, gelosia, possessività, aggressività, violenza, tracotanza, prevaricazione, vanità, egocentrismo, superbia) e dove i figli non appartengono a nessuno, ma vengono allevati dall’intera comunità, per permettere loro di esperire ed apprezzare la diversità. Questi abitanti edenici non osservano alcun culto, ma credono nella vita eterna e sono costantemente consci della Creazione. “Ben presto compresi che il loro sapere veniva integrato e alimentato da ben altre intuizioni delle nostre sulla terra e che le loro aspirazioni erano completamente diverse. Essi non desideravano nulla ed erano tranquilli, essi non anelavano alla conoscenza della vita come ad essa aneliamo noi, perché la loro vita era piena. Ma il loro sapere era più profondo e più alto della nostra scienza; poiché la nostra scienza cerca di spiegare che cos'è la vita, si sforza essa stessa di comprenderla per insegnare agli altri a vivere; loro invece sapevano come dovevano vivere anche senza la scienza, e questo lo compresi, ma non riuscii a comprendere le loro conoscenze”.
Per loro la morte non è altro che una transizione verso uno stato di maggiore consapevolezza dell’Essere (e non-Essere): “I loro vecchi morivano placidamente, come se si addormentassero, circondati dalle persone che si accomiatavano da loro, benedicendoli, sorridendo loro, e, a loro volta, accompagnati dai loro radiosi sorrisi. In tali occasioni non vidi mestizia o lacrime, ma regnava soltanto un amore che pareva accrescersi fino all'estasi, ma un'estasi quieta appagata, contemplativa. Si sarebbe potuto pensare che essi continuassero ad essere ancora in contatto con i loro morti, anche dopo la loro morte, e che la comunione terrena tra loro non venisse interrotta dalla morte…Non avevano templi, ma vivevano in una sorta di connaturata, viva e incessante comunione con la Totalità dell'universo; essi non avevano una fede, ma in compenso avevano la ferma consapevolezza che quando la loro felicità terrena fosse giunta a compimento raggiungendo i limiti della natura terrena, sarebbe sopravvenuto per loro, sia che fossero vivi o che fossero morti, un allargamento ancora maggiore del loro contatto con la Totalità dell'universo”.
Il sogno è talmente lucido che Fedor comincia a dubitare che si tratti di una dimensione onirica: è stato forse trasportato in un mondo realmente esistente?
“Sapete, vi racconterò un segreto: tutto ciò, forse, non è stato affatto un sogno! Poiché qui è accaduto qualcosa di un genere tale, qualcosa di così terribilmente vero, che sarebbe stato impossibile sognarselo. Ammettiamo pure che il mio sogno l'abbia generato il mio cuore, ma forse che il mio cuore da solo sarebbe stato in grado di generare quella terribile verità che poi mi è accaduta? Come avrei potuto inventarmela da solo, oppure sognarla col mio cuore? Possibile che il mio meschino cuore e il mio capriccioso e insignificante intelletto abbiano potuto elevarsi fino a una tale rivelazione della verità?”
Purtroppo la sua mera presenza corrompe la società ideale nella quale è stato catapultato: “Il fatto è che io... li corruppi tutti! Sì, sì, finì che li corruppi tutti! Come ciò sia potuto accadere, non lo so, ma lo ricordo chiaramente”.
La comunità decade, degenera, finisce per diventare un duplicato dell’umanità che Fedor si era lasciato alle spalle. Divisioni, contrapposizioni, ripicche, rappresaglie, torture, isolamento, individualismo, egoismo, avidità, venerazione del supplizio e della sofferenza: “Ognuno divenne talmente geloso della propria personalità che si sforzava con tutte le proprie forze soltanto di umiliare e sminuire quella altrui riponendo in ciò tutta la propria vita. Apparve la schiavitù, apparve persino la schiavitù volontaria: i deboli si assoggettarono ai più forti al solo scopo che quelli li aiutassero ad opprimere coloro che erano ancor più deboli di loro. Apparvero i giusti che andavano da quegli uomini con le lacrime agli occhi e parlavano loro della loro superbia, della misura e dell'armonia smarrite e della perdita della vergogna. Essi venivano derisi o lapidati. Sulle soglie dei templi fu versato sangue santo”.
Sprofondati nella più miserevole confusione di lingue, idee e sentimenti, la nuova umanità si affida alla scienza ed al diritto per dirimire la questione di cosa sia vero e falso, giusto e sbagliato, buono e cattivo e per riguadagnarsi la felicità perduta: “Essi si ricordavano a malapena di ciò che avevano perduto e non volevano neppure credere che un tempo erano stati innocenti e felici. Essi ridevano perfino della possibilità di questa loro precedente felicità e la definivano un sogno. Essi non erano neppure in grado di figurarsela in forme e immagini, ma, cosa strana emeravigliosa, pur avendo perduto ogni fede nella loro passata felicità e pur definendola una favola, essi desiderarono a tal punto di essere di nuovo, un'altra volta, innocenti e felici che caddero in ginocchio come bambini davanti al desiderio del proprio cuore, lo deificarono, costruirono templi e cominciarono a innalzare preghiere alla loro stessa idea, al loro stesso «desiderio», perfettamente convinti nello stesso tempo della sua irrealizzabilità e impossibilità, ma adorandolo in lacrime e inchinandosi davanti a esso”.
Fedor, mortificato dagli effetti del contagio da lui provocato, propone loro di crocifiggerlo, nella speranza che tutto torni come prima. Ma i nuovi umani caduti nel peccato ormai dubitano di tutto e di tutti, incluso lui, inclusi i suoi consigli. A quel punto Fedor si risveglia e capisce che non tutto è perduto: “Se infatti una buona volta hai scoperto la verità e l'hai vista, allora sai che quella è la verità e che un'altra non ce n'è, né vi può essere, sia che dormiate oppure viviate…Io ho visto la verità e ho visto e so che gli uomini possono essere belli e felici senza perdere la capacità di vivere sulla terra. Io non voglio e non posso credere che il male sia la condizione normale degli uomini… Ma come edificare il paradiso, io non lo so, perché non sono capace di esprimerlo a parole… La cosa principale è: ama gli altri come te stesso, ecco la cosa principale, ed è tutto, non occorre proprio niente altro: immediatamente si troverebbe come mettere tutto a posto. Eppure questa è soltanto una vecchia verità che è stata ripetuta e letta un miliardo di volte, ma che non ha attecchito! «La coscienza della vita è superiore alla vita, la conoscenza delle leggi della felicità è superiore alla felicità»: ecco ciò contro cui bisogna battersi! E mi batterò. Se soltanto tutti lo vorranno tutto andrà a posto in un momento. Quella bambina poi l'ho rintracciata... E mi metterò in cammino, mi metterò incammino!”

Apocalisse: istruzioni per l'uso

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