For a New World Order to live well
Fai ciò che vuoi, sia l’unica legge.
Aleister
Crowley
La libertà illimitata del desiderio è la negazione dell’altro.
Albert Camus
Powaqqatsi: vita che consuma le forze vitali di altri esseri per
promuovere la propria vita.
Lingua hopi
L’Anticristo credeva in Dio, ma nel profondo del suo cuore preferiva
se stesso.
Solovev
Aiwaz è un’intelligenza che possiede potere e conoscenza in una
misura assolutamente oltre ogni esperienza umana e perciò è degna del titolo di
dio.
Aleister Crowley, “The Equinox of the Gods”, 1936.
Sarebbe stato facile capire quando fosse arrivato il momento, perché
allora il genere umano sarebbe diventato come i Grandi Vecchi; libero, sfrenato
e aldilà del bene e del male; avrebbe gettato alle ortiche leggi e morale, e
tutti avrebbero urlato, ucciso e gioito. Allora gli Antichi, ormai liberi,
avrebbero loro insegnato nuovi modi di gridare, uccidere, gioire e divertirsi,
e tutta la Terra avrebbe fiammeggiato di un olocausto di estasi e libertà. È questa
l’età oscura, il Kali Yuga, dove il disordine regna sovrano, la corruzione e la
decadenza predominano incontrastati e l’umanità stessa, perduta la propria
ragione, precipita in abissi di follia quasi senza accorgersene, compiacendosi
anzi di una caduta che viene scambiata per volo. Epoca di oscurità, disordine e
disorientamento, di debolezza e viltà, barbarie e violenza, in cui forze
occulte si materializzano rendendosi visibili, mentre nel disfacimento finale
fantasia e realtà iniziano a confondersi, uguali ma diverse, ognuna con il
proprio frammento di verità
H.P. Lovecraft
Nella Nouvelle Justine, Sade giustifica la dittatura dell’aristocrazia sulla plebaglia, vanta
i meriti del cristianesimo e della monarchia, ai quali, secondo lui, si deve la
grandezza e la prosperità della Francia. Adepto della “tirannia più sfrenata”,
dà alcune ricette: costringere i poveri a uccidere i figli, praticare un
brutale eugenismo su vasta scala, sopprimere gli “esseri meno importanti”,
abolire l’assistenza pubblica, chiudere gli ospizi per i poveri, proibire la
mendicità, sopprimere la carità, punire l’elemosina, tassare pesantemente i
contadini, accelerare la pauperizzazione, proibire i matrimoni tra persone di
condizione sociale differente, trasformare le esecuzioni capitali in spettacoli
pubblici, organizzare immense carestie con malversazioni commerciali, impiccare
e sciabolare i mendicanti, agire da despoti. La parola d’ordine? “Siamo
disumani e barbari”. La formula di Sade, non “Libertà, Uguaglianza,
Fraternità”, ma: “Fatalità, Disuguaglianza, Crudeltà”.
Michel Onfray, “Illuminismo estremo. Controstoria della
filosofia IV”, p. 244
In questo detestabile romanzo filosofico [Le 120
giornate di Sodoma], Sade mette in scena
tutto quel che caratterizza il fascismo: controllo poliziesco di un territorio
delimitato, isolato e protetto dall’esterno, extraterritorialità giuridica dei
soggetti rinchiusi, sottomissione al capriccio ed all’arbitrio; sostituzione
della legge con la parola del padrone, regno della violenza pura, dominio di
una casta che rivendica la propria superiorità,…odio per le donne, marchiatura
del corpo, vessazioni generalizzate, punizioni sessuali, abbrutimento degli
uomini, riduzione dell’essere alle nudità essenziali, perpetua imminenza di
morte.
Michel Onfray, “Illuminismo estremo. Controstoria della
filosofia IV”, p. 246
In cosa consiste tuttavia la libertà di cui godono le genti di questa
aristocrazia guerriera? Non si tratta assolutamente d’una libertà coincidente
con l’indipendenza e neppure della libertà attraverso la quale si rispettano
gli altri. La libertà di cui usufruiscono i guerrieri germanici è
essenzialmente la libertà dell’egoismo, dell’avidità. Coincide con il gusto
della battaglia, col gusto della conquista e della rapina. La libertà di questi
guerrieri non è quella che procede dalla tolleranza e dall’uguaglianza, ma è
una libertà che può essere esercitata solo attraverso la dominazione. Ciò
significa che essa, lungi dall’essere una libertà che nasce dal rispetto, è una
libertà della ferocia. (…) la libertà sarà equivalente a una ferocia che è
gusto del potere e avidità determinata; incapacità di servire e desiderio
sempre pronto ad assoggettare.
Michel Foucault, “Difendere la
società” (sulla visione politica di Nietzsche), pp. 101-102
Legato al male è chiunque abbia visto e non abbia agito, chiunque
abbia distolto lo sguardo, perché non voleva vedere, sebbene avesse potuto
farlo, ma colpevoli sono stati anche tutti coloro che non avevano occhi capaci
di vedere.
Erich Neumann, “Psicologia del
profondo e nuova etica”, p. 28
Finché il male non minaccia la nostra esistenza, viene ricoperto di
tanti bei mantelletti, che vengono poi strappati via solo quand’esso digrigna i
denti per attaccare la nostra persona, la nostra casa o la nostra nazione.
L’uomo moderno non si mette in movimento per combattere il male…ma tutt’al più
per combattere la rovina provocata dal male stesso.
Erich Neumann, “Psicologia del
profondo e nuova etica”, p. 29
È un dato di fatto che ciò che è un bene per uno a un altro appare un
male. Basta pensare alla madre piena di premure che si intromette in tutte le
faccende del figlio – naturalmente con la sollecitudine più disinteressata – ma
in realtà con effetto micidiale. Per la madre è naturalmente una cosa buona che
il figlio faccia questa cosa o non faccia quest’altro, per il figlio è
semplicemente una rovina fisica e morale – figurarsi se è una cosa buona.
Carl Jung, cf. Erich Neumann,
“Psicologia del profondo e nuova etica”, p. 128
Il male
è, e resta, ciò che tu sai che non dovresti fare. Ma per disgrazia l’uomo, a
questo proposito, si sopravvaluta: crede di essere libero di scegliere il bene
o il male…in realtà, considerando la grandezza di questi opposti, è troppo
piccolo e impotente per scegliere l’uno o l’altro volontariamente e in qualsiasi
circostanza.
Carl Jung a Erich Neumann
(1957), cf. Erich Neumann, “Psicologia del profondo e nuova etica”, p. 133
Questa gente, questi angeli
caduti al potere, non sono minimamente in grado di autodisciplinarsi, né hanno
la capacità di analizzare obiettivamente la realtà. Più si agitano, più
scuotono la barca, più mostrano che sotto il guanto di velluto c'è un pugno di
ferro, più le masse saranno messe nella posizione di capire che la realtà in
cui hanno creduto è un'illusione. Questo segnerà la fine di questo sistema di
potere.
Scorrerà moltissimo sangue ed è
giusto e normale che sia così. Pur essendo categoricamente contrario alla
violenza quando non è autodifensiva, mi rendo anche conto che tutti quanti noi
ci siamo resi complici della situazione attuale. Non abbiamo parlato quando era
il momento di farlo, non abbiamo agito quando era tempo di agire, abbiamo
preferito prendercela con chi calpestava i nostri sogni, ossia le finzioni
utili all'establishment.
Pagheremo tutti un conto
salatissimo. Raccoglieremo quel che abbiamo seminato.
Perché è successo? Perché siamo
caduti? Dove abbiamo sbagliato? Come possiamo liberarci dalla sindrome del feto
egoista?
I DUE GEMELLI CREATORI DELLA TRADIZIONE IROCHESE
Il dio
creatore Hahgwehdiyu ha un gemello “cattivo” chiamato
Hahgwehdaetgan. Il gemello buono si
chiama “Colui Che Afferra Il Cielo Con Entrambe Le Mani”, a significare il
fatto che si ricorda da dove viene, che sa che la terra, la materia, non è il
suo luogo natale. Il gemello cattivo, chiamato Ghiaccio di Cristallo, inteso
come dio dell’inverno, è diverso e ama la sfera terrena così tanto da ignorare
quella celeste e spirituale. Non è interessato al vero sé, ma solo ad ego.
Ghiaccio di Cristallo vuole
imitare il potere creativo di Colui che Afferra il Cielo, ma con scarso
successo, come spesso accade nelle mitologie di tutto il mondo. Per ripicca, invidia ed egoismo rinchiude
in una caverna gli animali creati dal fratello. Colui che Afferra il Cielo
cerca di porre rimedio a questa situazione e si accorge che è solo quando si separa da lui che il
fratello diventa un combinaguai e, per esempio, nell’intento di creare uccelli,
produce mosche e pipistrelli, al posto dei girasoli, genera cardi, al posto dei
frutti, spine, ossia tutto ciò che resiste, punge, spaventa. Colui che
Afferra il Cielo non dispera ed accetta
tutto ciò che il fratello ha creato, lo considera una buona creazione che, a
modo suo, saprà coaudiuvarlo nel suo progetto creativo: il cardo sarà cibo per
gli animali più piccoli. Ghiaccio di Cristallo è felice, ma continua a
voler creare, a dar sfogo al suo impulso creativo non ben indirizzato. A quel
punto Colui che Afferra il Cielo
capisce che il fratello è destinato a volersi mettere al suo posto e capisce
anche che, mentre non è giusto che si separino, perché deve comunque tenerlo
d’occhio, non è neppure saggio che si confondano l’uno con l’altro, perché sono
diversi, sono contrari: è necessario che tra loro si frapponga una piccola
distanza.
Successivamente, Colui che
Afferra il Cielo ritorna nella sua loggia, dove si mette a creare esseri umani
e decide di donare a queste creature la sua longevità, una porzione della sua
vitalità e della sua mente. Genera un maschio ed una femmina e raccomanda loro
di esplorare tutta la terra, di arrivare a conoscerla, ma solo durante il
giorno. La notte dovranno fermarsi e riposare. E lo stesso faranno gli animali
che servono a sfamarvi.
Ghiaccio di Cristallo ammira la
creazione del fratello e, naturalmente, decide di provarci anche lui, ma nella
maniera in cui lui pensa che sarebbe meglio farlo. Ma questa creazione, invece
di camminare eretta, fa un salto e si tuffa nell’acqua. Ghiaccio di Cristalla
pensa di aver commesso un errore e si rimette all’opera. Ma ad ogni tentativo
l’esito non corrisponde all’originale. È così che nascono la rana, la scimmia,
il lupo e l’orso, che Ghiaccio di Cristallo mostra orgogliosamente al fratello.
Allora quest’ultimo, sempre servizievole, gli suggerisce di riprodurre
fedelmente il prototipo e lo aiuta ad infondergli la vita. Purtroppo, però,
questa seconda tipologia di essere umano, si rivela subito ostile al gemello
buono, che lo chiama “seminatore di zizzania”. [Gli psicopatici?]
In seguito viene creata la luna,
anch’essa al servizio del male, ma comunque utile al bene. Finché Colui che
Afferra il Cielo decide di ripartire e dice agli esseri umani che sarebbe
tornato quando fossero diventati numerosi. Infatti, fedele alla promessa,
ritorna ed impartisce un importante insegnamento: “ciascuno di voi ha lo stesso diritto degli altri di fruire della
creazione. Ciò garantirà la pace. Se trascurerete la pace, non potrete
continuare a vivere. Ve lo dico perché so che mio fratello non è d’accordo con
me e farà in modo che venga il giorno in cui ci saranno grandi divisioni e
diatribe e la gente si dimenticherà della felicità, della pace e di me”.
Colui che Afferra il Cielo
ritorna altre due volte per istruire gli uomini. L’ultimo messaggio è questo: “quando arriverete alla fine dei vostri
giorni, se avrete seguito le mie istruzioni mi raggiungerete nella mia dimora,
dove non ci sono malattie, non c’è la morte, non ci sono tribolazioni. Se
invece la vostra mente corrisponde a quella di mio fratello, dopo la vostra
partenza dalla terra seguirete un diverso percorso, che vi condurrà da lui,
nella sua loggia. Là soffrirete la fame, perderete la vostra libertà e
brucerete nelle fiamme di un fuoco che è alimentato dalla sua rabbia, dalla sua
invidia e dalla sua brama di controllare tutte le menti degli esseri umani.
Siete liberi di fare la vostra scelta e, una volta fatta, dovrete essere
coerenti. Non tornerò mai più, ma siccome è possibile che vi dimentichiare
dell’amore e della pace, vi manderò qualcuno che vi assisterà. Ma verrà solo
due volte. Se ve ne dimenticherete una terza volta, ne subirete le conseguenze:
la vita si isterilirà, la terra si scuoterà e mostri del sottosuolo verranno in
superficie, perché questa è la volontà di mio fratello e sarà in grado di
sedurre tutte le menti degli esseri umani, rovinando la mia creazione. Sta a voi
fare la cosa giusta”.
Viviamo in un mondo che non
valorizza in modo particolare (lo fa a parole, ma non nei fatti) lo sforzo
cooperativo e la collaborazione per il bene comune; un mondo in cui amare il
prossimo, abbassare la guardia di fronte all’irrefrenabile lotta per
l’esistenza, equivale ad un suicidio. Edward Banfield, nella sua celebre ricerca etnografica intitolata
“Le basi morali di una società
arretrata” (Banfield, 2006, orig. 1958), coniò l’espressione “familismo amorale” per definire la
tendenza delle famiglie nucleari di un paesino del Meridione d’Italia – sia
chiaro che lo stesso discorso si applica a 7 miliardi di esseri umani – a
massimizzare i propri vantaggi materiali nel breve, presupponendo che tutti gli
altri avrebbero fatto lo stesso. Per questa ragione ogni paesano era a favore
di qualunque cambiamento che potesse beneficiare la comunità solo se era certo
di poterne fruire anche lui. Era invece ostile a ciò che avvantaggiava alcuni
ma non lui, perché se gli altri vivevano meglio, lui nel confronto ci perdeva,
anche se in termini assoluti nulla era cambiato in casa sua. Questo tipo di
comunità, che non conosceva la solidarietà e la giustizia, credeva in un
peccato originale che avvelenava le coscienze e temeva la legge solo se questa
era in grado di catturare il malfattore con le mani nel sacco; prediligeva uno
stato autoritario che obbligasse le persone ad essere buone, dato che non lo
erano di natura. L’unico regime degno di rispetto era quello che accentrava i
poteri ed imponeva l’obbedienza e l’ordine con la forza. Frustrato da
quest’esperienza, l’amara conclusione di Banfield è che “forse non si esagera nel dire che i Montegranesi (nome fittizio,
NdR) si comportano come bambini egoisti perché sono stati cresciuti come bambini
egoisti…Non avendo interiorizzato alcun principio morale che lo guidi, la
decisione del singolo dipenderà dalla certezza della pena o del compenso. La
sua relazione con i detentori del potere si formerà sulla base del modello
offerto dai suoi genitori” (Banfield, op. cit., p. 161).
È questo il Male? Io credo di
sì.
Il male
non è assenza di bene: questa formula lo priverebbe di una sua esistenza
indipendente. Ma le sue azioni e quelle che compirà alla fine dei tempi (allegoricamente
o meno) dimostrano che è tutt’altro che un comprimario. È proprio l’Avversario
del Figlio e merita rispetto.
Il male
non è privatio boni, assenza di bene:
se fosse solo una questione di maggiore o minor bene, allora sarebbe possibile
eliminare il male dal mondo, sarebbe altresì nostro dovere farlo, come sarebbe
nostro dovere incrementare la riserva di bene nel mondo. Ma questa è la radice
del nostro irrealismo, del nostro frenetico
progressismo che ignora la realtà concreta dell’umano in favore del sogno di
poter eliminare il male con il diritto penale, gli psicofarmaci e l’ingegneria
genetica/eugenetica. Come se i vizi
umani non informassero e perciò corrompessero anche ogni singolo progetto
migliorista, in special modo quelli più radicali e scientisti, eternamente
puritani.
Questo
abbaglio ci imprigiona in un circolo vizioso di illusioni, ipocrisie e
persecuzioni arbitrarie. L’unica maniera per uscirne, diceva Jung, è quella di
affrontare l’ombra in noi, affrontando la realtà del male nel mondo e in noi
stessi. Altrimenti la nostra civiltà e
la nostra specie, ormai potenzialmente iperdistruttiva, non sopravvivrà e
ferirà gravemente l’intero ecosistema, prima di estinguersi.
Sospetto
che la sindrome del bimbo capriccioso ed egoista (Individualismo Possessivo e
Parassitario - IPP) sia universale, perché universale è, verosimilmente,
l’istinto di autoconservazione, il desiderio di ego di perseverare nella sua
esistenza fisica, di non essere un semplice epifenomeno, di affermare la sua
pienezza e permanenza, ma anche di possedere, controllare, sfruttare chi è più
debole. Il forte che si diletta nei suoi atti distruttivi, che ha bisogno di
essere violento per poter gridare: IO SONO! Un tiranno in preda alle sue
pulsioni libidinali, sicuro che la vittima deve subire perché è giusto così,
nell’ordine delle cose, conforme al principio dell’ineguaglianza naturale.
Credo anche che Omero, Dante, Shakespeare,
Milton, la Bibbia, le saghe nordiche e dei nativi americani, i miti
tradizionali di tutto il mondo squarcino il velo sugli archetipi, sulle grandi
idee, sui significati subliminali che guidano l’umanità e spesso sfidano i
dogmi ufficiali, ma sottilmente, in modo da non incorrere in forme di censura e
soppressione. Queste fonti ci offrono un quadro piuttosto
accurato di questo “male”, una modalità dell’essere e del concepire la realtà
che ho cominciato ad esplorare indagando la stupefacente natura degli
psicopatici che hanno letteralmente preso il potere a livello globale:
Quella dei narcisisti umanitari
(il vizio capitale della sinistra):
E un fenomeno di cui tutti
parlano sommessamente, privatamente, in piccoli crocchi, non volendo smuovere
troppo le acque (il fango) e non volendo infangare la propria immagine:
Ecco le conclusioni che ho tratto
dallo studio delle fonti citate a fondo pagina.
Satana – uso la denominazione
occidentale, per comodità – appare a tutta prima come vitale e pieno di
risorse, ma è la forza che conduce alla cessazione di ogni attività, una forza
entropica che trasforma tutta l’energia in inerzia mortale. La sua superbia è
legata ad un ego perennemente risentito, sdegnoso, come di chi continua a
subire ingiustizie e mancati riconoscimenti. La rivolta degli angeli è il
riflesso condizionato di una particolare auto-percezione, scollegata dalla
realtà. Per loro la volontà di Dio è il fato, un’entità sinistra, misteriosa ed
onnipotente. Confondono la creatura con il Creatore e si considerano Dèi,
l’acme della creazione. Sono intossicati di se stessi. Come Geova – un altro angelo caduto – con la
sua risibile ed arrogante pretesa
che gli altri violino la loro integrità venerandolo come assolutamente buono e
giusto anche se la sua creazione indica il contrario.
La loro esistenza è un inferno
di sete inestinguibile e fame insaziabile, il Pandemonio, una parodia della Creazione: sono governati dalle loro
bramosie e quindi non possono essere liberi. Impotentemente asserviti al
desiderio, confondono licenziosità e libertà. Tra libertà e piacere hanno
scelto il piacere e questo li ha resi ingrati, disobbedienti, ingordi, avidi,
presuntuosi, irresponsabili, mentitori, ecc. Chi li idolatra, ritenendoli dèi, finirà per istituire imperi e società
schiaviste in luogo di una società ispirata ai principi dell’amore e della
libertà.
L’alienazione dal
principio creatore genera superbia. Il Satana di Milton spiega di non essere
mai stato generato da nessuno. Lui e gli altri diavoli sono autogenerati. Quel
che non capiscono è che il loro egotismo, la loro brama di accentrare su loro
stessi l’intero universo li equipara a dei buchi
neri, quei segni geroglifici dell’Antico Regno egizio a forma di cerchio nero,
assumere il totale controllo di ogni fonte di
energia, di costringere l’intera
Creazione a lavorare per loro, non essendo più capaci di generare luce,
energia, vita per conto loro, ma solo di consumare quelle altrui,
parassitariamente.
Sono sinceramente convinti che
amare se stessi equivalga ad amare tutti.
Sono confusi, abbiamo detto: il male è assenza di conoscenza, ossia
ignoranza, non assenza di bene.
Si sono convinti che il destino
di Ego debba essere quello della perfetta stabilità, dell’Essere immune da
cambiamenti, che identificano con la morte. Il cambiamento è letale. Di
conseguenza, si sforzano di far conformare il mondo alle loro esigenze, cercano
conferme o comunque risposte/riflessi che rafforzino il loro Ego idealizzato,
il centro dell’attenzione dell’universo.
Mangiano
per non essere divorati. Divorano bocconi sempre più grossi di Essere, nella
speranza di ingoiare ed incorporare interi universi: esaltazione finale di ego,
dell’istinto di sopravvivenza spinto al parossismo. I sottoposti sono delle
mere estensioni, dei tentacoli attraverso cui nutrirsi a spese del prossimo.
Gli angeli caduti sono motivati
da gelosia ed invidia del principio creativo. Non potendo creare, preferiscono
distruggere, come i bambini pestiferi
che rovinano i castelli di sabbia dei fratellini. Satana ama nel senso che
desidera: non integra ma assimila e perciò aggredisce e prevarica.
Odia, teme, sospetta la
creazione e vorrebbe tornare a dormire, invertendo il flusso creativo. In
questo senso, pur essendo terrorizzato
dal nulla, è necrofilo e destinato all’annichilimento. Che sorte immensamente
tragica!
Non è
l’antitesi della Creazione, anche se ama considerarsi tale. Ne è una componente
fondamentale. Una parte della coscienza, ancora incentrata sul
proprio ombelico di vuoto, che rifiuta una qualità integrale di se stessa, la
creatività, e nega il valore dell’amore, tramite il quale si realizza la
corrispondenza tra coscienza e potenziale creativo. Reclama per se l’indivisa
attenzione dell’auto-contemplazione ed è intento a lacerare il tessuto
dell’esistente per riappropriarsi di ogni particella di attenzione non
focalizzata su se stesso. È il Sole Nero.
Non conosce l’amore, ma solo l’amor proprio, l’amore di sé. Di conseguenza non
è capace di generare e deve limitarsi ad imitare o, per meglio dire, scimmiottare, le funzioni materne. È
come un Bimbo Cosmico che fa i capricci e distrugge tutto attorno a sé – si
vuole credere sovrano del tutto, ma è afflitto da un desiderio patologico di
possedere la madre e rimanere attaccato a lei simbioticamente.
Quando gli angeli caduti
prevalgono lo fanno dopo una lunga preparazione e sempre per cooptazione: non potendo creare nulla, sono costretti
a convertire le forze creative al polo entropico, surrettiziamente,
compromettendo la loro integrità un passo dopo l’altro, una minima deviazione
dopo l’altra, un’impercettibile distorsione dopo l’altra, fino allo squilibrio.
Una continua partita a backgammon dove è importante non divorare le proprie
pedine se si vogliono conquistare altre porzioni di Creazione.
Eppure non incarnano il caos. La distruzione dell’ordine è comunque parte
dell’ordine, è intrinsecamente ordinata. Si pone in rapporto al principio
creativo allo stesso modo in cui thanatos lo è rispetto ad eros. Yin e yang,
nel tao, rappresentano la coincidentia oppositorum.
Dunque non è sbagliato amare gli altri amando se stessi, come non è
sbagliato amare se stessi amando gli altri. Sono due modalità
dell’Essere di pari dignità. Solo che uno accresce la sua consapevolezza,
l’altro no (si limita ad assimilare le altre unità di coscienza) e quindi
precipita in un eterno ritorno dell’identico a se stesso, anch’esso parte
cruciale della Creazione. È una scelta.
Chi ama
se stesso amando gli altri riconosce nella coscienza altrui una pari dignità
rispetto alla sua, a dispetto di manifestazioni anche completamente differenti
dell’essere e stabilisce relazioni di partenariato tra coscienze affinché il
Tutto sia più grande della somma delle sue parti.
Per queste “persone” la
coscienza è un’attività integrativa di interrelazione ed interdipendenza, perché
nel prossimo si vede se stesso e proprio per questo lo si assiste, nel rispetto
della sua diversità. Si glorifica Dio – la Conoscenza, la Coscienza, il Grande
Spirito – attraverso la meravigliosa diversità dell’essere. In accordo con il motto dell’Unione Europea: uniti nella
diversità – in varietate concordia;
con il motto del Sudafrica: uniti nella diversità; con quello dell’Indonesia: !ke
e: /xarra //ke / Bhinneka Tunggal Ika,
tradotto come "Unità nella diversità", con quello statunitense: da molti, uno – e pluribus unum.
Entrambe
le modalità dell’Essere parlano di unità, ma intendono cose nettamente
differenti. In un caso la prospettiva è quella della diversità in equilibrio,
del rispetto per l’altro, dell’espansione creativa. Nell’altro caso il prossimo
è solo un’appendice e non ha alcun diritto al rispetto: il controllo ed il
possesso sono spacciati per amore. Un predatore non mostra particolare rispetto
per la preda che lo nutre. E non può fare diversamente: è la sua natura
comportarsi a quel modo.
La contrapposizione è quella tra creazione/entropia, ordine/caos,
spirito/materia, coscienza/sonno, forza centrifuga/forza centripeta. È
necessaria e bilanciata. Ibn al-Arabi
spiega che l’imperfezione deve esistere perché, se non ci fosse, la perfezione
dell’esistenza sarebbe imperfetta; se non ci fosse mancanza, non ci sarebbe
creazione. Deve esistere un infinito potenziale di essere ma anche di non
essere.
L’angelo caduto è interessato
solamente a massimizzare il suo potenziale. Muore senza aver imparato nulla che
non sia funzionale all’accentramento e controllo delle risorse, nelle tecniche
di attrazione di un numero sempre crescente di coscienze. Il suo stato ideale è quello dell’immobilità assoluta, in uno stato
di quiete perenne, come un feto che lascia che la sua massa si espanda. Freudianamente, il desiderio di
purezza cerca un ritorno all’utero (ossia al non-creato, al non-essere). Una
fantasia del paradiso perduto. Ego ricerca quello stato ideale nei ricordi
dell’utero e dell’infanzia, quando non c’erano ostacoli e qualcuno era sempre
pronto a soddisfare i bisogni. Ma non potrà mai trovare il paradiso, che è solo
una via di fuga da una realtà spiacevole e dalla necessità
dell’individuazione.
Non comunica più, perché ciò
richiederebbe consumo di energia e questo consumo è contrario alla sua totale
dedizione alla causa di se stesso. Lascia che siano i suoi subordinati ed
estende i suoi tentacoli sulle prede.
Si concepisce come un dio nel suo universo privato, che
esiste all’unico scopo di concentrare potere, un potere fine a se stesso.
Diventa, come detto, un buco nero che assimila ciò che lo circonda. Non vuole
dare, ma solo prendere, assorbire. Il sonno del non-essere in un vuoto cosmico
è l’unico modo di non sprecare nulla (cf. pervertimento
del buddhismo: concezione del vuoto come stadio finale della maturazione
spirituale – un pervertimento in buona fede: ci credono davvero!).
Non può unirsi a nessun altro
perché non riconosce nient’altro che se stesso, è monistico nei suoi
rudimentali, extra-parsimoniosi pensieri. Implode e si frammenta in
innumerevoli particelle di materia, ricominciando il ciclo. La sua destinazione (purtroppo per lui/lei
non quella finale: non c’è fine e non c’è inizio) sarà la dissoluzione ed un “nuovo
inizio”, a partire dalla materia grezza priva di coscienza, dove potrà dormire
tranquillamente, senza più patire il supplizio dell’eterna sete, dell’eterna
fame, dell’eterna lotta per la sopravvivenza.
Gli angeli caduti si immaginano
di essere signori dell’universo che venerano, non prevedono certo la loro
distruzione finale: la loro soggettività assoluta impedisce loro di percepire
la realtà com’è. E anche nel momento supremo della loro implosione, sono certi
che questa
sorte spetti a tutti, che la Creazione sia una tragica e sadica burla
meritevole solo di essere spazzata via.
Il simbolo dell’uroboro, del serpente che si morde la coda, è
un emblema dell’Individualismo Possessivo e Parassitario: una forma di vita
attaccata alla terra, di sangue freddo e spesso velenosa, imprigionata nel
proprio ciclo di morte e rinascita. L’archetipo dell’uroboro ci
rimanda al perfezionismo, all’ossessività, alla stagnazione, dell’assenza di
crescita ed individuazione. Una ricerca della sicurezza, non della maturazione.
Medusa è il suo volto mitico più
minaccioso, il volto dell’alienazione psicotica. Medusa interrompe il flusso
dell’energia vitale.
L’anima “malvagia”
trasforma tutto in pietra, rendendo impossibili le relazioni e la crescita. Si
può annientare l’ossessione per la purezza e la perfezione dell’anima malvagia
solo dialogando con l’ombra e cercando di essere creativi ed umili. Altrimenti
si finisce per negare
l’interdipendenza, sottrarre l’amore che dovrebbe destinare ad altri
dirigendolo verso l’interno, dove si inacidisce tramutandosi nel male uroborico.
È la scelta di pervertire l’amore e di rado lo facciamo consapevolmente. È una
scelta occultata dal bisogno di gestire l’ombra e la sofferenza. L’ego che
reprime l’ombra in nome della purezza e della perfezione si alienerà e
precipiterà nel ciclo autoreferenziato della superbia che si auto-alimenta. Al
contrario, l’ego che usa l’amore per trasformare l’ombra e la sofferenza forma
uno zoccolo duro che lo ancorerà alla realtà. Trovarsi alle prese con ombra e sofferenza ci permette di sviluppare la
coscienza, di comprendere la fondamentale importanza dell’interdipendenza, che
ci guida verso il vero amore.
Un
altro simbolo identificativo dell’angelo caduto è quello del Sole Nero (la swastika nazista). Ci sono, in Blake come in Swedenborg, due soli, uno vivo e non caduto,
fonte di vita e di luce, e uno morto, una “fantasia dell’Uomo Malvagio”
(Nemesis?). Quest’ultimo è il sole zodiacale e simboleggia la concezione
dell’eternità come un ricorrere indefinito o senza fine, la circolarità
dell’eterno ritorno. La sua immagine è il cerchio – ancora una volta, il serpente
con la coda in bocca.
Mentre
un processo di individuazione spiritualmente e psicologicamente sano riconosce
l’interdipendenza di tutto con tutto (i due serpenti del caduceo sono
intrecciati), l’angelo caduto gonfia il suo ego (inflazione) e diventa completamente alienato, auto-referenziato (l’uroboro è
l’epitome dell’autosufficienza totale): consuma se stesso fino a trasformarsi,
come abbiamo visto, in un buco nero.
L’angelo caduto rifiuta l’insegnamento
junghiano che senza dualismo e opposti contrastanti non ci possono essere energia e
coscienza, che Dio contiene tutti gli opposti, è la coincidentia oppositorum. Non c’è luce senza oscurità, non c’è
verità senza errore, non c’è bianco senza nero. Un’interdipendenza immortalata
dalla mitologia mondiale che parla di due gemelli, uno buono ed uno malvagio – lo si trova tra i cristiani ebioniti, in Lattanzio (il “Cicerone
cristiano”), nella Cabala, in Jacob Boehme, tra gli Irochesi, Baldur e Loki,
Osiride e Set, Enki ed Enlil, Apollo e Dioniso, nei simboli zodiacali dei pesci
e dei gemelli.
L’angelo
caduto teme questo dualismo, che lo rende insicuro; lo vuole sopprimere prima
che esso lo detronizzi e faccia regnare il caos. Per lui libertà è
l’imposizione del suo arbitrio, del suo potere, dei suoi valori.
Gesù insegna qualcosa di
completamente diverso:
comprensione invece che obbedienza, persuasione invece che comando, libertà
responsabile (matura) invece che libero arbitrio, visione integrale invece che
devozione, trasformazione invece che repressione e ribellione. Gesù ripudia
l’etica dell’obbedienza all’autorità e l’etica della ribellione, proponendo
un’etica della visione interiore, quella che Jung chiama la “voce”, Socrate
il “daimon”, Emerson la “superanima”
e Paolo di Tarso lo “Spirito Santo”
(Galati 5, 22).
L’amore coopera consapevolmente,
volontariamente, non si sottomette mai ciecamente ad un potere superiore.
L’amore cerca la comprensione, anzi amore è comprensione (in tutte le sue
accezioni) che rende superflua l’obbedienza ed il comando. Un’etica
dell’obbedienza può solo promuovere superbia, alienazione e la ricerca di capri
espiatori che paghino al posto nostro assumendosi le nostre colpe e
responsabilità (es. Ebrei, Rom, extracomunitari, omosessuali, ecc.).
Gesù non
cerca di sconfiggere Satana, si limita semplicemente a respingere le sue
tentazioni, perché sa che il potere sulla materia è un potere illusorio,
infantile. Gli angeli caduti lo
temono, temono la sua sapienza, temono una qualunque verità alternativa alla
loro riguardo alla loro sorte, alle implicazioni delle loro scelte.
Ripeto: Satana
è parte integrante del disegno divino, non il Male Assoluto che sarà annientato
alla fine dei tempi. Non è difficile
notare che la mentalità del libro dell’Apocalisse è antitetica a quella di Gesù
ed è in piena consonanza con quella del fondamentalismo cristiano, giudaico,
islamico e hindu che minaccia la democrazia in quattro potenze nucleari: gli
USA, Israele, Pachistan e India.
Siamo
chiamati a resistere a queste tentazioni.
JUNG SU NIETZSCHE
Il superuomo nietzscheano, per
Jung, è solo un tentativo fallito di congiungere i contrari. Il suo errore è
stato quello di non cercare il culmine in una espressione di interezza e unità,
ma solo in un’insoddisfacente unilateralismo. N. commette l’errore di
identificare ego con il Sé e quindi con il superuomo, il che può solo condurre
ad un’esplosione. N. elimina Dio e si fa paladino della finitezza, dell’essere
umano come unica sorgente di significato – deificazione dell’uomo e della sua
corporeità. Corpo al di sopra lo spirito, conscio al di sopra dell’inconscio.
Per Jung il superuomo è una proiezione della patologia di Nietzsche, il sintomo
della sua neurosi che sfocia nella deflazione di ego e nella depressione,
oppure nell’inflazione, la deificazione di ego. N. sovrastima la propria
personalità, crea un legame indissolubile con l’umano, si conferisce
prerogative divine, impazzisce. N. non riesce a superare la prima fase nello
sviluppo del Sé. Non incorpora l’elemento negativo nell’unione dei contrari e promuove
solo ciò che è forte e superiore. Più una persona soffre di un complesso di
inferiorità e più avrà un atteggiamento aggressivo, da dominatore; più,
conseguentemente, manterrà quel tipo di atteggiamento, più si sentirà
inferiore. N. parla per impressionare gli altri, per dar mostra di sé, per far
credere a tutti quanto sia superiore e speciale, per non far capire a nessuno
quanto si senta inferiore: "Perché sono una fatalità?", "Perché
sono tanto saggio", "Perché sono tanto accorto", "Perché
scrivo così buoni libri", "Io non sono un uomo, sono dinamite",
"Io sono per natura battagliero", è "Dioniso", è
"l’Anticristo" è "il più grande filosofo della storia", è
una persona sofferente, sconfitta dalla vita che cerca un riscatto nelle sue
fantasie e merita il nostro rispetto, perché è successo a molti di noi.
FONTI
Lawrence
E. Sullivan
Jacob
Needleman
J.
W. von Goethe
J.
R. R. Tolkien
C.S.
Lewis
Joseph
Campbell
Mircea
Eliade
Claude Lévi-Strauss
Ibn al-Arabi
Aleister
Crowley
G.
I. Gurdjieff
D. H. R. Lawrence
H. P. Lovecraft
Primo
Levi
Marchese de Sade
Agostino di Ippona
Albert Camus
Gesù il Cristo
Paolo di Tarso
Simone Weil
Julius Evola
Massimo Fini
N. A. Berdjaev
Carl Jung
Erich
Neumann
James
P. Driscoll
Omero
Shakespeare
Dante
Milton
La
Bibbia
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