giovedì 22 dicembre 2011

Mandela - Nobel per la pace, rivoluzionario, amico di Gheddafi




È sempre l’oppressore, non l’oppresso, che determina la forma della lotta
Nelson Mandela


Nessun paese può rivendicare di essere il poliziotto del mondo e nessuno stato può dettare a un altro cosa deve fare. Quelli che ieri erano amici dei nostri nemici oggi hanno l’impudenza di dirmi di non fare visita al mio fratello Gheddafi. Mi suggeriscono di essere ingrato e di dimenticarmi del passato
Nelson Mandela

Nelson Mandela, premio Nobel per la pace, uscito dal carcere nel 1990 dopo 27 anni di prigionia e primo presidente nero del Sudafrica nel 1994, era considerato un terrorista dal governo sudafricano ed il suo nome, come quello di altri membri dell’African National Congress, è restato fino al 26 giugno 2008 sulla lista delle persone sospettate di legami con il terrorismo del governo americano, tanto che per poter entrare negli Stati Uniti aveva bisogno ogni volta di uno speciale nullaosta. Hanno alterato la lista espungendo il suo nome solo in previsione del suo 90° compleanno, il 18 luglio 2008.
Il movimento di liberazione African National Congress (ANC), da lui capeggiato, si era dato alla resistenza armata creando una rete di guerriglieri (Umkhonto we Sizwe, la Lancia della Nazione) dopo che anni di protesta nonviolenta contro l’apartheid non avevano portato ad alcun progresso. Inizialmente si era speso assieme al suo amico, l’avvocato Oliver Tambo, per fornire rappresentanza legale pro bono o comunque ad un costo accessibile ai neri. Ma la misura fu colma, a giudizio di Mandela, che era già stato incarcerato dal 1956 al 1961 per la durata di un processo per “alto tradimento” che si concluse con la sua assoluzione, con il Massacro di Sharpeville, il 21 marzo 1960, quando la polizia aprì il fuoco contro una folla di dimostranti neri uccidendo 69 persone in conseguenza del fatto che, come dichiarò il colonnello Pienaar, “la mentalità indigena non permette di radunarsi pacificamente. Per loro un raduno significa violenza”. I sabotaggi e gli attentati causarono decine di morti e centinaia di feriti tra i militari, ma anche tra civili bianchi e neri. La Commissione per la verità e la riconciliazione ha stabilito che Umkhonto we Sizwe si macchiò di continue violazioni dei diritti umani, inclusi la tortura e l’esecuzione sommaria di agenti del regime sudafricano, sebbene queste pratiche non fossero mai state ufficializzate dall’ANC. Nel 1985 rifiutò la libertà condizionata in cambio di una rinuncia alla lotta armata motivando la sua scelta con queste parole: “solo gli uomini liberi possono negoziare. Un detenuto non può instaurare alcuna relazione contrattuale”.
Per circa 40 anni dovette fronteggiare non solo l’oppressione bianca sudafricana, ma anche l’opposizione di Stati Uniti, Regno Unito (le scuse ufficiali sono arrivate solo nel 2010), Francia (fino al 1981) e persino Israele:

Nel corso di un’intervista al Larry King Live (16 maggio 2000), Mandela ha espresso il suo punto di vista sul suo passato.
KING: Lei è stato un terrorista?
MANDELA: Beh, il terrorismo dipende da…
KING: …da chi vince.
MANDELA: precisamente. Mi chiamavano terrorista, ma quando fui rilasciato molte persone mi abbracciarono, anche i miei nemici di un tempo. E questo è quel che dico alle persone che dicono che chi combatte per la liberazione del proprio paese è un terrorista. Dico loro che anch’io lo sono stato, ma oggi sono ammirato da quelle persone che dicevano che ero un terrorista.
KING: è mai riuscito a spiegarsi l’apartheid?
MANDELA: è difficile capire un fenomeno del genere, ma penso che in una nazione come il Sudafrica, dove la stragrande maggioranza della popolazione era nera e chi comandava rappresentava solo il 14 per cento della popolazione, l’apartheid era il modo migliore per difendere la supremazia bianca, tagliandoci fuori completamente dai diritti di cittadinanza.
KING: Come l’hanno trattata in carcere?
MANDELA: all’inizio molto male e ci è toccato lottare per un trattamento più dignitoso. Questa lotta ha portato buoni frutti.  
KING: come ci siete riusciti? Come si combatte il sistema?
MANDELA: all’inizio abbiamo fatto degli scioperi della fame, una delle migliori armi a disposizione per dei detenuti. Ci siamo rifiutati di eseguire dei compiti umilianti, sopportando le punizioni conseguenti. Ma abbiamo insistito.
KING: erano concesse delle visite?
MANDELA: potevo vedere i membri della mia famiglia solo ogni sei mesi. Nessuno al di fuori della cerchia famigliare.
KING: come ha fatto a tirare avanti?
MANDELA: ero circondato da persone brillanti, alcuni di loro con un’eccellente educazione ottenuta in università straniere, persone che avevano viaggiato ed era un vero piacere sedersi con loro e fare conversazione. Mi hanno arricchito. E poi ci hanno concesso ottime letture. Così abbiamo scoperto che anche il solo fatto di sedersi e di pensare era il miglior modo di mantenersi freschi e in forma, capaci di affrontare i problemi di ogni giorno e di esaminare il nostro passato. Era possibile prendere le distanze da se stessi e riflettere sul proprio comportamento, se ero stato all’altezza di qualcuno che aveva cercato di porsi al servizio della società, e ci furono molti casi in cui mi sono vergognato di me stesso.
KING: ad esempio?
MANDELA: quando arrivai a Johannesburg dalla provincia non conoscevo nessuno ma molti sconosciuti furono gentili con me. Poi finii in politica e divenni un avvocato, così impegnato da non pensare che avrei dovuto tirarmi fuori il tempo per le persone che avevano fatto così tanto per me. È stato solo in prigione che mi sono reso conto di aver fatto qualcosa di imperdonabile, di non aver apprezzato l’ospitalità che mi veniva data da persone che non conoscevo, la loro generosità. Il fatto di essere diventato un avvocato, dimenticandomi di loro, mi faceva male.
KING: lei ha fatto amicizia con le guardie, vero?
MANDELA: abbiamo appoggiato le guardie che ci rispettavano e abbiamo visto che non esisteva un sostegno monolitico per l’apartheid. Ci sono sempre persone che ragionano umanamente.
KING: alcuni di loro erano analfabeti. Li ha aiutati a scrivere lettere ed alcuni di loro aveva delle cause in corso e li aiutò anche in quello?
MANDELA: proprio così. Lo facevamo perché quelli in alto se ne fregavano di quelli in basso, li trattavano come stracci. Abbiamo fatto cambiare le cose perché trattavamo tutti come degli esseri umani, con delle speranze e delle aspirazioni.
KING: dopo 26 anni di prigionia, ha chiesto di ritardare il rilascio di tre settimane.
MANDELA: certamente non vedevo l’ora di andarmene, ma volevo che la mia liberazione fosse organizzata come si deve e potessero essere presenti le persone che mi avevano ospitato da giovane e la generosità dei quali non avevo ricambiato. Volevo avere l’opportunità di ringraziarli personalmente per tutto quel che avevano fatto per me.
KING: non ha mai odiato i suoi carcerieri?
MANDELA: No, perché bisogna tener conto del fatto che nella situazione in cui eravamo una promozione dipendeva dal proprio sostegno all’apartheid e perciò le persone buone si capiva che avevano l’atteggiamento di chi ti vorrebbe dire che quel che fa lo fa solo per la promozione, non per cattiveria. Alcuni di loro sono diventati amichevoli e non hanno mai mortificato la nostra dignità.

Perché rimase amico di Gheddafi fino all’ultimo?

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ascoltami nella notte (2013)

Ascoltami, Erin, intenda tamburo,
nella notte, il tuo grande orecchio
del Kenya, dove tu pascoli ancora
libero. Il dio della Bibbia Swing
mi è morto dentro e l’astro più bello
del firmamento Blues è da tempo
un globo spento. Che ora tuoni
alle nubi a mandrie, che martello
poderoso la mandi su tutte le savane
del mondo. Viva Mandela, abbasso
lo schiavismo di lacrime e diamanti.

F.2000 Ufo for m.i