mercoledì 28 dicembre 2011

Hofer contro Napoleone




Per Luis Durnwalder, l’attuale presidente della Provincia di Bolzano, “l’idealismo di Andreas Hofer è un esempio sublime che ha segnato la storia della nostra terra”. Quello di Hofer è un esempio “anche per le future generazioni che non debbono mai scordare né l’ottimismo nell’impegno quotidiano a difesa degli ideali e dell’Heimat, né il coraggio della fede che deve restare un riferimento chiaro e incancellabile della cultura cristiana di questa nostra terra” (“Schützen e Svp più vicini: è il «miracolo» della Heimat”, Alto Adige, 20 febbraio 2006). Il sindaco di Bolzano, Luigi Spagnolli, ha dichiarato che: “Andreas Hofer è un mio eroe fin da quando ero bambino” (“Anche il sindaco di Bolzano commemora Hofer”, Alto Adige, 20 febbraio 2011).
La beatificazione laica della quale è stato oggetto Andreas Hofer, “Eroe della Fede” e Guglielmo Tell-Braveheart tirolese, nel corso delle celebrazioni per il bicentenario dell’insurrezione da lui guidata, ha sollevato delle perplessità. Stiamo infatti parlando di un capopopolo con il vizio del bere che si oppose valorosamente all’imperialismo napoleonico, pur sapendo che Vienna l’aveva ormai abbandonato al suo destino. La sua rivolta di popolo – al grido di Dio, Patria e Famiglia – doveva però fungere da baluardo contro l’avanzare dell’idea di diritti civili, per gli individui, per le donne, per i bambini e per le minoranze religiose ed etniche (Ebrei, Protestanti, Karrner, Rom e Sinti, ecc.), e poi del diritto internazionale, della separazione tra Stato e Chiesa, dello smantellamento del monopolio delle corporazioni, dell’obbligatorietà delle vaccinazioni antivaiolose, ecc. Gli obiettivi dei patrioti tirolesi erano tanto angusti quanto le valli dalle quali provenivano, ma gli obiettivi dell’imperialismo umanitario e civilizzatore franco-bavarese non erano meno rovinosi. È qui che vanno trovate le radici dell’attuale impasse.
A partire dalla metà del diciannovesimo secolo, i conservatori austriaci che contavano, riuniti in un’alleanza che abbracciava clero, nobiltà e proprietà fondiaria, reagirono all’assalto liberale e del cristianesimo sociale usando le celebrazioni hoferiane come nucleo centrale di un programma di mobilitazione politica che comprendeva tre strategie: manipolare il culto del Sacro Cuore di Gesù a fini politici, incoraggiare lo spirito patriottico localistico con la glorificazione di Andreas Hofer e finanziare le milizie locali (Schützenvereine) per rinsaldare i legami di lealtà tra popolino e dinastia imperiale. Il tutto “für Gott, Kaiser, und Vaterland” (Cole, 2000). L’obiettivo era quello di dar vita ad una vera e propria teologia politica di militanti cattolici e di fare in modo che la religione cattolica fungesse da unica guida morale per la vita politica e sociale tirolese, respingendo il liberal-progressismo cattolico e laico come si era fatto con le armate franco-bavaresi.
Lo storico britannico Laurence Cole ha descritto molto accuratamente la dimensione politica del culto del Sacro Cuore di Gesù, un fenomeno religioso quintessenzialmente barocco, ma decisivo per il trionfo della Contro-Riforma nel Tirolo, grazie alla sua “rappresentazione sensuale del legame personale tra il credente e il Cristo Redentore”, che serviva a sostenere un “ordinato mondo patriarcale dove ciascuno era collocato al suo posto, come decretato da Dio” (Cole, 2001, p. 83). Così, paradossalmente, l’invocazione del sacro nome di Gesù ad intercedere tra il credere e Dio era accostata al “sacrosanto” diritto di portare armi e a preservare il sistema patriarcale della primogenitura, un diritto in palese contraddizione con l’egalitarismo nonviolento predicato da Gesù il Cristo. Contemporaneamente, il tradimento, la passione ed il sacrificio di Andreas Hofer per l’imperatore, la chiesa e la patria furono sciaguratamente accomunati a quelli di Gesù il Cristo, mentre il contrasto con il neonato stato italiano spinse gli elaboratori della novella ideologia a riconfigurare l’insurrezione hoferiana come “una ribellione contro tutto ciò che era Welsch”
La costruzione di una particolare interpretazione egemonica dell’identità tirolese, a beneficio di certi gruppi di interesse, passò anche per l’estensione dell’antisemitismo tradizionale, che assunse i contorni dell’antisemitismo xenofobico, politico ed economico scagliato contro le varie manifestazioni della modernità (liberalismo, capitalismo, socialismo, cosmopolitismo, ecc.). Ci fu anche un uso politico dell’Herz-Jesu-Kult in forma difensiva, nel quadro di una retorica emergenziale che dipingeva quell’epoca come una fase cruciale dello scontro tra il Bene e il Male in cui i Tirolesi erano il Popolo Eletto destinato a fungere da scudo della vera fede. Queste non furono iniziative intraprese dal basso. Furono il risultato di un disegno politico molto ben pianificato dagli ambienti conservatori più influenti, che riuscirono a manovrare come un burattino quello che era un eroe popolano, plasmandolo a guisa di campione inconsapevole della loro causa (Cole, 2000).

Fin dalle prime battute le manifestazioni sono organizzate secondo i canoni dei processi di nazionalizzazione delle masse. Nel nostro caso si tratta della nazione tirolese, della sua unità, che viene ricercata nell’identità culturale. Siamo in linea con l’idea völkish: si afferma cioè l’unità di un Volk non solo nella sua lingua, ma anche nella sua visione del mondo. Si è tirolesi perché si è religiosi, perché non si concepisce una comunità che non sia permeata di religiosità; si è tirolesi perché si mantengono i legami con la civiltà preindustriale, con il mondo contadino, con le corporazioni artigiane. In questo quadro assume forza e carattere il concetto di autonomia del Tirolo e si definisce il profilo della “libertà” tirolese che non va confuso con quello cosmopolita della migliore tradizione borghese e liberale. La figura di Andreas Hofer diventa il veicolo di questa Weltanschauung… 
(Claudio Nolet, cf. Faustini, 1985, pp. 6-7).

Un metodo che funziona ancora oggi. Questo perché gli esseri umani sono animali simbolici; non viviamo in una nicchia ecologica, viviamo in una nicchia simbolica, immersi in simbologie di ogni tipo. Leggiamo le realtà simbolicamente, usiamo un linguaggio che è essenzialmente simbolico, compiamo azioni simboliche, cerchiamo di conferire alle nostre esistenze un valore simbolico. Dalla scelta del capo firmato, a quella dell’anello, dell’auto, dell’emblema del partito, della chiesa, della squadra, della nazione, ecc. quasi ogni momento della nostra giornata è simbolicamente pregnante. Perciò chi controlla i simboli controlla gli esseri umani. 
Ciò che avvenne in Tirolo fu che la simbologia legata all’identità contadina, al folklore rurale, all’immagine dell’idillio bucolico – descritto come una ridotta alpina in grado di reggere agli assalti rivoluzionari –, alla fede e liturgia cattolica ed alla figura dell’eroe-martire fu artatamente manipolata in modo tale da far credere alle “immorali masse di lavoratori” di essere le vere beneficiarie della sua mobilitazione, quando invece il fine era quello di conservare il più a lungo possibile la struttura piramidale della società tirolese, con i suoi monopoli corporativi, l’ignoranza, la bigotteria, la sanità arretrata, la discriminazioni di donne, bambini, omosessuali e non-cattolici, la sua scarsa mobilità sociale e la soppressione del criterio meritocratico (Cole 2000, 2001; Cole/Heiss 2007). La retorica del popolo puro, autentico e moralmente ineccepibile, custode di un’era pre-industriale, imprigionato (ewiggestrig) nel ciclo dell’eterno ritorno, attirava i turisti in cerca di esotismi e tacitava ogni forma di dissenso, immediatamente catalogato come anti-sistemico, anti-edenico (Götz 2001; Dann/Hroch, 2003).

In questa insurrezione hoferiana v’è un aspetto che merita di essere rilevato: manca, pressoché del tutto, la componente socioeconomica della lotta di classe…Anche il popolo minuto del Trentino che si batteva per la conservazione di un ordine sociale nel quale si trovava pesantemente penalizzato rispetto ai ceti privilegiati per poteri e per ricchezza...rare le manifestazioni di aspirazioni ugualitarie sul piano politico-giuridico e rare anche quelle sul piano economico per una redistribuzione della ricchezza da ottenersi con provvedimenti normativi o con la violenza di moti di piazza (Corsini, 1991, p. 221).

Andreas Hofer è, ieri come oggi, suo malgrado, il simbolo della polarità dell’integralismo intollerante, di una fede arrabbiata che non ammette repliche, antitetica alla laicità democratica, che tutela i credenti dai noncredenti e vice versa. Il simbolo di chi confonde potere e virtù, di chi crede di essere dalla parte di Dio e che la sua missione consiste nel realizzare una Società Cristiana in terra, di chi crede che il fuoco si combatta col fuoco, che per difendere i propri valori si possano compiere azioni che li tradiscono, che è giusto costringere gli altri a credere nelle stesse cose, negli stessi principi, nella stessa missione, per il loro bene. Il simbolo dei patrioti senza se e senza ma, dell’assenza di autocritica, dei tabù contro il contagio di idee sovversive (Peterlini, 2010). Nel 1896, il deputato tirolese Franz v. Zallinger esclamava orgogliosamente: “Quella tirolese è un’alleanza registrata formalmente e non una semplice consacrazione al Sacro Cuore. Il Tirolo è l’unica regione d’Europa che ha stretto un’alleanza col Sacro Cuore di Gesù attraverso i suoi rappresentanti giuridici” (Romeo, 1996). Il patto è stato rinnovato fino ai nostri giorni, tanto che gli Schützen sudtirolesi intendevano marciare con una corona di spine (!) in occasione del bicentenario della morte di Andreas Hofer ma, a causa della contrarietà dei commilitoni tirolesi, si sono dovuti accontentare di ricoprirla di rose rosse.
Ho scritto, “suo malgrado”, perché “Andreas Hofer (1767-1810). Dalle fonti alla storia” (Oberhofer, 2010), uno studio sapiente e circostanziato degli scritti del patriota tirolese (680 documenti tra lettere, appunti ed atti), ad opera di un ricercatore dell’Università di Innsbruck, Andreas Oberhofer, tratteggia la figura di un uomo semplice, di buon cuore, retto e sincero, modesto e di grande abnegazione, di discreta cultura (parlava trentino, veneziano, tirolese e tedesco, sapeva leggere e se la cavava con la scrittura), generalmente sollecito nei confronti degli altri, anche dei nemici, certamente non una testa calda e con un temperamento tutt’altro che brutale. Un uomo che, in altre circostanze, avrebbe optato, mitemente, per il motto “vivi e lascia vivere” e gioito di ciò che la vita gli avrebbe riservato, apprezzando il buon cibo, il buon bere e la buona compagnia. Era però anche un uomo ingenuo, vulnerabile, superstizioso, estremamente insicuro, impulsivo, tormentato dall’insicurezza economica, non particolarmente coraggioso (almeno fino al momento dell’esecuzione, dove invece tirò fuori l’eroe che c’era in lui). Era una personalità facilmente manipolabile che “non aveva il minimo orgoglio e lasciava che gli altri gli dessero consigli e istruzioni”, che “deve sempre porsi dalla parte di chi, del suo entourage, lo mette in buona luce”, cosicché  “chi sapeva colpire il suo cuore aveva gioco facile”. Questa, a grandi linee, era anche l’opinione che si era fatta di lui lo storico trentino Umberto Corsini. Il 2 novembre 1809, quando le cose volgevano decisamente al peggio, Hofer inviò due delegati per trattare la resa e chiedere perdono, ma pochi giorni dopo si contraddisse, lanciando un appello che incitava la popolazione ad una rivolta permanente e suicida. A chi lo interrogava, l’oste rispondeva: “Sono sopraggiunti dei mascalzoni da Bressanone che mi hanno obbligato a lanciare un nuovo appello al popolo. A lungo ho opposto resistenza, ma dovevo farlo altrimenti mi avrebbero ucciso”. Lo storico austriaco osserva che le sue missive diventano progressivamente confuse e contorte e che è lecito supporre che alcune lettere ed atti gli siano stati estorti ed altri falsificati.
Così c’è un Hofer che predica la clemenza e la compassione verso i prigionieri, da trattare “secondo il diritto delle genti”, ed un Hofer che esorta al linciaggio di chi, tra gli stessi Tirolesi, “non si adopera per la nostra giusta causa” e perciò “non va risparmiato, giacché il nostro agire è cristiano”. C’è un Hofer che invoca la giustizia sociale e l’uguaglianza, ma poi scrive: “combattiamo solo per Dio e per la fede, non per il paese e la gente”. C’è un Hofer che raccomanda di rispettare gli Ebrei ed un Hofer che li discrimina. A questo proposito, Oberhofer suggerisce che questi proclami vessatori “possono essere stati prodotti del tutto liberamente dai consiglieri”. E dunque? Abbiamo forse celebrato il bicentenario di un incolpevole burattino, vittima della più bieca Realpolitik?

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