1. Partiamo
subito dal suo libro. E’ felice autore di “Oligarchie per popoli superflui”
della casa editrice Koinè. In che senso superflui? Almeno detengono qualche
minimo potere?
R. – Che potere
vuole che detengano i popoli, dato che gran parte delle decisioni importanti
sono prese a porte chiuse, che gran parte della ricerca scientifica,
tecnologica e militare si fa in segreto, che la metà della popolazione non è in
grado di capire un articolo di giornale di media difficoltà, che sì e no il 7%
della gente legge libri, e forse l’1% si documenta in qualche modo sui fatti
economici e geostrategici rilevanti? E che dire dell’Italia, che ha un livello
culturale particolarmente basso e una scuola particolarmente degradata?
Il potere
reale è in mano ai grandi cartelli della moneta, del credito, delle materie
prime, dell’informazione, della tecnologia. E’ sociologicamente acquisito,
oltreché empiricamente evidente, che non esistono e non sono mai esistiti,
nelle società strutturate, sistemi di potere governati dal basso, ossia
sostanzialmente (e non solo formalmente) democratici. Negli USA, ad esempio, il
potere è in mano a quella che la sociologia definisce power élite, formata dai
vertici della finanza, della politica e delle forze armate. In essa si entra
soltanto per cooptazione. Gli atti e i programmi di questo potere vengono
decisi dietro porte chiuse, non pubblicamente, e sovente nemmeno in forma
scritta. Tra il luglio 2003 e il luglio 2007 la Fed ha creato liquidità per
16.000 miliardi di dollari senza nemmeno dirlo (Audit GAO 2011).
[qui è
possibile che ci sia un errore cronologico. Rimando alla nota a conclusione dell'articolo perché la questione è particolarmente interessante e a dir poco sconvolgente*]
La BCE non
rilascia il dato sui prestiti che concede. Nelle elezioni popolari, solo
piccole frazioni di potere reale vengono messe in gioco. Le decisioni di
politica economica, i grandi indirizzi, le grandi manovre che interessano la
vita della gente, sono stabilite segretamente e portate avanti da organismi non
elettivi, non responsabili, non trasparenti, come i direttorii delle banche
centrali, i vari G2, G7, G8, G20. O i Gatt e Gats, il FMI, il WTO…
Ciò premesso,
nel corso dell’ultimo centennio è avvenuto un cambiamento fondamentale nel
sistema di potere: oggi, il potere non è più suddiviso tra molte oligarchie
nazionali e territoriali, ma concentrato in poche organizzazioni globali,
monopolistiche di risorse primarie, come la moneta, il credito, le commodities.
Non è più legato a territori specifici o popoli specifici, ma è extraterritoriale,
smaterializzato, informatizzato, finanziarizzato. Non ha più bisogno di grandi
masse di combattenti, agricoltori, operai, coloni, elettori. In questo senso, i
popoli sono divenuti superflui, sostituibili, expendable [sacrificabili]. Anzi,
sono un problema ecologico, in termini di inquinamento ed esaurimento delle
risorse, ma anche di instabilità, dovuta ai conflitti per il possesso dell’acqua
e di altre risorse sempre più scarse.
2. Crisi di
liquidità: Lei dichiara che gli interventi montiani significano fare un
salasso a una persona che sta morendo di anemia. Afferma che
questa sia prodotta in modo mirato e strategico manovrando le leve del rating
etc. Per fare cosa? Quale è il fine?
R.
Effettivamente il sistema-paese sta collassando, economicamente, non per
mancanza di fattori di produzione, ma perché gli è stata deliberatamente
tolta liquidità attraverso la restrizione dei criteri del credito, la
politica riduttiva dei redditi, gli alti tassi di interesse, la pressione degli
interessi passivi e delle tasse, che in buona parte pure vanno a pagare il
servizio del debito pubblico, e ovviamente i tagli della spesa pubblica. Carenza
di liquidità che produce anche carenza di investimenti, quindi di
infrastrutturazione e aggiornamenti necessari a mantenere la competitività.
Ciò premesso, da più parti si fa notare che la recente manovra del governo va
nel senso di aggravare tale situazione di “anemia”, perché drena la poca
liquidità residua nel sistema aumentando le tasse, colpendo le pensioni, i
consumi, mettendo in fuga i capitali verso l’estero; inoltre colpisce duramente
il settore dell’edilizia, che è quello che innesca le fasi di recupero nel
ciclo economico, e ha depresso il morale della popolazione e la sua propensione
agli acquisti: già a natale abbiamo avuto un crollo.Rispetta
invece tutte le rendite parassitarie, i privilegi e gli sprechi di politica e
amministrazione, mentre programma grandi acquisti di cacciabombardieri, a
vantaggio degli industriali stranieri che li costruiscono. Il recente
rifinanziamento delle pericolanti banche italiane, peraltro dovuto più a Draghi
che a Monti, non sta apportando credito nell’economia reale, anche perché il
governo, nel concedere loro la sua garanzia, non le ha vincolate ad immettere
moneta nel sistema. Le misure per il rilancio della fase due appaiono
semplicemente derisorie. Insomma, il governo sembra far di tutto per
impedire una ripresa economica, limitandosi ad aggiustare i conti sulla
carta nel brevissimo termine, ma a spese della possibilità di recupero dell’economia
reale, le cui prospettive a 3 anni e oltre sono perciò valutate negativamente
dai mercati finanziari (aste 28-29.12.11), sui quali lo spread del btp rimane
altissimo.
La storia
economica recente ha, del resto, ripetutamente mostrato che le politiche
di tagli e tasse, giustificate con l’affermazione di voler risanare i conti,
hanno prodotto, nel giro di qualche anno, effetti contrari, con aumento del
debito pubblico, recessione, avvitamento fiscale. Così pure sta
avvenendo in Grecia, e il FMI ha sostanzialmente ammesso l’errore della ricetta
imposta a quel paese. In base a tali osservazioni sorge il legittimo
quesito: perché mai Monti fa tutto ciò, dato che non può non sapere che
gli effetti di ciò che fa saranno controproducenti, tale da produrre una crisi
recessiva, occupazionale, sociale? In che strategia si colloca la sua azione?
Persegue forse un fine più ampio, sacrificando ad esso l’economia nazionale,
perlomeno nel breve e medio termine? E nell’interesse di chi? Forse dei
poteri forti finanziari, di cui Monti nega di essere emissario?
In realtà Monti
non ha introdotto una variazione di rotta, ma solo un’accelerazione, con in più
una tutela specifica per gli interessi delle banche. La sua politica
non è una cosa nuova, ma sta semplicemente continuando ciò che i precedenti
governi hanno fatto in Italia, e non solo in Italia. Le accuse mosse a Monti e
al suo governo di essere emanazioni dei poteri forti che si sono impadroniti,
con essi, dello stato, non considerano che Monti, in sostanza, fa quello che
han fatto gli altri. Sul piano oggettivo, infatti, la storia italiana, da
un trentennio circa, è caratterizzata da un grande ed evidente processo,
che avanza su due gambe.
La prima è la
sistematica cessione (con la giustificazione della riduzione del debito
pubblico e della maggiore efficienza della gestione privata) degli assets
strategici (grandi mercati, grande industria, industria capace di ricerca e
alta formazione, banche strategiche, servizi pubblici con connesse posizioni di
monopolio) a potentati finanziari privati, quasi interamente stranieri.
La seconda è il
trasferimento di poteri politici, delle funzioni sovrane, compresa la sovranità
monetaria, comprese le funzioni di bilancio, compresa la politica fiscale),
compresi – per finire – i cordoni della borsa, a organismi decisionali
tecnocratici, che fanno capo alla BCE e al sistema bancario, quindi sempre ai
predetti potentati finanziari privati.
La prima gamba
viene presentata come processo di liberalizzazione, ma si è risolta sinora in privatizzazioni
di posizioni monopolistiche o simili; la seconda come processo di
integrazione europea, ovviamente, quegli organismi di europeo hanno solo il
nome, essendo essenzialmente “apolidi” e non solidali coi popoli.
Giuseppe De
Rita, nel suo recentissimo saggio L’eclissi della borghesia, spiega che le
privatizzazioni delle industrie di stato sono state controproducenti anche al
fine di ridurre il debito pubblico, perché hanno fruttato 147 miliardi che sono
stati usati per pagare interessi passivi, e sono costate perdite di posti di
lavoro, di centri di ricerca e di formazione sia tecnica che manageriale unici
in Italia, quindi un decadimento delle competenze, oltre a un incremento della
dipendenza strutturale dal capitale straniero. Una nuova stagione di
tali privatizzazioni servirebbe solo a completare la riduzione dell’Italia in
una condizione di totale asservimento e subordinazione anche culturale e
manageriale.
Il risultato
tendenziale dell’avanzata di queste due gambe, è il superamento dello
stato nazionale, la riorganizzazione del sistema di potere reale a livello
soprannazionale, tendenzialmente globale, con lo svuotamento dello stato
nazionale, sia come organismo politico, sia come sistema-paese, di ogni sua
autonomia (monetaria, finanziaria, economica, politica, giuridica), e la sua
sottoposizione, quale provincia privata di autonomia e dipendente per tutto, a
gestori sovrannazionali. Questi organismi-gestori hanno carattere
tecnocratico, autoreferenziale, non trasparente, non “accountable”, non
partecipato dal basso, esente da controlli e condizionamenti da parte di
organismi rappresentativi della popolazione, non sottoponibili nemmeno al
controllo giudiziario.
Gli statuti
della BCE, della BIS, del MES sono chiarissimi esempi di ciò. Si unificano gli
stati, riducendoli a province senza autonomia, e sottoponendoli a un governo
centralizzato. Questo processo, che realizza operativamente il primato
della finanza speculativa sull’economia reale, e si accompagna all’eliminazione
della classe intermedia nonché a una graduale ma profonda
attenuazione dei diritti partecipativi, politici e civici, compresi quelli
afferenti alla privacy e alla condizione di lavoratori, di contribuenti, di
utenti dei pubblici servizi.
Il progetto in
esame, avviato negli anni ’80, col programma di privatizzazione della sovranità
monetaria e di finanziarizzazione dei debiti pubblici, è in fase avanzata di
realizzazione. Maastricht, la BCE, Lisbona ne sono state ulteriori tappe
importanti. Per far accettare ai vari popoli, sindacati, partiti
politici, i vari passaggi, sempre più dolorosi e compressivi, di questa via
crucis – la perdita di indipendenza, di diritti, di sicurezze, di reddito, di
dignità – sembra che si stia ricorrendo a una serie incalzante e incessante di
crisi, shock, allarmi, creati ad hoc, che rendono i popoli stessi più
arrendevoli e malleabili, come spiegato da Monti stesso nella famosa intervista
alla Luiss:
dove afferma
che abbiamo bisogno delle crisi per far progredire il processo di
integrazione – ovviamente, un progetto generato e deciso dall’alto, non dal
basso, democraticamente. Anzi, neanche reso noto al popolo su cui esso
si compie.
Ecco allora
che anche la crisi, l’emergenza, verso cui le politiche lacrime e sangue, tagli
e tassi, portano non solo l’Italia ma anche altri paesi, possono avere questa
funzione: vincere le resistenze. Questa può essere una spiegazione del
perché mai si fanno manovre che avranno, con virtuale certezza, un effetto
recessivo sull’economia, e che quindi produrranno crisi, allarme, emergenza. Si
tratta di applicazione del metodo shock-and-awe, che trovate
analizzato nel saggio mio e di Paolo Cioni sulla manipolazione mentale, Neuroschiavi
[libro che consiglio di leggere].
La gente non
ci pensa, i mass media non lo mettono in evidenza, ma proprio adesso si
sta procedendo alla sottrazione ai singoli paesi dei poteri di bilancio, di
politica economica, di imposizione tributaria e al loro conferimento ad
organismi autocratici, non eletti, non responsabili – quindi con caratteri
contrari alla civilizzazione europea, e tipici piuttosto delle autocrazie
asiatiche. Organismi che fanno gli interessi dei soggetti più forti, a
spese degli altri.
Tra questi organismi
spicca il MES, o Meccanismo Europeo di Stabilità (controllare per
credere il sito:
in corso di approvazione dai vari parlamenti, nel totale silenzio dei media –
silenzio quanto mai opportuno, perché il MES costa moltissimo: l’Italia dovrà
sborsare circa 130 miliardi, che verranno prelevati con prossime manovre, e poi
sarà il MES a fare le manovre fiscali, dal prossimo Marzo. Vi è un altro
aspetto, concernente quella che ho definito “la prima gamba”: il decreto “Salvitalia”,
come ha giustamente detto Piergiorgio Odifreddi il 28.12, intervistato da
RaiNews 24 a Cortina Incontra, porterà l’Italia in condizioni di dover
vendere o svendere, per far cassa e ottenere aiuti ottemperando a “condizionalità”,
il patrimonio pubblico e i servizi pubblici al capitale privato di quella
grande finanza – nel che qualcuno potrebbe ravvisare conflitti di interessi del
governo dei banchieri, del tipo di quelle che si rimproveravano a Berlusconi in
relazione alle sue aziende.
3. Ma la
classe politica italiana, che può fare, in questo contesto?
R. I partiti
politici possono esigere che il governo “tecnico”, in cambio del loro voto che
gli dà la necessaria copertura “democratica”, non tocchi le loro clientele, le
loro poltrone e prebende (compreso il finanziamento pubblico), che non faccia
la spending review e non introduca le best practices, ma che riempia la loro
mangiatoia di soldi spremuti con le nuove tasse. La Chiesa può esigere che, in
cambio dei voti che controlla, e del controllo delle coscienze che le rimane,
il governo non tocchi i suoi privilegi fiscali, l’otto per mille, i sussidii.
Le mafie possono esigere che il governo non metta in vendita i 25 miliardi di
beni confiscati loro dallo Stato, e che non disturbi troppo i loro traffici con
droga, immigrazione e appalti. Berlusconi può esigere che il governo, in cambio
del suo sostegno, mantenga i privilegi di Mediaset. I parlamentari nominati
possono dirgli: “Noi ti diamo il voto, se tu non tocchi i nostri stipendi di
16.000 Euro al mese anche se la gente protesta.”I banchieri possono
semplicemente dire: “Bravo, continua così!”. Insomma, si può realizzare
un’alleanza degli interessi delle caste nazionali e di quelli del grande
capitale internazionale.
4.
Monti-Napolitano. Lei ci ha visto un asse…
R. Si potrebbe
dire, per battuta, che Napolitano collabora a quel piano di dissoluzione dello
stato nazionale italiano proprio mentre assai enfaticamente ne celebra il
centocinquantenario della nascita. Ma non dobbiamo vedere le scelte
politiche di questo o quel governo o capo di stato come frutto di iniziative di
Napolitano od Obama o Berlusconi o Sarkozy o Draghi o, in generale, di persone
specifiche. Non vi sono iniziative e responsabilità personali, o di una
maggioranza di governo, perché non vi è libertà di scelta politica di
fondo, nell’area del Dollaro e del FMI. Né, ancor prima, di modello
macroeconomico di riferimento. Oramai la politica economica, quindi la
politica tout court, è unificata, dettata dal cartello mondiale monopolista
della moneta, e guidata dal medesimo modello mondializzato, quello della
grande finanza, del Bilderberg, della Trilateral, della Goldman Sachs.
Nella
costituzione reale dell’Italia, che non è ovviamente quella formale e
dichiarata, ma che regola innanzitutto il ruolo e gli obblighi dell’Italia come
paese vinto e tributario, sottomesso al vincitore, quindi a sovranità
limitata, con oltre 130 basi americane – in questa costituzione reale, il
capo della stato può avere la funzione di assicurare (usando i suoi fortissimi
poteri di pressione, legittimazione, delegittimazione) che il governo e il
parlamento italiani ottemperino alle richieste della potenza dominante, persino
partecipando alle sue guerre, problematicamente rispetto all’art. 11 della
Costituzione. La potenza dominante, vincitrice dell’ultima guerra
mondiale, è il cartello finanziario angloamericano, quello che ha imposto
Bretton Woods, il Gatt, il Gats e molte altre cose, in primis il modello
interpretativo generale dell’economia, quello della Scuola di Chicago.
Però il
superstato europeo è così radicalmente non-europeo, proprio perché autocratico,
simile alle autocrazie orientali di cui l’Europa ha sempre avuto un profondo
orrore e disprezzo, che non è nemmeno detto che riesca a imporsi o che resista.
La sua minaccia, ormai percepita, può risvegliare proprio quello spirito di
lotta per la libertà, tipicamente europeo, che ripetutamente ha vinto contro
forze immensamente superiori: lo spirito che ritroviamo nelle Guerre Persiane
narrate da Erodoto, nell’impresa di Leonida cantata da Simonide, nella morte di
Socrate, Zenone, Seneca, o recentemente in quella di Ian Palak; nella lenta
resurrezione del pensiero critico, filosofico, scientifico dai secoli di
repressione dogmatica da parte di un’istituzione religiosa pure profondamente
asiatica per origini e ordinamento. E ancora nella lotta degli empiristi e dei
Lumi contro l’assolutismo, nella rivoluzione francese, nella resistenza
liberale ai tre totalitarismi del secolo scorso. Il risveglio di questo spirito
coraggioso e libertario sarà vieppiù probabile, se il superstato europeo sarà
percepito come un Quarto Reich germanico.
5. Quali le
differenze tra Berlusconi e Monti e tra il governo Berlusconi e il governo
Monti?
R. Poche,
oggettivamente. Monti, Tremonti, Berlusconi, Merkel, Sarkozy e molti altri –
praticamente tutto il mondo che sta nel sistema del Dollaro, come ho già detto –
hanno il medesimo modello macroeconomico di riferimento, neomonetarista,
neoliberista, finanziarizzante. Quindi anche ricette simili. Che non hanno
affatto prodotto i vantaggi promessi, ossia l’ottimale distribuzione delle
risorse e dei redditi assieme alla prevenzione o al rapido riequilibrio delle
crisi, bensì hanno prodotto fortissimi vantaggi per una ristretta élite,
impoverimento e insicurezza per gli altri. In quanto alle manovre, come già
detto, si sono rivelate recessive, distruttive per le capacità industriali,
peggiorative per i conti pubblici, per il rating, per la borsa, e foriere di
avvitamento fiscale. Ciò che è cambiato nel passaggio da Berlusconi a
Monti e al suo governo di banchieri, è che adesso il cartello bancario sta
mettendo la faccia nel governo del paese, ossia assume direttamente, attraverso
i suoi uomini, il governo del paese. Così anche in Grecia, col passaggio da
Papandreou a Papademos. E che sta accelerando il collasso del paese.
6. Si può
pensare di uscire dall’euro? O è meglio resistere?
R. Da
quest’anno siamo tenuti, secondo le norme “europee”, a ridurre lo stock di
debito pubblico di 45 miliardi ogni anno – cosa non fattibile, che
comporterebbe una recessione mortale.
Pensate invece
a un’Italia che poteva essere, e a cui si è rinunciato. A un’Italia
pre-1983, pre-divorzio tra lo stato e Bankitalia. Libera da Maastricht, con
un debito pubblico non finanziarizzato, quindi non ricattabile. Il debito
pubblico italiano esplose dopo quel divorzio e proprio per effetto della
finanziarizzazione, che ci rende ricattabili sia dai baroni-predoni della
finanza internazionale che da modesti politici borniert e bornés,
elettoralmente perdenti. Potevamo continuare col mix del successo italiano
(compresi deficit vantaggiosamente finanziato da Bankitalia e ampia evasione
fiscale che manteneva il frutto del lavoro nel circuito produttivo anziché in
quello sterile dello stato), aggiornandolo con più ricerca e innovazione
tecnologica. Vi immaginate quante imprese avremmo attirato, di quelle che dall’Europa
occidentale sono emigrate a Est e a Sud? E quante imprese italiane sarebbero
ancora vive e in Italia? Oggi potremmo entrare nell’eurosistema dettando le
condizioni, anziché subirle e finire in una posizione di subordinazione e
sfruttamento. Era il vecchio sistema, che consentiva allo stato di farsi
propulsore e protagonista dell’economia, quindi permetteva all’Italia di
crescere e di vivere bene, pur avendo un meridione e un apparato statale molto
inefficienti e costosi. Dopo la finanziarizzazione del debito pubblico, la
globalizzazione, le privatizzazioni, i vincoli di bilancio, la cessione della
moneta e della sovranità, non è più possibile perseguire lo sviluppo. I
settori produttivi non riescono più a sostenere il resto del paese. Si può solo
prelevare con le tasse la ricchezza accumulata e usarla per far quadrare i
conti ancora per un anno o due, fino ad esaurimento, senza prospettive. Si
diceva che i vincoli di bilancio e la moneta unica avrebbero costretto l’Italia
ad adeguarsi all’efficienza e alla correttezza europee, ponendo fine agli
sprechi e alla corruzione. Così non è stato e non poteva essere, perché il
clientelismo, il parassitismo, è una mentalità, un’abitudine sociale
inveterata, che non si cambia se non in diverse generazioni oppure attraverso
sconvolgimenti radicali. I governi italiani hanno approfittato dei primi
anni dell’Euro, in cui si pagavano bassissimi interessi sul debito pubblico e
non vi era l’attacco speculativo, non per ridurre lo stock di debito pubblico e
fare investimenti, ma per alimentare la spesa clientelare e a spreco, perché è
da essa che i partiti traggono consenso, potere e profitti.
Dopo questo
fallimento, come si può credere che un paese efficiente come la Germania,
capace di integrare la DDR, capace di crescere nella crisi mondiale, rispettoso
delle regole, accetti di integrarsi con un paese come l’Italia, da quasi vent’anni
in declino, retto da una partitocrazia incompetente e corrotta, permanentemente
incapace di correggere le proprie storture, di cui un’ampia parte sopravvive
grazie a sussidii e non è nemmeno in grado di smaltire i rifiuti solidi urbani?
Fare sacrifici per integrarsi con la Germania è assurdo: quell’integrazione
non avverrà mai. La Germania punta a neutralizzare l’Italia come concorrente sui
mercati internazionali, e a liberarsi dal debito pubblico italiano. Leggete
Sommella a pag. 3 di MF del 3 Gennaio: lo spiega benissimo. Monti è l’uomo
che la Merkel ha voluto a questo scopo, dopo che le banche tedesche avevano
provocato l’impennata dello spread vendendo massicciamente i btp.
Uscire dai trattati istitutivi dell’eurosistema è
giuridicamente possibile, e secondo me è meglio uscire sia da esso che dall’UE,
che continuare su questa strada, per diverse ragioni, e non solo per il fatto
che il prezzo che dobbiamo pagare, per restarci, e sempre più alto, sia in
termini economici, sia di perdita di libertà rispetto al sistema bancario e
alle sue emanazioni politiche come le c.d. istituzioni europee e i governi
commissariali. Sempre più alto, e non si vede limite al suo innalzamento, che
sembra prodotto artatamente, per prenderci tutto, emergenza dopo emergenza,
senza nulla dare, se non boccate d’aria per proseguire su quel cammino di
assoggettamento.
Ulteriori
ragioni per uscire dall’eurosistema sono che la BCE non è una banca
centrale, perché non è autorizzata ad assicurare l’acquisto dei titoli del
debito pubblico dei paesi aderenti in modo idoneo a sottrarli all’aggiotaggio
dei grandi predoni finanziari. Se avessimo una vera banca centrale, questa
potrebbe farlo, come fa la Fed, la banca centrale nipponica, quella britannica.
E come la Banca d’Italia prima del 1981! Se la massa monetaria dell’euro
deve essere coperta da titoli americani, dollar-backed, allora la BCE è come
uno switch-board sottoposto alla Fed, non una banca centrale di emissione al
servizio dell’Europa, bensì un qualcosa di imposto imperialisticamente per
impedire che gli europei abbiano una banca centrale effettiva propria, in modo che
l’euro dipenda dal dollaro e non gli contenda il ruolo di moneta
internazionale. Inoltre, l’euro non è una moneta, ma un insieme di cambi fissi,
analogo al già fallito SME, tra monete nazionali che sostanzialmente ancora
esistono in relazione ai rispettivi e separati debiti sovrani. Aree che hanno
livelli di produttività-competitività molto diversi, hanno quindi bisogno di
monete diverse, di cambi diversi, per poter esportare, attrarre investimenti e
turismo, crescere e infrastrutturarsi, mentre confini nazionali e monetari
dovrebbero circoscrivere aree di produttività simile. Altrimenti si ha che le
aree più forti approfittano del loro dominio sul comune sistema monetario per
usarlo a proprio vantaggio e a danno dei paesi più deboli, come la classe dirigente
della Germania fece con lo SME e come sta facendo ora con l’euro, in modo
imperialistico e violento, e in minor misura lo fa la Francia. Per esempio:
le banche tedesche e francesi prendono denaro al 2% grazie al loro rating, e
lo usano per comperare btp italiani che rendono il 6-7%. In questo modo, vampirizzano l’Italia, in quanto
da un lato si procurano liquidità per finanziare le loro economie, dall’altro
sottraggono liquidità dall’economia italiana, cioè sottraggono i mezzi sia per
gli investimenti che per i pagamenti, e spingono in su i tassi dei prestiti
bancari.
Quale capo
della BCE, Mario Draghi si è messo a finanziare, con la BCE, le banche italiane
affinché comperino il debito pubblico italiano, togliendo il boccone a quelle
francesi e tedesche – che quindi ora rischiano il downgrading, e le economie
francese e tedesca avranno meno facilità a finanziarsi. Ma la BCE presta alle
banche all’1% il denaro che queste usano per comperare btp al 7%! Perché allora
la BCE non compera il btp al 2%? Per fare gli interessi delle banche private,
che lucrano il 5% dalle tasche dei contribuenti? O perché la Fed non permette
che, nella sua area, vi sia una banca centrale concorrente? Come che sia, da
quanto sopra dovremmo imparare che i
nostri vicini europei e i nostri liberatori USA non sono amici, ma perlopiù
avversari controinteressati e sfruttatori, e che non c’è nulla di più stupido
che trasferire i poteri politici, soprattutto in materia finanziaria, ad
organismi dominati da loro, perché li usano per sfruttarci, approfittando del
fatto di essere assai più forti.
7. In
relazione alla decisione di Draghi che ha menzionato ora, ritiene che la
situazione potrebbe cambiare, che la BCE potrebbe iniziare ad agire nell’interesse
dell’Europa, dell’Italia?
[...]
8. Destra
contro sinistra è una vecchia storia. La nuova politica potremmo pensarla così:
mondialisti contro nazionalisti, ultraliberisti contro sociali. E’ d’accordo?
R. Le etichette “destra” e “sinistra” fanno ancora
presa sulla mente popolare, quindi si usano nella propaganda. Le etichette si
usano perché funzionano, non perché veridiche. Molti oggettivi
conflitti tra classi, culture, interessi persistono come in passato, ma è
divenuto primario il conflitto di
interessi tra, da un lato, l’oligarchia globale, che dispone di strumenti,
reti, monopoli globali, e soprattutto dispone del monopolio della moneta e del
credito, quindi del potere politico e militare; e, dall’altro lato, la società
che produce la ricchezza reale (lavoratori autonomi, dipendenti, imprenditori),
le popolazioni nazionali, regionali, locali, che dipendono sempre più da questi
strumenti, reti, monopoli, e che quindi sono sempre più dominate, sfruttate,
schiacciate, violentate – anche attraverso l’imposizione di emigrare in massa o
di accettare immigrazioni di massa tali da alterare la composizione e gli
equilibri dei corpi sociali.
Il conflitto
di classe, oggettivamente, non è tra imprenditore e prestatore d’opera, i quali
entrambi sono esposti alla concorrenza e producono ricchezza reale; ma tra essi
e il monopolista della moneta e del credito, e lo speculatore finanziario, i
quali si prendono ricchezza dalla società senza produrne e darne in cambio,
anzi arrecandole molti danni e togliendole libertà e sicurezza. In Italia, i
partiti della sinistra c.d. moderata si sono alleati con gli interessi della
grande finanza e apportano all’agenda politica di questa il consenso del loro
elettorato, in danno di questo stesso. Vi è però anche una sinistra
vera, quella di un Paolo Ferrero e di un Marco Ferrando, che cerca di
diffondere la consapevolezza del vero conflitto di classe.
[...]
11. Ci
descriva un possibile scenario nazionale, politico ed economico, tra 10 anni,
se si continuerà lungo questa strada…
R. Previsioni
a dieci anni non sono possibili perché il divenire storico è legato a fattori
impredicibili, come le innovazioni tecnologiche, che hanno ripercussioni molto
vaste e profonde, come potrebbe averne il raggiungimento dei limiti fisici
dello sviluppo (esaurimento delle risorse, squilibri ecologici). Ipotizzando che i fattori non cambino, mi
aspetto che l’Italia, tra un decennio, sia una provincia impoverita di uno
stato mondiale orwelliano, con qualche autonomia politica di facciata, ma
strettamente diretta da organismi sovrannazionali autocratici. Priva o quasi di
una classe dirigente e tecnico-scientifica qualificata, è gestita
prevalentemente da managers stranieri per capitali stranieri.
La gente è
incalzata dalle esigenze pratiche quotidiane, partecipa pochissimo alla vita
politica. Lavora per le necessità primarie (compresi i servizi pubblici) e per
pagare gli interessi sul debito pubblico e privato accumulato dalle precedenti
generazioni, e lo trova normale, perché ha introiettato questo compito come
scontato, e perché la controinformazione è repressa come crimine di
sedizione. Il cittadino-consumatore-lavoratore-contribuente-utente non ha quasi
più possibilità di negoziare con le sue controparti: deve accettare salari,
tariffe, tasse come gli sono fissati. Il metodo contributivo viene esteso
alla sanità pubblica: ti curano fino all’esaurimento dei tuoi versamenti per la
salute. Gli strumenti informatici consentono alla classe dirigente parassitaria
di conoscere e aggredire capillarmente i redditi e i risparmi dei cittadini col
prelievo fiscale.
A mio avviso, invece, le cose andranno molto diversamente:
* Della Luna indica il periodo
2003 – 2007 che però è quello in cui Alan Greenspan ha gettato le basi
dell’attuale crisi, fingendo di credere che le bolle si possano sanare con
altre bolle (più grandi e più numerose) e decidendo di tenere i tassi di
interesse artificiosamente bassi. L’esempio negativo della banca
centrale giapponese doveva mostrargli che la cosa non poteva funzionare;
quindi, siccome è tutt’altro che un imbecille, le sue reali intenzioni dovevano
erano diverse da quelle da lui espresse pubblicamente.
Qui ci sono diversi pareri sulle
sue responsabilità:
Il periodo che va dal 2007 al 2010 è
invece quello in cui si può collocare la cifra astronomica di16.000
miliardi di dollari, pari all’ammontare di una possibile (molto probabile) megatruffa internazionale ordita dalla
Federal Reserve e denunciata da quattro parlamentari statunitensi:
Molto interessante. Da quando ho letto "Shock Economy" sono anch'io fra coloro che vengono sprezzantemente liquidati come "complottisti". Il problema è che le implicazioni sono così devastanti che ai più appaiono incredibili quanto i Visitors, pura fantascienza - o meglio fantapolitica. Ma dopo aver letto il libro della Klein quello che sta accadendo in questi mesi mi suona sinistramente familiare, la pedissequa applicazione di principi che in passato hanno già dato ampia prova di perniciosità. E poiché non credo che ciò dipenda da mera scempiaggine, devo per forza concludere che il risultato che si vuol raggiungere è un altro.
sì, ci vuole coraggio per accettare l'idea che la propria visione della realtà sia falsa e molto tempo per assimilare/metabolizzare una visione più realistica, ma spiacevole. La prospettiva di essere delle prede non è certamente appetibile e questo rende il dibattito ancora più spinoso. Tuttavia ogni giorno di più l'evidenza dei fatti mi pare che dia ragione ai "complottisti", cioè agli scettici, perciò sono fiducioso. Vedremo se la mia fiducia è ben riposta, oppure se sarò costretto a modificare la mia prospettiva ;o)
2 commenti:
Molto interessante. Da quando ho letto "Shock Economy" sono anch'io fra coloro che vengono sprezzantemente liquidati come "complottisti". Il problema è che le implicazioni sono così devastanti che ai più appaiono incredibili quanto i Visitors, pura fantascienza - o meglio fantapolitica. Ma dopo aver letto il libro della Klein quello che sta accadendo in questi mesi mi suona sinistramente familiare, la pedissequa applicazione di principi che in passato hanno già dato ampia prova di perniciosità. E poiché non credo che ciò dipenda da mera scempiaggine, devo per forza concludere che il risultato che si vuol raggiungere è un altro.
sì, ci vuole coraggio per accettare l'idea che la propria visione della realtà sia falsa e molto tempo per assimilare/metabolizzare una visione più realistica, ma spiacevole.
La prospettiva di essere delle prede non è certamente appetibile e questo rende il dibattito ancora più spinoso.
Tuttavia ogni giorno di più l'evidenza dei fatti mi pare che dia ragione ai "complottisti", cioè agli scettici, perciò sono fiducioso.
Vedremo se la mia fiducia è ben riposta, oppure se sarò costretto a modificare la mia prospettiva ;o)
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