Se i padri dell’Europa, Jean Monnet e Robert
Schuman, fossero vivi, vedrebbero che il loro obiettivo, spingere l’Europa
verso una vera unificazione attraverso una serie di crisi, è sempre più a
portata di mano.
Vicky Pryce “A
necessary euro crisis”, Guardian, 2 dicembre 2011
Vicky Pryce è una
dirigente di FTI consulting, la più grande società di consulenza per
ristrutturazioni aziendali degli Stati Uniti, consultata nei casi Lehman
Brothers, General Motors e Madoff.
Soltanto una crisi – reale o percepita – produce vero cambiamento.
Quando quella crisi si verifica, le azioni intraprese dipendono dalle idee che
circolano. Questa, io credo, è la nostra funzione principale: sviluppare
alternative alle politiche esistenti, mantenerle in vita e disponibili finché
il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile.
Milton Friedman,
Non dobbiamo sorprenderci che l'Europa abbia bisogno di crisi, e di
gravi crisi, per fare passi avanti. I passi avanti dell'Europa sono per
definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello
comunitario. È chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza
dei cittadini a una collettività nazionale, possono essere pronti a queste
cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa
superiore al costo del farle perché c'è una crisi in atto, visibile, conclamata.
Mario Monti, discorso alla Luiss,
22 febbraio 2011.
Se il
popolo potesse comprendere in quale abisso l’ignoranza lo fa precipitare,
scuoterebbe ben presto il giogo di quelle anime venali che lo mantengono
nell’ignoranza per il proprio interesse personale. Basterebbe per questo che
usasse la propria ragione; è impossibile che lasciandola agire non scopra la
verità.
Anonimo autore di “Esprit de Mr.
Benoit de Espinosa”
Tutto si risolve nel potere, il potere in egoismo, l’egoismo in
appetito, e l’appetito, lupo universale, doppiamente assecondato dalla volontà
e dal potere, vorrà fare dell’intero universo la sua preda e alla fine divorerà
se stesso.
William Shakespeare, “Troilo e Cressida”
Nel
Regno di Dio entreranno coloro che sono stati capaci di rifiutare di perseguire
nella loro vita il profitto economico. Nel Regno di Dio entreranno coloro che
non si sono assuefatti alle gerarchie di potere e si sono prestati a favore non
già dei potenti, ma degli ultimi della società.... La vera novità introdotta da
Gesù circa il Regno di Dio sembra essere stata l'idea che questo Regno non
dovesse essere più il termine di un'attesa futura, ma dovesse essere realizzato
subito con un impegno immediato di trasformazione spirituale. Nel racconto del
Vangelo di Luca, infatti, egli comincia la predicazione, affermando la
necessità che i prigionieri siano liberati, i debiti condonati, ogni servitù
abolita, ogni oppressione sciolta. Egli si riferisce al cosiddetto anno di
grazia del Signore, che l'antica società templare ebraica praticava ogni
cinquant'anni, imponendo l'annullamento degli acquisti immobiliari e dei
gravami personali costituiti nei 49 anni precedenti e che il profeta Isaia
aveva sostenuto dovesse essere attuato per ogni forma di ricchezza e di
soggezione, in modo da eliminare scandalose ingiustizie. Gesù, infatti, fattosi
consegnare dall'inserviente della sinagoga il rotolo biblico dove Isaia
preannuncia il suo integrale anno di grazia del Signore, lo legge ad alta voce
ai presenti per proclamare solennemente : "Oggi questa scrittura si compie
nel momento stesso in cui le vostre orecchie la ascoltano".
Bontempelli e Bruni, “Civiltà
storiche e loro documenti”, Milano, 1993
Chi non conosce George Soros? È nato a Budapest, il 12 agosto
del 1930 da famiglia ebraica (Schwartz) costretta a cambiar nome per sfuggire
alle persecuzioni). A 13 anni lavorava per il consiglio ebraico di Budapest,
uno dei tanti che collaborava con i nazisti nello sterminio degli Ebrei, nella
speranza di poter salvare quante più vite fosse possibile (o per egoismo e
grettezza, come denunciò Hannah Arendt). Uno dei grandi geni finanziari della
contemporaneità, uno che si è fatto da solo, senza ereditare i suoi miliardi,
ed è oggi il 35esimo uomo più ricco del pianeta (Forbes, 2010); un capitalista
così ambizioso ed audace da speculare contro la sterlina e la Banca
d’Inghilterra, nel 1992, vincendo la partita. Soros è un globalista, ossia un fautore del nuovo ordine mondiale,
ufficialmente da posizioni di sinistra, attraverso fondazioni, comitati e
sponsorizzazioni di politici. Qui ho
spiegato le ragioni per cui io reputo che il progetto di un Nuovo Ordine
Mondiale sia una pessima idea per molti ed un’eccellente idea per chi già
detiene il potere e vuole, gattopardescamente, che tutto cambi affinché nulla
cambi veramente:
Nel febbraio del 2009 Soros annunciò che il sistema economico globale era
stato tenuto in vita artificialmente ma che, dopo l’inizio della crisi, non era
più possibile vedere il fondo dell’abisso. Ora sta cercando di istituire un nuovo sistema economico-finanziario che faccia a meno
del dollaro (il che decreterebbe la fine degli Stati Uniti) e che,
presumibilmente, introdurrà una qualche valuta globale:
O, addirittura, abolirà i contanti:
Soros prevede il default greco (lo dà per certo), una risorgenza
fascista, la discesa dell’Europa nel caos e nella violenza, ma non la morte
dell’euro. Per gli Stati Uniti prevede rivolte negli Stati Uniti che
innescheranno una reazione autoritaria da parte dello Stato. Il sistema
economico globale potrebbe essere moribondo:
Aggiunge, però, che durante le crisi l’impossibile diventa possibile,
nel male ma anche nel bene:
http://www.thedailybeast.com/newsweek/2012/01/22/george-soros-on-the-coming-u-s-class-war.print.html
Considerazioni e previsioni analoghe sono state fatte da Jacques
Attali:
Si tratta di capire se questa sia una crisi spontanea, ciclica e
quindi se sia possibile affidarsi alle autorità mondiali per risolverla ed
assicurarci un nuovo modello di sviluppo migliore di prima, oppure se sia una
crisi generata nell’intento di far ingoiare alla popolazione mondiale delle
trasformazioni che altrimenti rifiuterebbe.
Carroll Quigley, uno dei massimi
storici dell’economia statunitensi del secolo scorso (mentore di Bill Clinton
quando era un universitario), in Tragedy
and Hope: A History of the World in Our Time (New York:
Macmillan, 1966), spiega che la crisi deflattiva del 1927-1940 fu la
causa principale della Seconda Guerra Mondiale e fu prodotta dai banchieri.
Demolì la democrazia ed il sistema
parlamentare ed ostacolò quei governi che restarono democratici con la sua
ortodossia economica, impedendo loro di riarmarsi adeguatamente e difendersi
dal fascismo, con il risultato che la seconda guerra mondiale fu prolungata
inutilmente a causa della debolezza delle democrazie che causò le loro sconfitte
iniziali. Non contenti, i banchieri indirizzarono lo sviluppo economico
dell’Occidente lungo la strada del capitalismo monopolistico.
La ricetta dei banchieri fu:
tassi di interesse più alti, avanzo primario o pareggio del bilancio (oggi si
chiama regola d’oro), riduzione
della spesa pubblica (tagli al welfare),
misure deflattive (che inibiscono l’iniziativa delle imprese), ancoraggio al sistema
aureo (gold standard – c’è sempre quest’oro di mezzo).
Tutte idee che gli
economisti non-ortodossi (oggi sono i vari Stiglitz, Krugman, Amartya Sen,
ecc.) respinsero categoricamente, perché la
strategia dei banchieri intendeva conservare il valore del denaro ed aumentare
il profitto riducendo il costo del lavoro - ossia impoverendo i lavoratori e le
loro famiglie, cioè a dire i consumatori, gli unici che potevano rilanciare
l’economia.
Il paradigma dei
banchieri servì a creare dei grandi blocchi continentali attorno agli stati
maggiori, alle grandi potenze. L’integrazione degli stati in blocchi
continentali non fu raggiunta per consenso ma coercitivamente, in quanto le
nazioni erano costrette a seguire quella strada per poter pagare i debiti.
Quigley non è un nemico
di questa strategia, come non lo è Attali. Lo storico statunitense spiega anzi
che: “Sono al corrente delle
operazioni di questa organizzazione perché l’ho studiata per venti anni e, nel
corso di due anni, nei primi anni Sessanta, mi è stato concesso di esaminare i
suoi incartamenti ed archivi segreti. Non le sono ostile, come non lo
sono verso la maggior parte dei suoi obiettivi e, per la maggior parte della vita sono stato in rapporti di familiarità
con essa e con i suoi strumenti….Più in generale, sono maggiormente in
disaccordo proprio riguardo al suo desiderio di restare occultata, mentre io credo
che il suo ruolo nella storia sia sufficientemente significativo da meritare di
essere conosciuto” (p. 950)
Quigley non approva la
segretezza e cerca di portare alla luce le dinamiche dissimulate: “La terza fase dal capitalismo ha un
significato così enorme nella storia del ventesimo secolo e le sue
ramificazioni ed influenza sono state così sotterranee e persino occulte,
che i lettori ci scuseranno se dedichiamo una particolare attenzione alla sua
organizzazione ed ai suoi metodi” (p. 50).
Quali sono le ragioni di tutta
questa segretezza?
“L’influenza del capitalismo
finanziario e dei banchieri internazionali che l’hanno partorito è stata
esercitata sia nell’ambito economico sia in quello politico, ma non avrebbe
avuto alcun effetto se non fosse stata capace di persuadere entrambi ad
accettare due assiomi della sua ideologia. Entrambi partivano dall’assunto che
i politici sono troppo deboli e troppo sensibili all’ondivaga pressione
popolare per meritare la responsabilità di prendere in consegna il controllo
del sistema monetario; di conseguenza, la
santità dei valori e la solidità del denaro dovevano essere protette in due
modi: legando il valore del denaro a quello dell’oro e consentendo ai banchieri
di controllare la quantità di denaro in circolazione. Per realizzare questo
obiettivo divenne necessario nascondere ai governi ed alle popolazioni, perfino
ingannandoli, la natura del denato e delle sue operazioni” (p. 53).
Ragioni non necessariamente
plausibili:
“i banchieri sono stati
ossessionati dal mantenimento del valore del denaro, sebbene le ragioni da loro normalmente addotte
– che una valuta affidabile conserva la fiducia degli investitori – siano propagandistiche piuttosto che
accurate” (p. 46).
Quigley
mette in guardia i suoi lettori dal progressivo accentramento del potere, a
discapito della salute delle istituzioni democratiche. A suo avviso, questo
fatto, in combinazione con l’accresciuta sofisticatezza degli armamenti, può
far prevalere l’autoritarismo sulla democrazia (p.
1201).
Per Quigley il grave limite del
capitalismo è che fornisce delle potenti motivazioni all’attività economica
perché si fonda sull’interesse personale e sul profitto. Il suo limite è che
enfatizzando l’egocentrismo rende più arduo il coordinamento economico. Si
perde di vista il proprio ruolo nella più vasta cornice della società, ci si
convince che le proprie attività sono comunque prioritarie a discapito del bene
del sistema nel suo insieme. Al contrario, il profitto non va necessariamente a
braccetto con la prosperità, la produttività generale e la maturazione morale,
anzi.
In fin dei conti, allora, queste citazioni sulle banche e i banchieri
non sono esagerate:
Viviamo
in un sistema che insiste nell’incolpare gli individui e pretendere da loro che
si conformino alle sue esigenze piuttosto che riformarsi, come se fosse
inevitabile, sacrosanto, intoccabile, moralmente intangibile. Stando così le
cose, è difficile immaginare che le cose cambieranno, senza una rivoluzione
globale. Quasi certamente servirà una rivoluzione, perché i
finanzieri hanno sempre appoggiato le rivoluzioni, che incarnano la dialettica
“hegeliana” centrale alla loro visione del progresso sociale, antitetica a
quella democratica, basata sulla ricerca di una maggiore giustizia sociale:
tesi (establishment), antitesi (rivoluzione), sintesi (establishment più
forte).
[A dirla tutta, Hegel avversava
la rigida triadizzazione a lui erroneamente e pervicacemente attribuita,
considerandola un geistloses Schema
(una sterile/disanimata schematizzazione) che irreggimentava il pensiero
filosofico invece di lasciarlo libero di esprimersi. Per lui il processo
dialettico era spiraliforme, equilibrato, armonioso, come nella coincidentia oppositorum].
Per questo le rivoluzioni hanno il brutto vizio di degenerare in regimi più
tirannici di quelli che abbattono:
Le rivoluzioni spianano la strada agli esseri umani peggiori e c’è
chi le usa come leva per realizzare i ben altri obiettivi. Come
ad esempio Zbigniew Brzezinski, nume tutelare di diversi presidenti americani,
che, alla fine degli anni Novanta, spiegava che le guerre americane non servono
a sanare l’economia americana ma esclusivamente a riaffermare l’egemonia
statunitense mondiale e che solo un qualche tipo di Pearl Harbor
consentirebbe di occupare militarmente l’Asia Centrale, il centro geostrategico
del globo (l’11 settembre è arrivato circa 4 anni dopo la pubblicazione del
libro):
Riferendosi alle nazioni centrasiatiche, Brzezinski
usava volutamente termini come: “vassalli”, “tributari” e “barbari”. Essendo contrario
alle guerre, che considera troppo dispendiose rispetto ai benefici che possono
apportare, suggeriva di optare per la
soluzione dell’insorgenza anti-governativa, ossia cambi di regime per mezzo di
insurrezioni popolari programmate. Ci sono quelli come lui dietro le
rivoluzioni colorate e una parte della primavera araba (es. Libia e
Siria).
Le rivoluzioni colorate sono dei movimenti di protesta non-violenti e
non-spontanei esplosi in varie regioni dell’ex Unione Sovietica e del Medio
Oriente, tra le quali la Serbia (2000), la Georgia (2003), l’Ucraina (2004), il
Libano e il Kyrgyzstan (2005), l’Iran
(fallita, nel 2009-2010), in seguito ad un’elezione dall’esito contestato o sull’onda della richiesta di un voto
legittimo. Sono non-spontanee in quanto strumenti di politica estera, come il
terrorismo. L’Occidente (o altre potenze regionali e globali) le organizza e le
finanzia, direttamente o attraverso le ONG, per ottenere dei cambi di regime
senza incorrere negli ingentissimi costi di una guerra (Iraq, Afghanistan,
Libia) o nelle spiacevoli ricadute d’immagine di un golpe (es. Pinochet,
Gbagbo), sfruttando le vulnerabilità dell’emotività umana (paura, desiderio,
pigrizia) e la credulità dell’opinione pubblica internazionale pronta ad
avallare qualunque moto nominalmente democratico. I fomentatori sono degli
specialisti, persone altamente competenti che devono manovrare i moti popolari
in modo tale da non far trapelare le reali motivazioni dei poteri forti che li
sostengono. La stragran parte dei manifestanti dev’essere in buona fede,
altrimenti il fallimento è assicurato.
A questo proposito, è
significativo che i media siano pronti a sostenere qualunque protesta al di
fuori dell’Occidente e denunciare qualunque protesta al suo interno, bollandola
come irresponsabile, incivile, anti-patriottica, barbara, egoistica. I
guardiani dello status quo sono impegnati a preservare un ordine iniquo
consolidatosi nell’ultima generazione utilizzando una miscela di gas
lacrimogeno, cariche di polizia, appelli alla responsabilità e proclami di
superiore competenza tecnocratica. Gli sfidanti stanno cercando di
riappropriarsi degli spazi di protesta, di imparare le dinamiche occultate
dell’economia e della finanza e condividerle con gli altri. Così tematiche che
erano state trascurate, bistrattate, fraintese, incomprese ora stanno
riemergendo, dominano il dibattito pubblico e non possono più essere ignorate
dai politici, che finiscono per esporsi al ridicolo: es. Mario Monti che,
beatamente/beotamente, replica alla Gruber, che lo sta intervistando, che lui
ha solo una vaga idea di cosa sia la massoneria, quando anche un pastore
macedone sordomuto sa cos’è la massoneria.
Ciò significa che,
questa volta, la Rivoluzione potrebbe ritorcersi contro chi la fomenta, perché
il discorso pubblico non è più dominato unicamente dalla propaganda e dalla
disinformazione, ma anche da un dibattito informato che ha la possibilità di
fare la differenza:
Forse
stavolta riusciremo dove chi ci ha preceduto ha miseramente fallito.
L’importante è essere consapevoli del fatto che
proveranno a convincere le masse che:
-
internet è uno
strumento di trasparenza assoluta che costringerà i governi a comportarsi
responsabilmente (in realtà internet è stato usato per martellare nella testa
della gente un certo tipo di visione del mondo favorevole ai potentati);
-
occupy wall street
deve evolvere nel senso della rivoluzione francese, ossia della violenza
terroristica (in realtà il chaos è una fase indispensabile per poter instaurare
il governo globale, o nuovo ordine mondiale e quindi guerre planetarie e
rivoluzioni globali sono già in programma);
-
la restrizione dei
diritti civili è necessaria per garantire la sicurezza dei cittadini e
rilanciare l’economia (in realtà la democrazia è invisa a chi gestisce il
potere in questa fase storica e il desiderio è quello di far sentire la gente
sfiduciata, priva di risorse);
-
l’unica
organizzazione sociale possibile è piramidale, gerarchica, elitaria, ossia
oligarchica (e quindi intrinsecamente anti-democratica);
-
le oligarchie sono in
realtà democrazie ( = la vera democrazia è oligarchica) e chi le contesta e le
contrasta è un nemico della democrazia;
La
questione centrale del nostro tempo diventa allora quella di evitare che l’abbattimento
del vecchio ordine spalanchi la porta ad un nuovo ordine molto peggiore di
quello precedente. Non dobbiamo cadere nella trappola delle dittatura che
promette di proteggerci dalla contro-rivoluzione, mentre incarna lo spirito
della controrivoluzione, facendo il gioco delle forze contro-rivoluzionarie. Tutte
le rivoluzioni sono fallite perché chi la ha guidate non era in grado di
immaginare un mondo realmente migliore: pensava a distruggere senza costruire
nulla di auspicabile per la gente comune. La rivoluzione francese ha portato al
potere Robespierre e Saint-Just prima, Napoleone poi. Quella egiziana ha
trasmesso il potere da Mubarak, un militare, all’esercito, in coabitazione con
gli islamisti. La stessa sorte toccherà
agli indignati e ad Occupy Wall Street quando le politiche recessive dei finti
salvatori e sinceri rinnegati che governano i paesi europei (Cameron, Monti,
Merkel, Sarkozy in primis):
assieme al deterioramente del
clima globale (improvviso raffreddamento planetario)
provocheranno un movimento di
disobbedienza civile di massa.
I
potenti ce la metteranno tutta per spedire il mondo nell’abisso della
catastrofe economica e della guerra mondiale (incluso l’uso, localizzato, su
scala ridotta, ma dalle conseguenze incalcolabili, di armi atomiche) in modo
tale che la ricostruzione sia radicale e lo choc subito dalla popolazione
mondiale sia di tale portata da prevenire ogni forma di significativa
resistenza all’instaurazione di un nuovo ordine formalmente benevolo ma
visceralmente ed incorreggibilmente dispotico, in cui gli psicopatici del
nostro tempo sembreranno delle placide suorine.
Hanno bisogno di poter
catalizzare le forze del cambiamento nella direzione voluta, quella di un
asservimento integrale in una società castale dietro la facciata di
un’emancipazione radicale, della redenzione salvifica, angelica.
Indubbiamente ci sono forze
contrarie che operano, anche segretamente, per contrastare questo genere di
sbocco, ma tutto dipende dalla lucidità e consapevolezza delle persone comuni.
Come si sfugge a questa Matrix?
Innanzitutto va capito che chi è supino vede le
cose più grandi di quello che sono realmente:
Ritengo che queste possano
essere delle ragionevoli finalità, per
noialtri “ordinari”:
-
introduzione di reti orizzontali di cooperative
autonome di produttori e consumatori interconnesse globalmente al posto dei
consueti sistemi di coordinamento gerarchici-piramidali;
-
beni comuni, rispetto per la natura, pari dignità, autentica
democratizzazione delle procedure amministrative, auto-organizzazione dei
processi lavorativi;
-
enfasi sull’autorealizzazione nel servizio al
prossimo;
-
progresso tecnologico finalizzato al perseguimento
del bene comune e non alla soddisfazione dell’avidità e del desiderio di
sorvegliare, manipolare, soggiogare, attaccare;
-
valorizzazione del processo di apprendimento di chi
non segue qualcuno ma cerca la sua strada.
Il resto
verrà da sé:
Nessun commento:
Posta un commento