Di fronte al fondamentalismo
islamico, due sono le reazioni più comuni: cercare di comprenderne la natura
per poterlo meglio contrastare e neutralizzare, oppure bollarlo come un
indecifrabile male assoluto, legittimando così qualunque azione preventiva o punitiva.
Magdi Allam ha scelto questa seconda via e merita la nostra attenzione, perché
interpreta e riepiloga le paure e le convinzioni di milioni di persone.
Il vicedirettore “ad personam”
del Corriere della Sera descrive la sua più recente pubblicazione, “Viva
Israele”, come un “inno alla vita di tutti”, perché “quando si nega il diritto
alla vita di Israele si innesca un meccanismo che si ritorce contro tutti,
cattolici, musulmani ed ebrei”. Prova ne sia che Hamas, un’organizzazione che
nega il diritto di esistere di Israele, sta rendendo impossibile la vita agli
stessi Palestinesi.
Allam parla di una civiltà
dell’amore e della vita, incarnata dall’Occidente e da Israele, vero “discrimine
tra la civiltà e la barbarie, tra la cultura della vita e la cultura della
morte, tra il bene e il male”, che però non esclude l’uso preventivo della
forza contro le presunte fucine del terrorismo internazionale. Si scaglia
contro il terrorismo dei taglialingua, “quelli che in cambio della nostra
sopravvivenza fisica ci impongono un’esistenza da zombie, senza diritto di
parola e movimento” e ci impediscono così di essere noi stessi. Per Allam “non
si può scendere a compromessi con loro, pena la perdita della nostra dignità e
libertà”. Chi lo fa, immedesimandosi nel sentire comune di un Occidente “pavido
e spaventato”, si mette nella posizione di chi nutre un coccodrillo nella
speranza di essere mangiato per ultimo.
A questo punto l’analisi di
Allam purtroppo s’interrompe, quasi schiacciata dall’enormità di un’entità
imperscrutabile: l’odio. Allam non s’interroga, si barrica dietro all’eterna
contrapposizione tra Civiltà della Vita e dell’Amore e Civiltà dell’Odio e
della Morte, che assomiglia molto al Misterium Iniquitatis cattolico, l’insondabile
mistero sull’origine ed il significato del male nell’uomo. In questo modo
sancisce la futilità di ogni tentativo di capire le cause di efferatezze - che
lui giustamente condanna senza appello - se non altro per contrastarle e
prevenirle.
Rifiutandosi di comprendere
gli altri, Allam rinuncia anche a comprendere se stesso. La sua autobiografia è
infatti una pubblica sconfessione di tutte le sue credenze giovanili, che
esclude ogni dialogo con il suo passato, che pure gli ha trasmesso una certa
rigidezza intellettuale. Il suo stile tribunizio purtroppo trasmette la
sensazione che il mondo intero sia ostaggio di fondamentalismi monoteistici, di
dogmi contrapposti, di oscuri complotti internazionali volti all’islamizzazione
dell’Europa e che l’unica soluzione sia aggrapparsi ad idee astratte come “umanità”,
“amore”, “sacralità della vita”, “libertà, “orgoglio”, “verità”. Nel suo libro
egli spiega che “Israele, insieme a papa Benedetto XVI, sono la residua
speranza di salvezza della civiltà occidentale”, mentre in un suo recente intervento
a Levico ha dichiarato di essere “orgogliosamente fazioso, perché sono sempre
dalla parte della vita e della verità…senza accettare alcun compromesso”.
Ma storicamente questa via
conduce all’inaridimento dell’autonomia di giudizio e della volontà di
intendere le ragioni altrui, a rinchiudersi nella propria fortezza di
inespugnabili certezze e, non ultimo, allo stravolgimento dei fini e della
pratica del giornalismo.
Così, Allam, che pure è
chiaramente in buona fede, confonde l’esigenza di comprendere le cause di un
fenomeno globale come l’estremismo islamico con l’arrendevolezza e la
connivenza. Ma chi tradisce la propria civiltà: chi evidenzia come il
fondamentalismo sia più virulento proprio laddove astuti autocrati strappano
importanti avalli politici occidentali in cambio della promessa di tenere a
bada il fondamentalismo stesso (es. Musharraf in Pakistan e la famiglia reale
saudita) – il classico serpente che si morde la coda – o chi nega il valore
della conoscenza? Come si spiega dunque che la “civiltà dell’amore e della vita”
finanzia ed appoggia pubblicamente degli spietati tiranni? E come si spiega lo
schietto ed a tratti delirante fanatismo di chi scrive quotidianamente al forum
di Allam, ambiguamente intitolato “Noi e gli altri“?
La maggior preoccupazione di
Allam deriva invece dalla sua convinzione che l’Europa sia già “una roccaforte
dell’estremismo islamico”, che “nella maggior parte delle moschee italiane si
predica l’odio, l’antisemitismo e l’avvento di un califfato globale…perché si
tratta di centri di indottrinamento ideologico” e che questa minaccia è ancor
più terribile in una società italiana malata di sensi di colpa ed
autolesionismo, e quindi incapace di reagire.
Allam, che pure è a contatto
con persone intellettualmente eccezionali, non sembra rendersi conto della
falsa semplicità della sua visione del mondo, in tutto e per tutto analoga a
quella di alcuni tra i suoi critici meno articolati. Nel testo egli cita autori
ed esperti quasi esclusivamente per denigrarli, non acclude una bibliografia,
non dà scampo a chi vorrebbe controllare la veridicità e la credibilità delle
sue fonti. In pubblico invece reagisce alle osservazioni di chi lo critica,
anche garbatamente, come se fosse invariabilmente oggetto di attacchi personali
o ideologici. Eppure il dovere di un giornalista dovrebbe essere quello di
provare a capire le ragioni degli altri, buone o cattive che siano, per aiutare
i lettori a formarsi una propria opinione.
George Orwell ammoniva che la cosa peggiore che si può
fare con le parole è arrendervisi, lasciare che esse controllino i nostri
pensieri. Per questo dobbiamo ascoltare e leggere Allam con grande attenzione:
proprio per evitare che slogan come “Viva Israele” divengano mantra capaci di
ottundere la nostra capacità di discernimento.
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