Per Luis Durnwalder,
l’attuale presidente della Provincia di Bolzano, “l’idealismo di Andreas Hofer
è un esempio sublime che ha segnato la storia della nostra terra”. Quello di
Hofer è un esempio “anche per le future generazioni che non debbono mai scordare
né l’ottimismo nell’impegno quotidiano a difesa degli ideali e dell’Heimat, né
il coraggio della fede che deve restare un riferimento chiaro e incancellabile
della cultura cristiana di questa nostra terra” (“Schützen e Svp più vicini: è
il «miracolo» della Heimat”, Alto Adige, 20 febbraio 2006). Il sindaco di
Bolzano, Luigi Spagnolli, ha dichiarato che: “Andreas Hofer è un mio eroe fin
da quando ero bambino” (“Anche il sindaco di Bolzano commemora Hofer”, Alto
Adige, 20 febbraio 2011).
La beatificazione laica
della quale è stato oggetto Andreas Hofer, “Eroe della Fede” e Guglielmo Tell-Braveheart tirolese, nel corso delle celebrazioni per il bicentenario
dell’insurrezione da lui guidata, ha sollevato delle perplessità. Stiamo
infatti parlando di un capopopolo con il vizio del bere che si oppose
valorosamente all’imperialismo napoleonico, pur sapendo che Vienna l’aveva
ormai abbandonato al suo destino. La sua rivolta di popolo – al grido di Dio,
Patria e Famiglia – doveva però fungere da baluardo contro l’avanzare dell’idea
di diritti civili, per gli individui, per le donne, per i bambini e per le
minoranze religiose ed etniche (Ebrei, Protestanti, Karrner, Rom e Sinti,
ecc.), e poi del diritto internazionale, della separazione tra Stato e Chiesa,
dello smantellamento del monopolio delle corporazioni, dell’obbligatorietà
delle vaccinazioni antivaiolose, ecc. Gli obiettivi dei patrioti tirolesi erano
tanto angusti quanto le valli dalle quali provenivano, ma gli obiettivi
dell’imperialismo umanitario e civilizzatore franco-bavarese non erano meno
rovinosi. È qui che vanno trovate le radici dell’attuale impasse.
A partire dalla metà del
diciannovesimo secolo, i conservatori austriaci che contavano, riuniti in
un’alleanza che abbracciava clero, nobiltà e proprietà fondiaria, reagirono
all’assalto liberale e del cristianesimo sociale usando le celebrazioni
hoferiane come nucleo centrale di un programma di mobilitazione politica che
comprendeva tre strategie: manipolare il culto del Sacro Cuore di Gesù a fini
politici, incoraggiare lo spirito patriottico localistico con la glorificazione
di Andreas Hofer e finanziare le milizie locali (Schützenvereine) per
rinsaldare i legami di lealtà tra popolino e dinastia imperiale. Il tutto “für
Gott, Kaiser, und Vaterland” (Cole, 2000). L’obiettivo era quello di dar vita
ad una vera e propria teologia politica di militanti cattolici e di fare in
modo che la religione cattolica fungesse da unica guida morale per la vita
politica e sociale tirolese, respingendo il liberal-progressismo cattolico e
laico come si era fatto con le armate franco-bavaresi.
Lo storico britannico
Laurence Cole ha descritto molto accuratamente la dimensione politica del culto
del Sacro Cuore di Gesù, un fenomeno religioso quintessenzialmente barocco, ma
decisivo per il trionfo della Contro-Riforma nel Tirolo, grazie alla sua
“rappresentazione sensuale del legame personale tra il credente e il Cristo
Redentore”, che serviva a sostenere un “ordinato mondo patriarcale dove
ciascuno era collocato al suo posto, come decretato da Dio” (Cole, 2001, p.
83). Così, paradossalmente, l’invocazione del sacro nome di Gesù ad intercedere
tra il credere e Dio era accostata al “sacrosanto” diritto di portare armi e a
preservare il sistema patriarcale della primogenitura, un diritto in palese
contraddizione con l’egalitarismo nonviolento predicato da Gesù il Cristo.
Contemporaneamente, il tradimento, la passione ed il sacrificio di Andreas
Hofer per l’imperatore, la chiesa e la patria furono sciaguratamente accomunati
a quelli di Gesù il Cristo, mentre il contrasto con il neonato stato italiano
spinse gli elaboratori della novella ideologia a riconfigurare l’insurrezione
hoferiana come “una ribellione contro tutto ciò che era Welsch”
La costruzione di una
particolare interpretazione egemonica dell’identità tirolese, a beneficio di
certi gruppi di interesse, passò anche per l’estensione dell’antisemitismo
tradizionale, che assunse i contorni dell’antisemitismo xenofobico, politico ed
economico scagliato contro le varie manifestazioni della modernità
(liberalismo, capitalismo, socialismo, cosmopolitismo, ecc.). Ci fu anche un
uso politico dell’Herz-Jesu-Kult in forma difensiva, nel quadro di una
retorica emergenziale che dipingeva quell’epoca come una fase cruciale dello
scontro tra il Bene e il Male in cui i Tirolesi erano il Popolo Eletto
destinato a fungere da scudo della vera fede. Queste non furono iniziative
intraprese dal basso. Furono il risultato di un disegno politico molto ben
pianificato dagli ambienti conservatori più influenti, che riuscirono a
manovrare come un burattino quello che era un eroe popolano, plasmandolo a
guisa di campione inconsapevole della loro causa (Cole, 2000).
Fin dalle prime battute le
manifestazioni sono organizzate secondo i canoni dei processi di
nazionalizzazione delle masse. Nel nostro caso si tratta della nazione
tirolese, della sua unità, che viene ricercata nell’identità culturale. Siamo
in linea con l’idea völkish: si afferma cioè l’unità di un Volk non solo nella
sua lingua, ma anche nella sua visione del mondo. Si è tirolesi perché si è
religiosi, perché non si concepisce una comunità che non sia permeata di
religiosità; si è tirolesi perché si mantengono i legami con la civiltà
preindustriale, con il mondo contadino, con le corporazioni artigiane. In
questo quadro assume forza e carattere il concetto di autonomia del Tirolo e si
definisce il profilo della “libertà” tirolese che non va confuso con quello
cosmopolita della migliore tradizione borghese e liberale. La figura di Andreas
Hofer diventa il veicolo di questa Weltanschauung…
(Claudio Nolet, cf.
Faustini, 1985, pp. 6-7).
Un metodo che funziona
ancora oggi. Questo perché gli esseri umani sono animali simbolici; non viviamo
in una nicchia ecologica, viviamo in una nicchia simbolica, immersi in
simbologie di ogni tipo. Leggiamo le realtà simbolicamente, usiamo un
linguaggio che è essenzialmente simbolico, compiamo azioni simboliche,
cerchiamo di conferire alle nostre esistenze un valore simbolico. Dalla scelta
del capo firmato, a quella dell’anello, dell’auto, dell’emblema del partito,
della chiesa, della squadra, della nazione, ecc. quasi ogni momento della
nostra giornata è simbolicamente pregnante. Perciò chi controlla i simboli
controlla gli esseri umani.
Ciò che avvenne in Tirolo
fu che la simbologia legata all’identità contadina, al folklore rurale,
all’immagine dell’idillio bucolico – descritto come una ridotta alpina in grado
di reggere agli assalti rivoluzionari –, alla fede e liturgia cattolica ed alla
figura dell’eroe-martire fu artatamente manipolata in modo tale da far credere
alle “immorali masse di lavoratori” di essere le vere beneficiarie della sua
mobilitazione, quando invece il fine era quello di conservare il più a lungo
possibile la struttura piramidale della società tirolese, con i suoi monopoli
corporativi, l’ignoranza, la bigotteria, la sanità arretrata, la
discriminazioni di donne, bambini, omosessuali e non-cattolici, la sua scarsa
mobilità sociale e la soppressione del criterio meritocratico (Cole 2000, 2001;
Cole/Heiss 2007). La retorica del popolo puro, autentico e moralmente
ineccepibile, custode di un’era pre-industriale, imprigionato (ewiggestrig)
nel ciclo dell’eterno ritorno, attirava i turisti in cerca di esotismi e
tacitava ogni forma di dissenso, immediatamente catalogato come anti-sistemico,
anti-edenico (Götz 2001; Dann/Hroch, 2003).
In questa insurrezione
hoferiana v’è un aspetto che merita di essere rilevato: manca, pressoché del
tutto, la componente socioeconomica della lotta di classe…Anche il popolo
minuto del Trentino che si batteva per la conservazione di un ordine sociale
nel quale si trovava pesantemente penalizzato rispetto ai ceti privilegiati per
poteri e per ricchezza...rare le manifestazioni di aspirazioni ugualitarie sul
piano politico-giuridico e rare anche quelle sul piano economico per una
redistribuzione della ricchezza da ottenersi con provvedimenti normativi o con
la violenza di moti di piazza (Corsini, 1991, p. 221).
Andreas Hofer è, ieri come
oggi, suo malgrado, il simbolo della polarità dell’integralismo
intollerante, di una fede arrabbiata che non ammette repliche, antitetica alla
laicità democratica, che tutela i credenti dai noncredenti e vice versa. Il
simbolo di chi confonde potere e virtù, di chi crede di essere dalla parte di
Dio e che la sua missione consiste nel realizzare una Società Cristiana in
terra, di chi crede che il fuoco si combatta col fuoco, che per difendere i
propri valori si possano compiere azioni che li tradiscono, che è giusto
costringere gli altri a credere nelle stesse cose, negli stessi principi, nella
stessa missione, per il loro bene. Il simbolo dei patrioti senza se e senza ma,
dell’assenza di autocritica, dei tabù contro il contagio di idee sovversive
(Peterlini, 2010). Nel 1896, il deputato tirolese Franz v. Zallinger esclamava
orgogliosamente: “Quella tirolese è un’alleanza registrata formalmente e non
una semplice consacrazione al Sacro Cuore. Il Tirolo è l’unica regione d’Europa
che ha stretto un’alleanza col Sacro Cuore di Gesù attraverso i suoi
rappresentanti giuridici” (Romeo, 1996). Il patto è stato rinnovato fino ai
nostri giorni, tanto che gli Schützen sudtirolesi intendevano marciare con una
corona di spine (!) in occasione del bicentenario della morte di Andreas Hofer
ma, a causa della contrarietà dei commilitoni tirolesi, si sono dovuti
accontentare di ricoprirla di rose rosse.
Ho scritto, “suo malgrado”,
perché “Andreas Hofer (1767-1810). Dalle fonti alla storia” (Oberhofer, 2010),
uno studio sapiente e circostanziato degli scritti del patriota tirolese (680
documenti tra lettere, appunti ed atti), ad opera di un ricercatore
dell’Università di Innsbruck, Andreas Oberhofer, tratteggia la figura di un
uomo semplice, di buon cuore, retto e sincero, modesto e di grande abnegazione,
di discreta cultura (parlava trentino, veneziano, tirolese e tedesco, sapeva
leggere e se la cavava con la scrittura), generalmente sollecito nei confronti
degli altri, anche dei nemici, certamente non una testa calda e con un
temperamento tutt’altro che brutale. Un uomo che, in altre circostanze, avrebbe
optato, mitemente, per il motto “vivi e lascia vivere” e gioito di ciò che la
vita gli avrebbe riservato, apprezzando il buon cibo, il buon bere e la buona
compagnia. Era però anche un uomo ingenuo, vulnerabile, superstizioso,
estremamente insicuro, impulsivo, tormentato dall’insicurezza economica, non
particolarmente coraggioso (almeno fino al momento dell’esecuzione, dove invece
tirò fuori l’eroe che c’era in lui). Era una personalità facilmente manipolabile
che “non aveva il minimo orgoglio e lasciava che gli altri gli dessero consigli
e istruzioni”, che “deve sempre porsi dalla parte di chi, del suo entourage, lo
mette in buona luce”, cosicché “chi sapeva colpire il suo cuore aveva
gioco facile”. Questa, a grandi linee, era anche l’opinione che si era fatta di
lui lo storico trentino Umberto Corsini. Il 2 novembre 1809, quando le cose
volgevano decisamente al peggio, Hofer inviò due delegati per trattare la resa
e chiedere perdono, ma pochi giorni dopo si contraddisse, lanciando un appello
che incitava la popolazione ad una rivolta permanente e suicida. A chi lo
interrogava, l’oste rispondeva: “Sono sopraggiunti dei mascalzoni da Bressanone
che mi hanno obbligato a lanciare un nuovo appello al popolo. A lungo ho
opposto resistenza, ma dovevo farlo altrimenti mi avrebbero ucciso”. Lo storico
austriaco osserva che le sue missive diventano progressivamente confuse e
contorte e che è lecito supporre che alcune lettere ed atti gli siano stati
estorti ed altri falsificati.
Così c’è un Hofer che predica la clemenza e la
compassione verso i prigionieri, da trattare “secondo il diritto delle genti”,
ed un Hofer che esorta al linciaggio di chi, tra gli stessi Tirolesi, “non si
adopera per la nostra giusta causa” e perciò “non va risparmiato, giacché il
nostro agire è cristiano”. C’è un Hofer che invoca la giustizia sociale e
l’uguaglianza, ma poi scrive: “combattiamo solo per Dio e per la fede, non per
il paese e la gente”. C’è un Hofer che raccomanda di rispettare gli Ebrei ed un
Hofer che li discrimina. A questo proposito, Oberhofer suggerisce che questi
proclami vessatori “possono essere stati prodotti del tutto liberamente dai
consiglieri”. E dunque? Abbiamo forse celebrato il bicentenario di un
incolpevole burattino, vittima della più bieca Realpolitik?
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