Tutti vedono la violenza
del fiume in piena, nessuno vede la violenza degli argini che lo costringono.
Proverbio cinese
Allora anche i miti non
disdegneranno di uscire dalla loro indole profonda e indossare quella dei loro
nemici. Si tratta di combattere una buona battaglia che, nei risultati sperati,
non contraddice affatto ma ribadisce la loro fedeltà alla mitezza. Quando ciò
accadesse, quando ciò accadrà, bisognerebbe, bisognerà temere l’ira dei miti.
Gustavo Zagrebelsky,
“Bobbio: la forza dei miti”, La Stampa, mercoledì 13 ottobre 2010
Arrivano momenti in cui
diventa d’obbligo liberare una rabbia che scuota i cieli. Esiste un momento in
cui bisogna dar fuoco alle polveri. In risposta a un’offesa grave, contro
l’anima o lo spirito. Prima bisogna provare con tutte le altre strade
ragionevoli per ottenere un cambiamento, ma se non portano a nulla allora
occorre scegliere il momento giusto …giusto, come la pioggia…il momento in cui
tirar fuori le viscere, il momento della collera giusta, della rabbia giusta.
Clarissa Pinkola Estés,
“Donne che corrono coi lupi”
È sempre l’oppressore, non
l’oppresso, che determina la forma della lotta.
Nelson Mandela
Avevo l’impressione che la
guerra, pur non potendo mai essere un bene positivo o assoluto, potesse servire
come bene negativo nel senso di impedire la diffusione e la crescita di una
forza malvagia. per quanto orribile sia, la guerra potrebbe essere preferibile
alla resa a un sistema totalitario: nazista, fascista o comunista…Dopo la
lettura di Niebuhr, cercai di arrivare a un pacifismo realistico.
Martin Luther King
Il diritto alla tolleranza
illimitata favorisce i forti a scapito dei deboli.
Claudio Pavone
Tu puoi essere pacifista
fino all’estremo ed essere disposto al martirio per testimoniare la tua fede,
ma ti sentiresti di rimanere inerte quando altri che non partecipano della tua
fede sono esposti alla violenza? Ti sentiresti di dire loro: in nome di ciò che
io credo, tu lasciati massacrare? Non sarebbe questa, a sua volta, un’estrema
violenza, per di più rivestita di buoni sentimenti?
Gustavo Zagrebelsky, “La
felicità della democrazia: un dialogo”, 2011
A proposito del disarmo,
cavallo di battaglia dei pacifisti: che io butti via le mie armi non serve a
niente. Né serve a qualche cosa che le buttino via tutti tranne uno, perché
quest’uno diventerà il padrone della terra. Continuare a dichiarare il proprio
pacifismo assoluto serve a salvare la propria anima. Serve anche a salvare il
mondo? Alla base del nostro dissenso c’è forse la sua affermazione che le
tendenze dominatrici e distruttrici sono patologiche e non fisiologiche nella
natura umana. Tanto lei che io sappiamo ben poco della natura umana. Ma dalle
testimonianze della storia e dei fatti che abbiamo tutti i giorni sotto gli
occhi, sarei più prudente, o almeno distribuirei in parti eguali quello che
appartiene alla grandezza e quello che appartiene alla miseria dell’uomo.
Norberto Bobbio a Enrico
Peyretti (16 agosto 1993)
Brutale, violento, con la
clava in mano, Orione appare in tutta la tradizione mitica come un uomo
selvaggio, tutto preso dall’inseguimento di belve feroci, che si compiace di
uccidere in strage, arrivando al punto di vantarsi di far sparire dalla
superficie della terra tutti gli animali che Gaia crea e nutre… Orione non sa
che usare loro [le donne] violenza: ha appena visto la figlia del suo ospite a
Chio, che la desidera e vuole abusarne; non appena scorge le Pleiadi, si lancia
al loro inseguimento.
Marcel Detienne, “Orfeo
dalla voce di miele” (N.B. Chi ha orecchi per intendere…)
Sono giunto alla
conclusione che l’unica maniera per impedire una guerra che distruggerà decine
di milioni di vite ed inquinerà radio-attivamente la nostra aria, il nostro
cibo e la nostra acqua, insomma i nostri Beni Comuni:
È una rivoluzione globale:
In altre parole, servirà una
grande violenza per fermare una violenza molto più grande. Questo è
naturalmente anatema per pacifisti e nonviolenti ed è importante chiarire
perché io giudichi sbagliata la loro posizione. Ho già affrontato il drammatico
e per nulla scontato problema della scelta tra violenza e nonviolenza in
relazione alla tremenda superiorità morale, spirituale e politica della
filosofia dell’aikido rispetto alla satyagraha gandhiana:
agli enormi limiti
dell’uomo Gandhi:
Alla questione di come si
possa essere responsabili in una società patologica e che per ciò stesso
moltiplica le patologie:
Ora vorrei completare
l’opera, nella speranza di non dovermene mai più occupare.
La violenza non è un
terreno neutrale, è il terreno preferito dalle forze dominanti. Ci risucchia in
quel tipo di relazioni con il mondo e con gli altri che noi vogliamo e dobbiamo
ripudiare: le strutture gerarchiche di dominazione basate sul ricatto, sul
timore, sull’ossequio obbligato. La dignità è il nostro terreno e la violenza è
la negazione della dignità, indipendentemente da chi la perpetra. La nostra
"democrazia" e la nostra "prosperità" dipendono dal
rapporto padrone-servo che abbiamo instaurato col resto del mondo. Una
sindrome, forse ricorrente nell'universo, che ha come unico strumento la
violenza e come unico esito possibile la violenza: come in cielo, così in
terra. La violenza è solo un aspetto della maniera in cui lo stato ci
risospinge costantemente nei meandri di una certa forma mentis, di un certo
modo di fare le cose, di pensare le cose e di organizzarle. Gli stessi
monologhi dei politici sono una forma di violenza e rappresentano
l’impoverimento della cultura del dialogo (ma non provano vergogna?). È una
mentalità incancrenita: non importa quanto ci ripetiamo di essere persone
autonome, alla fine ci succede di aspettare che qualcun altro prenda
l’iniziativa, che parli, che ci accetti, ci riconosca, ci dia il suo assenso.
Alla fine ci dimentichiamo che anche le azioni “benevole” sono violente
se manca il consenso informato di chi ne “beneficia”, se si costringe l’altro a
mostrarsi grato, anche se questa mia generosità serve in realtà a dimostrare la
mia superiorità e sottolinea la vulnerabilità e sprovvedutezza dell’altro:
E poi c’è la guerra, che
produce eccitazione, esotismo, squilibri di potere, opportunità di incrementare
la propria autostima e status, dà significato ed intensità ad una vita
insignificante, uno scopo nell’esistenza, una causa per cui sacrificarsi, ci
consente di essere “nobili” ed “eroici”, perfino “epici”. Semplifica la realtà.
Così accettiamo e condoniamo la mutilazione ed uccisione del nostro prossimo
come un equo prezzo da pagare in cambio di quel che ne ricaviamo. La guerra
ed il patriottismo distorcono a tal punto la realtà che persino gli oppositori
della terribile giunta militare di Videla (Argentina) appoggiarono la guerra
delle Falklands.
Affermare che “la natura umana non è
violenta” (cf. Giorgi, 2008) significa proferire una colossale fesseria. Gli
esseri umani non amano uccidere, neppure in guerra (cf. Grossman, 2009), ma la
nostra specie è sempre stata capace di violenza e pace, di bene e di male, di
creazione e distruzione, fin dai suoi albori:
Diceva bene Gurdjieff: ci
sono sempre stati pacifisti e questi hanno sempre cercato di fermare la guerra
ma le guerre hanno continuato ad esserci e si sono fatte sempre più mostruose.
L’idea di una pace universale è un’utopia o un’ipocrisia (la pace
totalitaria di un Nuovo Ordine Mondiale?). Quasi tutti gli esseri umani
sono troppo pigri ed egoisti per lavorare su se stessi e troppo disposti ad
aspettarsi che siano gli altri a conformarsi ai loro desideri. Per questo il
movimento pacifista è diviso e segnato da conflitti e controversie. Ci si
scontra persino sui modi di raggiungere la pace. Siamo quel che siamo e non
possiamo essere diversi, ma quel che possiamo fare è provare a tenere sotto
controllo certi nostri impulsi e passioni per la maggior parte del tempo. Anche
questo è però un compito difficile, perché facciamo un’immensa fatica ad
emanciparci dai nostri idoli, feticci e dipendenze psicologiche. Come
possiamo realizzare una modica quantità di autocontrollo se continuiamo a
lasciare che siano delle forze esterne, più o meno reali, a controllarci? La
violenza nasce dalla compulsione a costringere il prossimo a comportarsi in un
certo modo, ad imporre la propria volontà. Paradossalmente, per superare questa
compulsione bisogna usare violenza su di sé e contro i propri istinti ed
automatismi. C’è bisogno di forza per vincere abitudini mentali, meccanicità
ritualizzate, ecc. La violenza rivolta verso l’esterno si cura
quando si comincia a vedere in se stessi sempre più gli altri e negli altri
sempre più se stessi.
È un grossolano e
pericoloso errore cercare di ragionare con chi ha cattive intenzioni e la
patetica figura di Chamberlain alle prese con Hitler dovrebbe averci fatto
rinsavire. I bulli interpretano questi sforzi come un sintomo di paura e
di debolezza. Magari non è così, ma bisogna tener conto del fatto che
la visione del mondo del bullo è estremamente semplificata, meccanica,
inelastica:
La materia è il campo di
battaglia su cui si confrontano e scontrano due diversi tipi di spiritualità.
Ci sono coscienze allineate con le forze che potremmo chiamare “della
Creazione” ed altre che invece, per indole e temperamento, scivolano
spontaneamente verso le “forze della Distruzione e dell’Entropia” (es. il
complesso militare-industriale, gli speculatori che distruggono le vite di
milioni di piccoli investitori, i genitori violenti, i preti pedofili, gli
psicopatici in genere, ecc.). Ciascuna forza ha un ruolo fondamentale ma non
per questo quelle distruttive ed entropiche vanno incoraggiate o lasciate fare.
È sbagliato abdicare dal proprio dovere di promuovere la cooperazione, la
solidarietà, la compassione, il rispetto, l’altruismo, solo perché tanto Tutto
è Uno, Dio non esiste e quindi Bene e Male non esistono. In molti di noi vi
è un insopprimibile senso di indignazione, di oltraggio, di risentimento di
fronte ad infamie ed ingiustizie. Cerchiamo naturalmente la giustizia,
armonia, la chiarezza, l’obiettività, il libero arbitrio. La conoscenza degli
eventi circostanti e mondiali è essenziale per la maturazione morale e
spirituale. L’ignoranza equivale ad una tacita accettazione del male e della menzogna
(es. le guerre umanitarie) ed un rifiuto di scegliere il bene (l’equilibrio, la
giustizia, la verità – es. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Falcone e Borsellino,
David Kelly).
Nel nostro mondo vivono
anche “vampiri psichici”, chiamati psicopatici/sociopatici, che spesso
raggiungono uno status invidiabile in una società all’insegna della forza
prevaricatrice. Il
loro scopo è quello di confondere, frustrare e scoraggiare. Non vogliono
chiarezza e luce, ma oscurità e nervi tesi. Uno può anche cercare di essere
ragionevole, diplomatico e rispettoso, ma c’è un limite a tutto e l’unico
linguaggio che sembrano intendere è quello della forza, del martello e del
chiodo. Se percepiscono una certa sensibilità, la ritorceranno contro come se
fosse stupidità o debolezza. È una lotta senza quartiere in cui ogni nostro
sforzo di procedere oltre servirà solo per accusarci di maleducazione,
rozzezza, arroganza, egoismo, aggressività, ecc. Il tutto al fine di farci
stare zitti o farci cambiare argomento. È una perfetta manipolazione: se
lasciamo che sia un unico interlocutore (e non la nostra coscienza e non tante
altre persone) a stabilire cosa significa essere ragionevoli, se siamo
sufficientemente rispettosi nei loro confronti, ecc. diventiamo la loro preda,
ci mettono al guinzaglio, ci addomesticano. Sacrifichiamo la nostra
autodeterminazione sull’altare di un insensato bisogno di comunicare in
qualunque modo con loro. Diamo un dito e loro si prendono il braccio.
Con loro la diplomazia non
funziona: non arresta la loro aggressività, ma li incoraggia. Arriva il momento
di capire che bisogna riconoscere il male per quello che è (una brutta bestia)
ed affrontarlo di conseguenza, cioè con determinazione (vedendo i suoi bluff e
resistendo alle sue aggressioni). È giusto dare una chance al dialogo,
all’inizio, ma finché si vede che l’altra parte è realmente interessata al
dialogo. Non ci sono garanzie e può fallire. Inoltre dar corda ad un bullo
spinge altri potenziali bulli a prendere coraggio ed imitarli (es. USA e
Israele).
La spiacevole realtà dei
fatti è che ci sono pessime persone in circolazione, persone che non si fanno
scrupolo di prendersi tutto quel che desiderano da chiunque lo possegga
legittimamente. Non è sufficiente la disapprovazione, non basta chiamarli
“personalità dominanti” e poi lasciarli fare perché è nella loro natura
comportarsi a quel modo. Non è con le chiacchiere che si risolvono i
problemi. Certi dissidi si possono appianare, se c’è buona fede da entrambe
le parti. Ma credere che tutti possiedono la coscienza, a dispetto
dell’incontrovertibile ed abbondantissima evidenza empirica che dimostra il
contrario – ossia tralasciare colpevolmente i dati delle scienze cognitive
e psicologiche per amore del politicamente corretto –, e che perciò c’è sempre
spazio per una negoziazione risolutiva, non è realistico ed è anche un po’
infantile.
Non ci possiamo permettere
di guardare il mondo attraverso delle lenti che lo abbelliscono, specialmente
perché la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni. Perché
il male (l’imposizione di uno squilibrio entropico) prevalga è sufficiente che
le persone coscienziose se ne stiano ai margini, lasciando fare per amore del
quieto vivere. Non è proprio il caso di emulare chi si rifiuta o non è
capace di difendersi e di difendere ciò che gli è più caro. L’autodifesa
non è solo una virtù, è un imperativo. La pace è la condizione ideale, ma non
certo se il prezzo da pagare è la libertà. Chi si approfitta di noi va fermato
e negoziare con queste persone serve solo ad incentivarle, a farsi ricattare, a
svilirsi. Serve lucidità e servono gli attributi. Chi si sottomette non mette a
repentaglio solo la sua libertà ma anche quella di tutti gli altri.
Le persone malvagie sono
perfettamente in grado di seminare distruzione, ma sono per definizione
autocentrante e quindi incapaci di definire una strategia che, nel lungo
termine, non sia autodistruttiva. Possono trionfare nel breve, ma solo se
manca la determinazione per limitare i danni da loro causati.
Perciò il pacifismo e la
nonviolenza sono uno strumento di iniquità in una società governata da
psicopatici. Soffrire e morire in circostanze oppressive senza opporre
resistenza, anche violenta, se necessario, non può essere un obbligo morale.
Chi si fa martire in nome del principio della nonresistenza passiva e si
rifiuta di contenere il male che viene arrecato ad altri (rifiutandosi di
impedirlo), abbandona la sfera della morale per entrare in un’altra sfera, del narcisismo
amorale.
Molte persone sono bellicose
nel cuore. Combattono le persone attorno a loro in molti modi ed allo stesso
tempo parlano di pace. Bisogna fare attenzione a chi crede di essere buono: le
persone peggiori sono quelle che immaginano di essere buone, pacifiche e
nonviolente. Ad ogni buon conto, se le persone sono contro la guerra
perché ne hanno paura, la loro resistenza non ha alcun valore, anzi:
Jacques Ellul (“Ce que je crois”) ci
ricorda che le azioni di Gesù sulla terra NON sono all’insegna della
nonviolenza. Gesù era una persona che si indignava, che perdeva le
staffe, che accusava, condannava, non le mandava certo a dire: i mercanti del
tempio, gli scribi e i farisei, i ricchi, Corazin e Betsaida ("Guai a te,
Corazin! Guai a te, Betsàida!” – Matteo 11:21). Non scelse la via della
nonviolenza, ma quella dell’astensione dall’uso della forza coercitiva, che
pure avrebbe potuto esercitare pressoché illimitatamente. Ronald Niebuhr, il massimo teologo
protestante della storia americana, ci ricorda invece che la scelta che
dobbiamo compiere non è ciò che è morale e ciò che è immorale, ma tra ciò
che è immorale e ciò che lo è di meno. Jiddu Krishnamurti ci
ricorda che l’avversario potrebbe essere ignorante e volere lo scontro ad ogni
costo. Per questo è giusto accettare lo scontro, ma senza la pretesa di
essere retti e virtuosi nella lotta, giacché questo ci rende aggressivi e
feroci. Per il teologo americano William Stringfellow essere
pacifista comporta il rifiuto di accettare che ogni decisione è assunta
in un contesto pregno di ambiguità morale e non può essere predeterminato da
strettoie dottrinali. Secondo lui non si può decidere a priori che uno
non ricorrerà mai alla violenza, a prescindere dal contesto, e soprattutto non
ci si può sentire innocenti di ogni violenza solo perché ci si proclama
pacifisti. Questo mondo è violento e siamo tutti complici.
Dietrich Bonhoeffer, mentre
si apprestava a cercare di uccidere Hitler, sapeva che quel che stava facendo era male.
Il tirannicidio è male. Non si considerava una persona buona, l’utile non
giustificava ogni sua azione. Lo considerava un male necessario in virtù del
fatto che il cristiano non può rinunciare alla propria responsabilità di fronte
al male, non può rifiutarsi di guardare in faccia la realtà. Le critiche di
Bonhoeffer e di George Orwell al male sono principalmente tre: (a) il
pacifismo aiuta il male; (b) è ipocrita perché si gode i frutti degli sforzi
altrui pur condannandoli; (c) è una strategia fallimentare. [Non è vero
che il pacifismo non è stato sperimentato sotto il Terzo Reich – solo un
fanatico potrebbe non arrivare a capire che chiunque abbia cercato di praticare
la resistenza nonviolenta non è durato abbastanza da recare una qualsivoglia
testimonianza. Le famose mogli della Rosenstrasse non sarebbero sopravvissute
una singola notte se non fosse stato per la catastrofe di Stalingrado e la
paura di perdere il controllo della nazione].
Per Orwell il proprio
rifiuto di partecipare alla violenza deriva da un immotivato senso di
superiorità morale, che non corrisponde necessariamente ad una visione
maggiormente obiettiva della realtà e delle azioni che vanno intraprese. La
guerra non è un problema intellettuale già risolto. Questo può pensarlo solo
chi si trova in una posizione confortevole e sicura, protetto dal sacrificio
altrui, dallo sporcarsi le mani di qualcun altro che non vuole che i suoi figli
crescano in un regime totalitario. Un’esistenza confortevole ci rende
insensibili ai cimenti di chi si trova in una condizione peggiore della nostra,
confusi dall’irrealtà della pena, della sofferenza e della morte altrui. La
sicurezza è un’illusione borghese di chi dimora su un’isola di privilegi:
poiché sono nonviolento e l’argomentazione razionale mi ha convinto della bontà
di questa posizione, allora credo che lo stesso valga per tutti. Invece bisogna
considerare la realtà nel modo più obiettivo possibile, non desiderare che sia
diversa da quel che è. Per Orwell i tiranni temono solo quel che prediligono,
perché lo ritengono efficace, ossia la forza fisica.
Clarissa Pinkola Estés c’insegna che comprendere
il predatore ci permette di diventare maturi, meno ingenui, meno inesperti,
meno stupidi e perciò meno vulnerabili: “Nel racconto il punto non è la
lotta per raggiungere la santità, ma sapere quando agire in un modo
integrale e selvaggio. Per lo più i lupi evitano il confronto, ma quando devono
difendere il territorio, quando qualcosa o qualcuno costantemente li minaccia,
o li mette alle strette, allora esplodono. Accade di rado, ma la capacità di
esprimere questa rabbia rientra nel loro repertorio, e dovrebbe rientrare anche
nel nostro. …è un diritto e in certi momenti e in talune circostanze è un
dovere morale…La risposta giusta porta comprensione e giuste quantità di
compassione e di forza mescolate assieme. L’istinto offeso dev’essere
ripristinato stabilendo e facendo rispettare confini ben precisi e dando
risposte ferme e, se possibile, generose, ma sempre fondate…A livello psichico,
è salutare provare questa collera e usarla per inventare modi di combattere
un’ingiustizia e provocare un utile cambiamento…La rabbia collettiva è
egregiamente utilizzata quale motivazione per cercare o offrire sostegno, per concepire
modi per costringere gruppi o individui al dialogo, o per richiedere
responsabilità, progresso, miglioramenti….fa parte della psiche istintuale sana
avere reazioni profonde di fronte alla mancanza di rispetto, alla minaccia,
all’offesa. […]. Se e quando la rabbia torna a essere uno sbarramento per il
pensiero e l’azione creativi, allora dev’essere attenuata o tramutata”.
In pratica, non ci si
comporta affabilmente quando giunge il momento di difendere la propria
coscienza/anima. Un sesto senso ci suggerisce che la gentilezza servirà solo ad
incitare il predatore. Quando la coscienza/anima è minacciata si deve tracciare
una linea invalicabile e ricercare un nuovo equilibrio, laddove l’entropia ha
prodotto uno sbilanciamento. [Il Bacio Perugina che ho appena scartato
mi consiglia: “La chiarezza è una giusta distribuzione di luce e ombra” – una
citazione di J.G. Hamann che cade proprio a fagiolo!]
Ho espresso una posizione
analoga riguardo alla vendetta:
Ogni violazione della
libertà di un individuo è una forma di violenza. In un mondo ideale le persone
sarebbero libere e responsabili. Così non è qui e ora e perciò si impiegano
mezzi coercitivi. Siamo, congenitamente, dei manipolatori: alcuni (più spesso gli
uomini), usano la minaccia della forza e la violenza verbale, altri (più spesso
le donne), usano il vittimismo e il ricatto psicologico. È nostro dovere
prendere coscienza di questo terribile aspetto della natura umana, se davvero
vogliamo costruire un mondo meno violento. Alcuni gongolano, altri si dolgono
di questo stato di cose. Quelli che gongolano sono persone che riconoscono solo
il linguaggio della coazione, della predazione, del parassitismo. Sono vuoti
dentro e cercano di riempirsi strappando l’altrui pienezza (che non è mai
completa). Il nostro mondo è più violento perché nessuno di noi è esente da
questa patologia vampirica: tutti tendiamo a prendere dagli altri, anche quando
ci convinciamo del nostro genuino altruismo. Nessuno di noi può essere
autenticamente altruista, perché viviamo in un corpo finito, separato dagli
altri, una monade e la nostra empatia, cioè la nostra capacità di metterci nei
panni degli altri – il fondamento della condotta morale – è anch’essa limitata.
Non siamo davvero in grado di considerare gli altri come nostri pari. Gli altri
avranno sempre un grado di realtà e di dignità inferiore al nostro. È la nostra
fisicità, l’istinto di sopravvivenza che ci ostacola, anche nei nostri momenti
migliori, quando veramente mostriamo che in noi c’è un qualcosa fatto di
un’altra pasta: la coscienza (alcuni la chiamano anima).
Purtroppo viviamo in un
mondo in cui essere coscienziosi significa obbedire ed essere virtuosi
significa avere successo, ad ogni costo. È ipotizzabile che questo singolare
modo di intendere la vita associata sia emerso a causa della crescente egemonia
di un tipo umano suo malgrado molto deficitario nel reparto empatia:
La grande questione del
2012 sarà come rimuovere delle classi dirigenti che ci stanno portando al
disastro economico:
E verso la guerra più
mostruosa che si possa concepire:
Possiamo vivere in
silenzio, nel conformismo, nella malafede, nella paura di essere malgiudicati –
ricercare la sicurezza alle condizioni imposte dall’attuale sistema:
ricattatorio, manipolatore e spietato. Oppure possiamo resistere: è l’unica
scelta degna di un essere umano. Per farlo occorre vincere certe inibizioni
dovute a: (a) abitudine a non mettere in discussione la legittimità dello
status quo e la consueta percezione ed interpretazione della realtà; (b)
identificazione psicologica col sistema e senso di un obbligo morale alla
mansuetudine insinuato nella mente dei cittadini dallo Stato, dalla Chiesa e
dai media; (c) paura di essere puniti e di morire; (d) egoismo; (e)
insicurezza, insufficiente auto-stima e sfiducia nelle proprie potenzialità;
Uno dei consigli più
validi, in questi casi, è il seguente: se vuoi capire cosa spaventa il
tuo nemico, osserva cosa usa per spaventarti. È un po’ quel che intendeva
Orwell, citato qualche riga più sopra: “i tiranni temono solo quel che
prediligono, perché lo ritengono efficace, ossia la forza fisica”.
Per il momento i potenti
usando la minaccia della violenza ed il terrorismo psicologico. Io sarei molto
favorevole a questa opzione del tipo "Spada di Damocle", ma temo che,
come detto, il loro piano sia quello di spingerci verso la guerra ed il Terrore
Rivoluzionario. Dobbiamo stare molto attenti ad evitare quel tipo di
sviluppo. Se si farà la rivoluzione, dovrà essere del tipo "usa e
getta": la rivoluzione permanente (Terrore Rivoluzionario) è la loro
migliore alleata. Per cambiare le cose basterebbe uno sciopero
generale/occupazione generale permanente transnazionale (ossia la resistenza
nonviolenta di massa) ma la crisi economica globale (generata, ossia
artificiale) e la flessibilità hanno messo in ginocchio milioni di famiglie:
sono troppo ricattabili per intraprendere la strada dello sciopero ad oltranza.
E ora le élite si stanno per giocare la carta della guerra globale per
aggravare lo stato di crisi globale, ad ogni livello.
Solo la rivoluzione può
bloccare questa guerra suicida. Come abbiamo detto, però, la rivoluzione, in
queste condizioni, rischia di sfociare in una rivoluzione permanente, che
conduce invariabilmente al totalitarismo, perché la gente dopo un po' pretende
stabilità e ordine e, a mali estremi, estremi rimedi. Dunque la forma della
lotta che ci imporranno sarà violenta e la cosa che dobbiamo tenere a mente è
che sarà necessario interromperla al più presto, restaurando la democrazia. La
mia speranza è che la saggezza prevalga e si capisca che scimmiottare degli
psicopatici o lasciare che questi si impadroniscano anche della rivoluzione ci
porterà alla rovina.
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